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Confine –Ridotto a segno tipografico, è la nozione
probabilmente più curiosa dell’essere umano,
dell’essere in generale. Che per essere ha bisogno di un confine – di un
limite, di una delimitazione-definizione. Dovrebbe essere estraneo alla concezione
del mondo come a sé stante, da big bang a big bang, qualcosa che si moltiplica -
s’incrementa o semplicemente muta - senza sosta, avendo l’illimitatezza come
suo distintivo, il vecchio panteismo, e invece è ad esso connaturato.
Kant
distingue tra limite e confine. Si possono superare i confini, questo è il
proprio degli esseri viventi, specie degli umani, che lavorano al progresso –
miglioramento degli assetti “naturali” (preordinati, precedenti). Ma nella creatività, la sperimentazione di nuovi
possibili, è necessario che vi siano dei limiti. Che i possibili cioè siano
delimitati da presupposti – che non siano distruttivi, che non siano violenti o
immorali.
Heidegger
argomenta al contrario, che nel limite l’essere prende senso. Ma è un sofisma:
non si vede perché l’essere dovrebbe essere limitato, oppure limitarsi. In questa
direzione semmai prende senso come spazio di libertà, come inveramento della
nozione di libertà. Che non può essere illimitata e anzi il confine o il limite
lo necessita, altrimenti è distruttiva. Cioè il contrario della libertà, che
non si vuole aggressiva – la libertà è relativa, in rapporto ad altre entità.
Il concetto
del possibile è un’esercitazione ininterrotta, e il fondamento dello sviluppo
umano – delle conoscenze, delle possibilità. Un confine elastico, teoricamente
all’infinito, ma necessario, per il bisogno di una continua revisione-riscontro.
Ogni previsione è un’esercitazione del possibile, cioè dei limiti della realtà.
La
limitatezza si direbbe semmai il fondamento del creato, di un mondo nato e non
auto propulsivo. Nato, per autocombustione o per direttiva, con delle regole,
fisiche, fisiologiche, logiche. Un caso sono, da cinquant’anni a questa parte,
le tante analisi sui limiti necessari alla crescita economica e sui limiti
(vincoli) della natura: non tutto è permesso, non tutto è possibile. Il limite
incorporando nel nuovo concetto della sostenibilità. Ma sempre c’è stato un
calcolo del possibile. Prova ne sia, in sociopolitica ma anche in logica, l’esigenza
di limiti per un governo corretto del mondo – limiti al potere. L’esigenza della
legge, che è il governo dei limiti - misura e sanzione del possibile.
È un
esercizio di fine tuning. Di conoscenza
o comprensione dei fenomeni e di giudizio critico – di decisioni accorte, di mezzi
cioè indirizzati al fine voluto, una scelta tra varie opzioni, più o meno
limitate. È la misura. Di cui si rileva la mansione oggi con facilità, nella
contemporaneità, tra mercato (“arricchitevi”, accumulate) , consumi, e diritti.
Che si presenta come una forma, un’epoca, di iperindividualismo, ed è invece
grettezza, limitatezza, per mancanza di senso del limite – il limite,
paradossalmente, acuisce l’intelligenza del mondo, la disposizione e la
capacità di comprendere.
Libertà – Funziona come la conoscenza in Kant, limitata.
La mente organizza attraverso le categorie l’esperienza sensoriale, ma la
classificazione è necessariamente limitata (come la scienza), non permette di
conoscere il reale in se stesso – il reale è il nostro reale, a mano a mano che la percezione del reale a sé stante
procede.
“Le
forme elementari della vita religiosa” di Durkheim vede la libertà sorgere con
i tabù, con i limiti alla disponibilità perfino alla conoscenza (analisi).
Tabù-limiti che Simmel può dire condizionanti per l’esistenza di una società,
in quanto la caratterizza e insieme la delimita, la contorna. All’esterno ma
anche all’interno, come funzionamento – molta sociologia è stata all’opera in
tal senso, da Max Weber a Talcott Parsons.
In epoca di presunta massima libertà il
“Corriere della sera”-Milano sente il bisogno di una tre giorni di riflessioni e
spettacoli in tema. Partendo da un supplemento di ben 56 pagine di giornale.
Dove però non sembra ci sia molto. Barbara Stefanelli apre ammonendo che “in
tempi di incertezza ci si illude di poter essere liberi in solitudine. E invece
la libertà si definisce insieme nel confronto”. Ma le storie del festival sono
di solitudini orgogliose, e di successi più o meno artistici, compresi gli-le
influencer, che invece sono pressioni commerciali camuffate –adeguate alla comunicazione
via social.
Mefistofele
– “Come
l’etimologia stessa suggerisce è il Portatore di Luce, il benefattore dell’intelligenza
e del sapere”, Quirino Principe, “La musica è una cura senza farmaci”,
intervista con Antonio Gnoli sul “Robinson” 19 agosto – “Lucifero ha insegnato
a disobbedire a chi ci vietava di cogliere i frutti della conoscenza”. Bene, si
sapeva. Lucifero “ha anche altri nomi: Dioniso, Prometeo, Thot”. Bene anche
questo. Ma, chiede Principe al suo
intervistatore, “Le sembra giusto che Dio ci privi del nostro diritto alla pur
minima parvenza di felicità concedendoci in cambio soltanto una beata ebetudine
nell’al di là”? Una “parvenza di felicità” quale sarebbe la conoscenza.
Ma è Dio, o il Dio della Bibbia? Ha altri nomi,
altri modi di essere.
Specchio – Come
spettacolo, spectaculum, e
speculazione? “C’è molta affinità tra lo spectaculum e lo speculum”, Quirino Principe
nell’intervista succitata: “L’essere rappresentato in uno spettacolo è affine
alle forme che ci appaiono in uno specchio, e ciascuna di quelle forme è una
parvenza, un fantasma, uno spectrum”.
zeulig@antiit.eu
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