sabato 4 febbraio 2023

Caccia (islamica) al cristiano

Sono – sono stati nel 2022 – 360 milioni i cristiani “fortemente perseguitati” a motivo della fede, uno su sette. È la statistica di Portes Ouvertes, associazione belga dei diritti umani. Sono stati 5.621 i cristiani uccisi, specificamente, a motivo della fede. Più 5.259 rapiti, spesso scomparsi nel nulla. E 4.542 carcerati, spesso seviziati.
Questi cristiani uccisi, rapiti, imprigionati sono tutti di area islamica, dal Pakistan all’Egitto, dall’Egitto alla Somalia e alla Nigeria. “Vale la pena chiedersi”, si chiede Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica” a proposito della Nigeria : “A chi dava fastidio la nascita di una democrazia islamo-cristiana africana, diversa da quella araba?”. Agli arabi: da cinquant’anni, dopo la moltiplicazione del petrolio nel 1973, le petromonarchie hanno riempito l’Africa sub-sahariana di soldi. A una condizione.
Sulla Nigeria pesa anche la fallita secessione “cristiana” del Biafra, 1967-1970.
I numeri sono da guerra: non sono morti incidentali, o per raptus o follie di pochi. Ci saranno stati altrettanti martiri cristiani, in antico, nella sola Roma, in un anno, i martiri di cui la Chiesa onora il culto?
Straordinario è il silenzio del papa Francesco, anche ora che in Sud Sudan non può non averne saputo.

Se il futuro è di Casini

La morte di Enzo Carra, il “martire” di Forlani sui roghi di “Mani Pulite” (che Di Pietro&Co hanno perseguitato, non potendo mettere le mani su Forlani, di cui Carra era addetto stampa), ha fatto riemergere, nelle tante rievocazioni, il ruolo subdolo di Casini. Che di Forlani era il protetto e il delfino, ma “Mani Pulite” ha lasciato fuori. Che poi si è messo con Berlusconi, di cui è stato vice-presidente del consiglio, poi con Monti contro Berlusconi. E in questa posizione ha impedito a Carra, che dopo l’assoluzione aveva ripreso l’attività politica, di continuarla, nelle liste Margherita-Pd-Unione di Centro-Scelta Civica, di cui Carra era stato anche animatore - gli ha impedito la ricandidatura al Parlamento: niente candidature per chi aveva avuto “pendenze giudiziarie” risalenti a “Mani Pulite”, stabilirono Monti e Casini, praticamente un no a Carra.
Tutto questo Casini aveva fatto in sessant’anni. Meno, in poco più di cinquanta. Senza scandalo, poiché il potere democristiano è così, cannibale. Ma questo stesso personaggio, Casini, non è diventato da ultimo 
candidato del Pd, se non membro lui stesso del partito Democratico, la cosa non è chiara, alla presidenza della Repubblica?

Si spiega che il Pd navighi sott’acqua, sia come partito, fra quattro candidati incolori alla segreteria, sia fra i partiti. 

