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Stanchezza d’amore
Una
donna di 35 anni, sposa a 19, con una figlio quindicenne, una figlia con
problemi, e un aborto, moglie dell’ottico di paese, di suo immobiliarista, una
che fuma mentre guida, si concede una vacanza sul sedile posteriore della
familiare con l’amico di suo figlio. Scomoda. Peggio nel rifugio che il ragazzo
ha proposto, una catapecchia abbandonata nel bosco, su un materasso sudicio.
Un’avventura sordida nei particolari rivissuta con gaudio dal ragazzo vecchio.
Con una donna di cui solo sappiamo che si chiama Mrs Gray – “la mia Celia” è il
solo complimento, finale, al suo sacrificio, e s’immagina la Celia di
Shakespeare, se non che quella è, sì, silenziosa e riservata, ma innamorata della cugina Rosalinda.
Niente
di speciale. Un paio di occhiate da voyeur
alle sottovesti femminili di cinquant’anni prima costano la lettura di
centinaia di pagine di divagazioni, tanto elaborate quanto irrilevanti. Forse una Bovary contemporanea che fuma e guida, “un’educazione sentimentale” al rovescio di quella di Flaubert, di cui Banville
ripete il dettaglismo, la precisione dissolvente. L’editore italiano dà un
senso in questa direzione al lungo racconto cambiando il titolo – l’originale è
“Ancient Light”, una vecchia “illuminazione”. Ma il nuovo titolo non è veritiero,
il quindicenne non mostra di avere imparato nulla. Il rimando più conseguente sarebbe
a uno “Chéri” al rovescio, la cosa come vista da lui, dal ragazzo, e non dalla sua
seduttrice in età – ma senza la leggerezza di Colette.
Una
narrazione come un esercizio in durata: vi mostro come sono bravo, a
interrompere, riprendere, deviare. Forse una sfida. Conclusa ambiguamente: il ragazzino,
ora Grande Attore, si chiede se non è stato una marionetta – “ora mi rendo conto
che sono stato sempre manovrato, da forze non riconosciute, costrizioni occulte”.
La
lunga lenta narrazione si interseca, come negli sceneggiati, con due vicende
parallele. Con la morte – annegamento? suicidio? – della figlia del narratore
Cass, a ventisette anni, una studiosa erudita, “benché soffrisse sin dall’infanzia
della sindrome di Mandelbaum, un raro difetto della mente”, a Portovenere,
“sotto la chiesetta di san Pietro”. E col progetto di un film su un personaggio
ignoto che il narratore, attore noto del cinema, dovrebbe interpretare. Il progetto
vale al narratore un viaggio turistico alle Cinque Terre, in compagnia della
diva del film, in crisi, al tanfo di un alberghetto aperto a Lerici fuori
stagione. Con la scusa di respirare un po’ l’aria che respirò la figlia all’ultimo.
Morti
e malattie (mortali) risolvono il romanzo. Con un guizzo alla fine, un omaggio
a Paul de Man, il “decostruzionista” principe - lui e non il suo mentore
Derrida: “Professore di Decostruzione Applicata al Dipartimento di Inglese dell’universita
di Arcadia”. Che non voglia dire qualcosa, un romanzo de-costruito invece che
costruito?
John
Banville, Un’educazione amorosa,
Guanda, pp. 280 € 17,50
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