La verità è che non c’è la verità
“Ogni notizia è prospettica, ogni discorso è selettivo, l’obiettività
dunque è un puro mito”. Puro il mito non si direbbe, ma il
giornalismo, che pure non è un mito, ha sempre attratto e appassionato Eco.
Fino all’ultimo, al suo ultimo romanzo “Numero zero”, 2014, preceduto
dall’ancora più franca conversazione online con Scalfari , “Numero Zero -
Eco-Scalfari, dialogo sulI'Italia e i suoi giornali”, il lungo video, una
quarantina di minuti, sul giornalismo.
Lo stesso Eco lo sa, come tutti. Più di tutti lui che amava scrivere per i
giornali, non rifiutava una collaborazione o un’intervista. Era indignato,
questo sì, dalla strumentalizzazione che del giornalismo si faceva ultimamente
in Italia, tra dossier, intercettazioni, spionaggi, sotto forma magari di
controinformazione mentre era – è – disinformacja. Persuasivo
invece l’intervento, con Moravia, Musatti e Alfonso Gatto, a favore di
Braibanti nel celebre processo per plagio che gli fu intentato.
Ma non è una raccolta di polemiche. Ovvero sì, ma amabili, come tutto quello
che Eco scrive e dice. Curiose, stimolanti. “Scritti d’occasione” (articoli,
schede, interventi) , tra il 1969 e il 2013, sui temi del falso e del segreto.
“Mentire, fingere, nascondere” è il sottotitolo. Una collazione, ordinata da
Anna Maria Lorusso, di diciassette testi pubblicati da Eco in varie
raccolte, tra il 1969 e il 2013: nei due “Diario Minimo” e altre raccolte, e
soprattutto nelle ultime, sempre da lui ordinate, “Pape Satán
Aleppe” e “Sulle spalle dei giganti”.
La verità di cui più si parla è del giornalismo, l’obiettività. Questa non
c’è, e non ci può essere - è una, si direbbe, petitio principii. Eco
non arriva a tanto, ma è ugualmente fermo nel negarla. Del resto, spiega, “il
compito del giornalista non è quello di convincere il lettore che sta dicendo
al verità, bensì di avvertirlo che sta dicendo la «sua» verità”. O,
in polemica con Piero Ottone, nel 1969, quando Ottone cavalcava, allora dal
“Secolo XIX”, la contestazione, nel mentre che propagandava il giornalismo a
suo dire inglese, dell’obiettività: “Il giornalista non ha un dovere di
obiettività, ha un dovere di testimonianza. Deve testimoniare su ciò che sa”. E
anche “deve testimoniare dicendo come la pensa lui”.
Di Ottone si può non fare caso – cos’è il giornalismo all’inglese? Del
resto concluderà la sua presunta missione di obiettività con una “storia del
giornalismo italiano” dal titolo “Preghiera o bordello” – lui che aveva
esordito alla “Gazzetta del popolo”, il giornale allora Dc di Torino, e con una
biografia di Fanfani. Il giornalismo è un gioco delle parti, ed è bene che
ognuno stia nel suo ruolo, Eco non fa che richiamare un’esigenza evidente. Ma è
uno strumento di verità, ognuno lo sa, lo avverte, in mille forme – la verità è
mobile, e multiforme.
Umberto Eco, Quale verità?, La Nave
di Teseo, pp. 176 € 12
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