venerdì 29 dicembre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (547)

Giuseppe Leuzzi


Riso sardonico e crisi fiscale dello Stato
La Sardegna è la terza regione in Italia per tasso di suicidi in rapporto alla popolazione, Murgia scopriva nel suo “Viaggio in Sardegna” una decina d’anni fa. Forse è anche la prima, a occhio, guardando le ultime tabelle regionali dell’Istat, quelle del triennio 2018-2020. Più del doppio della Calabria, che ha una popolazione residente maggiore, solo qualche decina in meno della Campania o della Puglia, che hanno una popolazione tre volte e mezza e due volte e mezza quella della Sardegna.
Al Sud in generale si muore meno per suicidio del Centro Italia. E molto meno sia del Nord-Est che del Nord-Ovest - la povertà, relativa certo, dà più fiducia? Eccetto il record della Sardegna. Che, però, non è una tradizione, antichissima? O\e un’anticipazione, della moderna teoria della buona morte, da Hitler alla Svizzera?
Una ragione per eliminare la gente inutile c’è, spiegava Propp, l’analista delle fiabe: “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. Era una commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo ridendo. La risata passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino?  
Questo Michela l’ha mancato: la pratica dell’“accabadora” derivata dal vecchio uso sardonico. La pratica però può tornare utile nell’instaurazione che il contemporaneo illuminismo persegue della buona morte. Per mano propria o altrui. Di persone che comunque non potranno vivere una “buona vita”, e quindi è inutile tenere in vita. Con un risparmio notevole per il bilancio della sanità – di che risolvere l’ormai cinquantennale crisi fiscale dello Stato.
Molti passi sono già stati fatti su questa strada. Perché si dice “Svizzera” ma di fatto la Germania e altri paesi dell’ur-germanesimo da tempo non praticano chirugia antitumore sugli ultrasettantacinquenni senza garanzie di risanamento risolutivo. Col riso sardonico l’Italia si assicurerebbe un sicuro primato.     
 
Le architetture del leghismo
L’antipatia di Gadda per la sua terra, per le architetture della Lombardia, della Brianza, di Milano, professata specialmente nei racconti milanesi e nella “Cognizione del dolore”, ermegeva, più che come una fobia, come un rifiuto argomentato nell’abbozzo della “Cognizione” che è il racconto “Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus”, dell’autunno del 1933. Un testo pubblicato tardi, nel 1970, in una collettanea in onore di Raffaele Mattioli, il banchiere-mecenate che molto aveva aiutato Gadda, ora nella raccolta “Le bizze del capitano in congedo”:
“Volendo io discorrere la cagione di così turpe e scimiesco malfare, dirò che la si ritrova essere di quattro diverse generazioni: primo perché detti Lombardi sono mescolati di Galli e di Germani e sentono come uno richiamo del sangue e delle terre da che ab antiquo convennono sotto il cielo ed i segni e le leggi nostrani: e questa è cagione non disdicevole perché la è congeniale, né vi ha luogo di accusa. Secondo perché i traffici e industriose fabbriche de li pitali di ferro smaltato vennero loro nell’anno 1900 circa primamente dalla Magna, e col venir pitali motori elettrici e macchine da tessere essi pensorno, nel giudicio suo, ne dovesse venire in consequenzia l’arte dell’edificio, che è legata alla materia invece ed al clima, alle convenienze ed alle luci, alle opportunità delle genti e de’ luoghi…. La terza generazione  dell’esser scimmie rivolte nel cielo settentrionale è la più grave e turpe, ed è una sorta di mancamento della propria anima di popolo, o del senso, del valore e vigore collettivo del popolo suo… E la quarta generazione, dirò a conchiudere, è fatta d’ignoranza, di cecità, d’ignavia, e di celtica e germanica presunzione mescolate nel sangue lombardo, senza l’attiva ricerca di quelli”…
“Andate a veder mondo e paese!”, Gadda infine esorta i suoi: “E modi e genti, torri e palazzi”.
Milano e la Lombardia, molto sono mutate in breve tempo – hanno fatto la “gita a Chiasso” che l’altro Gran Lombardo, Arbasino, consigliava. Per gli affari. Ma lo spirito è sempre quello? “Ogni operosa bontà non può ignorare gli emuli sua,poiché se tu non li vedi”, proseguiva Gadda, “e’ possono aver fatto senza tu lo sappi cento volte quel che tu fai”.
 