L'impero americano è violento

Mossadeq (Iran), Arbenz (Guatemala), Nasser, Cuba, Vietnam, Nicaragua, Bosnia-Serbia (con l’utilizzo Nato delle bombe a uranio impoverito), per la creazione del Kosovo (idem, più la più grande base militare americana nel mondo), Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina 2008-2014, Yemen, Siria. Su 18 capitoli, 12 sono di “guerre illegali” come il titolo dichiara. Degli Stati Uniti da soli, o con la Nato. Ma, andrebbe precisato, con la collaborazione dei “volenterosi” della Nato, non c’è mai stata una “guerra Nato”.
Una “guerra dei gasdotti” sarebbe stata da aggiungere. Di quello dall’Iran alla Siria, da impedire a tutti i costi. E del Nord Stream 2, dalla Russia alla Germania via mare, evitando l’Ucraina e i Baltici, ora sabotato da non si sa chi – cioè, si sa ma non si può dire. Una “guerra”, di fatto, all’approvigionamento energetico dell’Europa – alla sicurezza nella diversificazione. Ma poi, e  soprattutto, c’è una guerra “legale”? La promozione di una guerra, l’attacco, frontale o surrettizio, non la difesa.
Qualcuna di queste “guerre illegali” è ancora più complicata. Saddam Hussein fu dapprima portato al potere in Iraq e poi sostenuto contro l’Iran. Nella prima Guerra del Golfo anche direttamente, con distruzione di molte piattaforme petrolifere e navi da guerra iraniane. Fino a che fu invece armato l’Iran, l’Iran mangia-americani di Khomeiny, nella triangolazione Iran-Contra in Nicaragua, contro Saddam Hussein. Poi punito con la seconda Guerra del Golfo, con ampio schieramento Nato, e infine con l’invasione nel 2003. Un cinismo non casuale, Ganser fa rilevare da George Friedman, lo scienziato politico magiaro-americano fondatore e titolare di Stratfor (Strategic Forecasting) e Geopolitical Futures: “Raccomando la tecnica introdotta dal presidente Reagan nei confronti di Iran e Iraq: sostenne entrambe le parti in conflitto! Così si sono combattuti a vicenda e non contro di noi. È stata un’operazione cinica e amorale, ma ha funzionato”.  
Si legge di corsa poiché è tutto noto o segue uno schema noto. Nel senso che la pubblicistica terzomondista per molti decenni aveva agitato questo dossier – che in quegli anni si diceva manipolato dall’Unione Sovietica. La conclusione è un manifesto: “Gli avvenimenti storici degli ultimi settant’anni mostrano chiaramente che molte volte i paesi della Nato ne hanno aggredito altri, violando il divieto dell’uso della forza sancito dallo Statuto delle Nazioni Unite. La Nato non è un’organizzazione al servizio della stabilità e della pace nel mondo, ma, al contrario, rappresenta un elemento destabilizzante”. E tuttavia, malgrado tutto, se tutto è noto è anche vero, si può aggiungere.
La Cia ha fatto molti colpi di Stato, non solo quelli contro Mossadeq e Arbenz – o Noriega, che Ganser pure ricorda, il presidente di Panama trafficante di droga ma per decenni servo utile della stessa Cia. Basta ricordare Allende, che Ganser non menziona, il presidente cileno abbattuto dal golpe di Pinochet. O i tanti rivolgimenti militari in Sud America e in Medio Oriente, negli ani 1960-1970, quando l’America puntava sui regimi “bonapartisti” – compreso Saddam Hussein, compreso Gheddafi.
Per alcuni aspetti, però, è una disamina nuova. Sulla guerra “inutile” in Afghanistan già quando Ganser scriveva, nel 2015. Contro i talebani che, non si ricorda evidentemente mai abbastanza, furtono creati e armati, come tutto il fondamentalismo islamico, dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita nello stesso Afghanisan contro l’Unione Sovietia. L’Is compreso indirettamente, lo Stato Islamico, strutturato in Iraq e in Siria dagli iracheni sbandati di Saddam Hussein dopo l’invasione. E sulla guerra per procura tra Stati Uniti e Russia in Ucraina, che Ganser documenta già sui fatti del 2008-2014: delle dimostrazioni organizzate contro un presidente restio alla Nato, Yanukovich, terminate con un eccidio senza padri, ma con la cacciata dello stesso Yanukovich, fino al contrattacco russo in Crimea e nel Donbass (nessuno ricorda che l’Unione Sovietica cominciò a crollare nel bacino minerario e metallurgico del Donbass, per proteste sindacali e politiche russe). 
Utile repertorio dell’imperialismo del secondo Novecento e del primo Millennio, è un libro che pone indirettamente il problema dell’imperialismo. Che è politico prima che legale, qual è l’approccio di Ganser, che tutto riferisce all’Onu, alle sue deliberazioni o mancate deliberazioni, e rispetto alle quali definisce “illegali” le attività militari americane nel mondo.
È dell’America di fatto che si tratta. Per la semplice ragione, spiega Ganser, che le decisioni spettano non al segretario generale dell’Organizzazione, un uomo di paglia, ma al Saceur, il comandante militare, che è sempre americano – al generale Eisenhower per Mossadeq, al generale Lemnitzer per i missili sovietici a Cuba.
