Letture - 533
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Calligrafia
–
Ritorna la scrittura a mano a scuola? L’“Economist” week-end di fine settembre
è “un’edizione speciale” sulla scrittura manuale. Una serie di articoli
spiegano il ritorno, nella didattica e nella pratica, della scrittura manuale
invece che elettronica. Una serie di studi avrebbe consigliato un ricorso
ridotto alla tecnologia a scuola, un uso moderato. Avendo “accertato un
grande vantaggio della scrittura manuale
– “la stessa inefficienza del mezzo è il suo vantaggio: sembra forzare chi
scrive a pensare e comprimere l’informazione mentre annota, piuttosto che trascrivere
sovrapensiero parola per parola”.
Il giorno dopo l’“Economist”, sul “Sole
24 Ore Domenica” Giuseppe Lupo segnalava “l’elogio della scrittura (a mano)”,
quella degli scribi – recensendo la ricerca di Louis Godart, “I custodi della
memoria”, sugli scribi in Mesopotamia, Egitto ed Egeo. “Lo scriba vince perché
salva (mai termine del linguaggio informatico poteva esprimere migliore
profondità semantica)”, conclude l’italianista Lupo, “il suo lavoro costituisce
l’ultimo baluardo contro la minaccia della
dissolvenza”. Non è ipotizzabile un black-out cosmico, basta un istante, che cancelli
tutte le memorie elettroniche?
Ma c’è di più, nota Lupo: sarà pure
un’illusione lo “sfidare faccia a faccia il nulla della non memoria”, ma “il
segreto dell’arte” dello scriba è “conquistare un barlume di eternità con una
goccia d’inchiostro, affidare un testo a chi verrà dopo e, così facendo,
credere nella vita”.
Caratteri
nazionali –
Una varia metodologia nella redazione di diverse connotazioni nazionali, tra francesi,
tedeschi e italiani, è raccontata da Corrado Alvaro in “Solitudine”, il
racconto lungo che apre la raccolta “Il mare”. Lui stesso cioè vi indulge, pur
professando scetticismo sui “caratteri nazionali”: “Vi sono diverse maniere di
far sentire a uno straniero la sua condizione: i francesi lo interrogano; i tedeschi
espongono le loro impressioni di viaggio, e tentano di dare un fatterello tipico,
che dovrebbe racchiudere brevemente un simbolo del paese visitato. Io,credevo
che discorsi come quelli si facessero soltanto fra gente molto elementare, e invece
a queste cose non esiste limite né livello sociale”.
Commedia
all’italiana –
È sorpassata, è regionale, era scorretta? È la conclusione di Neri Parenti,
regista di genere (Villaggio et al.),
su “La Nazione”. Perché “la commedia all’italiana ha sempre vissuto di
regionalismi”, e “oggi tutte queste cose non si possono, fare più”. Oggi non
solo è scorretto “fare il siciliano”, “fare il napoletano”, oggi bisogna “fare
film che posano piacere a Oslo come a Timbuctù”. Non si può fare “neanche un
Fantozzi, con la moglie brutta, il capo cattivo, la figlia strana: sarebbe
bocciato come progetto”.
Dante
–
“Don Chisciotte” deve qualcosa alla “Commedia”? Fruttero&Lucentini lo fanno
supporre a un’italianista improvvisata, una signora inglese in vacanza in Italia,
ma non senza argomenti – “essendo anche ispanista nei momenti liberi”. La
parentela c’è su Monteriggioni e i suoi giganti, del canto XXXI dell’“Inferno”.
Là dove “Monterriggion di torri si corona”, e Virgilio avverte Dante: “Sappi
che non sono torri, ma giganti”. Secondo l’avventizia italo-ispanista “l’avventura
di don Chisciotte coi mulini a vento”, il cuore del romanzo, “deriva proprio da
questo luogo dantesco”. Non in linea diretta: “Con la differenza che Sancio
mette in guardia il suo immaginoso padrone dall’errore opposto: «Guardi
vossignoria», gli dice infatti, «che non sono giganti, ma mulini a vento»”.
