Giuseppe Leuzzi
Riso sardonico e crisi fiscale dello Stato
La Sardegna è la terza regione
in Italia per tasso di suicidi in rapporto alla popolazione, Murgia scopriva
nel suo “Viaggio in Sardegna” una decina d’anni fa. Forse è anche la prima, a
occhio, guardando le ultime tabelle regionali dell’Istat, quelle del triennio
2018-2020. Più del doppio della Calabria, che ha una popolazione residente maggiore,
solo qualche decina in meno della Campania o della Puglia, che hanno una popolazione
tre volte e mezza e due volte e mezza quella della Sardegna.
Al Sud in generale si muore
meno per suicidio del Centro Italia. E molto meno sia del Nord-Est che del
Nord-Ovest - la povertà, relativa certo, dà più fiducia? Eccetto il record della
Sardegna. Che, però, non è una tradizione, antichissima? O\e un’anticipazione,
della moderna teoria della buona morte, da Hitler alla Svizzera?
Una ragione per
eliminare la gente inutile c’è, spiegava Propp, l’analista delle fiabe: “Tra
l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di
uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. Era una
commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu
donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se
incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo ridendo. La risata
passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono
nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino?
Questo Michela l’ha mancato:
la pratica dell’“accabadora” derivata dal vecchio uso sardonico. La pratica
però può tornare utile nell’instaurazione che il contemporaneo illuminismo persegue
della buona morte. Per mano propria o altrui. Di persone che comunque non potranno
vivere una “buona vita”, e quindi è inutile tenere in vita. Con un risparmio
notevole per il bilancio della sanità – di che risolvere l’ormai cinquantennale
crisi fiscale dello Stato.
Molti passi sono già stati fatti
su questa strada. Perché si dice “Svizzera” ma di fatto la Germania e altri paesi
dell’ur-germanesimo da tempo non praticano chirugia antitumore sugli
ultrasettantacinquenni senza garanzie di risanamento risolutivo. Col riso sardonico
l’Italia si assicurerebbe un sicuro primato.
Le architetture del leghismo
L’antipatia di Gadda per la sua terra, per le
architetture della Lombardia, della Brianza, di Milano, professata specialmente
nei racconti milanesi e nella “Cognizione del dolore”, ermegeva, più che come
una fobia, come un rifiuto argomentato nell’abbozzo della “Cognizione” che è il
racconto “Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus”, dell’autunno del 1933. Un testo
pubblicato tardi, nel 1970, in una collettanea in onore di Raffaele Mattioli,
il banchiere-mecenate che molto aveva aiutato Gadda, ora nella raccolta “Le
bizze del capitano in congedo”:
“Volendo io
discorrere la cagione di così turpe e scimiesco malfare, dirò che la si ritrova essere di quattro diverse generazioni:
primo perché detti Lombardi sono mescolati di Galli e di Germani e sentono come
uno richiamo del sangue e delle terre da che ab antiquo convennono sotto il
cielo ed i segni e le leggi nostrani: e questa è cagione non disdicevole perché
la è congeniale, né vi ha luogo di accusa. Secondo perché i traffici e
industriose fabbriche de li pitali di ferro smaltato vennero loro nell’anno
1900 circa primamente dalla Magna, e col venir pitali motori elettrici e
macchine da tessere essi pensorno, nel giudicio suo, ne dovesse venire in
consequenzia l’arte dell’edificio, che è legata alla materia invece ed al clima,
alle convenienze ed alle luci, alle opportunità delle genti e de’ luoghi…. La
terza generazione dell’esser scimmie
rivolte nel cielo settentrionale è la più grave e turpe, ed è una sorta di
mancamento della propria anima di popolo, o del senso, del valore e vigore
collettivo del popolo suo… E la quarta generazione, dirò a conchiudere, è fatta
d’ignoranza, di cecità, d’ignavia, e di celtica e germanica presunzione mescolate
nel sangue lombardo, senza l’attiva ricerca di quelli”…
“Andate a veder mondo e paese!”, Gadda infine esorta i
suoi: “E modi e genti, torri e palazzi”.
