È una guerra, e non sarà lampo
È una guerra, e non sarà di un giorno - ed è già, e più sarà, senza regole, senza limiti. Non sarà una guerra lampo,
quella scatenata dai Palestinesi contro Israele (chiamare terroristi gli
attaccanti è probabilmente una forma di pigrizia, e non aiuta a capire né a
risolvere), nella ricorrenza dell’attacco egiziano del Yom Kippur 1973 per la
liberazione del Sinai. La forza militare è dalla parte di Israele, senza alcuna
comparazione possibile, ma Gaza non è occupabile, e nemmeno controllabile: il recupero della credibilità della propria deterrenza, un dogma in Israele dalla guerra dei Sei Giorni, richiederà tempo, con molte morti e distruzioni.
Lo stato maggiore e il
governo israeliano indirettamente lo confermano, che hanno provato a spostare
la guerra a Nord, contro Hezbollah, cioè contro il Libano. Impresa più facile, già
messa in atto da Israele contro l’Olp, l’organizzazione per la Liberazione della
Palestina di Arafat, che Hezbollah ha, per ora, rintuzzato, proclamandosi estraneo
all’attacco da Sud.
Gaza è un territorio
piccolo, 365 kmq – quanto la provincia di Prato, per intendersi, la più piccola
in Italia se si esclude Trieste. Con due milioni di residenti, tre quarti dei quali
rifugiati. Due connotazioni, la superficie ridotta e l’alta densità abitativa,
che non favoriscono l’occupazione prolungata, contrariamente a quanto sembrerebbe,
anzi la rendono impervia.
Il 7 ottobre Israele ha avuto probabilmente più vittime di tutte le sue guerre, tra morti e ostaggi. In una operazione che Hamas chiama Al Aqsa, la Grande Moschea di Gerusalemme oltraggiata qualche tempo fa dalla polizia e le forze armate israeliane. L’organizzazione e il
successo militare dell’attacco a Israele daranno probabilmente a Hamas lo status
di forza combattente militare, non più terroristica. E quindi un’identità
politica, statuale.
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