Giuseppe Leuzzi
Persefone-Proserpina,
detta anche Kore, è la prima vittima di violenza sessuale,
se non di stupro. Rapita alla madre Demetra-Cerere, alla Terra, da Ade, che la
confina agli Inferi, all’inferno. La fumettista neozelandese Rache Smythe fa quella
di Ade con Persefone anche una storia d’amore, nel quarto volume della sua
rivitazione della classicità, “Lore Olympus”. Ma Persefone quando ritorna sulla
Terra si ritiene liberata. E come tale è celebrata. In particolare a Bova, in
Calabria, dove Kore di rami di ulivo sono portate in processione nella
Settimana Santa, parte della liturgia della Resurrezione.
“Dal 2002 al 2021 circa 2,5
milioni di persone hanno lasciato il Sud, di questi l’81 per cento si è
stabilito al Nord. Gli under 35 che hanno lasciato il Sud sono stati 808 mila.
E di questi 263 mila erano laureati” - Daniele Manca, “L’Economia”.
Se osserviamo “l’impiego
femminile, il tasso di occupazione relativo medio in Europa è pari al 72,5 per
cento. Nelle regioni del Merdiione la percentuale è più che dimezzata: in
Campania e Sicilia è pari al 31 per cento, e sale al 32 per cento in Puglia. La
Germania è al 78,6 per cento” - id.
Il Ponte, l’idea del Ponte,
si sovrappone al “muro” tettonico con cui l’Europa fronteggia Africa, fra
Scilla e Cariddi, tra le punte della Calabria e della Sicilia, la frontiera Sud
dell’Europa geologica. “Rocce rossastre”, così descrive il muro Rumiz nel libro
sui terremoti, “Una voce dal Profondo”, “plutoniche, contorte da forze
bestiali, segno di un trasloco tellurico
inimmaginabile. Quello che aveva spinto un pezzo di Alpi a valicare il Tirreno
per formare la muraglia che chiude ai due lati di Scilla e di Cariddi”. Almeno
la tettonica è anti-leghista.
Il
piano europeo di rilancio post-covid, NextGenerationEu (Pnrr), assegna più
risorse ai Paesi che hanno maggiori squilibri territoriali. L’Italia li ha, ed
è il paese Ue che riceve più risorse. Il governo ha destinato al Sud il 40 per
cento dei fondi del programma. Ma il Sud non sa spenderli. Quest’anno, a fine novembre,
aveva investito solo il 9,4 per cento dei fondi a disposizione, pari a 2,5
miliardi. E in progressione calante: aveva speso 6,2 miliardi nel 2021 e 18,1 nel 2022. Qui non ci i sono scusanti: il Sud danneggia se
stesso e danneggia l’Italia.
Il vino (che non c’è) in Calabria
Si è detto della Calabria che
non produce praticamente più vino – un po’ più della Valle d’Aosta. Che era,
per quanto povera e trascurata, terra di ottimi vini, invariabilmente
apprezzati dai viaggiatori, tra le tante scomodità. E pur essendo, nelle
pubblicazioni specializzate, l’area più ricca, in Italia e in Europa, di
vitigni autoctoni, della più grande varietà di vitigni autoctoni – quelli di
cui la domanda è da qualche anno la più consistente, su tutti i mercati, interno
e internazionali.
Era anche la terra i cui ogni
metro quadrato, si può dire, ogni piccola proprietà, per quanto minuscola,
aveva il suo palmento, si produceva il suo vino. E di questo c’è testimonianza
rupestre, duratura, malgrado l’incuria. Il palmento è l’insieme di due vasche,
un tempo in pietra, poi in muratura, su piani sbalzati, comunicanti attraverso
un foro, nella più alta delle quali l’uva veniva pigiata, e il succo defluendo
nelal seconda poi fermentava come mosto lentamente.
Centosettanta di questi
palmenti censisce Paolo Rumiz in “Una voce dal Profondo” nella sola Ferruzzano,
“chiamati «altari del vino», con
iscrizioni greche e romane”. Tanti, 750 per l’esattezza, ne aveva contati il
professore Orlando Sculli qualche anno fa in “I palmenti di Ferruzzano”. Sulla traccia aperta da Domenico Minuto su “Calabria Sconosciuta”, col reperimento di 400 palmenti in altra area dela Locride.
Minuto e Sculli non sono
viticultori. Umanisti di formazione e insegnanti di lettere classiche, si sono
occupati dela materia studiando la tradizione – come spiegare il passaggio dalla Magna Grecia alla Calabria di oggi. Minuto, che dovrebbe essere
ultracentenario, è stato con Franco Mosino all’origine del recupero della lingua e
gli usi grecanici nella Locride meridionale, nella area jonica della Calabria reggina. Sculli si è specificamente occupato
delle specialità arboree, e soprattutto dei vitigni – di cui 9dà un quadro
esauriente in
https://www.kalabriaexperience.it/itinerario-attraverso-i-palmenti-rupestri-della-locride-in-calabria/
Le 400 Rosarno
Il “Dossier 2023” dell’Idos
(Immigrazione Dossier Statistico) rileva un immigrato su tre impegnato nei
lavori agricoli, soprattutto per la raccolta: gli straneri coprono il 31,7 per cento
delle giornate lavorate – il conto è in difetto, poiché il lavoro è prevalentemente
in nero, ma indicativo. L’Osservatorio Placido Rizzotto, della Cgil, sa però censire
le aree di illegalità (caporalato, lavoro in nero, paghe orarie da 1-2 euro):
ne ha rilevate in 405 comuni, il doppio dei 205 comuni della precedente indagine,
2018. Di questi, 194 Comuni sono al Sud,
che conta 600 mila lavoratori agricoli nel complesso, e 211 al Centro-Nord,
dove i lavoratori agricoli sono molti meno, 460 mila.
