Giuseppe Leuzzi
Come finale del suo ultimo film, “The old Oak”, Ken Loach
si concede una processione. Spettacolare e assemblante, la processione che
tutti mescola, giovani e vecchi, ricchi e poveri, intonati e stonati, con la
banda, i gagliardetti, le luminarie, i fuochi, è l’invidia dei registi del Nord. Loach se la fa civile, ma con la banda, i gagliardetti, la folla gioiosa. Anzi la fa precedere, nell’immaginario
dello spettatore, dalla cattedrale normanna, che ha appena rappresentato ricca e imponente, sulla spenta città post-thatcheriana di Durham.
Una lezione di
compartecipazione per i vescovi del papa Francesco, che odiano le processioni,
rito superstizioso – c’è un rito non superstizioso?
Commentando con Staglianò
sul “Venerdì di Repubblica” il suo nuovo libro, “Una voce dal profondo”,
sull’Italia dei terremoti, Rumiz rileva “del Sud Italia che ha bassissima
coscienza di sé mentre è profondamente cosciente dei suoi difetti, a differenza
di noi del Nord”.
L’arcivescovo di Potenza
Ligorio, messo sotto accusa dalla famiglia Claps per un risarcimento rifiutato
sulla fine di Elisa trent’anni fa, spiega, a proposito del sito della chiesa dove
i resti della ragazza sono stati ritrovati: “Per cinque mesi, nrl 2007, parte
della Trinità (la chiesa in questione, n.d.r.)
è stata sotto sequestro. La polizia poteva entrare e fare ogni tipo di attività
investigativa”. Non vedere il delitto non è inconsueto – le mafie nascono da
qeuesta indifferenza.
Sud in testa per la Tari, la
tassa sui rifiuti urbani: 409 euro in Puglia per il nucleo familiare medio,
contro i 320 della media nazionale. Seconda la Sicilia, con 396 euro. La città
più cara è Catania, 594 euro (con un aumento di 90 euro in un solo anno). Seguita
da Napoli, 491 euro, e Brindisi, 464. A
Brescia, una città grande due volte Brindisi, si pagano 195 euro, meno
della metà. Il Sud è sempre più vittima di se stesso.
I pensionati sono più delle persone
attive al Sud: i pensionati sono quest’anno esattamente sette milioni 209 mila,
i lavoratori sei milioni 115 mila. È l’inzio della fine della questione
meridionale? L’emigrazione non è bastata.
S’invera anche il Grande
Sogno del Sud parco giochi. L’aria è buona, direbbe Profazio.
Se Napoli fosse rimasta industriale – 2
Le “truffe agli anziani”, informano le cronache, sollecitate dalla
Polizia di fronte alla recrudescenza delle aggressionei, “sono in aumento
esponenziale: al 31 agosto scorso, a
livello nazionale, gli anziani
vittime erano 21.924,
più 28,9 per cento rispetto al dato relativo al medesimo periodo del 2022,
quando erano stati 17.000”.
E sono gestite da Napoli. Nell’allarme della Polizia, specifica
Frignani sul “Corriere della sera-Roma”, “si spiega chiaramente che a Napoli esiste un «centralino» dal quale partono le telefonate-trappole alle
vittime in tutta Italia - migliaia quelle nella Capitale: chi cade nel tranello
viene subito schedato e affidato ai truffatori sul campo che partono dal
capoluogo campano su auto a noleggio. Sono le «pattuglie». Con telefonini intestati a extracomunitari sempre in
contatto con il «centralino» per avere indicazioni su dove colpire”.
Le truffe sono di vario tipo, la casistica è sconfinata.
Ultimamente sono entrate in azione giovani, gentili, false dìttoresse. Che in coppia
s’introducono benevole nelle case prese di mira e mentre una accudisce la\lo
sprovveduta\o con auscultazioni e prelievi di rito, la complice svaligia lo
svaligiabile. Ma tutto coordinato, su informazioni, pare, e a effetto sicuro: l’organizzazione
non va a canso, sa dove e come entrare e cosa cercare.
