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Confini – La riflessione,
il pudore, esteriorizzazioni comuni, sono limiti. Necessario l’uno, naturale,
forse, l’altro. Lo stesso il garbo e l’onore (lealtà) nelle relazioni, dovuti e
forse anch’essi naturali, in qualche modo o misura (non sono stati inventati o
derivati).
Dio – Senza Dio il mondo è senza ancoraggio e senza prospettiva – è il senza
Dio, il “Dio è morto”, di Vattimo. Vaga, per natura deperisce e non ha legge se
non quella del più forte – robusto, resiliente, armato (la guerra in Ucraina lo
mostra evidente, e più dalla parte della difesa, che è una difesa militare nel
quadro di un’offensiva strategica, di lungo periodo, geopolitica). La scienza
non è un Ersatz, ha ampiamente
dimostrato la sua indifferenza a bene e male, alla distruzione in uno con la
creazione, anche quella “a fin di bene”, anche ora nella transizione ecologica -
è un mezzo, non una provenienza o una direzione, un criterio.
Leviatano – Hobbes, che moriva nel 1679, lo ha trovato in Swift, che ne aveva scritto
nel 1667, “I viaggi di Gulliver”? Ernst Jünger lo ipotizza analizzando “I
viaggi” di Swift, “brillante e feroce satira delle Istituzioni sociali e dell’umanità
in generale”: “I viaggi di Gulliver
si fondano sul fatto che nella società vi sono grandi e piccoli, e non solo da
un punto di vista anatomico” (E. Jünger, “La forbice”, §72).
Dono – Marcel Mauss o chi per lui ha codificato
una economia del dono. Forse in un tempo o in un mondo senza possesso, se mai è
potuto esistere (ma la società, la distinzione prima del patto, il tu e io, non
è manifestato come possesso?). Col dono non si costruisce niente, e si possono
creare ostilità: chi è stato nel bisogno, se aiutato, non necessariamente è
riconoscente, non apprezza chi lo ha aiutato, o raramente, forse più spesso ce l’ha in odio.
Funziona
come strumento di potere. Ma allora perde le caratteristiche del dono –
gratuità, generosità.
Eroe – La parola e la figura retorica
più ricorrente: è eroe indifferentemente chi aiuta un nuotatore in difficoltà e
chi salva un naufrago in mare in tempesta. Specie se il salvatore è delle forze
dell’ordine. Un richiamo non corrispondente al significato e senso di eroe (“chi
dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo
azioni straordinarie”, Treccani”): Ma rispondente, evidentemente, a un bisogno.
Di ordine.
Mentire - Si può mentire per necessità in Kant, e anche in in
L.Lombardi Satriani, “Menzogna e verità”, 297: “Per il folklore meridionale
l’uomo deve essere leale, non può ingannare, raggirare, mentire, deve mantenere
fede alla parola data: «L’omo ala
parola, li voi (i buoi) ali corna»”. La menzogna quindi costituisce reato. Però, la condizione di necessità
esime dall’obbligo di non mentire: “‘N
tempu di guerra menzogna come terra”.
È, di fatto, molta parte del bene. In senso figurato, fantasticare,
sognare: “Magnanima menzogna, or quand’è il vero\ sì bello che si possa a te preporre?” – T.Tasso,
“Gerusalemme liberata”, II, 22.
Mentre nella quarta passeggiata delle “Fantasticherie di un passeggiatore
solitario”, Rousseau propone una tassonomia della menzogna,
per scoprirsi bugiardo senza limiti nel tempo stesso in cui
più faceva proponimenti di essere
sincero e leale. Mentiva senza danno altrui?
Ottimismo –
Nasce dalla capacità critica, dalla ragione. Più o meno (meglio o peggio) del
pessimismo, che viene ritenuto la sola saggezza? La vicenda umana è
indifferente.
Baudelaire
ha straordinaria, costante, carica positiva, benché i suoi temi siano il peccato,
il male, la malattia, la morte. Quanto pessimista, al confronto, l’entusiasmo
di Rimbaud, e non per la vicenda umana.