È indubbio che un secolo è passato, o quasi, di impero americano mondiale. Non grande e indiscusso come fu quello britannico nell’Ottocento ma dotato di ben 737 basi militari sparse nel pianeta – tante ne conta Ganser. Sotto le insegne della libertà e la democrazia. Nella sintesi di Obama, nel discorso alla Nazione dell’11 Settembre 2014: “Come americani, avvertiamo la nostra responsabilità di nazione-guida. Dall’Europa fino all’Asia, dall’Africa fino al Vicino Oriente, ci leviamo in piedi per la libertà, la giustizia, la dignità. Questi valori hanno guidato la nostra nazione fin da quando venne fondata” - con l’augurio finale consueto: “Dio protegga la nostra Nazione”.
Un impero altrettanto in buona coscienza come l’impero romano, si può aggiungere, lo fu sotto il segno della legge – non c’è paese che onori tanto i Campidogli come gli Stati Uniti - ma altrettanto severo.
Un impero di diritto, come ogni altro impero – che fa il suo proprio diritto. E nel caso di Clinton con Blair, andrebbe rimarcato, e poi di Obama (Yemen, Libia, Siria, Ucraina), democratico, liberatore, progressista, di sinistra. Di Obama in strana alleanza (Yemen, Libia, Siria) con le petromonarchie, Qatar, Arabia Saudita, le più attive nell’ispirazione e il finanziamento del fondamentalismo islamico di matrice wahabita. Con Hillary Clinton alla Segreteria di Stato, la cui Fondazione è - era – ricca soprattutto delle donazioni delle petromonarchie. Come a dare ragione alle farlocche fantasie della destra americana, che voleva il presidente Obama un islamista occulto. Forse è il concetto di imperialismo che bisogna rivedere, nel mondo “unito”, cioè globalizzato.
C’è in queste “Guerre illegali” un pregiudizio anti-americano. Ganser si fa spiegare dalla Bbc, con due teorici di Princeton, Martin Gilens e Benjamin Page, che gli Stati Uniti, la patria della democrazia, sono di fatto una oligarchia. Sorretta, aggiunge incidentalmente, da ben 16 agenzie di intelligence. E opina per un “complotto” nel crollo di una delle torri Gemelle l’11 Settembre, non colpita dagli aerei kamikaze. Ma porta anche molta “evidenza”. Mette a fuoco cioè molto materiale fattuale, semplicemente trascurato, in una sorta di ubriacatura dell’opinione pubblica, da una “battaglia di libertà” all’altra. 
Certamente è da rivedere la Nato, in questo mondo unificato. Il concetto e l’organizzazione. Ganser parte con la considerazione che Helmut Schmidt, il cancelliere socialista tedesco, scriveva nel 2008, dopo mezzo secolo di attività politica di vertice, della Nato: “In realtà, questa organizzazione non è necessaria. Considerata oggettivamente, è solo uno strumento della politica estera americana, della sua strategia mondiale”. L’Europa dovrebbe sapere se è alla sua fine che sta operando. Tanto più ora, che si trova all’avamposto contro la Russia, che pure, secondo la geografia e la storia, è parte di essa.
Di grande lettura la ricostruzione minuziosa della crisi nucleare di Cuba nel 1962 - con l’iperattivismo di Egidio Ortona, l’ambasciatore italiano all’Onu (ministro degli Esteri era Segni). E della guerra nella ex Jugoslavia, di una serie spericolata di provocazioni Nato, cioè americane, su tutti i fronti, Croazia, Bosnia, Kossovo. Specialmente disumane, va aggiunto, in un territorio civilissimo usato per sperimentazioni belliche come fosse un deserto: esercitazioni per l’affinamento dell’arma aerea, con le bombe “a grappolo” e quelle all’uranio impoverito - che non sono state catalogate, e non si catalogano, come armi chimiche, proibite, anche se tante vittime hanno fatto di “fuoco amico”.
Oggi, nel pieno di una guerra sicuramente di aggressione, della Russia contro l’Ucraina, la lettura di Ganser solleva uno strano presentimento: di un déja vu, nelle guerre jugoslave, guerre “illegali” in larga parte, della Nato, cioè degli Stati Uniti, cioè delle 16 agenzie di intelligence in recondite manovre. Con l’Europa in prima fila, a sua insaputa ma obbligata, con le sanzioni, cioè con la disarticolazione della sua rete energetica, e col rischio ritorsioni.
Carlo Rovelli dice tutto nelle quattro paginette dell’introduzione: siamo sommersi da “una narrazione basata su un’impressionante ipocrisia”. Ma si spinge troppo a delineare un Occidente ancora dominante militarmente, ma non più nell’economia e nei saperi. Questo è vero dell’Europa. E non per ipocrisia, non sembra – l’evidenza è persino arrogante: per incapacità, forse per viltà.
Il capitolo “La guerra illegale contro l’Ucraina – 2014”, è completato in questa edizione da brevi considerazioni sull “attacco” della Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio 2022, “un conflitto geostrategico tra Mosca e Washington”: “Come se gli Stati Uniti e la Russia, entrambe potenze nucleari, si fronteggiassero in una guerra per procura”. Non si userà l’atomica, ma l’Ucraina è solo il terreno di un braccio di ferro tra le potenze nucleari. Come Cuba lo fu.  
Con una cronologia, in fondo, di “Alcune delle guerre illegali avviate dopo il 1945”.    
Daniele Ganser, Le guerre illegali della Nato, Fazi, pp. 589 € 20 

