L'Europa dei sussidi non basta più
“I
nostri sussidi attraggono i migranti”: è semplice il ragionamento dell’ex ministro
delle Finanze tedesco Schaüble. Che conclude pratico: “Non possiamo più permettercelo”.
Schaüble
è noto in Italia perché rigorista sui conti pubblici – anche su quelli dell’Italia.
Ma una trentina d’anni fa, a ridosso della riunificazione, è stato l’artefice della politica tedesca di
accoglienza: dei criteri per individuare il diritto d’asilo, e dell’impegno a finanziarlo.
Una
politica in un certo senso facile in Germania, specie a ridosso della
riunificazione. Facile politicamente, molti tedeschi erano loro stessi rifugiati:
nella Germania di Bonn, su una popolazione di sessanta milioni, un sesto era di rifugiati
dalla Slesia e altre regioni degermanizzate alla sconfitta, e dei loro figli. Un
quinto dei tedeschi oggi si occupa direttamente, personalmente, di rifugiati dall’Est e dall’Africa.
Il
problema è ora economico, dice Schaüble. Ma anche politico, etico: i sussidi sono
finiti per essere il motore dell’immigrazione invece che un rammendo. Lo dice –
lo spiega, lo fa vedere – anche Matteo Garrone nel film “Io,capitano”: “In Italia
ti curano”.
I
sussidi non sono una soluzione. Attiravano, si può dire per esperienza, anche
gli italiani, giovani, p. es. in Olanda, ancora negli ani 1980-1990: molti
ragazzi lasciavano Milano e Bologna per Amsterdam, oltre che per il fumo libero, per il sussidio,
quasi un piccolo stipendio, in cambio di nulla. Le
politiche di integrazione al reddito che invece si sostituiscono, come è stato
per due anni il reddito di cittadinanza, è ovvio che non hanno senso, economico
oltre che etico – un’Europa che pensa di poter vivere di sussidi è un incubo,
non una speranza.
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