Giuseppe Leuzzi
“La commedia all’italiana ha
sempre vissuto di regionalismi: le contrapposizioni Nord\Sud, il milanese e il
romano, il siciliano geloso, il
napoletano flemmatico… Oggi tutte queste cose non si possono fare più”, Neri Parenti,
regista del “genere”. Cioè ci sono ma non se ne può parlare – nemmeno per
ridere. Per antirazzismo, oppure in realtà per razzismo – che si vuole
nascosto, integrale, non disinnescato nella risata?
Nunzia De Girolamo, di Benevento, ex deputato Foza Italia, ex ministra dell’Agricoltura, ex vedette di “Ballando sotto le stelle”, ora conduttrice di Rai, 3, intervistata su “Oggi”, alla domanda se Meloni riuscirà a domare l’esuberanza di Salvini risponde: “È una donna, e le donne sono abituate a comandare, anche se a lungo lo hanno fatto dalle retrovie”. La donna del Sud.
Non si racconta l’emigrazione
Non c’è molta letteratura
dell’emigrazione. E non se ne parla nemmeno. Lo scopre per caso Goffredo Fofi
recensendo il film di Garrone “Io, Capitano”, per analizzare le ragioni per cui
il film non gli è piaciuto. C’è De Amicis, “Dagli Appennini alle Ande”, e c’è
Giovanni Arpino.
Fofi
si riferisce ai racconti “formativi”, rivolti ai più giovani. Di cui esemplare
trova, anche in questo, Verne, “Un capitano di quindici anni”. E poi De Amicis
e Arpino (“degli scrittori italiani del secondo dopoguerra, mi pare che solo
Giovanni Arpino abbia raccontato ai ragazzi le avventure di uno di loro, dal Sud
al Nord negli anni del boom e dello spopolamento delle campagne….”.
Fofi
dimentica Mimmo Gangemi, “La signora di Ellis Island”, la prima Mazzucco,
“Vita”, premio Strega, e un po’ di Carmine Abate. Ma non è molto.
Non c’è letteratura italiana
sulle migrazioni in Italia. Ce n’è invece da parte di emigrati o figli di
emigrati italiani in Australia (Luigi e Alfredo Strano, Giovanni Calabrò, Domenico
Marasco, Rocco Petrolo, Gerardo Papalia, ino Sollazzo, Vincenzo Papandrea, Giovanni
Misale…) e negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti ovviamente si contano casi
eccelsi di italoamericani nella narrativa del Novecento che hanno raccontato l’emigrazione,
Talese, DiDonato, John Fante.
La verità su Falcone, prego
Messina Denaro in fin di vita
(non propriamente: con un’aspettativa di vita che sa breve e brevissima) parla
disteso con i Procuratori Guido, Padova e De Leo delle ultime stragi di mafia –
di cui non si vuole responsabile. Con l’allusione, il tipico detto e non detto mafioso,
ma comunque parla. Per dire quello che i teorici e sostenitori dello Stato
mafia si vogliono sentire dire, sempre col detto e non detto. Ma anche con
chiarezza.
La chiarezza sta nell’aver
puntato la sua non-deposizione sulla “strage Falcone”, fra le tante. “Voi
magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché
ha fatto dare 15 ergastoli al maxiprocesso?”.
Il tono è irridente. È lui che
conduce l’interrogatorio sulla “strage Falcone”. “Perché penso che sia la cosa
più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto”. Per “tutto”
intendendo “le stragi, l’input”.E insiste: “Sì, sì, questa strage…tutto da lì
parte”.
Poi non spiega, ma passa alla
strage sucessiva, due mesi dopo, di Borsellino in via D’Amelio: “Dopo non so quanti anni avete scoperto che
non c’entrava niente Scarantino… Ora la mia domanda è, me la pongo,diciamo, da
scemo, perché vi siete fermai a La Barbera?” La Barbera è il dirigente di
Polizia, morto successivamene, che indirizzò l’indagine su Scarantino, una pista
palesemente falsa. “Perché La Barbera era all’apice di qualcosa: ha capito cosa…
il contesto?”. Il contesto politico, di delegittimazione di Falcone. Finendo per
insinuare: “E se La Barbera fosse vivo, ci sareste arrivati oppure vi sareste fermati
un gradino prima di La Barbera?”. Come dire: morto La Barbera, vi è stato
comodo scaricare tutto su di lui, e basta.
Qui il Procuratore Guido lo rimbecca:
“Lei si rende conto che queste sono cose sulle quali noi ci aspettiamo delle
risposte, non delle domande?” Ma Messina Denaro ne ha ancora una: “E perché in
certe cose (i magistrati) si accontentano e in altre no?” In altre, intende,
vanno a fondo.
