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martedì 5 dicembre 2023

Il mondo com'è (468)

astolfo


Caterina Gabrieli
- La soprano per eccellenza del Settecento, e quella che più ha contribuito alla figura della primadonna bisbetica. Già celebrata da Metastasio, veniva incoronata regina della scena dal concertista inglese Charles Burney, “Viaggio musicale in Italia 1770”, pubblicato nel 1771, e dal viaggiatore scozzese Patrick Brydone. “Viaggio in Sicilia e a Malta – 1770”, pubblicato nel 1773. Brydone la celebra entusiasta: “Senza dubbio la migliore del mondo”, avendola specialmente ammirata in una scena in cui il tenore, Pacherotti, per la vergogna di avere sfigurato al confronto di lei, scappa in lacrime dietro le quite. “Il talento della Gabrieli è universalmente conosciuto e ammirato…”, continua: “Le sue meravigliose esecuzioni e la sua agile voce suscitano l’ammirazione di tutta Italia, costringendo gli italiani perfino a inventarsi parole nuove per esprimerla”. Se non che è capricciosa. “Comunque, con tutti i suoi difetti,è certo l sirena più pericolosa dei tempi moderni, e ha fatto più conquiste (almeno credo) di qualsiasi altra donna vivente. È anche molto generosa. E molto ricca, grazie alla munificenza (pare) dell’ultimo imperatore, il quale si compiaceva di averla a Vienna”. Anche se è stata bandita pure da Vienna, “per gli imbrogli e i litigi” da lei provocati. Ma più dai suoi intrighi che dalla bellezza. Anche se si presenta con molte doti. “Sebbene abbia  da tempo varcato la trentina (nel 1770 aveva quarant’anni, n.d.r.), sulla scena dimostra a malapena diciott’anni”. E “ha una padronanza di mezzi che non ha limiti”. Inoltre, “la sua bravura come attrice è quasi pari a quella di cantante: non ho trovato ancora nessuna che sapesse commuovermi come lei, a volte con poche parole di un recitativo e un accompagnamento in la. Quasi quasi comincio a credere a quanto dice Rousseau di questo genere di musica, da noi disprezzato. La Gabrieli deve molto della sua arte alla guida di Metastasio, specialmente per la recitazione; da autore egli ammette egli ammette che la Gabrieli interpreta i suoi melodrammi meglio di ogni altra attrice”. Ma ha un caratteraccio: “I capricci di questa donna sono così tenaci e caparbi che niente può imbrigliarli, né lusinghe, né minacce, né punizioni”. Un lungo racconto è quello di un pranzo e una rappresentazione per ospiti importanti che il vicerè di Palermo  aveva organizzato contando su di lei: fece aspettare gli ospiti a tavola, facendosi trovare a casa “a letto che leggeva”, scusandosi che “si era completamene dimenticata dell’impegno” – e poi a teatro cantando sottovoce, per l’irritazione del viceré e dei suoi ospiti. Il vicerè la fece per questo imprigionare, e lei, in carcere per dodici giorni, “dette dei magnifici concerti ogni giorno, pagò i debiti di tutti i prigionieri poveri e distribuì larghe somme in beneficenza” - “il vicerè fu costretto ad abbandonare la lotta, e la rimise in libertà tra le acclamazioni dei poverelli”.
 
