La Germania non è più la locomotiva
Esaurita la spinta della
liberalizzazione del lavoro, le leggi Hartz del 2004-2005, la Germania ritorna
il “malato d’Europa”. Non propriamente. Non ha i cinque milioni di disoccuapti
d’inizio millennio. E va in recessione ufficialmente per la debolezza dei
consumi e dei servizi. Ma di fatto è in ristagno anche come fabbrica. E la
debolezza dei consumi è da correlarsi alla liberalizzazione del lavoro, al ristagno-debolezza
del reddito medio.
Pesa sulla Germania anche la
guerra in Ucraina. Che ha bloccato il rapporto speciale con la Russia, di cui
la Germania era il partner maggiore – rapporto che non potrà più essere
ristabilito nel futuro prevedibile. E ha indebolito l’Est europeo oltre che la
stessa Ucraina, di cui la Germania era ed è sempre il primo partner.
Un privilegio curiosamente
svanito è pure il mercantilismo del quindicennio Merkel. Che la Germania poté esercitare liberamente su Bruxelles, e su Francoforte (negli anni di Draghi).
Sulle politiche di bilancio e sugli aiuti pubblici (all’industria, alle banche),
mentre si imponevano vincoli più stringenti ad altri paesi, tra essi l’Italia.
Perfino gli stress test bancari erano
laschi per le banche tedesche e specialmente arcigni per quelle italiane,
Unicredit, Mps. Senza contare gli attacchi polemici sul debito e sulle banche
italiane - un abominio nelle politiche monetarie, che vogliono riservatezza -
del presidente merkeliano della Bundesbank, il suo giovane d’ufficio
Weidmann.
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