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Panetta interventista - 2
Non ha lasciato buona traccia
all’Ivass, che a lungo ha presieduto: troppe porte girevoli tra l’istituto di
sorveglianza delle assicurazioni e le assicurazioni stesse, e comunque l’assicurazione
“ha sempre ragione”, l’assicurato se ne “faccia ragione”. Ma in Banca d’Italia
è stato un altro, già da vice-direttore, quindi da una dozzina d’anni: interventista,
e diretto.
Si ricorda da ultimo per le critiche
alle politiche anti-inflazione della Banca centrale europea, del tipo “buttare
il bambino con l’acqua sporca”, dentro e fuori del consiglio ristretto (Comitato
esecutivo) di cui era membro. Ma lo è stato già in più occasioni da vice-direttore
generale – scuola Draghi, si direbbe, tutto l’opposto del governatore uscente
Visco. Ed è quello con più esperienza di mondo, e che più ha spiegato, e con
precisione, l’ìnspiegato dei media italiani nell’era Draghi alla Bce: dai
salvataggi bancari al famoso bail-in,
agli stress test, curiosamente
modulati a Francoforte su criteri diversi a seconda della nazionalità delle
banche.
Con un terzo degli aiuti tedeschi
alle banche “avremmo avuto un surplus di 77 miliardi”, irruppe sardonico quando
Eurostat tardivamente (molto tardivamente) ha reso noto l’ordine di grandezza
dei salvataggi pubblici, cioè nazionali (i deprecati “aiuti di Stato”) delle
banche dopo il 2008.
Il 20 ottobre 2015 alla
Commissione Finanze della Camera dettagliava: “Le inefficienze nelle ordinarie procedure
di gestione dei dissesti bancari… negli anni scorsi hanno costretto numerosi
paesi, sia in Europa sia a livello globale, a destinare risorse pubbliche
ingenti in favore di banche in difficoltà. Voglio sottolineare che l’Italia non
è tra quei paesi, nonostante l’evoluzione assai sfavorevole della nostra
economia negli anni scorsi. In base ai dati pubblicati sia dall’istituto di
statistica europeo (Eurostat) sia dalla Bce, da noi gli interventi pubblici sul
mercato del credito non hanno generato costi per lo Stato, ma un flusso, pur
contenuto, di ricavi netti positivi sotto forma di interessi e commissioni. Al
contrario, in molti paesi esteri gli interventi dello Stato a sostegno del
sistema bancario hanno determinato per la finanza pubblica e per i cittadini
oneri assai cospicui, pari al 5,0 per cento del pil in Spagna, al 5,5 nei Paesi
Bassi, all’8,2 in Germania, a oltre il 22 in Grecia e in Irlanda. Il volume dei
trasferimenti in favore delle banche è stato assai elevato anche negli Stati Uniti
e nel Regno Unito. A titolo di esempio, è possibile calcolare che se in Italia
fossero stati effettuati interventi in rapporto al pil pari a quelli della
Germania, l’onere a carico delle nostre finanze pubbliche sarebbe ammontato a
130 miliardi di euro”. Cifra paperoniana.
E così era stato. Le banche europee si
sono salvate con robuste iniezioni di capitale pubblico. Quelle tedesche si
sono salvate come quelle anglo-americane, con nazionalizzazioni mascherate. Con
soldi pubblici cioè regalati alle banche private. Contro ogni divieto di aiuti
di Stato. Che per l’occasione “Bruxelles” si è dimenticata di applicare – senza
contare l’uso dei fondi europei, molto maggiore.
Gli interventi pubblici si sono avuti in
questo ordine per dimensione: Germania 250 miliardi, Spagna 60, Irlanda 50,
Olanda 50, Grecia 40, Belgio 19, Austria 19, Portogallo 18. L’Italia viene
ultima con 4 miliardi.
L’intervento di Panetta in
Commissione alla Camera era al
seminario sull’applicazione delle nuove normative in caso di crisi bancarie: per
primi pagano azionisti e correntisti – il cosiddetto bail-in. La misura, imputata alla Bri, a Basilea, era invece della
Bce di Draghi – che è stata discriminatoria, questo si dimentica – e acclamata
al Parlamento europeo e nei media italiani come giusta misura anti-capitalista.
Bene, solo l’Italia ha applicato il bail-in,
rovinando qualche milione di risparmiatori, senza salvare le banche - le banche
del Centro-Italia, Mps incluso, e le le venete. Ma Panetta aveva ben avvertito:
“Non sanno di che si sta parlando”.
Il 2015 è anche l’anno degli stress test bancari, gestiti
dalla Bce sempre di Mario Draghi, anche se la titolare era una piccola francese
paratedesca, di nome Nouy. Stress test discriminatori,
soprattutto per Unicredit e Mps.
Fu un esercizio dichiaratamente anti-italiano, al
punto che il 2 febbraio Panetta non esitò a denunciarlo: “Il disegno dello stress test europeo aveva
caratteristiche che svantaggiavano le banche italiane. Lo abbiamo messo agli
atti in Bce durante la preparazione dell’esercizio”. Peggio: “Non si può
pensare di risolvere i problemi aumentando in modo continuo, indiscriminato ed
eccessivo i requisiti di capitale, frenando ancora l’offerta di credito”.
Tenendo le banche cioè, alcune banche, le banche italiane, sempre sulla corda,
magari col solito ritornello delle “riforme”.
“Indiscriminato” ed
“eccessivo”, che sembrano parole forti, invece non dicevano tutto. E cioè che
non si tratta di un errore di metodo ma di uno strumento di attacco alle banche
italiane. Per il business delle merger &
acquisitions probabilmente, non per altro. Profumo e Viola, allora a
capo di Mps, non erano ancora tornati da Francoforte a Siena, dopo le
ramanzine, e non avevano riferito in consiglio e al management Mps, che
“Londra” sapeva già tutto e apprestava l’attacco alla banca. Quando non bastò,
in estate, la Bce si espose a silurare pubblicamente il Monte dei Paschi.
Impensabile, se non fosse avvenuto: non s’è mai visto una banca centrale che dica al mondo che una
banca – peraltro in discrete condizioni – è al fallimento. La Bce l’ha fatto.
Agli stress test di fine
2015 Deutsche Bank poté beneficiare di una plusvalenza di 4 miliardi di euro
per una cessione che dopo dieci mesi ancora non aveva completato. Sembra
fantascienza ma è quello che è accaduto. Mentre altre banche non hanno potuto
contabilizzare plusvalenze già incassate. Perché l’iter non era stato
perfezionato formalmente.
Ma non c’è solo la Bce di Draghi. Panetta è un governatore che
potrebbe anche dire che il re è nudo, giacché lo è. “Un paese dove il recupero dei crediti
richiede fino a quindici anni”, è altra sua considerazione ribadita, più
cattiva che disperata. Ma forse, questa, nemmeno cattiva: tutti sanno, da molti
anni, che fino a 200 mila euro di credito è meglio non fare causa, bisogna
accontentarsi del poco che entra. Per favorire gli affari?
(fine)
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