Il Nord è un valore, sotto spirito
Da anni la Finlandia viene incoronata il paese più felice al mondo da chi compila queste  classifiche. Suscitando l’ilarità dei finlandesi. Come nel caso degli attori protagonisti del film di Kaurismaki premiato a Cannes, “Foglie al vento”, Alma Pöysti e Jussi Vatanen. Una storia d’amore muto, nel cinema parlato, ma nel film si parla pochissimo, tra due senza lavoro, lei licenziata per nessuna ragione, lui perché beve. L’ennesima storia di deiezioni, silenzi e malinconie. “Il tono del fim non è così distante dalla realtà”, spiega Pöysti a Marco Consoli sul “Venerdì di Repubblica”, “perché la cosa più scontata da condividere tra finlandesi è il silenzio”.  E Vatanen: “Per questo l’alcol è così diffuso nel nostro Paese. Ci serve qualcosa che ci aiuti a superare questa barriera sociale ma anche per dimenticare il dolore dell’esistenza”. Per “barriera sociale” intendendo la segmentazione, fra chi è affidabile e chi no. 
La Finlandia è, con la Danimarca, il secondo paese al mondo dove chi beve si ubriaca almeno due volte al mese – prima viene l’Australia, con tre ubriacature per alcolista al mese.
 
Calabria-Veneto, quasi un gemellaggio
Il paese di Arborea, in provincia di Oristano, spiega Murgia nel “Viaggio in Sardegna”, “ha la produttività agricola più elevata dell’isola ed è tra i primi cinque produttori italiani di latte”. Era una zona malarica, bonificata negli anni 1920 e messa inproduzione con “criteri di sfruttamento più  razionali:  il centro è tuttora abitato dalla comunità di origine veneta che lo fondò”.
A lungo i veneti sono emigrati, per bisogno, fino agli anni 1960, anche 1970. In Sardegna, come si vede, come in tutte le zone malariche da bonificare, nelle paludi pontine, nell’arido sud-ovest della Francia. Al Sud pure in virtù della ferma militare a Casarsa della Delizia, fonte di connubi anche felicissimi. Due è possibile ricordare personalmente. Di neo padrone di casa venete all’origine della prima valorizzazione in Calabria del Parco del Pollino a Campotenese, e del Parco dell’Aspromonte sotto Gambarie, poco sopra Santo Stefano. Un rifugio per camminatori, che divenne anche sosta pranzo per la prospiciente autostrada, e un una trattoria di campagna paradisiaca con vista sullo Stretto, lontano e avvolgente, attraverso rami di limoni e di mandorli.  
Il primo colono moderno di Sibari, area malarica, che vi importò le risaie, era di origini venete. Vi si dedicò dopo che una rabdomante altoatesina vi aveva trovato l’acqua. L’impresa fu difficile: i terreni erano cinque metri sotto il livello del mare, l’area era da un millennio abbondante infetta – acquitrinosa, malarica. Ma il signor Candido ci riuscì. Questo settant’anni fa, poco più. Oggi la piana di Sibari è un giardino delle Esperidi. Vi fioriscono gli agrumi, arrivando sul mercato come primizie (clementine) e come prodotti tardivi (ovale di Calabria, succosissimo a giugno), varie qualità di pesche, le albicocche. Mentre le risaie arricchiscono anche la diocesi  di Cassano, cara al papa Francesco.
Parlava del signor Candido, risicultore di origine padovana a Sibari, Gustav René Hocke, nei suoi “vagabondaggi nel Suditalia greco”, che intitolò “Magna Grecia”. Non se ne sa di più.
 
