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La vita rinasce nell'agape
Un
racconto in stato di grazia: la vita povera, orgogliosa (di pregiudizi) e miserevole,
di un mondo senza futuro, alla periferia
di una città deindustrializzata (Durham, Nord-Est estremo delI’Inghilterra, al confine
con la Scozia invece fiorente), di case dall’entrata stretta per difendersi dal
freddo, unico punto d’incontro il pub per la solita birra quotidiana, tra i
compagni e le conversazioni di sempre, si rianima per la collocazione nelle
case disabitate di profughi dalla Siria, donne per lo più con i figli – i mariti
essendo stati uccisi o carcerati seviziati. Dopo la prima reazione di rifiuto, con
le note argomentazioni, la smorta periferia trapassa all’accettazione. Ma, di più,
a un senso ritrovato di comunità. Di umanità.
In
stato di grazia Loach, che considera il film la sua ultima fatica, avviandosi verso
i novant’anni. Grazie al lavoro del “suo” sceneggiatore di sempre, Paul Laverty,
vent’anni di meno. E ai protagonisti che si è scelto, il corpulento Dave Turner,
e la debuttante Ebla Mari, siriana drusa, attrice e regista al suo paese, convincente
ragazza siriana grazie agli occhi verdi e alle sopracciglia nere – gente di mestiere, venendo dal teatro, come usa nella cinematografia inglese, e non dal
Grande Fratello. A tratti perfino emozionante.
Il
miracolo si compie gradualmente, come per decorso naturale. Tra persone che più
non vivevano, da anni, da decenni, se non rimuginando il tempo che fu, e più
volentieri quello dei padri, del “buon tempo antico”. Su uno dei detti del
padre del protagonista, il Turner barista del pub “The old Oak”, “when you eat together you stick together”,
mangiare insieme per restare uniti - che è poi la agape del primo cristianesimo. La cucina è la cura di ogni dolore per le
madri siriane, anche della morte degli uomini lontani, e i locali finiscono per
(ri)scoprirne i benefici. Una iniezione di vita.
Il mono-ambiente, piccolo, comune, si presta alla compassione e alle complicità –
fa fede il film cult dello scrittore Auster, “Smoke”, del tabaccaio a Brooklyn. Ma qui un Loach senza più gli aculei del Diamat scopre - fa scoprire al suo pubblico, un
po’ perplesso – le passioni dentro il precetto (l’abitudine, l’ideologia,
l’inerzia mentale). E il culmine di questo senso ritrovato della comunità
(dell’umanità) proietta nella cattedrale di Durham, il “monumento costruito dai
Normanni, mille anni fa”. Che ingigantisce, maestoso. Senza le deprecazioni
d’uso, il lavoro schiavistico, lo sfruttamento, l’esibizione di ricchezza, optando
per l’elogio, dell’impegno di tanti, della determinazione, della santità del lavoro.
E impreziosisce in finale con una processione, evento “mediterraneo” ma non
fuori posto, simboleggiando l’unità, la comunità.
Ken
Loach, The old Oak
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