lunedì 18 settembre 2023

Letture - 531

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Bocca al cucchiaio
– L’editore Bompiani ne fa un rituale contadino nelle memorie (“Dialoghi a distanza”), a proposito di Corrado Alvaro, uno dei suoi autori, di cui rileva: “Quel chinarsi continuo diventava rituale come i lamenti delle prefiche”.
 
Italo Calvino
– Fu “trinariciuto”: nel 1948 riduceva Orwell a “libellista di second’ordine”, scrivendone a Geno Pampaloni. In linea con Togliatti – “un’altra freccia aggiunta all’arco sgangherato della borghesia anticomunista”. Poi naturalmente ci ripenserà: “Che si sia tardato ad ascoltarlo e comprenderlo non fa che provare quant’era in avanti rispetto alla coscienza dei tempi”. Ma “La fattoria degli animali” fu un successo istantaneo e planetario all’uscita, nel 1945. E si voleva già nel titolo una favola, genere da Calvino prediletto, “Animal Farm. A fairy Tale”.
 
Cappello
– Fa, avrebbe dovuto fare, la rivoluzione, dopo aver fatto l’imperialismo? “Intorno a questo cappello, mentre la nave attraccava, si svolsero i suoi pensieri: i cappelli europei di tutto il mondo, sparsi fino ai confini della terra, come il segno di un dominio e un privilegio, come se coi cappelli si svolgesse un’intera civiltà e un modo di pensare: l’Europa, il suo potere di livellamento, la sua civiltà esclusiva, la sua forza”. Il protagonista di “L’ultima delle mille e una notte”, il racconto di Corrado Alvaro della raccolta “Il mare”, il lestofante Mosco, si salva per nave da Parigi a Costantinopoli. Dove, ha letto su un “grosso titolo” di giornale, “Mustafà Kemal sta per decretare l’abolizione del fez”. E dove un suo compare lo attende “sotto un cappello grigio a tese larghe che gli parve un casco coloniale”.
Il cappello è la civiltà, continua Alvaro. Sulla banchina Mosco incontra poi un vecchio che aspettava la gente allo sbarco e non vendeva altro che “quattro fiori di stoffa gialla e rosa”: “Parve a Mosco che quest’uomo fosse il simbolo di una civiltà intera, un essere ozioso contro la cui razza l’Europa faceva una delle sue conquiste. Quegli offriva delle rose, questi offrivano un cappello. Due cose che apparentemente si equivalevano, due cose oziose, e in esse erano due civiltà”.
Alvaro è stato da giornalista a lungo in Turchia, un’esperienza da cui trasse un libro di successo, edito da Hoepli nel 1931, “Viaggio in Turchia”. Sbarcò a Istanbul quando Kemal Atatürk decise di proibire il fez, e ne fa nel racconto una divertita anamnesi. Ma insiste sul fatto simbolico: “I cappelli, le automobili erano altrettanti segni di civiltà che non vuol morire, che si nutre della morte delle altre civiltà, che le adatta a sé e le uniforma, che vivrà fino a quando vi saranno delle terre da scoprire e da occupare. Occupare con qualunque segno”.
 
Grecanico
– La parlata greca nell’estremo lembo della Calabria, prospiciente capo Spartivento, Gerhard Rohlfs, che la studiava da vari decenni, rilevava nel 1969 limitata ai “piccoli centri isolati di Roghudi e Gallicianò, frazione di Condofuri” – mentre a Bova e Roccaforte, paesi più consistenti, Vua e Vunì in grecanico, la grecità rilevava “oggi quasi estinta”. Poi è venuta l’Unione Europea, con la protezione delle minoranze linguistiche, e molto si è potuto recuperare, un’ora di greco alle medie e le targhe stradali soprattutto, e i festival estivi – meglio è stato fatto in aree non grecaniche, col recupero di templi, conventi e riti greco-ortodossi.
 
Guerra - “Ormai eravamo vicini al fronte”, annota Orwell in “Omaggio alla Catalogna”, il ricordo del suo volontariato nella guerra civile in Spagna, subito dopo lo sbarco a Barcellona, “abbastanza vicini da percepire il tipico odore della guerra, che, per la mia esperienza, è un odore di escrementi e di cibo in putrefazione”.
 
Guerra di Spagna – “Circa duemilatrecento combattenti inglesi partono per la Spagna e, nel solo triennio 1936-1939, pubblicano settecentotrenta opere tra romanzi, raccolte di poesie e resoconti giornalistici (Emilio Sanz de Soto, “Les écrivains et la guerre d’Espagne”, “Le monde Diplomatique”, aprile 1997). Una guerra scritta.
 