Cronache della differenza: Aspromonte
Il “Corriere della sera-Login” visualizza graficamente i 1.600 e oltre terremoti del 2022. Quelli più numerosi, ma meno che devastanti, dal punto 3 al punto 3.9 della scala, sono tutt’attorno all’Aspromonte, in mare. Nel Tirreno tra la Piana e le Eolie, e sopra capo Vaticano, verso il golfo di Lamezia. Oppure nello Jonio - almeno quattro scosse sono state registrate nel mare antistante la Montagna, da Roccella a capo Spartivento. La Montagna è solida.  

Toro è il dio che ha rapito Europa – poi divenuto bestia sacrificale nelle grotte del dio Mitra. Risorto - o riapplicato - in Taormina (Tauromenion) e Gioia Tauro  (l’antica Metauros, n.d.r., con l’aggettivo Gioia derivato dal greco-bizantino zoa, viva). “Ai piedi dei monti degli antichi Vituli,  così chamati dal loro animale totemico – lo stesso che avrebbe dato il nome alla parola “Italia” (Paolo Rumiz, “Una voce dal Profondo”, 88). Stiamo parlando dell’Aspromonte.
 
A Gambarie si sciava guardando il mare, fino all’Etna. Un’infausta riforestazione lo impedisce: si scende dal monte Scirocco come in una qualsiasi vallata alpina, chiusa, o abruzzese.
 
“Il 60 per cento delle foreste italiane è gestito a vuoto: non genera valore”, Alessandra Stefani, direttore generale Economia Montana al ministero dell’Agricoltura e Foreste: “Il legno viene tagliato e bruciato e basta”. Non era così. La Sila si pregiava d’essere il “bosco d’Italia”. L’Aspromonte terra di abetieri, falegnami e mobilieri specializzati nel trattamento delle abetaie - poi soppiantatae da frassini e faggi. Ora il parco accudisce, ma nel senso di accumulare. Roba anche inutile. Anche dannosa – insetti, cinghiali, incendi.
 
“Liberare” le pinete è come un grido, spontaneo andando per l’Aspromonte, nel Parco. Molti boschi, soprattutto le pinete, sono così fitti che sono secchi: sono verdi all’esterno, dove gli alberi respirano, sono vuoti e secchi all’interno, dove i pini sono stati piantati a grappolo, e non cresce nemmeno un filo d’erba. Pinete marce, che peendono fuoco con una scintilla.
Si continua a piantare, anche se non crescerà nulla, non può. Gli abeti, che coi faggi crescono facendosi vicendevolmente ombra, vengono piantati a fasci, isolati sotto il solleone, sicuri quindi che il rimboschimento è solo una spesa sprecata. Ci guadagnano solo i vivaisti.
 
Si sono rimboschite le radure, d’alpeggio o frangifuoco. Sono state ricoperte, appena creato il Parco, di fitta alberatura, quasi ovunque di pino canadese. Sono radure che sono sempre servite da pascolo a ovini e bovini, che hanno sempre contrassegnato il territorio, creando aria, ospitando vedute, e che da sempre ospitavano specie erbose caratteristiche, ora sacrificate all’ombra di pini estranei al territorio, che proiettano un’impressione di soffocamento.
Cosa ci vuole, quale arte superiore, per sfoltire le pinete secche, liberare le radure, piantare faggi e abete a regola d’arte? Quale norma europea – “lo vuole Bruxelles” è il solo comando sentito in Italia. Non hanno i parchi, gli ex Forestali, le aziende forestali dello Stato, degli agronomi? Perché tanto spreco, offensivo ai più?
 
Si rimboschisce qualsiasi superficie scoperta. A Gambarie non solo la pista da sci, anche la spianata del Grande Albergo, una vasta terrazza sullo stretto, una presa d’aria e di benessere, di luce, è diventata una selva – dopo il periodo in cui l’albergo è stata adibito a casa di riposo, più redditizia.
 
Tre Aie, ancora a Gambarie, era un sito ameno, attorno a tre sorgenti, in un ambiente aperto, che respirava la montagna e la brezza del mare, è ora un sito cupo, sovrastato da alberi enormi, frondosi, polverosi. Le fonti alimentano una  marcita, paludosa.


leuzzi@antiit.eu

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