Milano e la Lombardia, molto
sono mutate in breve tempo – hanno fatto la “gita a Chiasso” che l’altro Gran
Lombardo, Arbasino, consigliava. Per gli affari. Ma lo spirito è sempre quello?
“Ogni operosa bontà non può ignorare gli emuli sua,poiché se tu non li vedi”,
proseguiva Gadda, “e’ possono aver fatto senza tu lo sappi cento volte quel che
tu fai”.
Il Nord è un valore, sotto spirito
Da anni la Finlandia viene
incoronata il paese più felice al mondo da chi compila queste classifiche. Suscitando l’ilarità dei finlandesi.
Come nel caso degli attori protagonisti del film di Kaurismaki premiato a
Cannes, “Foglie al vento”, Alma Pöysti e Jussi Vatanen. Una storia d’amore muto,
nel cinema parlato, ma nel film si parla pochissimo, tra due senza lavoro, lei
licenziata per nessuna ragione, lui perché beve. L’ennesima storia di deiezioni,
silenzi e malinconie. “Il tono del fim non è così distante dalla realtà”,
spiega Pöysti a Marco Consoli sul “Venerdì di Repubblica”, “perché la cosa più
scontata da condividere tra finlandesi è il silenzio”. E Vatanen: “Per questo l’alcol è così diffuso
nel nostro Paese. Ci serve qualcosa che ci aiuti a superare questa barriera
sociale ma anche per dimenticare il dolore dell’esistenza”. Per “barriera
sociale” intendendo la segmentazione, fra chi è affidabile e chi no.
La Finlandia è, con la
Danimarca, il secondo paese al mondo dove chi beve si ubriaca almeno due volte
al mese – prima viene l’Australia, con tre ubriacature per alcolista al mese.
Calabria-Veneto, quasi un gemellaggio
Il paese di Arborea, in
provincia di Oristano, spiega Murgia nel “Viaggio in Sardegna”, “ha la
produttività agricola più elevata dell’isola ed è tra i primi cinque produttori
italiani di latte”. Era una zona
malarica, bonificata negli anni 1920 e messa inproduzione con “criteri di
sfruttamento più razionali: il centro è tuttora abitato dalla comunità di
origine veneta che lo fondò”.
A lungo i veneti sono emigrati, per bisogno, fino agli
anni 1960, anche 1970. In Sardegna, come si vede, come in tutte le zone
malariche da bonificare, nelle paludi pontine, nell’arido sud-ovest della Francia.
Al Sud pure in virtù della ferma militare a Casarsa della Delizia, fonte di
connubi anche felicissimi. Due è possibile ricordare personalmente. Di neo padrone
di casa venete all’origine della prima valorizzazione in Calabria del Parco del
Pollino a Campotenese, e del Parco dell’Aspromonte sotto Gambarie, poco sopra
Santo Stefano. Un rifugio per camminatori, che divenne anche sosta pranzo per
la prospiciente autostrada, e un una trattoria di campagna paradisiaca con
vista sullo Stretto, lontano e avvolgente, attraverso rami di limoni e di mandorli.
Il primo colono moderno di Sibari, area
malarica, che vi importò le risaie, era di origini venete. Vi si dedicò dopo
che una rabdomante altoatesina vi aveva trovato l’acqua. L’impresa fu
difficile: i terreni erano cinque metri sotto il livello del mare, l’area era
da un millennio abbondante infetta – acquitrinosa, malarica. Ma il signor
Candido ci riuscì. Questo settant’anni fa, poco più. Oggi la piana di Sibari è
un giardino delle Esperidi. Vi fioriscono gli agrumi, arrivando sul mercato
come primizie (clementine) e come prodotti tardivi (ovale di Calabria,
succosissimo a giugno), varie qualità di pesche, le albicocche. Mentre le
risaie arricchiscono anche la diocesi di Cassano, cara al papa Francesco.
Parlava del signor Candido, risicultore di origine
padovana a Sibari, Gustav René Hocke, nei suoi “vagabondaggi nel Suditalia
greco”, che intitolò “Magna Grecia”. Non se ne sa di più.
