Giuseppe Leuzzi
Nicola Gratteri, nove anni fa ministro in petto del governo Renzi, segretario
del Pd, viene portato alla Procura di Napoli dal centro-destra unito, contro il
Pd. Destra e sinistra al Sud sono solo indicazioni.
Frequenti i nomi di origine,
che si conservano, anche se, probabilmente, solo per inerzia anagrafica, burocratica,
un nome è per sempre: i Lombardo, i Piemontese, i Napolitano, I Pugliese e i Calabrese
in Calabria e in Sicilia, i Palmisano, Stillitano, Gallico, Siciliano in
Calabria.
Insieme con la Versilia e la Romagna
il Sud ebbe nel dopoguerra un boom
turistico. D’avanguardia: Club Mediterranée a Cefalù, club Valtur a Nicotera,
in Calabria, a Taormina il treno delle svedesi. Un turismo promozionato bene,
con motivi d’attrazione, preso sovrastato dalla burocrazia, dal disordine,
dalla sporcizia, dalle fogne, dalle selve di non-finiti. I club hanno chiuso,
Taormina vive di turismo mordi e fuggi – con un po’ di zibibbo, in bottigliette
falliche. Si discuteva in quegli anni dello sviluppo del Terzo mondo, di
tecniche di accelerazione dello sviluppo. Al Sud certamente non è possibile: si
può violentare, forse, una società composita, recente, non una tradizione.
Come si distrusse il risparmio
Non manca Corrado Alvaro di
rivendicare , da buon “intellettuale della Magna Grecia”, il passato glorioso.
Ma senza arabeschi, come “la più realistica tradizione del mondo”. E arpionato
a una solida, ancorché breve, fulminante, sintesi storica dell’unità. Lo fa in
“Memoria e vita”, lo scritto redatto nel 1942, in ricordo del padre,
all’interno di una pubblicazione commemorativa che intitolò “Il viaggio”,
titolo di un poemetto d’occasione, con la raccolta “Poesie in grigioverde” e
altre liriche – il padre lo avrebbe voluto “poeta”, come scrittore non lo
considerava.
La madre dello scrittore era
di una famiglia di pastori, che erano i ricchi del paese. “Il nostro era un
paese di pastori, più che di contadini, e aveva tutto l’Aspromonte pei suoi
armenti, ricco, prospero”. La famiglia
della madre non voleva accettare il pretendente: “Quando si presentò mio padre,
fu combattuto da tutto il parentado. Era un uomo a stipendio (era maestro,
n.d.r.), e perciò considerato un cattivo partito”.
Su questa notizia Alvaro fa
una digressione: “Coloro i quali pensano all’Italia meridionale come a una
contrada che ha per ideale di vivere a spese dello Stato, riflettano a come è
nata tale disposizione. Non è qui il luogo per tracciare quella storia
dolorosa, né per dire come la nostra parte di meridionali nel miliardo annuo
che fruttava l’emigrazione, assorbita dalle grandi banche attraverso il sistema
delle piccole banche locali, adoperato per fondare la grande industria, e non
precisamente da noi, fu alla fine distrutto attraverso le piccole banche che
fallirono puntualmente travolgendo tanta economia meridionale faticosamente
conquistata. Priva d’industrie, rovinata, divenuta un terreno di sfruttamento
dell’industria non locale, al livello di poco più che una colonia, si capisce
che la sola speranza fu il pane dello Stato. Dico queste cose brevemente per i
signorini che reputano l’Italia meridionale economicamente e intellettualmente
una contrada di moretti convertiti, dimenticando quanto sudore di sangue essa
diede, e quando al pensiero italiano di veramente sostanziale, nell’orbita
universale, da Vico a questa parte, fuori della retorica provinciale che
tuttavia ebbe il tempo di guastare la più realistica tradizione del mondo”.
Le piccole banche “fallirono
puntualmente", per non onorare i depositi.