Mazzini – Lo citano - lo ricordano - ormai solo le destre, il suo “Dio, Patria, Famiglia” è la trinità dei conservatori, secondo i manuali di Destra e Sinistra. E il cardinale Ravasi: sul “Sole 24 Ore Domenica” riprende il suo “Doveri dell’uomo”. Il cardinale si vuole pietoso?
Un’eclisse sintomatica? Di che? Dell’Italia unita – monarchica, piemontese? Dei doveri, repubblicani – nell’età dei diritti?
 
Narciso - È sdoppiato in Corrado Alvaro: è 
una coppia, e non esprime la superbia ma l’amore, come scoperta costante. “Conosco di te ogni cosa\ senza dirmelo, come d’una\  sorella andata sposa” – “Narciso”, in “L’Approdo Letterario”, n. 8, ott.-dic. 1959 (ora nella raccolta “Il viaggio”) – “non c’incontreremo più se ci perdiamo”.

 
Orwell – Il suo “Omaggio alla Catalogna” viene corretto dai traduttori, e anche dagli editori inglesi, come se non sapesse scrivere. Gli editori “da un certo momento hanno «corretto» il testo tradendo, quasi certamente, l’intenzione dell’autore”, sbuffa l’ultimo traduttore del ricordo della guerra di Spagna, Francesco Laurenti. In “Omaggio alla Catalogna”, spiega Laurenti, “Orwell crea una lingua modesta, ma non sgangherata (improntata all’economia linguistica e alla ripetizione), capace di parlare a tutti”. Per una “sua ambizione di letteratura socialista. Una lingua quasi orale e «demotica», ovvero quotidiana e tendenzialmente colloquiale”. Che rifletteva anche la composizione mista delle formazioni  di volontari, “la dimensione di peculiare eteroglossia, quasi postbabelica, che caratterizza il Fronte Popolare. Da attento osservatore degli accenti della lingua parlata e dello spelling, ripropone la molteplicità di voci ricorrendo ad accenti volutamente impropri e a trascrizioni «propriamente errate»”. Un fatto quasi sempre non tenuto in conto dai suoi traduttori, quasi fosse uno scrittore della domenica, da “nobilitare” con le regole della grammatica e della compitazione. Ma anche, ultimamente, dai suoi editori.   
 
Puglia – Non è teatrale? “La Puglia allora non era di moda”, commenta Cazzullo con Lino Banfi, che intervista sul “Corriere della sera” come “il grande vecchio” della scena: “Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano”. Allora negli anni 1950-60, all’avvio della carriera di Banfi in teatro. “Non avevamo tradizione teatrale”, risponde Banfi, “non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo”. Dopo non ce ne sono stati molti, Banfi, Abatantuono da lontano, e Checco Zalone.
 
Roma – “Roma è una città che dei giorni pare dimenticata, abbandonata, morta, né più né meno che Palmira o Pompei.”, Corrado Alvaro, incipit del racconto “Quel giorno” (in “75 racconti”), di settanta-ottanta anni fa.
 
11 settembre – È sinonimo di Torri Gemelle, il primo atto di guerra subito dagli Stati Uniti sul proprio territorio. Ma è anche, lo era prima, la data del rovesciamento e l’assassinio di Allende in Cile, uno de tanti interventi, diretti o mascherati, degli Stati Uniti nel mondo nel dopoguerra. Quest’anno, ricorrendo i cinquant’anni dell’evento, l’11 settembre cileno è stato ricordato. Ma senza gli Stati Uniti – solo una spolveratina di Kissinger, degli anti-Kissinger. I due eventi nella stesa data si potrebbero collegare – astralmente?
 
Zona Lausberg – Dal nome del “romanista” (linguista) tedesco Heinrich Lausberg, che l’ha individuata e classificata un secolo fa (“I dialetti della Lucania meridionale”), è un’area dialettale lucano-calabrese, nella fascia delimitata figurativamente da Maratea-Senise-Tursi a nord, in territorio lucano, e Diamante-Orsomarso-Castrovillari-Cassano a sud che ha due tratti distintivi del sardo: il sistema vocalico e la conservazione delle –s e –t finali della coniugazione latina - il latino “cantas”, tu canti, è  “cändësë” in area Lausberg, “cántas” in sardo.


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