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Il Nobel dell'erotismo
(questo sito
leggeva “Perdersi” in originale due anni fa, uno prima del Nobel, lamentando che fosse “probabilmente l’unico suo racconto non tradotto”, di
Annie Ernaux. Questa la recensione)
Una riscrittura. Di un diario. Di
un incanto, una possessione, una stregoneria. L’incapricciamento lungo tutto un anno per
un uomo più giovane, semisconosciuto. O l’amore carnale, di desiderio pieno.
Con un corpo, più che con una persona. Una malia, una magia. La libera sessualità infine guadagnata dalle donne, da una donna - non la promiscuità: il
piacere.
Una storia vera, o forse no, è un
esercizio di scrittura, “stai a vedere come ti sdogano il porno” - a fine millennio è stato in Francia una politica editoriale, assecondata da altri scrittori di gran nome, Houellebeq, Carrère. Ma il lettore
ne è a sua volta incantato - la verità della cosa, sia pure un
commerciale succès de scandale, passa in secondo piano. Annie
Ernaux prova a raccontare l’erotismo come lo si vive, riempiendo le attese e
gli incontri dei gesti e gli atti del sesso, e ci riesce: il sesso scritto qui
funziona, in questo che è probabilmente l’unico suo racconto non tradotto.
Nel 1989, mentre l’Urss crollava, ma il
lettore può non saperlo, non se ne dice niente, sapiente anti-climax, il
racconto lungo, dettagliato, del desiderio-bisogno di un rapporto sessuale che
la narratrice-autrice, trattandosi di un diario, avrebbe vissuto con
un russo non identificato, di cui sappiamo solo l’iniziale, S., alto, glabro, e
quindi magico a toccare, la pelle e le voglie di un ragazzo, l’interprete-spia,
come allora usava, incontrato in un viaggio in Urss a fine 1988, che poco dopo
emerge a Parigi, all’ambasciata, a non precisate attività culturali. Lei
cinquantenne, lui di una dozzina d’anni più giovane. Hanno fatto l’amore con
trasporto, con violenza, senza una parola, l’ultima notte che la narratrice ha
passato a Leningrado, ne riprendono la pratica a Parigi. A scadenze non fisse,
il giorno e l’ora all’umore di lui, ma ogni volta con trasporto pieno, di lui e
di lei, senza soste, pure in piedi per la fretta, sul pavimento, sul divano,
nello studio, di lei o di uno dei suoi due figli. E non si ride, si partecipa.
Ogni minuto lei vive, anche nella vita
ordinaria, sulla metro, a passeggio, al supermercato, nel pensiero di lui,
un’ossessione, dolce. Anche quando, cioè sempre, lui si fa desiderare – non c’è
modo per lei di attivare il rapporto, le cose succedono quando decide lui. Un
rapporto allora di dipendenza? No, nemmeno questo: è l’assoluto del desiderio,
ingovernabile. Forse troppo ben scritto per essere un racconto diaristico come
pretende, dal vivo. Ma il lettore non lo sa.
Questo “Se perdre”, perdersi,
titolaccio alla Yvonne Samson, è il rifacimento, dieci anni dopo, nel 2000, di
“Passione semplice”, la storia breve della stessa avventura scritta nel 1990, a
ridosso dei fatti (ma il film di Daniele Arbid sulla vicenda, “L’amante russo”,
“Passion simple” nell’originale francese, è sceneggiato su “Se perdre”, nei
limiti del visibile). Molto più lungo della prima versione, cinque-sei volte,
con molti dettagli e con molte riflessioni. E più nella cifra di Ernaux, della
storia vera, raccontata sui diari.
L’artificio è qui manifesto: non c’è
diario così esteso, per quanto la passione possa volersi ingombrante,
eccessiva. Ma l’effetto è sorprendente: è il solo racconto erotico, di potenza
a sua volta eccitante, che si possa probabilmente leggere in letteratura. Ed è
scritto da una donna – le “Sfumature” di mano femminile di qualche decennio
dopo, pur collocandosi per programma nel pornosoft, sono acqua
fresca.
Con S. (A. nella prima redazione) ha superato ogni limite, la narratrice
confessa nella prima redazione della vicenda, “Passione semplice”: “Grazie a
lui mi sono avvicinata al limite che mi separa dall’altro, al punto
d’immaginare talvolta di oltrepassarlo. Ho misurato il tempo altrimenti, con
tutto il mio corpo. Ho scoperto che si può essere capaci come dire di tutto”.
Chi è S., “addetto culturale” senza
cultura? Ma lui, che non parla mai, mezza frase la dice: “Lavoro nella
sicurezza. Cose importanti, di uomini importanti. È complicato”. Comunque non
interessa: è un corpo, agile, alto, muscoloso e a pelle, col quale lei fa
l’amore senza riguardi, anche se non è bello, usa slip russi ridicoli, che si
sfilacciano, e non si toglie i calzini, notazione rituale (ma in “Passione
semplice” al rito della rivestizione dice che se li era tolti – “Lo guardavo
abbottonare la camicia, infilare i calzini…”). E non ha nome. Un destino più
che un uomo. O il sogno di un desiderio: la narrazione degli incontri, delle
attese, del contatto fisico immediato, degli amplessi concitati è inframezzata,
sottolineata, prolungata dai sogni – la narratrice na fa due e tre per notte.
“Questa derealizzzione conferita dall’iniziale”, S., avverte l’autrice nella
nota che precede la pubblicazione del “diario”, “mi sembra corrispondere a ciò
che quell’uomo è stato per me: una figura dell’assoluto, di ciò che suscita
il terrore senza nome”.
Ernaux ha insegnato per molti anni le
letterature, e si sente. Ma la lettura è possessiva anch’essa, ipnotizzante.
Annie
Ernaux, Perdersi, L’Orma, pp. 252 €
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