È meglio dire le cose come stanno
Si
ripete in Israele la verità della guerra in Ucraina, tutta da una parte. Giusta
in quanto risponde allo schieramento nazionale, politico e dell’opinione. Ma
sbagliata in quanto risponde non alla verità delle cose, ma alla propaganda.
La
propaganda è anch’essa giusta, si fa la guerra anche con le “notizie” - la verità è la prima vittima della guerra già in Eschilo. Ma per il
suo stesso essere di incoraggiamento e di sostegno vuole un margine di verità.
Di verità della cosa.
Due o tre esempi. Aiuta Israele ridurre Hamas a una banda di terroristi, o al contrario eleggerlo
a Nemico? Perché la guerra non finisce ad
horas, anche se militarmente non c’è partita – è “guerra”, dice giustamente
il primo ministro israeliano Netanyahu, non un attacco terroristico. Aiuta non dire che la frontiera con Gaza era sguarnita perché la truppa in servizio era dislocata nella West Bank, a fronteggiare la protesta contro le violenze dei coloni - un migliaio di Palestinesi sloggiati attorno a Nablus nei soli otto mesi di questo anno fino ad agosto secondo le Nazioni Unite? E cosa è
Gaza? Un piccolo territorio occupato da due milioni di persone, sotto blocco (“blockade”
nel gergo del diritto internazionale) israeliano e egiziano da quindici anni, per
tutti i collegamenti, terra, aria, mare, e per l’approvvigionamento
di acqua e elettricità. Indifendibile, e invece no: perché?
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