Sul punto della “strage
Falcone” tutto è rimasto nell’ombra. Il
“contesto” era politico, l’isolamento di Falcone, la sua delegittimazine – in tv,
e in Parlamento. Falcone era guardatissimo, e si guardava. Non era
abitudinario, forse per carattere, comunque non lo era a Roma. E della sua
imprevedibiltià faceva parte anche la prevedibilità - poteva dire: il tal
giorno alla tal ora sarò qui o lì, e poi cambiare, oppure no. A Capaci invece
la strage era preparata da tempo: giorno e itinerario furono conosciuti dagli attentatori
in tempo. Potevano variare, ma di poco, solo il volo e l’ora. Riina e I suoi boia
sapevano da giorni. Chi e come ha informato Riina non s’è mai saputo. Appunto,
come dice Messina Denaro, non si è mai cercato – il “contesto”si è defilato.
Peggio se l’attentato di
Capaci è stato uno dei tanti preparati. Per altre occasioni, che magari Falcone
imprevedibile ha evitato.
Con la cultura non si mangia
Rispondendo a Giuseppe Muscari di Locri, che gli rimprovera una sorta
di anti-italianismo
in tema di rispetto dell’arte, Cazzullo
gli fa l’esempio di Locri, o di Mazara del Vallo. Qui, dice,
ha passato “un quarto d’ora meraviglioso,
in piena estate”, in compagnia del satiro danzante nel
museo: ero e per un quarto d’ora
sono rimasto l’unico visitatore”. Lo stesso si può testimoniare
del museo di Sibari, o di Crotone,
per il tesoro di Hera Lacinia a Capo Colonna.
A Reggio Calabria invece l’Archeologico
si riempie, anche fuori stagione turistica, di visitatori. Per i Bronzi –ma anche l’Apollo Aleo,
e altro. Qui però è la città totalmente avulsa. Non ha costruito in venti o trent’anni, e non costruisce,
niente, attorno ai Bronzi – o al Lungomare patrimonio dell’umanità, o allo Stretto fino
alle nevi dell’Etna. E non per essere impegnata in tutt’altro – come ad es., si parva licet componere magnis, Milano, che trascura in tanto bello
ereditato per il “lavorerio”, per il business. Per nobiltà dello spirito –
con la cultura non si mangia, nel senso di non si deve mangiare, da vera
nobiltà dello spirito, da “intellettuali del Mezzogiorno, di quel pensiero tipico della Magna
Grecia”. Incuria? Mancanza di bisogno.
Cronache della differenza: Milano
“Sono sempre affascinato dall’anima
del serpente”, dice l’artista Fabrizio “Bixio” Braghieri, d a ultimo autore di
installazioni acclamate, milanese: “Il
serpente è un po’ come Milano, città sinuosa, piena di angoli e anfratti in cui
nasconde le sue gioie”. Città segreta, da tinello familiare, la voleva Gadda ,
altro suo figlio emerito.
“Se uno si prende la briga di
contare i Daspo, e cioè i provvedimenti del questore contro i violenti,
scoprirà che Milano ha ampiamente il record nazionale”, Piero Colaprico, “la
Repubblica”. Ma “Milano tira, ha fama di città del divertimento e del turismo
giovanile”. La pubblicità è tutto.
“Allarme sicurezza a Milano,(il
sindaco) Sala chiama Gabrielli (ex capo della Polizia). «Ma qui non è Gotham
Ciry», si premura di precisare”. Giustamente, Milano non ha più “disagio”
giovanile –maleducazione – di altre città , Roma come Bari. Ma si vuole speciale.
Sui giovani ha una lunga tradizione.
Cominciò con gli hooligans sessanta o
settant’anni fa – gli hooligans, per
quanto mansueti a Milano, la mettevano alla pari di Londra. Poi i “capelloni”, in
prima sul “Corriere della sera”, e con Pasolini. Poi i paninari…Non c’è sfoglia della
realtà che Milano non si intitoli, per la storia.
La Juventus torna temibile
nel campionato e subito Milano l’artiglia. Questa volta senza la Consob o altre
agenzie. Basta dire che ha sprecato un miliardo e mezzo, cifra iperbolica, e
che la Famiglia non finanzia più il club. Milano non si lascia scappare una
briciola.
Impensabile patronaggio
domenica 10 settembre sul “Corriere della sera” di Mario Monti a Meloni e
Giorgetti. Con citazioni a iosa del ministro dell’Economia come fosse un Grane
Economista. Tutto perché Giorgetti è laureato della Bocconi – Meloni è semplicemente
“in politica già a vent’anni, cresciuta alla Garbatella, piena di ardimento” (e
uno s’immagina la Garbatella un luogo da cui scappare, mentre è da molti anni
ormai un quartiere ambito).
“Andare a Milano fu come
essere deportato”, ricorda il regista Luca Miniero (“Benvenuti al Sud ”) del
sua esperienza giovanile, anni 1980: “Coi treni diversi dagli attuali, era una
città molto lontana. Da bere c’era poco, e anche da mangiare. Era una Milano
in crisi, che licenziava”.
La Milano da bere era una
fissa di Craxi, che non tollerava critiche sulla sua città. Che gliela fece
pagare.
“Dovevi arrivare vergine al
matrimonio e se non lo eri succedeva un dramma”, ricorda Isabella Bossi
Fedrigotti. Di Palermo? No, della sua città, Milano, nella sua adolescenza,
anni 1950: “Una perbene non si truccava, il rossetto era peccato”.
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