Solo a Roma le cronache registrano
una serie fantasiosa di colpi. “Truffa milionaria ai Parioli: finto postino deruba la moglie 83nne dell'ex ambasciatore a Washington S alleo. Il bottino in gioielli e monete”. “ Propongono contratti per luce e gas, poi rubano i dati dei clienti per acquisti". C’è chi si
presenta come avvocato. Chi come
maresciallo dei carabinieri, in divisa.
Sembra fantacronaca,
ma Napoli non cessa di stupire. Non punta sulla droga, un mercato già “fatto”,
diffuso, esibito, del malessere , personale, familiare, generazionale, sociale.
È l’invenzione di un mercato,
imprenditoria pura. L’organizzazione delle truffe gli anziani nell’Italia
ricca rimanda all’ipotesi: e se Napoli fosse rimasta – evoluta come – città
industriale?
L’industria della copia, prima che emigrasse in Turchia,
e poi nel Sud-Est asatico? O il lavoro à
façon dei
maestri sarti tagliatori, che creano di fatto, materialmente, tagliando e cucendo,
i modelli haute couture, in gara al ribasso, a chi si fa pagare meno? O
perché no l’avionica. E il digitale. O lo stesso abbigliamento, con marchi propri,
Kiton, Yamamay, Fracomina, le scuole di Alta
Sartoria. O la grande a varia agroindustria.
Cosa manca? I capitali, si suole dire. Che però a Napoli
non sono mancati e non mancano, né privati né pubblici. L’ideazione, la produzione,
la commercializzazione, il marketing? Sono pratiche prettamente napoletane,
saper fare e saper vendere – già a Roma la diferenza tra i (pochissimi) negozi napoletani
e tutti gli altri è nettissima: si comprerebbe di tutto. O allora? Forse manca
il bisogno, o il senso del bisogno. Allargato all’accumulazione, alla mentalità
e all’ideologia dela crescita. Si esclude naturalmente, inopportuno,
“scorretto”, il gusto della trasgressione. Della furbizia, per quanto possa
essere controproducente, afflittiva..
Un’altra origine della mafia
Patrick Brydone, il letterato
e naturalista scozzese cui si deve uno dei primi resoconti di viaggio in
Sicilia, se non il primo, dà un quadro preciso di quella che sarà la mafia, la
letteratura della mafia: il passaggio dei briganti al servizio della legge.
Ospite a Messina del principe di Villafranca, governatore della città, gli viene
spiegato che “la parte orientale dell’isola, chiamata Val Demoni”, il principe
ha liberato dai briganti che la infestavano proponendosi “il loro dichiarato patrono
e protettore”. Alcuni indossano anche la
livrea del principe, tutti sono comunque protetti.
A Brydone viene speigato che
“in certi casi questi banditi si comportano come le persone più rispettabili
dell’isola, ed hanno il concetto più alto e romantico di ciò che chiamano il
loro punto d’onore”. E “per quanto criminali possano essere nei riguardi della
società in generale, hanno sempre serbato la più incrollabile lealtà, tra di loro
come anche verso qualsiasi persona a cui abbiano dato la loro parola”.
Non è tutto. “I magistrati
sono stati psesso costretti a proteggerli e perfino a blandirli, data la fama
di cui godono di gente disperata e pronta a tutto, e così vendicativa che ucciderebbero
senza esitare chiunque li abbia in qualche modo provocati”. I magistrati, cioè “i
provveditori dell’ordine pubblico”. E “d’altra parte non si è mai sentito dire
che chi si sia messo sotto la loro protezione e abbia dimostrato di avere
fiducia in loro abbia avut a pentirsi o abbia avuto torto un capello; al
contrario, essi lo proteggerebbero contro qualsiasi soperchieria”.