venerdì 3 febbraio 2023

Problemi di base - 732

spock


La prima vittima della guerra è la verità?
 
Il male nasce e si diffonde senza ragione?
 
E senza giustificazione – anche quando potrebbe averla?
 
Muto come il destino?
 
La calunnia non è un reato, ministro Cartabia?
 
La stupidità è irrimediabile (organica)?


spock@antiit.eu


Giallo Roma

La vita quotidiana a Roma in questo primo Millennio. “Ogni giorno, rappresentanti di ditte tra le più disparate spuntavano sul pianerottolo per vendere servizi e far firmare contratti per la fornitura di energia”. Ci sono anche i fatti specifici di Monteverde - quantum mutatus ab illo, di Pasolini: il romanzo è di un assassinio, di più assassinii, e indaga la squadra omicidi del commissariato Monteverde. Cone le altre specialità del quartiere: le cacche dei cani, razze più diverse, compresi i cirnechi dell’Etna, le ortiche, i tatuaggi, i lavori stradali interminabili, il bigné di san Giuseppe.
Ma, poi, Roma prevale. Dove “la squadra di calcio del cuore è un’unione mistica” – una di quelle “religioni dalle quali è impossibile abiura. È una fede. Si può cambiare moglie, lavoro, ma squadra di calcio … quello mai”. E qui il calcio c’entra molto. 
Sotto la forma pulcini promettenti, di cui si fa lauto mercato. Come da troppi casi recenti. Vincenzo Sarno, il “nuovo Maradona”, a undici anni comprato per 120 milioni dal Torino, campione per questo immediato in tv da Raffaela Carrà, per poi cambiare club ogni pochi mesi, una cinquantina di trasferimenti in quindici anni o poco più di attività agonistica. O Pietro Tomaselli, nazionale belga Under 15, il “nuovo Messi” di Trigoria, finito al Coruxo in Spagna, quarta categoria, semiprofessionista.

Ma, poi, Roma è l’Italia, col ministro (dell’Interno) che si aggira con la felpa della Polizia. C’è anche Putin. E l’editoria a caccia di romanzi di Hitler, dopo i Rosacroce, i tarocchi, e le violenze sui bambini: le assaggiatrici, le nipoti, gli orfani, e i cani – dopo “La cucciolata del cane di Hitler” siamo a “I testicoli di Hitler”.
Più che scrivere, Morlupi, italo-francese di Roma, sembra divagare. Volere divagare – la trama, sottile, sarebbe breve. I “cinque di Monteverde” sono caratterizzati senza essere collegati - come di fatto avviene nei commissariati. E vincono leggeri come i delfini contro i pescecani. Benché il capo, commissario Biagio Maria Ansaldi, sia obeso e ipocondriaco, ma forte. Ma il risultato, alla fine, qualche soddisfazione la dà.
François Morlupi, Come delfini tra pescecan
i, Tea, pp. 414 € 5

giovedì 2 febbraio 2023

Secondi pensieri - 504

zeulig

Fede – Se è quella di Tommaso, che doveva “toccare con mano”, si può non dare – ma è un controsenso, fede è l’opposto del toccare con mano.
Dall’altra parte c’è l’agnosticismo. Che però pone più problemi della fede – della fede religiosa. “Credere o non credere in Dio non è affatto importante, sostiene Voltaire. E invece no: non cambia il mondo, forse, ma la vita (destino) personale sì - a meno naturalmente di non prenderla alla Scalfari, l’ultimo interlocutore agnostico del papa, della vita per gurru - per avventura, mezzo divertita.
Diceva Borges, l’agnostico (quasi) perfetto: “I cattolici cedono in un mondo ultraterreno, ma ho notato che di esso non si interessano. A me accade il contrario: mi interessa, ma non ci credo”. Ma non può essere: nel momento in cui è una sua creazione mentale, anche solo poetica – fantasiosa, volutturia e non strumentale - oppure di ricerca, in divenire, è il principio della fede. Si crede per autorità esterna, come servitù volontaria e anche entusiasta, ma si crede anche per curiosità o volontà propria – bisogno proprio.


