Il mondo com'è (468)
astolfo
Caterina Gabrieli - La soprano per eccellenza del Settecento, e quella
che più ha contribuito alla figura della primadonna bisbetica. Già celebrata da
Metastasio, veniva incoronata regina della scena dal concertista inglese
Charles Burney, “Viaggio musicale in Italia 1770”, pubblicato nel 1771, e dal
viaggiatore scozzese Patrick Brydone. “Viaggio in Sicilia e a Malta – 1770”,
pubblicato nel 1773. Brydone la celebra entusiasta: “Senza dubbio la migliore
del mondo”, avendola specialmente ammirata in una scena in cui il tenore,
Pacherotti, per la vergogna di avere sfigurato al confronto di lei, scappa in
lacrime dietro le quite. “Il talento della Gabrieli è universalmente conosciuto
e ammirato…”, continua: “Le sue meravigliose esecuzioni e la sua agile voce
suscitano l’ammirazione di tutta Italia, costringendo gli italiani perfino a
inventarsi parole nuove per esprimerla”. Se non che è capricciosa. “Comunque,
con tutti i suoi difetti,è certo l sirena più pericolosa dei tempi moderni, e ha
fatto più conquiste (almeno credo) di qualsiasi altra donna vivente. È anche
molto generosa. E molto ricca, grazie alla munificenza (pare) dell’ultimo
imperatore, il quale si compiaceva di averla a Vienna”. Anche se è stata bandita
pure da Vienna, “per gli imbrogli e i litigi” da lei provocati. Ma più dai suoi
intrighi che dalla bellezza. Anche se si presenta con molte doti. “Sebbene abbia da tempo varcato la trentina (nel 1770 aveva
quarant’anni, n.d.r.), sulla scena dimostra a malapena diciott’anni”. E “ha una
padronanza di mezzi che non ha limiti”. Inoltre, “la sua bravura come attrice è
quasi pari a quella di cantante: non ho trovato ancora nessuna che sapesse
commuovermi come lei, a volte con poche parole di un recitativo e un
accompagnamento in la. Quasi quasi comincio a credere a quanto dice Rousseau di
questo genere di musica, da noi disprezzato. La Gabrieli deve molto della sua
arte alla guida di Metastasio, specialmente per la recitazione; da autore egli
ammette egli ammette che la Gabrieli interpreta i suoi melodrammi meglio di
ogni altra attrice”. Ma ha un caratteraccio: “I capricci di questa donna sono
così tenaci e caparbi che niente può imbrigliarli, né lusinghe, né minacce, né
punizioni”. Un lungo racconto è quello di un pranzo e una rappresentazione per
ospiti importanti che il vicerè di Palermo aveva organizzato contando su di lei: fece
aspettare gli ospiti a tavola, facendosi trovare a casa “a letto che leggeva”,
scusandosi che “si era completamene dimenticata dell’impegno” – e poi a teatro
cantando sottovoce, per l’irritazione del viceré e dei suoi ospiti. Il vicerè
la fece per questo imprigionare, e lei, in carcere per dodici giorni, “dette dei
magnifici concerti ogni giorno, pagò i debiti di tutti i prigionieri poveri e
distribuì larghe somme in beneficenza” - “il vicerè fu costretto ad abbandonare
la lotta, e la rimise in libertà tra le acclamazioni dei poverelli”.
Martha Marcovaldi – Fu la moglie di Robert Musil. Di cui si vuole
oggi, nell’ambito degli studi di genere, che sia stata anche la collaboratrice,
in qualche misura la coautrice.
Musil fu il
suo terzo marito, col quale convisse fino alla morte di lui, nel 1942, con lui
spostandosi su e giù per la Germania, l’Austria e infine la Svizzera. Da ultimo
a protezione sua, di lei, che essendo ebrea, benché da documenti procuratile
dal marito risultasse cristiana luterana, dovette evitare l’Austria di Musil e
la sua Germania, ed ebbe residenza difficile, molto controllata, in Svizzera, a
Zurigo prima e poi a Ginevra. Morirà nel 1949, a Roma, a 75 anni, in casa del
figlio Gaetano Marcovaldi, un professore liceale (al Visconti) di italiano,
specialista di Dante, in via Settembrini , n. 13 – figlio avuto col secondo
marito, di cui da divorziata aveva conservato il cognome (a via Settembrini il
secondo marito era morto nel 1944). Da Ginevra, finita la guerra, si era dapprima
spostata negli Stati Uniti, in casa dell’altra figlia avuta con Marcovaldi, Annina
Marcovaldi Rosenthal.
Nata Heiman o
Heimann a Berlino, da genitori ebrei, a gennaio del 1874, Martha aveva perso il
padre a soli due mesi, un banchiere, già spedizioniere a Amburgo, suicida per
difficoltà economiche. A diciannove anni aveva perduto anche la madre. Aveva
vissuto con la madre in Italia, per prendere lezioni di pittura – a Torino
sarebbe stata ritratta da Giacomo Balla, che anche lui viveva con la madre. Aveva
sposato un cugino, che però era morto di tifo a Firenze nel viaggio di nozze. E
in seconde nozze, a Berlino, il commerciante romano Enrico Marcovaldi, col
quale ebbe due figli. Sposò Musil una volta completate le procedure di divorzio
da Marcovaldi, il 14 aprile 1911, a 37 anni, a Berlino, e vissero insieme per
tutta la vita di lui, trentun’anni. Una vita inquieta, più raminga che
stabilizzata, tra Berlino, Vienna, Zurigo, Ginevra. Senza figli. Con qualche
gelosia. Di lui per il precedente marito di lei, di lei per Ida Roland,
l’attrice viennese, anch’essa ebrea, sposa di Coudenhove-Kalergi, l’europeista
che fonderà l’Unione Paneuropea. E con qualche tentativo – o solo minaccia - di
suicidio. Al matrimonio si erano iscritti, come punto d’incontro tra la
condizione ebraica di lei e quella cattolica di lui, nei registri del
protestantesimo luterano.
