Governi tecnici, democrazia, e gruppi di pressione
Sabino Cassese ha un riferimento
apparentemente bizzarro a Mario Draghi nei ricordi confidati a Alessandra
Sardoni (“Le strutture del potere”, libro-intervista), riferendosi al 1993,
quando era ministro della Funzione Pubblica nel governo “tecnico” di Ciampi –
Draghi era direttore generale del Tesoro e operava le privatizzazioni: “Voleva
e ottenne autonomia di gestione del personale della sua Direzione e l’ottenne.
Non col governo Ciampi, però. Io ero contrario, per evitare la balcanizzazione
del ministero: ci riuscì successivamente con il governo Berlusconi. Prova della
sua perseveranza”.
Il riferimento è bizzarro in due
modi. Uno è che Cassese non lo dice ma fa capire che Draghi era e voleva essere
il dominus incontestato delle privatizzazioni.
Cassese con Ciampi è l’esempio che
i governi “tecnici” possono essere più politici di quelli eletti – più rispettosi
del bene comune. E tuttavia, anche in casi virtuosi come quello Ciampi, il
governo è tecnico solo in Italia, fra tutti i paesi del G 7. E anche fuori del
G 7, nei paesi di cui si riesce ad avere contezza. È solo in Italia, si può
dire, che il governo esula dal voto. Da qui l’esigenza, ricorrente in Italia
ormai da trent’anni, di ancorarlo al voto. Di Craxi, D’Alema e Renzi a sinistra
(Renzi che fu al centro di un decennio “tecnico”), e ora di Meloni a destra.
La democrazia è parlamentare. Lo
è dove ci sono le costituzioni (Stati Uniti, Germania, Spagna, in qualche misura
anche la Francia) e dove non ci sono (Gran Bretagna). Anche in Italia la
costituzione è parlamentare, ma solo formalmente: di parlamentari eterodiretti (al
tempo delle correnti personali e del centralismo democratico), o che, da
qualche anno, abdicano alle proprie funzioni “per la pagnotta” – i cinque anni di indennità
parlamentare, e poi il vitalizio. Espressione di partiti a loro volta eterodiretti.
Da media di proprietà finanziaria o
industriale. Cioè da gruppi di pressione, la vecchia categoria della sociologia
politica individuata nel 1960 a Ginevra da Jean Meynaud.
Un condizionamento ridicolo,
tanto è assurdo, è quello degli esami continui del governo italiano a opera della
burocrazia di Bruxelles. Ma imbattibile: i media lo ripropongono minuzioso,
quotidiano, orario. Unico caso in tutta la Unione Europea. È il condizionamento
del “vincolo esterno”: l’Italia non si sa governare, l’Europa la costringerà a
farlo. Ma l’ideologia del “vincolo esterno” dobbiamo ai “tecnici”, Draghi e
anche Ciampi.
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