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Weinstein re degli Oscar, anche italiani
Con
Harvey Weinstein la Miramax esercitò una sorta di dittatura sugli Oscar, con
238 candidature e 68 premi. Compresi gli ultimi Oscar italiani, “Nuovo Cinema
Paradiso”, “Mediterraneo”, “La vita è
bella” e “La grande bellezza”, di cui Miramax aveva preso la distribuzione negli
Usa e in altri paesi.
La
Miramax aveva un sistema accurato di “follow up” dei cinquemila, allora,
giurati degli Oscar. Secondo quanto appurò Vittorio Cecchi Gori, quando tentò,
in società con Berlusconi, la strada di Hollywood con la Penta America, che creò
nel 1991. Un sistema perfezionato dopo il 1993, quando Miramax cominciò a poter
contare sui mezzi finanziari e le reti del suo nuovo socio di maggioranza, la
Walt Disney. Penta America Cecchi Gori aveva affidato a Valerio Riva, suo ascoltato
consigliere, che soleva meravigliarsi della potenza di Miramax, e della
sessuomania spinta di alcuni produttori di Hollywood, quasi uno status symbol.
Miramax
oggi è anch’essa degli arabi peninsulari, del Qatar esattamente. Rilevata da
Nasser el Khelaify, quello del Paris Saint-Germain, della Lega europea del
calcio, Eca, e dell’Inter Miami di Messi. Nonché di mezza Sardegna, avendo rilevato gli investimenti dell’Aga Khan, e del
Centro Direzionale di Milano, l’area urbana europea probabilmente di maggiore valore.
Gestore degli investimenti dell’emiro del Qatar Al-Thani, di cui è ministro
fiduciario.
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