sabato 7 ottobre 2023

Letture - 533

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Calligrafia – Ritorna la scrittura a mano a scuola? L’“Economist” week-end di fine settembre è “un’edizione speciale” sulla scrittura manuale. Una serie di articoli spiegano il ritorno, nella didattica e nella pratica, della scrittura manuale invece che elettronica. Una serie di studi avrebbe consigliato un ricorso ridotto alla tecnologia a scuola, un uso moderato. Avendo “accertato un
grande vantaggio della scrittura manuale – “la stessa inefficienza del mezzo è il suo vantaggio: sembra forzare chi scrive a pensare e comprimere l’informazione mentre annota, piuttosto che trascrivere sovrapensiero parola per parola”.
Il giorno dopo l’“Economist”, sul “Sole 24 Ore Domenica” Giuseppe Lupo segnalava “l’elogio della scrittura (a mano)”, quella degli scribi – recensendo la ricerca di Louis Godart, “I custodi della memoria”, sugli scribi in Mesopotamia, Egitto ed Egeo. “Lo scriba vince perché salva (mai termine del linguaggio informatico poteva esprimere migliore profondità semantica)”, conclude l’italianista Lupo, “il suo lavoro costituisce l’ultimo baluardo contro  la minaccia della dissolvenza”. Non è ipotizzabile un black-out cosmico, basta un istante, che cancelli tutte le memorie elettroniche?
Ma c’è di più, nota Lupo: sarà pure un’illusione lo “sfidare faccia a faccia il nulla della non memoria”, ma “il segreto dell’arte” dello scriba è “conquistare un barlume di eternità con una goccia d’inchiostro, affidare un testo a chi verrà dopo e, così facendo, credere nella vita”.
 
Caratteri nazionali – Una varia metodologia nella redazione di diverse connotazioni nazionali, tra francesi, tedeschi e italiani, è raccontata da Corrado Alvaro in “Solitudine”, il racconto lungo che apre la raccolta “Il mare”. Lui stesso cioè vi indulge, pur professando scetticismo sui “caratteri nazionali”: “Vi sono diverse maniere di far sentire a uno straniero la sua condizione: i francesi lo interrogano; i tedeschi espongono le loro impressioni di viaggio, e tentano di dare un fatterello tipico, che dovrebbe racchiudere brevemente un simbolo del paese visitato. Io,credevo che discorsi come quelli si facessero soltanto fra gente molto elementare, e invece a queste cose non esiste limite né livello sociale”.  

 
Commedia all’italiana – È sorpassata, è regionale, era scorretta? È la conclusione di Neri Parenti, regista di genere (Villaggio et al.), su “La Nazione”. Perché “la commedia all’italiana ha sempre vissuto di regionalismi”, e “oggi tutte queste cose non si possono, fare più”. Oggi non solo è scorretto “fare il siciliano”, “fare il napoletano”, oggi bisogna “fare film che posano piacere a Oslo come a Timbuctù”. Non si può fare “neanche un Fantozzi, con la moglie brutta, il capo cattivo, la figlia strana: sarebbe bocciato come progetto”. 
 
Dante – “Don Chisciotte” deve qualcosa alla “Commedia”? Fruttero&Lucentini lo fanno supporre a un’italianista improvvisata, una signora inglese in vacanza in Italia, ma non senza argomenti – “essendo anche ispanista nei momenti liberi”. La parentela c’è su Monteriggioni e i suoi giganti, del canto XXXI dell’“Inferno”. Là dove “Monterriggion di torri si corona”, e Virgilio avverte Dante: “Sappi che non sono torri, ma giganti”. Secondo l’avventizia italo-ispanista “l’avventura di don Chisciotte coi mulini a vento”, il cuore del romanzo, “deriva proprio da questo luogo dantesco”. Non in linea diretta: “Con la differenza che Sancio mette in guardia il suo immaginoso padrone dall’errore opposto: «Guardi vossignoria», gli dice infatti, «che non sono giganti, ma mulini a vento»”.
 
Depressione – L’akedia (“la nostra «depressione», non la comune accidia”), “che colpiva tanti anacoreti e cenobiti nei deserti di Siria, Palestina, Egitto, Mesopotamia, la cristianità”, ha un esteso repertorio di citazioni tra i padri della chiesa nell’ultimo romanzo di “Fruttero&Lucentini, “Enigma in luogo di mare”, pp.107-108. Che è costruito, nel personaggio principale, attorno a una forma irremovibile, ancorché lieve, di depressione, e in uno degli altri personaggi su una forma acuta, “mortale” (Lucentini ne sarà vittima qualche anno dopo). 
 