Cronache della
differenza: Aspromonte
Il “Corriere della sera-Login”
visualizza graficamente i 1.600 e oltre terremoti del 2022. Quelli più numerosi, ma meno che devastanti,
dal punto 3 al punto 3.9 della scala, sono tutt’attorno all’Aspromonte, in mare. Nel
Tirreno tra la Piana e le Eolie, e sopra capo Vaticano, verso il golfo di Lamezia. Oppure nello Jonio - almeno
quattro scosse sono state registrate nel mare antistante la Montagna, da Roccella a capo Spartivento.
La Montagna è solida.
Toro
è il dio che ha rapito Europa – poi divenuto bestia sacrificale nelle grotte
del dio Mitra. Risorto - o riapplicato - in Taormina (Tauromenion) e Gioia Tauro (l’antica
Metauros, n.d.r., con l’aggettivo Gioia
derivato dal greco-bizantino zoa,
viva). “Ai piedi dei monti degli antichi Vituli, così chamati dal loro animale totemico – lo
stesso che avrebbe dato il nome alla parola “Italia” (Paolo Rumiz, “Una voce
dal Profondo”, 88). Stiamo parlando dell’Aspromonte.
A Gambarie
si sciava guardando il mare, fino all’Etna. Un’infausta riforestazione lo impedisce:
si scende dal monte Scirocco come in una qualsiasi vallata alpina, chiusa, o
abruzzese.
“Il 60 per cento delle
foreste italiane è gestito a vuoto: non genera valore”, Alessandra Stefani, direttore
generale Economia Montana al ministero dell’Agricoltura e Foreste: “Il legno viene
tagliato e bruciato e basta”. Non era così. La Sila si pregiava d’essere il “bosco
d’Italia”. L’Aspromonte terra di abetieri, falegnami e mobilieri specializzati
nel trattamento delle abetaie - poi soppiantatae da frassini e faggi. Ora il
parco accudisce, ma nel senso di accumulare. Roba anche inutile. Anche dannosa –
insetti, cinghiali, incendi.
“Liberare” le pinete è come
un grido, spontaneo andando per l’Aspromonte, nel
Parco. Molti boschi, soprattutto le pinete, sono così fitti che sono secchi:
sono verdi all’esterno, dove gli alberi respirano, sono vuoti e secchi
all’interno, dove i pini sono stati piantati a grappolo, e non cresce nemmeno
un filo d’erba. Pinete marce, che
peendono fuoco con una scintilla.
Si continua a piantare, anche se non crescerà nulla, non può.
Gli abeti, che coi faggi crescono facendosi vicendevolmente ombra, vengono piantati
a fasci, isolati sotto il solleone, sicuri quindi che il rimboschimento è
solo una spesa sprecata. Ci guadagnano solo i vivaisti.
Si sono
rimboschite le radure, d’alpeggio o frangifuoco. Sono state ricoperte, appena
creato il Parco, di fitta alberatura, quasi ovunque di pino canadese. Sono
radure che sono sempre servite da pascolo a ovini e bovini, che hanno sempre
contrassegnato il territorio, creando aria, ospitando vedute, e che da sempre
ospitavano specie erbose caratteristiche, ora sacrificate all’ombra di pini
estranei al territorio, che proiettano un’impressione di soffocamento.
Cosa ci vuole, quale arte superiore, per sfoltire le pinete
secche, liberare le radure, piantare faggi e abete a regola d’arte? Quale norma
europea – “lo vuole Bruxelles” è il solo comando sentito in Italia. Non hanno i
parchi, gli ex Forestali, le aziende forestali dello Stato, degli agronomi?
Perché tanto spreco, offensivo ai più?
Si rimboschisce
qualsiasi superficie scoperta. A Gambarie non solo la pista da sci, anche la
spianata del Grande Albergo, una vasta terrazza sullo stretto, una presa d’aria
e di benessere, di luce, è diventata una selva – dopo il periodo in cui l’albergo
è stata adibito a casa di riposo, più redditizia.
Tre
Aie, ancora a Gambarie, era un sito ameno, attorno a tre sorgenti, in un
ambiente aperto, che respirava la montagna e la brezza del mare, è ora un sito cupo,
sovrastato da alberi enormi, frondosi, polverosi. Le fonti alimentano una marcita, paludosa.
leuzzi@antiit.eu
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