Il matrimonio dei genitori
di Alvaro si faceva nel 1894: ancora trent’anni buoni dopo l’unità il “posto”
non era a premio. Il “posto” di Checco Zalone (“Quo vado?”) è un esito
dell’unità, dell’impoverimento dopo l’unificazione.
La questione pastorale – 2
Nel 1895, quando i genitori
di Corrado Alvaro si sposarono, i pastori erano i signori del paese, San Luca: “I pastori
e i loro anziani e capi abitavano una contrada alta detta il Petto. Erano
ricchi, avendo “tutto l’Aspromonte” per i loro armenti – “le sorelle di mia
madre furono date per l’appunto a pastori ricchi” (la famiglia della madre era
di pastori).
Corrado Avaro lo ricorda nel
1942, nel memoriale in morte del padre, “Memoria e vita”. Ma già qualche anno prima, nel
racconto “La cavalla nera” (apre la raccolta “Settantacinque racconti”, la
sezione “Incontri d’amore”…), scherzosamente ma con severità, registrava un
cambio radicale d’identità dei suoi concittadini, ora reputati emeriti ladroni.
Quando i potamesi sbarcano in città (Potamia era il nome del paese fino al
terremoto del 1592 che lo distrusse: fu ricostruito a valle, verso la costa,
e chiamato col nome del santo protettore, la cui statua era rimata illesa nel
sisma, ed era stata trasportata via dai paesani), “strilli, grida, richiami; si
chiudono le porte e i cancelli di legno, si ritira la biancheria” messa ad
asciugare, “si ritirano i sacchi dalle soglie delle botteghe…”. Con la sottolineatura:
“Perché chiamarli ladri? Non hanno il senso della proprietà”. Sono pastori,
abituati a prendersi ciò che vedono: “Non sono gente cattiva, i potamesi sono
religiosi e fedeli, ma soltanto non distinguono tra la roba loro e quella degli
altri…. Un potamese che andò a Napoli , credeva che le fioraie per la strada
regalassero i fiori ai passanti”.
In pochi anni, chiusi i boschi e gli alpeggi dal demanio e dai latifondisti, i
pastori che facevano la nobiltà del paese sono diventati abigeatari e violenti.
I potamesi, spiega il protagonista del racconto a un suo compare, che come lui
ha lasciato il paese molti anni prima, non pensano a quello che sarà – non hanno
il futuro, i potamesi come tutti i pastori: rubano gli armenti e “non ci
pensano, né ai carabinieri né all’arresto. Sono potamesi e i potamesi non
pensano mai a quello che verrà”. Con l’omertà: “Sono bravi, troveremo la
montagna deserta”, si dice il narratore, ”e siccome sono tutti d’accordo i
potamesi, nessuno ci dirà di aver veduto un armento. O ci dirà di averlo
veduto da tutt’altra parte. E poi si avvertono tra di loro, e l’armento si
sposta di qua e di là”.
(fine)
La quarta mafia
Una quarta mafia si è provato
qualche decennio fa a impiantarla in Puglia, chiamandola Sacra Corona Unita o
qualcosa del genere. Non ha funzionato – si basava sul contrabbando, da ultimo
di albanesi, che però se la cavano da soli. Ora è a Foggia.