Aveva incontrato
Musil quattro anni prima, nel 1907 – alcune fonti dicono nel 1905. La storia
vuole che Musil l’abbia vista al prima volta alla stazione di Rövershagen, presso
Rostock, mentre lei stava cambiando treno, diretta a Graal-Mürizt, sul Baltico,
con i due figli Marcovaldi per la villeggiatura, e ne sia stato colpito come dal
fulmine. Tanto da saltare sullo stesso treno per seguirla (uno schema però
ricorrente nella narrativa tedesca, anche nel lungo racconto di Corrado Alvaro
intitolato “Solitudine”), e prendere alloggio nello steso albergo di lei, il
Waldhotel – che di quel soggiorno tiene la memoria. Nel 1907 moriva Hermine
Dietz, con la quale Musil aveva avuto una relazione lunga cinque anni, e che l’anno
prima aveva abortito a causa della sifilide – di cui soffriva lo scrittore, che
l’aveva contratta poco prima della loro relazione (di Herma Dietz Musil farà il
ritratto nella novella “Tonka”).
Non
bella, reduce da due matrimoni, di sette anni (meno due mesi) maggiore di
Musil, ma evidentemente di grande fascino, Martha si presume il modello di
personaggi femminili importanti di Musil: Agathe de “L’uomo senza qualità”, e\o
Clarisse, la “nietzscheana” (che però potrebbe avere avuto a modello Alice
Charlemont, moglie dell’amico di gioventù di Musil, il musicista Gustav Donath),
e Claudine di “Il compimento dell’amore” .
Una biografia
letteraria di Martha, pubblicata nel 2006 da una studiosa dell’università della
Sarre, presidente da una vita della Société Internationale Robert Musil, Marie-Luise
Erben, “
Nabka – La Nabka che Avi Dichter prospetta come esito finale per i palestinesi di
Gaza, l’ex capo dello Shin Bet, i servizi segreti israeliani, ora ministro dell’Agricoltura
e lo Sviluppo Rurale, e per quelli della Cisgiordania, allude all’esodo forzato, o espulsione, dei Palestinesi al termine della guerra
civile 1947-1848 che vide la creazione dello stato di Israele. Una
“catastrofe”, questo il senso letterale del termine, che viene commemorata fra
i palestinesi e nel mondo arabo il 15 maggio, in ricordo del 15 maggio 1948,
quanto 750 mila palestinesi, secondo il calcolo mediamente più accettato, ora anche dagli storici di Israele (Benny Morris, Elie Barnavi tra gli altri), furono espulsi dalle terre su cui avevano vissuto – la cifra si è
precisata negli anni 1990, quando sono stati aperti agli storici gli archivi di
trent’anni prima.
L’opinione
israeliana è stata a lungo divisa sulla Nabka: i moderati e le sinistre la
negavano, le destre la rivendicavano. Il governo, anche di destra, l’ha sempre
negata. Ma dopo il 7 ottobre la rivendica e la invoca, l’espulsione, che ha
intensificato in Cisgiordania, prospettando come una “necessità storica”, le
attività di colonizzazione sostenendo con l’esercito e la polizia. Nel bilancio
straordinario di guerra varato il 27 novembre il governo ha allocato l’equivalente
di 121 milioni di euro, su un totale di un miliardo, per la colonizzazione
della Cisgiordania – in aggiunta ai 60 milioni già previsti d al bilancio
ordinario 2023-2024.
Col tempo, più
che con l’espulsione in massa del 15 maggio, la Nabka si è identificata con la
diaspora forzata dei palestinesi. Cominciata prima di quella data, a partire da
fine 1947, quando le famiglie abbienti di Gerusalemme avevano cominciato a cercare
rifugio in Libano e in Giordania, e proseguita, sempre prima del 15 maggio, da
professionisti e coltivatori. Analogamente, dopo il 15 maggio molti palestinesi
si sono costretti all’esproprio e\o alla migrazione forzata, per effetto delle leggi
del nuovo Stato e, dopo la Guerra dei Sei Giorni, 1967, per l’occupazione israeliana
della Cisgiordania, della politica israeliana di “colonizzazione” – di
colonizzazione nel senso del colonialismo, di acquisizione forzosa di beni e
terreni già di proprietà e uso altrui, degli “indigeni”.
A oggi gli
“esodati” palestinesi sono conteggiati dall’Onu (Unrwa) in circa 5,5 milioni.
In larga parte senza beni di fortuna e senza alloggio (assistiti in campi
profughi). Discendenti della Nabka del 948 o vittime della politica israeliana
di colonizzazione su base etnica.
Niccoloso da Recco – Il primo navigatore oceanico, o uno dei primi. Quando Boccaccio tornava da Napoli a Firenze, nel 1340, lasciando
le belle donne per la letteratura col Petrarca, e la spensieratezza per il commercio in crisi, Niccoloso si
spingeva fino alle Canarie, con equipaggio genovese, fiorentino e spagnolo, per
conto del re del Portogallo Alfonso IV. Al ritorno, dopo cinque mesi, Boccaccio
avidò lo interrogò, celebrandone la riscoperta con un trattatello (“De
Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis”) in cui
riferisce dei guanche, i berberi
delle isole – la scoperta, più che delle isole, già note, era stata di una
“nuova popolazione”. Niccoloso aveva viaggiato insieme col fiorentino Angiolino
del Tegghia de’ Corbizzi.
astolfo@antiit.eu
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