Caporalato e
precarietà sono praticati ovunque. Questa la graduatoria, in ordine decrescente
per numero di infrazioni accertate: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte e
Lombardia.
Si può opinare che
l’accertamento (degli ispettorati del Lavoro? dei sindacati? in base alle
denunce?) è più efficace al Nord che al Sud. Ma il caporalato è ovunque.
Il Sud è matriarcale
Incuriosisce,
dopo cinquan t’anni di “studi arabi” proliferati a seguito della crisi del
petrolio nel 1973, e più dopo il boom immobiliare e calcistico della penisola arabica dopo la crisi del 2007, che degli “arabi “ che sul finire del primo
millennio dominarono in Sicilia, in alcune aree della Calabria (Tropea, Amantea,
Santa Severina), a Bari e Taranto, e più a lungo in Andalusia, non si dica che in realtà erano
berberi. Che non sono arabi: sono stati
islamizzati quando la conquista araba arrivò a Sabratha e all’Atlante, ma erano
e sono rimasti berberi. Come tali censiti ormai universalmente, in qualità di “barbari”, un po’ dentro un po’
fuori in antico dell’impero romano (ora provano a chiamarsi col termine tuareg mazighen, uomini liberi). Fino alla
guerra di corsa e agli Stati “barbareschi” dell’Ottocento inoltrato. E come
berberi, come minoranza linguistica e culturale distinta dall’arabismo
dominante, provano da qualche tempo a farsi valere, soprattutto in Algeria, e
anche in Marocco.
La distinzione non è di poco conto per vari motivi. E
per quanto concerne la presenza “araba” nel Sud per il matriarcato: i berberi,
a differenza dagli arabi, erano e sono tuttora a fondo matriarcale. I clan e la
discendenza materni contano quanto e più di quella paterna – che l’arabo invece
unicamente censisce. Una peculiarità che già le vecchie enciclopedie repertoriavano,
anche se con difficoltà. Nella “Enciclopedia per ragazzi” Treccani, per es.,
Cecilia Gatto Trocchi si confondeva lei stessa: “ La struttura della
tribù si fonda sulla grande famiglia patriarcale. In Marocco la donna è
piuttosto libera e talvolta può influenzare gli affari della tribù; nel Rif
(altopiani del Marocco) è riconosciuta la discendenza materna….”
Nel Sud non c’è il
matriarcato. Non c’era nelle leggi dello Stato italiano, prima del primo
centro-sinistra e del nuovo stato civile, che arrivava anche al delitto d’onore.
Ma di fatto c’è, nel sentimento, nelle stato reale prevalente dei nuclei
familiari, specie nell’emigrazione ma anche in condizioni di stabilità. Ma questa
particolare presenza “araba” al Sud può spiegare come la nuova religione,
riacquistata dopo la sconfitta degli emirati berberi è improntata a Maria, in
tutti i paesetti, con le tante Madonne nere, e declinazioni di culto
variegatissime, ma di una Madonna sempre misericordiosa e vendicatrice,
liberatrice, anche la siculo-calabra Madonna della Catena.
Cronache della
differenza: Calabria
Carmine A bate racconta in “Un paese felice” che si
è laureato a Bari con una tesi su Corrado Alvaro, “Itinerario italiano”. Che avrebbe
spiegato così alla sua innamorata: “Poi, con un entusiasmo non ricambiato, le
confesso che un giorno mi piacerebbe visitare con lei i luoghi dell’Itinerario italiano: Roma, la via
Emilia, Genova, Cremona, Napoli, Mantova, la Toscana, Torino, Venezia, Milano.
E naturalmente la Calabria, che non conosciamo affatto pur essendoci nati”.
La ‘ndrangheta opera in Toscana
dove non è mai stata, nei rapimenti, nella fantasia dei maremmani, già nel 1990, nell’ultimo
romanzo di Fruttero&Lucentini, “Enigma in luogo di mare”, 1990. Molto prima che la
‘ndrangheta venisse scoperta e magnificata dai servizi di intelligence.
Ci sono a Roma molti valtellinesi,
ma già di terza o quarta generazione, qualche migliaio, e la Popolare di Sondrio prospera,
è la banca con più sportelli a Roma. Ci sono a Roma molti calabresi, alcune centinaia di
migliaia, per lo più immigrati in proprio, per lo più professionisti, e la Cassa di Risparmio di Calabria a
stento teneva uno sportello aperto, più che altro a fini di rappresentanza.
Un colossale repertorio di
scrittori calabresi in Australia, che si esprimono in italiano (poesia) o in inglese (narrativa) può censire lo
studioso di umanistica Gitano Rando, sotto il titolo “Cronotipi del paese natio e di quello
d’adozione nella poesia e la narrativa calabroaustraliana”, disponibile online.
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