Letture - 531
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Bocca
al cucchiaio –
L’editore Bompiani ne fa un rituale contadino nelle memorie (“Dialoghi a
distanza”), a proposito di Corrado Alvaro, uno dei suoi autori, di cui rileva:
“Quel chinarsi continuo diventava rituale come i lamenti delle prefiche”.
Italo
Calvino –
Fu “trinariciuto”: nel 1948 riduceva Orwell a “libellista di second’ordine”, scrivendone
a Geno Pampaloni. In linea con Togliatti – “un’altra freccia aggiunta all’arco
sgangherato della borghesia anticomunista”. Poi naturalmente ci ripenserà: “Che
si sia tardato ad ascoltarlo e comprenderlo non fa che provare quant’era in
avanti rispetto alla coscienza dei tempi”. Ma “La fattoria degli animali” fu un
successo istantaneo e planetario all’uscita, nel 1945. E si voleva già nel
titolo una favola, genere da Calvino prediletto, “Animal Farm. A fairy Tale”.
Cappello
–
Fa, avrebbe dovuto fare, la rivoluzione, dopo aver fatto l’imperialismo?
“Intorno a questo cappello, mentre la nave attraccava, si svolsero i suoi
pensieri: i cappelli europei di tutto il mondo, sparsi fino ai confini della
terra, come il segno di un dominio e un privilegio, come se coi cappelli si
svolgesse un’intera civiltà e un modo di pensare: l’Europa, il suo potere di
livellamento, la sua civiltà esclusiva, la sua forza”. Il protagonista di
“L’ultima delle mille e una notte”, il racconto di Corrado Alvaro della raccolta
“Il mare”, il lestofante Mosco, si salva per nave da Parigi a Costantinopoli.
Dove, ha letto su un “grosso titolo” di giornale, “Mustafà Kemal sta per decretare
l’abolizione del fez”. E dove un suo compare lo attende “sotto un cappello
grigio a tese larghe che gli parve un casco coloniale”.
Il cappello è la civiltà, continua Alvaro.
Sulla banchina Mosco incontra poi un vecchio che aspettava la gente allo sbarco
e non vendeva altro che “quattro fiori di stoffa gialla e rosa”: “Parve a Mosco
che quest’uomo fosse il simbolo di una civiltà intera, un essere ozioso contro
la cui razza l’Europa faceva una delle sue conquiste. Quegli offriva delle
rose, questi offrivano un cappello. Due cose che apparentemente si
equivalevano, due cose oziose, e in esse erano due civiltà”.
Alvaro è stato da giornalista a lungo in
Turchia, un’esperienza da cui trasse un libro di successo, edito da Hoepli nel
1931, “Viaggio in Turchia”. Sbarcò a Istanbul quando Kemal Atatürk decise di
proibire il fez, e ne fa nel racconto una divertita anamnesi. Ma insiste
sul fatto simbolico: “I cappelli, le automobili erano altrettanti segni di
civiltà che non vuol morire, che si nutre della morte delle altre civiltà, che le
adatta a sé e le uniforma, che vivrà fino a quando vi saranno delle terre da
scoprire e da occupare. Occupare con qualunque segno”.
Grecanico
–
La parlata greca nell’estremo lembo della Calabria, prospiciente capo
Spartivento, Gerhard Rohlfs, che la studiava da vari decenni, rilevava nel 1969
limitata ai “piccoli centri isolati di Roghudi e Gallicianò, frazione di
Condofuri” – mentre a Bova e Roccaforte, paesi più consistenti, Vua e
Vunì in grecanico, la grecità rilevava “oggi quasi estinta”. Poi è venuta
l’Unione Europea, con la protezione delle minoranze linguistiche, e molto si è
potuto recuperare, un’ora di greco alle medie e le targhe stradali soprattutto,
e i festival estivi – meglio è stato fatto in aree non grecaniche, col recupero
di templi, conventi e riti greco-ortodossi.
Guerra
-
“Ormai eravamo vicini al fronte”, annota Orwell in “Omaggio alla Catalogna”, il
ricordo del suo volontariato nella guerra civile in Spagna, subito dopo lo
sbarco a Barcellona, “abbastanza vicini da percepire il tipico odore della guerra,
che, per la mia esperienza, è un odore di escrementi e di cibo in
putrefazione”.
Guerra
di Spagna –
“Circa duemilatrecento combattenti inglesi partono per la Spagna e, nel solo
triennio 1936-1939, pubblicano settecentotrenta opere tra romanzi, raccolte di
poesie e resoconti giornalistici (Emilio Sanz de Soto, “Les écrivains et la guerre
d’Espagne”, “Le monde Diplomatique”, aprile 1997). Una guerra scritta.
