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La banalità di Heidegger
Il
convegno “Heidegger und die Juden”, Heidegger e gli ebrei, organizzato il 30
ottobre-1 novembre 2014 a Wuppertal da Peter Trawny, il curatore dei “Quaderni
neri” di Heidegger, a ridosso dell’uscita del primo della serie, non esprimeva
dubbi: nessuno dei partecipanti si chiede se, o cerca di spiegare il come e il
perché - Trawny ne aveva anticipato le conclusioni col volume “Heidegger e il
mito della cospirazione ebraica”.
Si
è parlato molto al convegno di antisemitismo “istoriale”, inscristo nella “storia
dell’essere”. In una storia della filosofia che vede il pensiero greco (e
tedesco, quanto meno di Heidegger) osteggiato e rovesciato dall’ebraismo: dalla
“modernità”, dal “potere del macchinismo”, proprio di un popolo senza patria.
Un indirizzo cui Trawny introduce per primo, e poi di Donatella Di Cesare e altri
interventi. Con riferimento allo stato dell’arte, al dibattito filosofico del
primo Novecento, dal “messianismo profetico” di Hermann Cohen all’“ebraismo
spirituale” di Cassirer, e fino a Lévinas, alle sue critiche di Heidegger. Con
una contradizione, nota Di Cesare: così operando Heidegger cade nella
metafisica che aborre, costruendo una “metafisica dell’ebraismo”.
La
sintesi del convegno, redatta da Mādālina Guzun, su input di Trawny?, sì impianta sul contributo di Jean-Luc Nancy, “La
banalità di Heidegger” – una traccia poi battuta da molti interventi. La “banalità
di Heidegger” come la “banalità del male” di H. Arendt, il male diffuso dalla
superficialità. La colpa di Heidegger è la sua “banalità” in tema, adagiarsi
sulla doxa antisemita, il
chiacchiericcio che imperversava dopo l’esito catastrofico della guerra,
attraverso l’Europa, non solo in Germania. Senza porsi mai la domanda sui fondamenti
dell’antisemitismo, e anzi elevandolo “istorialmente".
Heidegger et le juifs, “Bulletin
Heideggérien” n. 5, 2015, academia.edu
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