Depressione
–
L’akedia (“la nostra «depressione»,
non la comune accidia”), “che colpiva tanti anacoreti e cenobiti nei deserti di
Siria, Palestina, Egitto, Mesopotamia, la cristianità”, ha un esteso repertorio
di citazioni tra i padri della chiesa nell’ultimo romanzo di “Fruttero&Lucentini,
“Enigma in luogo di mare”, pp.107-108. Che è costruito, nel personaggio
principale, attorno a una forma irremovibile, ancorché lieve, di depressione, e
in uno degli altri personaggi su una forma acuta, “mortale” (Lucentini ne sarà
vittima qualche anno dopo).
Italiani
visti dai tedeschi –
Nel racconto “Solitudine”, sulla sua vita da giovane corrispondente a Berlino,
Corrado Alvaro fa la distinta di una serie di abitudini e modi italiani come
registrati dai tedeschi, in un salotto intellettuale molto ben frequentato. Un
racconto di cent’anni fa che però suona familiare. “Quanto a mangiare”, spiega “una
donna pronta a criticare”, “in Italia si può mangiare dappertutto, ma non così
quanto a dormire. Il problema del letto non è entrato bene nella mentalità
degli italiani”. La stessa solleva “un altro problema, quello del caldo. In
Italia i negozi si aprono e chiudono con lo stesso orario, tanto d’inverno quanto d’estate. Un adattamento
alle condizioni del clima e dell’ambiente non è ancora avvenuto in Italia”. Con
una coda velenosa: “Generalmente in
Africa si segue tutt’altro orario, e v’è una naturale rispondenza del
clima con le abitudini della vita”.
Una “signora manierosa” prende a
narrare “la sua avventura con un giovane naturalmente italiano”, il quale, avendo
fatto un pezzo del viaggio sul suo treno, da Verona a Vienna, “a Vienna si presentò
in casa di lei, e in presenza del marito, poiché ella aveva allora un marito,
dichiarò di amarla”, pregando il marito di divorziare. “Io trovo”, commenta la “donna
pronta a criticare”, “che questa è una prova di eccessiva fedeltà; in genere
gli italiani si innamorano in un baleno, in una notte delirano, in una giornata
si rimettono in equilibrio, e il giorno dopo vi guardano come se non vi avessero
mai conosciuti”. Commenta un medico: “Per gli italiani in genere l’amore è un
fatto vasomotore, vascolare,e si manifesta perciò in impulsi improvvisi”. “Ciò
che è piuttosto degno dei ginnasisasti”, risponde il narratore-Alvaro. E
commenta di suo: “Certo che il paese più difficile da capire è l’Italia. Vi
sono molti elementi, in apparenza semplici, che hanno prodotto molti difetti
degli italiani, ma spesso sono il fondamento delle loro cose migliori. Anche l’impulso
vasomotore, di cui parla il dottore, è un motivo vitale. La critica antica dei
quadri, come si legge in certe lettere di Aretino a Tiziano, era fatta da un
punto di vista vascolare, e pare che questo fosse un modo buono per fare i
quadri e per giudicarli. Ho paura che gli italiani, diventando moderni, si
scordino di queste cose, e finiscano per adottare una mentalità puritana e
protestante che si adatta male a loro”.
Razzismo
–
“La tratta degli schiavi è esistita per secoli, anche all’interno dei paesi
africani. La vera, unica novità introdotta nella storia umana dalla civiltà
occidentale è il movimento per l’abolizione della schiavitù. Nonostante ciò,
oggi l’Occidente è considerato la quintessenza della discriminazione razziale.
È assurdo”, Slavoj Žizek, “Il Venerdì di Repubblica”. Ma: “è considerato” oppure
“si considera”?