Pessimismo
– Richiede
grandi energie, e anche creatività: Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, Kierkegaard,
grandi scrittori, e instancabili, e molto profondi, sono grandi pessimisti.
Nietzsche ne celebra l’utilità scrivendo a Erwin
Rohde il 15 luglio 1882: “Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza
malato per godere di questa «voluttà dell’inferno»”. In precedenza, in due
frammenti postumi, del novembre-dicembre 1878, diceva del pessimismo che,
nutrito da “infelici raffinati, come Leopardi”, può rendere l’esistenza tutta
intrisa di “dolce miele”. Per una sorta di snobismo, vendicativo. Ma
soprattutto per il fatto di dichiararlo – se di vendetta si tratta, allora è un
boomerang: “La loro vendetta, il loro orgoglio, la loro inclinazione a pensare tutto quanto soffrono, la loro
arte nel dirlo: tutto questo non è –di nuovo – dolce miele?”. Così come
“l’ascetismo è non di rado una scelta fatta per sottile epicureismo”.
In uno dei “Frammenti postumi 1881-1882),
scritto su una copia dei “Saggi” di Emerson, il pessimista Nietzsche è
apodittico: “La capacità di soffrire è un mezzo eccellente di conservazione,
una specie di garanzia per la vita: per
questo il dolore si è conservato; esso è utile quanto il piacere. Mi viene
da ridere quando ascolto gli elenchi di sofferenze e di miserie, con cui il
pessimismo cerca di dimostrare la sua legittimità – Amleto e Schopenhauer e
Voltaire e Leopardi e Byron”. Il pessimismo è un genere che Nietzsche
stigmatizzerà in un frammento ancora due anni dopo: “La specie Hölderlin e Leopardi: sono abbastanza duro per ridere della loro perdizione”.
Leopardi comunque opera per la “gloria”, come
dice in più di un punto. Artefice, di opere come opposte alla grazia, o
disgrazia. Come poi sarà di Baudelaire: il poeta (il creatore) non può essere
pessimista.
Possesso – Va con la personalità. È stato a
lungo, tra Sette e Novecento, imputato a una concezione del potere, di classe,
tra chi ha e chi non ha. In realtà ha, deve avere, anche “chi non ha”, il
povero, l’incapiente, l’impossibilitato. È un’estensione mentale prima che pratica,
che va con la coscienza di sé - la coscienza indotta dal fatto stesso di esistere,
ben prima della formazione o educazione, tanto meno dell’ideologia.
Predestinazione – Abiure, secessioni, guerre, molti morti, molte
durezze e molta teologia per che? Per un esercizio beffardo della coppia “filosofica”
Fruttero&Lucentini, nell’acclamato saggio “Il significato dell’esistenza”: “«Predestinazione o libero arbitrio?»” Siamo
sempre lì”, fanno dire a una affannato prete anglicano in fuga sull’Orient
Express. E da che? Dalla tentazione. Il reverendo, sposo devoto al suo Paese e
padre di due figli, alla stazione di Vicenza ha avuto un turbamento, per il
capostazione. E non perché il capostazione avesse un particolare appeal: “Era un uomo di forse cinquant’anni,
di sta tura media,….”, ma qualcosa “nel suo stesso portamento stanco e
ingobbito, nell’inclinazione disincantata del berretto, nel pigro movimento del
braccio che dondolava la paletta” ha catalizzato nello sventurato “confusi impulsi
e languori”. Quanto basta per riportare la dita “a Democrito, e al suo continuatore
Epicuro. Per Democrito, se gli atomi ti portano a Vicenza, il capostazione non
te lo leva nessuno. Per Epicuro, invece, non è detto al cento per cento: puoi
anche finire a Portogruaro”.
Viaggio – “I viaggi
prolungano la vita”, Corrado Alvaro.
zeulig@antiit.eu
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