martedì 19 dicembre 2023

La Cina costa caro – o l’ideologia dell’aiuto allo sviluppo

Si fanno i conti della Via della Seta, il grande programma di “cooperazione internazionale” della Cina (da cui l’Italia si è ora sfilata), e si vede che non è diverso dal vecchio schema imperialista: dare poco per prendere molto. In Italia, dopo l’adesione  alla Via della Seta, il deficit commerciale con la Cina è improvvisamente raddoppiato, dai 16-20 miliardi di dollari l’anno a quasi 40 nel 2022. Mentre gli investimenti cinesi, oggi calcolati attorno ai 30 miliardi, si distingono per essere più finanziari che produttivi -  quando non sono veicoli per finanziare a buon rendimento le attività acquisite (nel caso dell’Inter all’8 per cento, in quello Pirelli e delle tantissime altre aziende a quota o proprietà cinese non si sa).
Molto di più la Via della Seta ha pesato e pesa sull’ex Terzo mondo, in Asia e in Africa. Dove gli investimenti si sono dimezzati negli ultimi cinque anni (con l’eccezione del 2022), da 36-37 miliardi di dollari l’anno a 16-17. Mentre gli interessi riscossi sono raddoppiati dall’anno scorso, da da 15-16 a 33-34 miliardi di dollari.
La Via della Seta si può dire una riedizione in area comunista della vecchia ideologia occidentale dello sviluppo. Quando si puntava, prima della globalizzazione (decentramento e liberalizzazione della produzione e degli scambi, di cui la Cina prima e più di tutti ha beneficiato), sull’aiuto allo sviluppo: ti finanzio per guadagnare di più – perpetuando lo “scambio ineguale”. Una dottrina in voga negli anni 1960, e durata per un altro paio di decenni. Benché già nelle sue prime applicazioni fose dimostrato (da P.T.Bauer alla London School of Economics, sulla base delle bilance dei pagamenti) che si donava per guadagnare di più.
Un’ideologia pervicace, quella dell’“aiuto allo sviluppo”, o della cooperazione, una sorta di missione laica. In Italia i calcoli di Bauer furono liquidati da Federico Caffè, che si reputava l’economista più aggiornato, come “elucubrazioni reazionarie” – benché le partite correnti parlassero chiaro, e Bauer fosse più socialista, radicale, di Caffè. E si aprì la strada al voto unanime del Parlamento nel 1983, alla proposta radicale (l’unica legge proposta da Marco Pannella mai approvata), di un fondo annale per lo sviluppo dell’ammontare allora ragguardevole di duemila miliardi di lire.  

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