La ricerca della felicità
Un
imprevedibile film on the road adulto, una sorta di rifacimento di “Forrest
Gump”, o di “Una storia vera” di Lynch - ma circola uno anche in Francia, con Dujardin errabondo: è un genere di richiamo. Di un anziano pensionato, solo con la
moglie e il silenzio nella villetta a schiera di Knightbridge, nome che evoca
eleganze londinesi ma è una new town di periferia: alla notizia della malattia
grave di una lontana amica le scrive per incoraggiarla, e al momento d’imbucare
la lettera decide di recapitarla di persona, a 8oo km. di distanza. Intraprende
così la marcia, così come era uscito di casa. Attraversa un’Inghilterra un po’
devastata e triste, suscita gli entusiasmi “alternativi”, del ragazzo svitato, dei
perdigiorno, delle cause perse, dei tormenti comuni (il maturo gay che ha problemi
con l’amico, la dottoressa dell’Est che trova lavoro solo a pulire i gabinetti,
la suora africana che accudisce l’amica). E infine arriva, per trovare l’amica
inerte, dallo sguardo vuoto. Ma è contento lo stesso: è a una memoria che fa il
viaggio, di quando lei lo ha salvato dalla crisi esistenziale per la morte del
figlio nell’alcolismo. Dalla colpa – il trip è punteggiato da ricordi del
figlio, ora sorridente, ora sofferente e muto, abbandonato se stesso, sotto droga.
Un film molto inglese, della normalità della eccentricità. Una
favola, della ricerca della felicità, di un ultimo tentativo. Con finale
dichiaratamente fiabesco: i giochi di luce del ciondolo che l’amico appende alla
finestra dell’amica infine ritrovata, un cristallo sfaccettato, fanno tornare
il sorriso sul volto spento della donna.
Hattie Macdonald, L’imprevedibile viaggio di Harold Fry
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