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La Cina costa caro – o l’ideologia dell’aiuto allo sviluppo
Si
fanno i conti della Via della Seta, il grande programma di “cooperazione internazionale”
della Cina (da cui l’Italia si è ora sfilata), e si vede che non è diverso dal
vecchio schema imperialista: dare poco per prendere molto. In Italia, dopo l’adesione alla Via della Seta, il deficit commerciale con
la Cina è improvvisamente raddoppiato, dai 16-20 miliardi di dollari l’anno a
quasi 40 nel 2022. Mentre gli investimenti cinesi, oggi calcolati attorno ai 30
miliardi, si distingono per essere più finanziari che produttivi - quando non sono veicoli per finanziare a buon
rendimento le attività acquisite (nel caso dell’Inter all’8 per cento, in quello
Pirelli e delle tantissime altre aziende a quota o proprietà cinese non si sa).
Molto
di più la Via della Seta ha pesato e pesa sull’ex Terzo mondo, in Asia e in
Africa. Dove gli investimenti si sono dimezzati negli ultimi cinque anni (con l’eccezione
del 2022), da 36-37 miliardi di dollari l’anno a 16-17. Mentre gli interessi riscossi
sono raddoppiati dall’anno scorso, da da 15-16 a 33-34 miliardi di dollari.
La
Via della Seta si può dire una riedizione in area comunista della vecchia ideologia
occidentale dello sviluppo. Quando si puntava, prima della globalizzazione
(decentramento e liberalizzazione della produzione e degli scambi, di cui la
Cina prima e più di tutti ha beneficiato), sull’aiuto allo sviluppo: ti
finanzio per guadagnare di più – perpetuando lo “scambio ineguale”. Una dottrina
in voga negli anni 1960, e durata per un altro paio di decenni. Benché già nelle
sue prime applicazioni fose dimostrato (da P.T.Bauer alla London School of
Economics, sulla base delle bilance dei pagamenti) che si donava per guadagnare
di più.
Un’ideologia
pervicace, quella dell’“aiuto allo sviluppo”, o della cooperazione, una sorta
di missione laica. In Italia i calcoli di Bauer furono liquidati da Federico
Caffè, che si reputava l’economista più aggiornato, come “elucubrazioni
reazionarie” – benché le partite correnti parlassero chiaro, e Bauer fosse più
socialista, radicale, di Caffè. E si aprì la strada al voto unanime del
Parlamento nel 1983, alla proposta radicale (l’unica legge proposta da Marco Pannella mai approvata), di un fondo annale per lo sviluppo dell’ammontare allora
ragguardevole di duemila miliardi di lire.
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