Mazzini
–
Lo citano - lo ricordano - ormai solo le destre, il suo “Dio, Patria, Famiglia”
è la trinità dei conservatori, secondo i manuali di Destra e Sinistra. E il
cardinale Ravasi: sul “Sole 24 Ore Domenica” riprende il suo “Doveri
dell’uomo”. Il cardinale si vuole pietoso?
Un’eclisse sintomatica? Di che?
Dell’Italia unita – monarchica, piemontese? Dei doveri, repubblicani – nell’età
dei diritti?
Narciso
- È
sdoppiato in Corrado Alvaro: è una coppia, e non esprime la superbia ma
l’amore, come scoperta costante. “Conosco di te ogni cosa\ senza dirmelo, come
d’una\ sorella andata sposa” –
“Narciso”, in “L’Approdo Letterario”, n. 8, ott.-dic. 1959 (ora nella raccolta
“Il viaggio”) – “non c’incontreremo più se ci perdiamo”.
Orwell
– Il suo “Omaggio alla Catalogna” viene corretto dai traduttori, e anche dagli editori
inglesi, come se non sapesse scrivere. Gli editori “da un certo momento hanno
«corretto» il testo tradendo, quasi certamente, l’intenzione dell’autore”, sbuffa
l’ultimo traduttore del ricordo della guerra di Spagna, Francesco Laurenti. In
“Omaggio alla Catalogna”, spiega Laurenti, “Orwell crea una lingua modesta, ma
non sgangherata (improntata all’economia linguistica e alla ripetizione),
capace di parlare a tutti”. Per una “sua ambizione di letteratura socialista.
Una lingua quasi orale e «demotica», ovvero quotidiana e tendenzialmente
colloquiale”. Che rifletteva anche la composizione mista delle formazioni di volontari, “la dimensione di peculiare
eteroglossia, quasi postbabelica, che caratterizza il Fronte Popolare. Da
attento osservatore degli accenti della lingua parlata e dello spelling, ripropone la molteplicità di
voci ricorrendo ad accenti volutamente
impropri e a trascrizioni «propriamente errate»”. Un fatto quasi sempre non
tenuto in conto dai suoi traduttori, quasi fosse uno scrittore della domenica,
da “nobilitare” con le regole della grammatica e della compitazione. Ma anche,
ultimamente, dai suoi editori.
Puglia
–
Non è teatrale? “La Puglia allora non era di moda”, commenta Cazzullo con Lino
Banfi, che intervista sul “Corriere della sera” come “il grande vecchio” della
scena: “Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano”. Allora negli
anni 1950-60, all’avvio della carriera di Banfi in teatro. “Non avevamo
tradizione teatrale”, risponde Banfi, “non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo”.
Dopo non ce ne sono stati molti, Banfi, Abatantuono da lontano, e Checco Zalone.
Roma
–
“Roma è una città che dei giorni pare dimenticata, abbandonata, morta, né più
né meno che Palmira o Pompei.”, Corrado Alvaro, incipit del racconto “Quel
giorno” (in “75 racconti”), di settanta-ottanta anni fa.
11
settembre –
È sinonimo di Torri Gemelle, il primo atto di guerra subito dagli Stati Uniti sul
proprio territorio. Ma è anche, lo era prima, la data del rovesciamento e
l’assassinio di Allende in Cile, uno de tanti interventi, diretti o mascherati,
degli Stati Uniti nel mondo nel dopoguerra. Quest’anno, ricorrendo i cinquant’anni
dell’evento, l’11 settembre cileno è stato ricordato. Ma senza gli Stati Uniti
– solo una spolveratina di Kissinger, degli anti-Kissinger. I due eventi nella
stesa data si potrebbero collegare – astralmente?
Zona
Lausberg –
Dal nome del “romanista” (linguista) tedesco Heinrich Lausberg, che l’ha
individuata e classificata un secolo fa (“I dialetti della Lucania
meridionale”), è un’area dialettale lucano-calabrese, nella fascia delimitata
figurativamente da Maratea-Senise-Tursi a nord, in territorio lucano, e Diamante-Orsomarso-Castrovillari-Cassano
a sud che ha due tratti distintivi del sardo: il sistema vocalico e la
conservazione delle –s e –t finali della coniugazione latina - il latino
“cantas”, tu canti, è “cändësë” in area
Lausberg, “cántas” in sardo.
letterautore@antiit.eu
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