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La guerra perduta d’Israele
Era un guerra, si è potuto dire
subito, il 7 ottobre, non un atto di terrorismo. E ora è chiaro che Israele l’ha
perduta, una certa Israele.
Con Hamas e senza ci sarà uno Stato
palestinese. E questo Stato sarà in Cisgiordania, con mezza Gerusalemme (uno
spicchio, quello che la superfetazione israeliana ha lasciato agli arabi). La
colonizzazione – l’annessione di fatto – portata avanti da Netanyahu nei suoi
venticinque anni di governo andava contro le risoluzioni dell’Onu, e avrà ora
problemi con gli Stati Uniti – con la politica americana di riconquista della
sussidiarietà araba, dopo la confrontation
mitigata degli anni di Obama (di Hillary Clinton) e di Trump.
Sul piano militare non c’è solo l’attacco
a sorpresa del 7 ottobre e la catastrofe del Mossad, l’orgoglio d’Israele, del
sionismo nel mondo - e la intelligence
per antonomasia di miriadi di romanzi. C’è il disagio di aviazione e mezzi
corazzati a combattere un fronte inesistente, solo civili ammassati, peraltro
profughi, cacciati da Israele. A distruggere cioè, ma senza conquistare.
Con la colonizzazione va in crisi
anche l’Israele confessionale e razzista che vi si è accompagnata nel
Millennio? Non necessariamente – e questo spiega il mancato cambiamento
politico a Tel Aviv dopo il 7 ottobre: la divisione, oggi, favorirebbe questa
“nuova Israele”.
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