Italiani visti dai tedeschi – Nel racconto “Solitudine”, sulla sua vita da giovane corrispondente a Berlino, Corrado Alvaro fa la distinta di una serie di abitudini e modi italiani come registrati dai tedeschi, in un salotto intellettuale molto ben frequentato. Un racconto di cent’anni fa che però suona familiare. “Quanto a mangiare”, spiega “una donna pronta a criticare”, “in Italia si può mangiare dappertutto, ma non così quanto a dormire. Il problema del letto non è entrato bene nella mentalità degli italiani”. La stessa solleva “un altro problema, quello del caldo. In Italia i negozi si aprono e chiudono con lo stesso orario,  tanto d’inverno quanto d’estate. Un adattamento alle condizioni del clima e dell’ambiente non è ancora avvenuto in Italia”. Con una coda velenosa: “Generalmente in  Africa si segue tutt’altro orario, e v’è una naturale rispondenza del clima con  le abitudini della vita”.
Una “signora manierosa prende a narrare “la sua avventura con un giovane naturalmente italiano”, il quale, avendo fatto un pezzo del viaggio sul suo treno, da Verona a Vienna, “a Vienna si presentò in casa di lei, e in presenza del marito, poiché ella aveva allora un marito, dichiarò di amarla”, pregando il marito di divorziare. “Io trovo”, commenta la “donna pronta a criticare”, “che questa è una prova di eccessiva fedeltà; in genere gli italiani si innamorano in un baleno, in una notte delirano, in una giornata si rimettono in equilibrio, e il giorno dopo vi guardano come se non vi avessero mai conosciuti”. Commenta un medico: “Per gli italiani in genere l’amore è un fatto vasomotore, vascolare,e si manifesta perciò in impulsi improvvisi”. “Ciò che è piuttosto degno dei ginnasisasti”, risponde il narratore-Alvaro. E commenta di suo: “Certo che il paese più difficile da capire è l’Italia. Vi sono molti elementi, in apparenza semplici, che hanno prodotto molti difetti degli italiani, ma spesso sono il fondamento delle loro cose migliori. Anche l’impulso vasomotore, di cui parla il dottore, è un motivo vitale. La critica antica dei quadri, come si legge in certe lettere di Aretino a Tiziano, era fatta da un punto di vista vascolare, e pare che questo fosse un modo buono per fare i quadri e per giudicarli. Ho paura che gli italiani, diventando moderni, si scordino di queste cose, e finiscano per adottare una mentalità puritana e protestante che si adatta male a loro”.
 
Razzismo – “La tratta degli schiavi è esistita per secoli, anche all’interno dei paesi africani. La vera, unica novità introdotta nella storia umana dalla civiltà occidentale è il movimento per l’abolizione della schiavitù. Nonostante ciò, oggi l’Occidente è considerato la quintessenza della discriminazione razziale. È assurdo”, Slavoj Žizek, “Il Venerdì di Repubblica”. Ma: “è considerato” oppure “si considera”?
 
Roma capitale letteraria – Roma è capitale sicuramente degli scrittori – Milano ha perduto questa partita, pur essendo la capitale incontestata dell’editoria. “Milano degli scrittori” ricostruiva La Lettura” dell’11 giugno come una mappa di assenze. Questa la sintesi dello stesso settimanale: “Non esiste più il palazzo dove visse Ugo Foscolo in via Sant’Andrea ma resta quello in via della Spiga. Una targa segnala dove abitò Stendhal ma, lì vicino, non Verga. E nessuna targa ricorda dove vissero Testori e Scerbanenco, Volponi e Fortini, Giuseppe A. Borgese e Rebora, Antonio Porta, Sereni e Raboni (poeti che brevemente condivisero un condominio)”. E Ottieri, Bianciardi, Dario Fo, Pontiggia, Sergio Solmi, Gatto, Sinisgalli, Erba, “o i «milanesissimi» Franco Loi e Giancarlo Majorino”. Neppure Vittorini, che fece mezza editoria milanese per venti-trent’anni, né Vincenzo Consolo, altri siciliani di Milano. Si fa prima a dite chi c’è a Milano, con Foscolo e Stendhal: Petrarca, Manzoni, Carlo Porta, Montale, Gadda, Buzzati, Antonia Pozzi, Lalla Romano, e Arrigo Boito.
Roma può rispondere il 10 settembre, sempre su “La Lettura”, con un: “Sì, c’è una città dove l’Ariosto è vicino di casa di Thomas Mann, Hans Christian Andersen sta a un passo d a Gogol’ e varie lapidi ricordano Pier Paolo Pasolini”.
Roma è anche la stessa città dove “nessuna targa indica dove abitarono Alberto Moravia e Italo Calvino (e Arbasino, e Gadda, e Parise, n.d.r.) e la memoria della letteratura sfida burocrazia e liti condominiali”. Ma l’elenco è poi sterminato di letterati ricordati con una lapide, a cominciare da Ennio Flaiano, che Roma ha variamente celebrato, da nemico: la Sovrintendenza Capitolina ha “una banca dati delle lapidi dedicate a scrittori, scrittrici, scrittori, poetesse e poeti”. Paolo Conti passeggiando dal centro verso l’esterno può indicare Ingeborg Bachmann, Trilussa, Corrado Alvaro, oltre i menzionati Andersen e Stendhal, Gregorovius, Belli, Palazzeschi. Apollinaire, Goethe naturalmente, con una casa museo, Robert Browning e Elizabeth Barrett, Pirandello, Bontempelli, Paola Masino, Giacomo Debenedetti, Sandro Penna, Zavattini, Elsa Morante, Caproni.
Poi c’è una lista di targhe per le quali la procedura amministrativa di autorizzazione va avanti da tempo: Calvino, Bassani, Manganelli, Natalia Ginzburg, Goffredo e Maria Bellonci, Silone, Ugo Betti, UgoPirro. E le vittime delle richieste “non attuabili”. Conti spiega che “per apporre una targa occorre il parere favorevole dei proprietari degli stabili”, i condomini o gli enti pubblici, “e la cosa spesso si complica”. Ne sono vittime Soldati, Rafael Alberti, Pannunzio, Patroni Griffi, Maria Luisa Spaziani.
 
San Francisco – Spagnola dalla “scoperta”, nel 1769, quando se ne avviò la costruzione, primo nucleo urbano della futura California, col nome di Yerba Buena, poi brevemente messicana dal 1841, e americana dal 1850, dal trattato di Guadalupe Hidalgo che pose fine alla guerra tra Stati Uniti e Messico, conserva tuttora in castigliano il motto della città: “Oro en paz, Fierro en guerra”. Ebbe uno sviluppo immediato con l’annessione all’America, al centro della “corsa all’oro” verso la California.

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