Martha Marcovaldi
– Fu la moglie di Robert Musil. Di cui si vuole oggi, nell’ambito degli studi di genere, che sia stata anche la collaboratrice, in qualche misura la coautrice.
Musil fu il suo terzo marito, col quale convisse fino alla morte di lui, nel 1942, con lui spostandosi su e giù per la Germania, l’Austria e infine la Svizzera. Da ultimo a protezione sua, di lei, che essendo ebrea, benché da documenti procuratile dal marito risultasse cristiana luterana, dovette evitare l’Austria di Musil e la sua Germania, ed ebbe residenza difficile, molto controllata, in Svizzera, a Zurigo prima e poi a Ginevra. Morirà nel 1949, a Roma, a 75 anni, in casa del figlio Gaetano Marcovaldi, un professore liceale (al Visconti) di italiano, specialista di Dante, in via Settembrini , n. 13 – figlio avuto col secondo marito, di cui da divorziata aveva conservato il cognome (a via Settembrini il secondo marito era morto nel 1944). Da Ginevra, finita la guerra, si era dapprima spostata negli Stati Uniti, in casa dell’altra figlia avuta con Marcovaldi, Annina Marcovaldi Rosenthal.
Nata Heiman o Heimann a Berlino, da genitori ebrei, a gennaio del 1874, Martha aveva perso il padre a soli due mesi, un banchiere, già spedizioniere a Amburgo, suicida per difficoltà economiche. A diciannove anni aveva perduto anche la madre. Aveva vissuto con la madre in Italia, per prendere lezioni di pittura – a Torino sarebbe stata ritratta da Giacomo Balla, che anche lui viveva con la madre. Aveva sposato un cugino, che però era morto di tifo a Firenze nel viaggio di nozze. E in seconde nozze, a Berlino, il commerciante romano Enrico Marcovaldi, col quale ebbe due figli. Sposò Musil una volta completate le procedure di divorzio da Marcovaldi, il 14 aprile 1911, a 37 anni, a Berlino, e vissero insieme per tutta la vita di lui, trentun’anni. Una vita inquieta, più raminga che stabilizzata, tra Berlino, Vienna, Zurigo, Ginevra. Senza figli. Con qualche gelosia. Di lui per il precedente marito di lei, di lei per Ida Roland, l’attrice viennese, anch’essa ebrea, sposa di Coudenhove-Kalergi, l’europeista che fonderà l’Unione Paneuropea. E con qualche tentativo – o solo minaccia - di suicidio. Al matrimonio si erano iscritti, come punto d’incontro tra la condizione ebraica di lei e quella cattolica di lui, nei registri del protestantesimo luterano.
Aveva incontrato Musil quattro anni prima, nel 1907 – alcune fonti dicono nel 1905. La storia vuole che Musil l’abbia vista al prima volta alla stazione di Rövershagen, presso Rostock, mentre lei stava cambiando treno, diretta a Graal-Mürizt, sul Baltico, con i due figli Marcovaldi per la villeggiatura, e ne sia stato colpito come dal fulmine. Tanto da saltare sullo stesso treno per seguirla (uno schema però ricorrente nella narrativa tedesca, anche nel lungo racconto di Corrado Alvaro intitolato “Solitudine”), e prendere alloggio nello steso albergo di lei, il Waldhotel – che di quel soggiorno tiene la memoria. Nel 1907 moriva Hermine Dietz, con la quale Musil aveva avuto una relazione lunga cinque anni, e che l’anno prima aveva abortito a causa della sifilide – di cui soffriva lo scrittore, che l’aveva contratta poco prima della loro relazione (di Herma Dietz Musil farà il ritratto nella novella “Tonka”).
Non bella, reduce da due matrimoni, di sette anni (meno due mesi) maggiore di Musil, ma evidentemente di grande fascino, Martha si presume il modello di personaggi femminili importanti di Musil: Agathe de “L’uomo senza qualità”, e\o Clarisse, la “nietzscheana” (che però potrebbe avere avuto a modello Alice Charlemont, moglie dell’amico di gioventù di Musil, il musicista Gustav Donath), e Claudine di “Il compimento dell’amore” .
Una biografia letteraria di Martha, pubblicata nel 2006 da una studiosa dell’università della Sarre, presidente da una vita della Société Internationale Robert Musil, Marie-Luise Erben, “Un destin de femme - Martha Musil: l’amante, l’épouse, la soeur”, ne fa l’ispiratrice o il modello dei personaggi più rilevanti dell’“Uomo senza qualità”. Basandosi sulla corrispondenza di Martha col saggista svizzero Armin Kesser giunge alla conclusione che “la simbiosi tra Martha e il. suo sposo è evidente”. E  che “lei nutrisce i personaggi femminili più ricchi e più complessi”, soprattutto Agathe, la sorella. È lei che “gli permette di raccontare nell’«Uomo senza qualità» esperienze di vita su temi molto concreti: la gelosia, il desiderio e le numerose forme d’amore, dal più carnale al più «mistico»”.  
Recentemente Regina Schaunig, specialista di Musil al Robert Musil Institut dell’università di Klagenfurt, ne fa una sorta di co-autrice, più che di intermediaria, dell’opus magnum, cui Musil lavorò per tutti gli anni della vita insieme - “Das Murmeln der Dichterfrau: Martha Musil als Co-Autorin”, il mormorio della moglie del poeta.
Un recupero è in corso anche dell’attività di Martha Marcovaldi come disegnatrice e pittrice. Non se ne conoscono molti lavori. Musil non ne aveva grande opinione. Ma plaquettes di schizzi e piccole esposizioni si succedono. Nello studio “«Lui» e «Lei»” Musil caratterizza la moglie così: “Non so se dovrei dire di mia moglie che è una pittrice, non ha toccato il pennello per anni”. Ricorda che “un disegno che ha fatto di me è diventato molto noto, un nudo di una giovane donna, esposto a Vienna, è stato molto notato. Ha esposto a Berlino, Monaco, Vienna e Roma: nel passato!”. Quindi descrive il suo modo di dipingere. E si dilunga sulla sua grande conoscenza delle letterature, “molto di più di quanto io sappia”. Con un gusto sicuro: “Non solo ha un senso ferreamente strutturato di quanto è buono, ma anche di quanto è inadeguato, che è molto più raro”. È su questo tipo di considerazione che si lavora, ch un po’ Musil era lei.
 
