“Is genre connected to gender?” è il tema. Intraducibile, per la distinta versione inglese di “genere”, come forma di comunicazione e genere letterario (genre) e come genere sessuale (gender). Ma tema semplice: il vecchio obsoleto quesito se c’è una “scrittura femminile”.
Serpell,
scrittrice zambiana che vive a New York e insegna inglese a Harvard, tende a
dire di no. Ma poi articola il suo saggio con una serie di esempi per il sì. A
partire dall’avvio, in cui si dichiara clocky,
confusa sul genere (letterario): “L’altro giorno ho imparato una parola nuova, clocky. Si applica a qualcuno che non è
riconosciuto per il suo sesso (scelto)”. E perché clocky sul genere letterario? Per avere appena letto anche un pezzo
di storia letteraria, sul debutto di George Eliot con le “Scene di vita
clericale”. Tre storie di pastori
anglicani pubblicate anonime sul “Blackwood’s Magazine” nel 1857, raccolte in
volume l’anno successivo dall’editore, William Blackwood, col nome dell’autore,
George Eliot. Blackwood ne mandò copia a importanti “britisth literati”, tra
essi Dickens. Dickens, che conosceva di persona il vero autore delle storie, Marian
Evans, vice-direttrice della “Westminster Review”, anche perché aveva dato
scandalo andando a convivere con un uomo sposato, non sapeva che scrivesse. Ma ringraziando
Blackwood dell’invio, non può fare a meno di dire: “Sarei fortemente portato, se
fossi lasciato al mio giudizio, a scrivere al detto autore come a una donna” –
concetto che ripete.
Dickens,
spiega Serpell, aveva scritto lui stesso “come una donna”, a capitoli alterni
di “Casa desolata”. Un lavoro che lo aveva “impegnato moltissimo”, spiegava a
un intervistare. Charlotte Brontë aveva criticato il risultato, ma Dickens ne
era fiero.
La
questione, nata nel Settecento, si è trascinata fino a non molti anni fa. Serpell
è per il no. Cita – prendendo il riferimento
da Elif Batuman, l’autrice di “Either\Or” - con disprezzo Hélène Cixous, che vuole
una scrittura al femminile. Fa grande caso di Mary Wollstonecraft e la sua
cerchia, al confronto con le divagazioni inutili che il marito Percy Shelley le
consigliava. E insomma, difende il piglio hommasse
anche per le donne. Ma fa anche grande caso del Turing Test, per determinare
se si può distinguere l’umano da un computer. “Basato su un gioco di
società, Imitation Game”, che si
basa sulla capacità di distinguere uomo da donna basandosi sulle risposte
scritte a certe domande – “gioco a cui lo stesso Turing può avere messo mano”.
Che non vuol dire niente, se non probabilmente che, Turing essendo gay, non
amava le donne, le voleva distinte – settant’anni fa non c’è il fronte unito
lgbtqia.
Namwali
Serpell, Such womanly touches, “The
New York Review of Books”, 2 novembre
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