zeulig
Cancel culture – Si vuole l’anticultura della decadenza, del culto del
passato, di rovine, morti. Il segno dell’Occidente impaziente col passato. Ma dappertutto
altrove invecchia e muore la natura, non la cultura, la memoria della storia.
È
l’effetto del movimento a freccia, che il bersaglio intermedio sia fallito o centrato.
L’Occidente è un arciere che va di corsa: vede e capisce poco. Mentre bisogna
portare pazienza.
Colpa – È una prigione, autoinflitta in qualche misura. Non tutto il male si fa
colpa.
È quello che si potrebbe dire “il paradosso di Norimberga”,
della colpa-non-colpa – quello che Hannah Arendt ha detto “la banalità del male”,
quando non si fa colpa. C’è chi il male commette perché obbligato, o perché è suo
dovere, e chi anzi lo ritiene un bene. È quando il male è risentito come male
che diventa colpa. Talvolta senza nemmeno aver commesso il male, all’inverso di
Norimberga, sotto nessuna forma: i “sensi di colpa” della psicologia possono emergere
anche senza nessuna colpa specifica, per una generale condizione di insoddisfazione
o debolezza – come viceversa, appunto, si incontrano criminali senza alcun
senso di colpa, anche sotto inclinazione insistita.
È il paradosso alla base del breve poema “Voci notturne”,
un dei tanti che Fiedrich Bonhoeffer, il pastore luterano antinazista che fu
carcerato a Berlino-Tegel per tre anni dal 1942, e infine giustiziato, nelle vendetta
finale di Hitler contro chi lo aveva avversato, inviava alla fidanzata: per
quanto “braccati e cacciati dagli uomini,\ privati di ogni difesa e accusati,\
noi portiamo le nostre colpe insopportabili,\ gi accusatori siamo noi”.. Non un’ammissione
di colpa naturalmente, non di colpa specifica, ma in quanto essere umano.
Volendo, tra le pieghe
e gli interstizi, anche il santo si trova in colpa. Volendolo. Altrimenti, la
colpa non c’è nel peggiore malfattore.
Corpo – “Il cristianesimo ha nella carne
il cardine della salvezza che proclama”, Antonio Spadaro, introducendo Sgarbi,
“Divine pitture”, che indaga Michelangelo “santo”, la sua Pietà, la Cappella
Sistina. Spadaro non è un teologo, ma è ben gesuita rodato, per molti decenni
direttore della “Civiltà cattolica”, coautore del papa Francesco. Mentre non è
vero il contrario, che la carne è afflitta dalla chiesa, nella malattia
relegata come giusta punizione di una qualche colpa, in buona salute compressa
nel matrimonio sacrale, e anche lì repressa?
È
bensì vero che non c’è spirito senza il corpo. E che la religione – la fede, il
culto – è della carne e non dello spirito. Nelle religioni monoteiste come nelle
pagane: la religione nasce e vive nel corpo e del corpo. Nel cristianesimo, con
la Nascita del Dio-Uono, la Passione, la Crocefissione – con l’Incarnazione e
la Resurrezione – nonché, per quello che vale, per il culto poi delle reliquie,
ossa, dita, la scheggia della Croce. Nel cristianesimo e nelle altre religioni
comunque con la “storia”, di persone e eventi. La fede è corporea – sentimentale,
dei sensi.
Decadenza – È parola
tedesca, décadence, ha cioè senso in tedesco. Quando Nietzsche la incontrò nel saggio di
Bourget su Baudelaire la disse subito migliore del tedesco Verfall, e d’allora in poi la trovò in ogni piega del poeta – e la utilizzò
in ogni piega del suo discorso.
Desiderio – È l’unica felicità possibile
– la curiosità, la ricerca? Ogni evento è riprova della celebrata pagina di
Schopenhauer: noi sentiamo il dolore ma non l’assenza di dolore, sentiamo la
cura ma non la noncuranza, la paura ma non la sicurezza. Sentiamo il desiderio,
come la fame e la sete, ma appena è soddisfatto è finito. Solo il dolore e la
privazione possiamo percepire. L’esistenza è più felice quando meno ce ne ac-corgiamo.
I poeti sono obbligati a mettere gli eroi in situazioni pericolose per poi
poterli liberare.
Faust - Il Faust di Goethe è il santo farabutto: cerca la perfezione di
delitto in delitto e perciò, per essere vittima, merita la felicità. È
all’infamia che si accompagna il candore, e alla filosofia.
Ci
voleva all’epoca un patto con Mefistofele per fare il male. Ora non più, si fa
la fila – Mefistofele asaerebbe un cravattaro di borgata.
Ignoranza - Si annunzia una voluminosa
fenomenologia dell’ignoranza – di Peter Burke, Cambridge, storico della
cultura. Un titolo, un soggetto, che mette i brividi. Come, per dire, di chi
facesse una storia della stupidità. Di quello che non dovrebbe essere. Un
po’ come la storia controfattuale. Ma qui non per ridere, col dogma della
verità.
Morte – Le anime dei morti sono presenze,
anche ingombranti. C’è molta letteratura in proposito, ma di un fantasy quanto mai reale, riscontrabile,
minuto.
Nichilismo - “Penso che non credere in
nulla sia un modo per riconoscere che esiste qualcosa di più importante che non
vediamo” – James Ellroy, scrittore.
Novecento – Un secolo di macerie: il
secolo storicamente (di cui si sa la storia) più innovativo è anche il più distruttivo.
Le “magnifiche sorti e progressive” non hanno mai avuto probabilmente, non così compresso, una serie di novità
altrettanto incalzanti e massicce, ma in senso calante e non ascendente: è il
secolo della crisi. Dichiarata, per più aspetti, cioè riconosciuta. Ma per
molti aspetti ambita, ricercata. Rileggendolo,
sembra evidente. Rivedendo i suoi autori, Proust, Musil, Thomas Mann , Svevo,
Joyce, Pasolini, Pirandello. Una epopea della disintegrazione. Avendo peraltro
dismesso l’epica, l’immaginazione della realtà. Di un realismo sofferto.
Volendosi “rivoluzionario”, cioè di sovversione radicale, palingenetica. All’insegna
della mobilitazione totale. Tutti programmi
autodistruttivi, di finale delusione quando non è distruzione. Quindi sciocchi?
Mal posti? Ingenui?
Occidente-Oriente – L’Oriente è sempre quello dell’Occidente, ha ragione Said, ancora oggi,
quarantacinque anni dopo la sua esposizione del fatto - l’Oriente è quello dell’orientalismo,
disciplina retorica. Sembra che l’Occidente, che pure ha inventato “i viaggi”,
anche non immaginari, sia stanco di andar e a vedere. Un Oriente che comincia
dalla Russia, che pure è in Europa, a portata di autostrada.
Ma anche l’Occidente è quello dell’Occidente stesso, talmente
autocritico che sta bene anche ai suoi nemici. Questa autofiction sembra pessimista – lagnosa, distruttiva – come nelle
epoche di decadenza che Santo Mazzarino aveva individuato nel lungo tramonto
romano, di Roma antica. Ma, naturalmente, imperiosa.
zeulig@antiit.eu
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