Nabka
– La Nabka che Avi Dichter prospetta come esito finale per i palestinesi di Gaza, l’ex capo dello Shin Bet, i servizi segreti israeliani, ora ministro dell’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, e per quelli della Cisgiordania, allude all’esodo forzato, o espulsione, dei Palestinesi al termine della guerra civile 1947-1848 che vide la creazione dello stato di Israele. Una “catastrofe”, questo il senso letterale del termine, che viene commemorata fra i palestinesi e nel mondo arabo il 15 maggio, in ricordo del 15 maggio 1948, quanto 750 mila palestinesi, secondo il calcolo mediamente più accettato, ora anche dagli storici di Israele (Benny Morris, Elie Barnavi tra gli altri), furono espulsi dalle terre su cui avevano vissuto – la cifra si è precisata negli anni 1990, quando sono stati aperti agli storici gli archivi di trent’anni prima.

L’opinione israeliana è stata a lungo divisa sulla Nabka: i moderati e le sinistre la negavano, le destre la rivendicavano. Il governo, anche di destra, l’ha sempre negata. Ma dopo il 7 ottobre la rivendica e la invoca, l’espulsione, che ha intensificato in Cisgiordania, prospettando come una “necessità storica”, le attività di colonizzazione sostenendo con l’esercito e la polizia. Nel bilancio straordinario di guerra varato il 27 novembre il governo ha allocato l’equivalente di 121 milioni di euro, su un totale di un miliardo, per la colonizzazione della Cisgiordania – in aggiunta ai 60 milioni già previsti d al bilancio ordinario 2023-2024.  
Col tempo, più che con l’espulsione in massa del 15 maggio, la Nabka si è identificata con la diaspora forzata dei palestinesi. Cominciata prima di quella data, a partire da fine 1947, quando le famiglie abbienti di Gerusalemme avevano cominciato a cercare rifugio in Libano e in Giordania, e proseguita, sempre prima del 15 maggio, da professionisti e coltivatori. Analogamente, dopo il 15 maggio molti palestinesi si sono costretti all’esproprio e\o alla migrazione forzata, per effetto delle leggi del nuovo Stato e, dopo la Guerra dei Sei Giorni, 1967, per l’occupazione israeliana della Cisgiordania, della politica israeliana di “colonizzazione” – di colonizzazione nel senso del colonialismo, di acquisizione forzosa di beni e terreni già di proprietà e uso altrui, degli “indigeni”.

A oggi gli “esodati” palestinesi sono conteggiati dall’Onu (Unrwa) in circa 5,5 milioni. In larga parte senza beni di fortuna e senza alloggio (assistiti in campi profughi). Discendenti della Nabka del 948 o vittime della politica israeliana di colonizzazione su base etnica.  
 
Niccoloso da Recco
– Il primo navigatore oceanico, o uno dei primi. Quando Boccaccio tornava da Napoli a Firenze, nel 1340, lasciando le belle donne per la letteratura col Petrarca, e la spensieratezza per il commercio in crisi, Niccoloso si spingeva fino alle Canarie, con equipaggio genovese, fiorentino e spagnolo, per conto del re del Portogallo Alfonso IV. Al ritorno, dopo cinque mesi, Boccaccio avidò lo interrogò, celebrandone la riscoperta con un trattatello (“De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis”) in cui riferisce dei guanche, i berberi delle isole – la scoperta, più che delle isole, già note, era stata di una “nuova popolazione”. Niccoloso aveva viaggiato insieme col fiorentino Angiolino del Tegghia de’ Corbizzi.


astolfo@antiit.eu

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