mercoledì 6 settembre 2023

Il papa in Mongolia con vista Cina

Un viaggio sfibrante, di una ventina d’ore, con un jet lag pesante, di sei-sette ore, per una visita di tre giorni, a una comunità di fedeli che non riempie una chiesa, e poi si è capito perché: per esprimere “rispetto e ammirazione per la Cina”. Perché non dirlo da Roma? Perché Ulan Bator è una finestra sulla Cina? Non lo è, ci sono alcune migliaia di km., e molta storia avversa, tra la capitale mongola e Pechino.
Certo, non si può escludere un fenomeno di “fata morgana”, di Pechino trasportata dalle nubi ai piedi di Ulan Bator, capitale di montagna. Un miracolo, il papa deve credere ai miracoli. Ma i trascorsi non sono buoni tra i due paesi, e anzi da un secolo la Mongolia vive all’ombra della Russia, per difendersi dalla Cina – oltre che dal Giappone. Cosa che naturalmente il papa sa.
E allora? Forse fa più effetto pregiare la Cina, la Cina di Xi, dall’Asia, da un gentiluomo quasi novantenne che si fa mezza giornata d’aereo fresco come un giovincello? Forse, ma senza forse, il papa sottovaluta il comunismo in Cina. Siccome fa affari, penserà che la Cina di Xi sia uno dei tanti Paesi capitalisti. A cui il comunismo dà un’anima.
Il candore con cui Francesco ha spiegato che nomina i suoi vescovi e gestisce le sue parrocchie d’accordo col governo, come un tempo si faceva con le monarchie europee, pratica deprecabile e abbandonata da tempo, dice che è così. Anzi peggio, se è vero, come il papa dice, che ministri del culto e organizzatori cattolici si formano in Italia scelti e inviati dal governo comunista.

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