Seguono vari aneddoti edificanti,
sui banditi-servitori cui il principe e altri signori, massoni di condizione
elevata come Brydone, con le commendizie, confidano i viaggiatori (lo scrittore
naturalista aveva due compagni d’avventura) per il prosieguo, sulle Madonie e
oltre. La guardie arnate, per i lunghi e accidentati percorsi a dorso di mulo,
erano per lo più briganti convinti a passare a servizio, minacciosi d’aspetto e
dai modi brutali, specie coi contadini e con ogni altro provveditore del necessario
ai viaggiatori – dei grassatori.
Questo nel 1770.
La compravendita dei paesi
Horace Rilliet, il medico svizzero
che attraversò la Calabria nel 1852 accompagnando re Ferdinando II in visita, e
la descrisse e disegnò in “Colonna mobile in Calabria” nel 1853, racconta in
dettaglio la non rara condizione di Taverna, un paese che ha scoperto con le
tele di Mattia Preti disseminate per la tante chiese: “Il viceré Alcalà, avendo
bisogno di soldi, vendette Taverna nel 1629 al principe di Satriano. Contato il
denaro, spediti i titoli, costui va a prendere possesso della città”. Che però
non ne vuole sapere, di passare dal re, dal demanio, dallo Stato, in proprietà al
principe. E Satriano “fu costretto a ritornarsene là da dove era venuto,
imprecando, ma com sempre avviene, un po’ tardi”.
Non è feudalesimo, è peggio,
Il feudatario aveva anche degli obblighi, il padrone assenteista non ne ha,
solo diritti e sanzioni. È il delitto dei Borboni del Regno, specie in
Calabria, che si vendevano e rivendevano come regione remota, rendendola sempre
più poveri e quindi più remota, a sconto delle cambiali – le più numerose e
cospicue “vendite” furono effettuate nel Cinque-Seicento, accompagnate da
titoli nobiliari altisonanti, principati, ducati, a banchieri genovesi, Spinelli,
Grimaldi, Perrone, Serra, Ravaschieri, Paravagna, e
ad arricchiti locali. Lo stesso rigetto
di Taverna aveva avuto, tra i tanti, Tropea nel 1615, quando il viceré l’aveva
venduta al principe di Scilla (poi tutti nobili a Tropea, ma questo è un altro discorso).
Lo svizzero Rilliet, naturalmente
democratico benché al servizio del re Borbone, e benché fino ad allora, a metà
narrazione-spedizione, allegro e distaccato, commenta l’aneddoto con improvvisa
severità: “Questo modo di vendere le città ai signori feudali era d’uso corrente
da parte dei viceré, che ne traevano vantaggi notevoli”. Era un mercato-ricatto
continuo: “Essi concedevano ai comuni il diritto di riscattarsi dal potere dei
loro signori per rientrare nel demanio reale. Questo riscatto si poteva fare
solo a un prezzo esorbitante”. Il prezzo non scoraggiò molti comuni. E allora
il mercato di fece ricchissimo: “La slealtà e l’avidità dei viceré si spines fino
al punto che questi stessi comuni (quelli che si erano riscattati, n.d.r.)
furono rivenduti di nuovo, all’antico signore o ad altri. Dopo due o tre
riscatti simili i comuni si trovarono terribilmente rovinati, sfruttati fino all’ultima
goccia di sangue”.
È finita? No. In dieci righe
il buon medico deve denunciare tre inganni. “Questi esempi spaventarono gli
altri comuni”, che preferirono lo status quo piuttosto che “servire da preda,
nel contempo, al vicerè e ai baroni”. Finiva così il lauto mercato? Fu
rilanciato da una, diremmo oggi, cauta liberalizzazione: “Diventando i riscatti
sempre più rari, i viceré, per non perdere i vantaggi che il sistema aveva portato
loro, rassicurarono i comuni con una legge in base alla quale, qualora un comune
che si era riscattato fosse stato di nuovo venduto, esso sarebbe stato libero
da ogni obbedienza si al viceré che al nuovo barone”. A fidarsi.
leuzzi@antiit.eu
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