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La mancanza di senso della realtà in Italia
Un
pamphlet, del 1944, “l’anno più
tragico della nostra storia”, pubblicato a puntate sul ”Popolo di Roma”, e poi
in volume l’anno dopo. Ripreso da Sellerio nel 1986, e da Donzelli venticinque anni dopo, nel 2011,
perché il suo tema è sempre di attualità: “La mancanza di senso della realtà
del popolo italiano è un fatto che stupisce qualsiasi osservatore. Questo
popolo ritenuto o che si stima pratico, realistico, machiavellico…” è solo
ingenuo – non superficiale?
Più
problematiche, ma sempre irrisolte, altre due analisi. L’addebito alle classi
dirigenti postunitarie di un vacuo politicantismo, radicando l’idea di uno
Stato alieno, e anzi nemico. Senza effettivamente impegnarsi a “che l’Italia
avesse un popolo più o meno civile, più o meno costituito in nazione”. E in
particolare in quel momento, della gerra civile al Nord, e del’Italia staccata
tra Sud e Centro-Nord. Con l’evocazione di un’identità meridionale già
precipitata nell’ignavia, la sua domanda politica delegando a politici remoti,
e al parassitismo.
Alvaro
era, è il punto di Isnenghi che introduce la riedizione, “per le autonomie, per
il. fare da sé, il saper fare da sé”. Che altro poteva essere – che altro può
essere chiunque stia al Sud, o vi guardi? Quanto al primo punto, a ottant’anni
di distanza stranamente si conferma che l’Italia non ha mai chiuso in realtà i
conti col fascismo. Nemmeno per le leggi speciali, con Matteotti, Gobetti, i
Rosselli, con gli ebrei. Nemmeno per la guerra, insensata come atto e poi condotta
male e malissimo (in Grecia, in Jugoslavia, in Albania, in Libia. Non ha mai
fatto, come oggi si dice, autocoscienza, e ha perso l’occasione, nel giudizio,
già all’epoca di Alvaro.
Meloni
oggi al governo è l’esito, l’impersonificazione, di questa ambiguità: nella
modernità –nel realismo - una persistenza acuta del non detto, non pensato
forse ma non risolto. O, per stare su temi più anodini, più semplici anche da
gestire: il debito, che ogni pochi anni strangola il paese, da
centosettant’anni ormai, si può dire, dall’unità. O le mafie, una gabbia,
un’autentica prigione – prigione in senso letterale, giudiziaria, carceraria –
con cui si avvolge il Sud. L’atlantismo cieco (“non abbiamo scelta”), a nessun
fine se non l’obbedienza a Washington, al costo da alcuni decenni di uno-due
miliardi l’anno, nelle “missioni umanitarie”, con le armi in pugno, come è ora
d’uso chiamare le guerre.
Corrado
Alvaro, L’Italia rinunzia?,
Donzelli, pp. X-86 € 13
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