Pechino per l’equilibrio di potenza
C’è
più del rituale nei festeggiamenti cinesi per i cento anni di Kissinger: la celebrazione
è della politica dell’equilibrio (la balance
of power). Di cui Kissinger è stato lo studioso, dalla Santa Alleanza in
poi, e il propugnatore col multiateralismo. E a cui tutta la politica estera cinese, anche quella che è sembrata o è
stata più aggressiva, di Xi Jinping, punta. Come opzione massima della potenza
cinese nel mondo “americano”. È il succo del riesame della politica estera
cinese un mese al ministero degli Esteri, in occasione delle visite a Pechino
del ministro, Tajani, e della presidente del consiglio Melon.
Pechino
ha stemperato la guerra commerciale e tecnologica promossa da Trump. E non ha raccolto
la
sfida militare del partito Democatico americano, sulla spinta del trend
pre-covid, che
vedeva la Cina al sorpasso sugli Stati Uniti come grande potenza economica – la
sfida di Nancy Pelosi, la speaker della Camera, e poi
del presidente Biden. Ha aumentato la spesa militare, ma non di molto, e in
ottica difensiva. Ha accettato il rimodellamento della politica di Xi, della
nuova Via della Seta, a opera della Germania e dell’Italia, senza obiettare.
Sostiene l’integrazione europea. Ha operato per avvicinare l’Iran all’Arabia
Saudita. Non si schiera nel conflitto Russia-Ucraina, in ottica mediatrice –
qualora una mediazione fosse possibile, necessita di un arbitro sopra le parti.
Si
può dire che Pechino ripercorre il vecchio schieramento di paese non-allineato.
Ma non più da comparsa del Terzo Mondo, da prim’attore. Il rilancio dei Brics non
sembra destinato a costituire uno schieramento alternativo a quello americano. Anche
perché è irrealizzabile il suo obiettivo massimo, un sistema dei pagamenti
internazionali indipendente dal dollaro. E coltiva al suo interno il dissidio
potenzialmente più grave, in prospettiva, tra la stessa Cina e l’India. Tuttavia, accresce lo status di Pechino nelle relazioni internazionali. La “la
lista d’attesa è lunga” per entrare nello schieramento, secondo il “Global Times”,
il quotidiano del partito Comunista cinese. E anche per aderire alla Sco, l’Organizzazione per la
sicurezza di Shangai, nata per fronteggiare l’allargamento della Nato all’Indo-Pacifico.
L’Iran è già a pieno titolo nella Sco. La Nuova Banca di Sviluppo dei Brics,
con sede anch’essa a Shangai, ha la candidatura autorevole dell’Arabia Saudita
fra i maggiori azionisti.
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