Roma
capitale letteraria –
Roma è capitale sicuramente degli scrittori – Milano ha perduto questa partita,
pur essendo la capitale incontestata dell’editoria. “Milano degli scrittori”
ricostruiva La Lettura” dell’11 giugno come una mappa di assenze. Questa la
sintesi dello stesso settimanale: “Non esiste più il palazzo dove visse Ugo
Foscolo in via Sant’Andrea ma resta quello in via della Spiga. Una targa
segnala dove abitò Stendhal ma, lì vicino, non Verga. E nessuna targa ricorda
dove vissero Testori e Scerbanenco, Volponi e Fortini, Giuseppe A. Borgese e
Rebora, Antonio Porta, Sereni e Raboni (poeti che brevemente condivisero un
condominio)”. E Ottieri, Bianciardi, Dario Fo, Pontiggia, Sergio Solmi, Gatto,
Sinisgalli, Erba, “o i «milanesissimi» Franco Loi e Giancarlo Majorino”.
Neppure Vittorini, che fece mezza editoria milanese per venti-trent’anni, né
Vincenzo Consolo, altri siciliani di Milano. Si fa prima a dite chi c’è a Milano,
con Foscolo e Stendhal: Petrarca, Manzoni, Carlo Porta, Montale, Gadda,
Buzzati, Antonia Pozzi, Lalla Romano, e Arrigo Boito.
Roma può rispondere il 10 settembre, sempre
su “La Lettura”, con un: “Sì, c’è una città dove l’Ariosto è vicino di casa di
Thomas Mann, Hans Christian Andersen sta a un passo d a Gogol’ e varie lapidi ricordano
Pier Paolo Pasolini”.
Roma è anche la stessa città dove “nessuna
targa indica dove abitarono Alberto Moravia e Italo Calvino (e Arbasino, e
Gadda, e Parise, n.d.r.) e la memoria della letteratura sfida burocrazia e liti
condominiali”. Ma l’elenco è poi sterminato di letterati ricordati con una
lapide, a cominciare da Ennio Flaiano, che Roma ha variamente celebrato, da
nemico: la Sovrintendenza Capitolina ha “una banca dati delle lapidi dedicate a
scrittori, scrittrici, scrittori, poetesse e poeti”. Paolo Conti passeggiando
dal centro verso l’esterno può indicare Ingeborg Bachmann, Trilussa, Corrado Alvaro,
oltre i menzionati Andersen e Stendhal, Gregorovius, Belli, Palazzeschi. Apollinaire,
Goethe naturalmente, con una casa museo, Robert Browning e Elizabeth Barrett, Pirandello,
Bontempelli, Paola Masino, Giacomo Debenedetti, Sandro Penna, Zavattini, Elsa
Morante, Caproni.
Poi c’è una lista di targhe per le quali
la procedura amministrativa di autorizzazione va avanti da tempo: Calvino, Bassani,
Manganelli, Natalia Ginzburg, Goffredo e Maria Bellonci, Silone, Ugo Betti,
UgoPirro. E le vittime delle richieste “non attuabili”. Conti spiega che “per apporre
una targa occorre il parere favorevole dei proprietari degli stabili”, i condomini
o gli enti pubblici, “e la cosa spesso si complica”. Ne sono vittime Soldati,
Rafael Alberti, Pannunzio, Patroni Griffi, Maria Luisa Spaziani.
San
Francisco –
Spagnola dalla “scoperta”, nel 1769, quando se ne avviò la costruzione, primo nucleo
urbano della futura California, col nome di Yerba Buena, poi brevemente
messicana dal 1841, e americana dal 1850, dal trattato di Guadalupe Hidalgo che
pose fine alla guerra tra Stati Uniti e Messico, conserva tuttora in
castigliano il motto della città: “Oro en
paz, Fierro en guerra”. Ebbe uno sviluppo immediato con l’annessione all’America,
al centro della “corsa all’oro” verso la California.
letterautore@antiit.eu
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