La guerra del petrolio di Kissinger
Un punto non è stato ricordato
nei necrologi diffusi di Kissinger, che però è stato cruciale per l’Europa e
nell’area del Mediterraneo – di marginalizzazione dell’Europa e di crescita
strabiliante del mondo arabo-islamico: l’esplosione dei prezzi del petrolio, a
un mese dalla sua nomina a segretario di Stato. In una con la guerra del Kippur
scatenata dall’Egitto di Sadat.
I corsi del petrolio da un anno e
mezzo erano lamentati dalle compagnie petrolifere. I costi di produzione erano sempre
bassi, ma la redditività e la capitalizzazione delle compagnie erano deboli. E
non permettevano di finanziare la ricerca mineraria negli Stati Uniti.
Con gli idrocarburi a basso costo
infimi (al petrolio si accompagna il pezzo del gas) si era finanziata l’economia
europea. La dipendenza si rivelerà un cappio dopo la crisi dell’ottobre 1973,
prosciugando le riserve monetarie di molti paesi europei, tra cui l’Italia (nel
1975, ridotte le riserve in Banca d’Italia a quasi zero, si dovette ricorrere a
un prestito dalla Germania). L’effetto fu neutro per l’economia americana, sostanzialmente
autosufficiente per le fonti di energia: il gallone di benzina aumentò, ma non
di molto, mentre l’industria petrolifera, per tre quinti americana, si
ricapitalizzò vistosamente.
Nel 1972 e nel 1973, alle assise periodiche
dei paesi produttori di petrolio un diplomatico americano di nome James Akins, “collaboratore
del consigliere nazionale per la sicurezza Henry Kissinger”, ne era diventato
la vedette, applaudito, tra risate e
manate. Interveniva sempre, e spiegava che il petrolio era sottovalutato, e che
non c’erano mercati alternativi di fonti di energia al petrolio.
A
fine 1973 il neo segretario di Stato Kissinger nominava il 1974 “l’anno dell’Europa”.
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