Questo sito ha rilevato un
mese fa una serie di iniziative di Foggia, delle istituzioni e dell’ambiente, per
schivare la maschera del malaffare. Coprendosi col Kilometro Zero, polo tecnologico leader nazionale nel campo delle fonti di energia rinnovabili, e col Gargano, la Foresta Umbra, i
pomodori, il grano, la bellezza e la produzione. Ma niente. “La Lettura” del
“Corriere della sera” la incorona “capitale della mafia”. A Foggia, spiega, “si respira
lo stesso clima della Sicilia di tanti anni fa” - che era invece di guerra,
terroristica, e comunque senza paragoni: “Il 6 agosto 2018 «La Lettura» andò in
Puglia per raccontare l’emersione furiosa di una nuova delinquenza in un diffuso
disinteresse generale. Siamo tornati per vedere come stanno le cose. Male. Al
punto che si respira lo stesso clima della Sicilia di tanti ani fa. «La mafia
non esiste». Foggia 2023 come Palermo 1960”. Nel 2018 con tre articoli di
Gianni Santucci, “La guerra di Foggia”, “La Gomorra del Gargano”, “Pioggia di bombe”,
oggi con uno ampio di Alessandra Coppola, con il colonnello dei Carabinieri Miulli e il capo della Dda Roberto
Rossi, e un’intervista di Santucci con lo scrittore Piernicola Silvis, ex
questore di Foggia, foggiano.
È così che nasce una mafia,
basta chiamarla. La società può fare tutto quello che vuole per sfuggire alla
condanna, non c’è scampo. Manca solo il nome. Anche la cupola.
Cronache della differenza: Puglia
Raffaele De Giorgi, sessantenne di Squinzano,
commissario tecnico della nazionale di pallavolo ora in finale al Mondiale, già
parte della “generazione dei fenomeni” della pallavolo nazionale, tre volte
campione mondiale, una volta campione europeo, é per tutti Fefé. Oggi non
sarebbe più possibile, il diminutivo per raddoppio, come Fofò per Alfonso, Mimì
per Domenico o Domenica, Cecé per Vincenzo, Pepé per Giuseppe, Sasà per
Saverio, Totò per Antonio. Ninì per Antonino… - resistono Ciccio per Francesco e Gigi per Luigi ma sono italiano. Il Sud non
esiste nemmeno più nell’onomastica.
Uno non fa in tempo a nominare Foggia, la sua campagna per
l’onorabilità, che “la Repubblica” c’inzuppa il pane. Foggia dà un premio ad Alain Elkann - un
premio letterario. Che però non ha pubblicato nulla di recente, il premio è al
nome, sperando che i giornali del figlio diano una mano al rilancio? È probabile
- le strategie di marketing devono anzitutto sorprendere il committente. Ma lo
scrittore in viaggio verso Foggia s’è messo di malumore. Il grande nodo
ferroviario della Puglia, verso Napoli e verso Bologna-Milano ha ridotto a
bivio provinciale (via Casera, Benevento). E i suoi giovani compagni di viaggio
a trogloditi. Su “la Repubblica”.
Il “treno per Foggia” di Alain Elkann ha avuto il
merito per Paola Sacchi, su “Start Magazine”, di riportare alla memoria lontane
vacanze, da ragazza, partendo da Orvieto, con “maman”, col padre in attesa. Foggia
non è Orvieto, ma “è stata bombardata”. Ma l’hotel Vicolella, ai bordi del Gargano
che cominciava a spuntare nel turismo internazionale, è ancora un ricordo
lieto. E poi, nota, i ragazzi ciarlanti che distraevano Elkann dalla lettura viaggiavano
in prima classe.
Cicerone parla del Salento,
ora opimo, come di un paese perso, al di fuori di ogni commercio con il resto
del mondo, e lo apparenta al montuoso, impraticabile, Bruzio. Nell’orazione
“Pro Roscio Amerino” compiange “coloro che abitano fra i salentini o i bruzi,
da dove posso ricevere notizie appena tre volte l’anno”.
Già in questo, e negli anni
di Cicerone, Salento e Calabria erano appaiati: per la mancanza di vie di comunicazione,
o perché recalcitranti alla latinizzazione? O fuori dal perimetro commerciale
gli interessi con la Grecia fermandosi a Brindisi, e con la Sicilia intrattenuti
via mare? La grecità perdurante nelle due regioni potrebbe essere stata
trascurata per la sua scarsa incidenza nell’economia dell’impero – la Sicilia,
granaio di Roma, fu latinizzata subito.
leuzzi@antiit.eu
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