venerdì 27 ottobre 2023

Se c’è la scrittura femminile

Is genre connected to gender?” è il tema. Intraducibile, per la distinta versione inglese di “genere”, come forma di comunicazione e genere letterario (genre) e come genere sessuale (gender). Ma tema semplice: il vecchio obsoleto quesito se c’è una “scrittura femminile”.

Serpell, scrittrice zambiana che vive a New York e insegna inglese a Harvard, tende a dire di no. Ma poi articola il suo saggio con una serie di esempi per il sì. A partire dall’avvio, in cui si dichiara clocky, confusa sul genere (letterario): “L’altro giorno ho imparato una parola nuova, clocky. Si applica a qualcuno che non è riconosciuto per il suo sesso (scelto)”. E perché clocky sul genere letterario? Per avere appena letto anche un pezzo di storia letteraria, sul debutto di George Eliot con le “Scene di vita clericale”.  Tre storie di pastori anglicani pubblicate anonime sul “Blackwood’s Magazine” nel 1857, raccolte in volume l’anno successivo dall’editore, William Blackwood, col nome dell’autore, George Eliot. Blackwood ne mandò copia a importanti “britisth literati”, tra essi Dickens. Dickens, che conosceva di persona il vero autore delle storie, Marian Evans, vice-direttrice della “Westminster Review”, anche perché aveva dato scandalo andando a convivere con un uomo sposato, non sapeva che scrivesse. Ma ringraziando Blackwood dell’invio, non può fare a meno di dire: “Sarei fortemente portato, se fossi lasciato al mio giudizio, a scrivere al detto autore come a una donna” – concetto che ripete.

Dickens, spiega Serpell, aveva scritto lui stesso “come una donna”, a capitoli alterni di “Casa desolata”. Un lavoro che lo aveva “impegnato moltissimo”, spiegava a un intervistare. Charlotte Brontë aveva criticato il risultato, ma Dickens ne era fiero.

La questione, nata nel Settecento, si è trascinata fino a non molti anni fa. Serpell è per il no.  Cita – prendendo il riferimento da Elif Batuman, l’autrice di “Either\Or” - con disprezzo Hélène Cixous, che vuole una scrittura al femminile. Fa grande caso di Mary Wollstonecraft e la sua cerchia, al confronto con le divagazioni inutili che il marito Percy Shelley le consigliava. E insomma, difende il piglio hommasse anche per le donne. Ma fa anche grande caso del Turing Test, per determinare se si può distinguere l’umano da un computer. “Basato su un gioco di società,  Imitation Game”, che si basa sulla capacità di distinguere uomo da donna basandosi sulle risposte scritte a certe domande – “gioco a cui lo stesso Turing può avere messo mano”. Che non vuol dire niente, se non probabilmente che, Turing essendo gay, non amava le donne, le voleva distinte – settant’anni fa non c’è il fronte unito lgbtqia.

Namwali Serpell, Such womanly touches, “The New York Review of Books”, 2 novembre

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