Minoranze – La “dittatura delle minoranze” perpetua in epoca di pace lo stato d’eccezione di Agamben, la stasis. In epoca di pace militare, poiché la biopolitica sempre ci vuole in guerra - come in effetti avviene: la biopolitica è una grande scoperta (come tutte le scoperte, di ciò che c’era e non sapevamo). E la strumentazione del potere è anche della resistenza, solo cambia la qualità e il peso del potere, non la sua natura o scopo, l’affermazione di un diritto.

Alla biopolitica si è arrivati indagando le tecniche di controllo sanitarie, demografiche, psicosanitarie. Ma questo è un percorso che si vuole senza limiti. E non può essere. Dal controllo delle nascite al diritto di aborto, alla diagnostica prenatale, alla ricerca sugli embrioni. E quindi a tutta l’eugenetica? Con i diritti sule nascite si agisce prima e non dopo, ma è la stessa concezione di buona società del primissimo Novecento angloamericano, e poi di Hitler. Come penetra la politica nella vita, come il potere sovrano si appropria della “nuda vita”, è il problema di Agamben. Di chi, di che? Di tutto, dentro la scienza. La scienza come un potere? Follia. L’ecatombe nucleare è nulla al confronto, come responsabilità morale e come potenziale distruttivo. Quanto dista un moderno Stato Liberale, iperprotettivo, anche delle minoranze minime, dalla dittatura - dalla dittatura fascista, totalitaria?
 
Occidente - La Notte d’Occidente, “che è bionda, e il cui corpo s’impenna in nervose vibrazioni atletiche”, Savinio contrappone alla Notte del Nord, “la cui bianca capigliatura incornicia un viso fresco e roseo di fanciulla dai seni limoneschi”, la Notte d’Oriente, che è “donna bruna e massiccia, pesante e inagile come una sultana”, dalla “pelle oleosa come l’epidermide di un lottatore turco”, e ispira “coliche e nausee”.
 
L’Oriente viene da Occidente, al contrario della storia che invece, si sa, viene dall’Oriente: dalla Cina alla Mesopotamia – alla Persia, alla Grecia – e all’Egitto. Bisognerebbe quindi che ci fosse un Occidente, con moto retrogrado rispetto a quello della storia, che la storia per così dire sifonasse all’indietro.
L’Occidente, si sa, cominciò a Salamina, dove gli ateniesi sconfissero i persiani: agili e potenti remarono gli iloti bifolchi, la feccia della città. O a Maratona. O alle Termopili, ma allora è un’altra storia, tutto originerebbe dagli spartani. Senza contare che le Termopili si pensano una gola stretta dentro cui l’armata persiana stolidamente s’imbucò, ma sono in realtà un posto tra le colline e il mare del golfo di Malis, oggi largo alcuni chilometri (ci sono in realtà più Termopili, le ultime furono vinte da Catone il Censore, lo stratega romano nemico della cultura greca, che la difese poi contro i Seleucidi, l’ennesimo nemico che oggi la Grecia chiamerebbe turco). O era cominciato con Mosè, che non esiste, la figura centrale dell’Occidente, al quale ha donato Dio e la legge. La cultura occidentale stessa non esiste, al contrario del vuoto: Fanon ne fa la dimostrazione, lui che è venuto dal nulla. Sempre che l’Occidente non sia egiziano, per Mosè e Gesù, e non solo.
Fino a tutto il Medio Evo l’Egitto fu asiatico, orientale, l’Africa partiva dalla Sirte. Ma c’è chi, Simone Weil, vuole che i primi undici capitoli del Genesi, fino a Abramo, siano il rifacimento di un libro sacro egizio, e dunque: sono gli ebrei egiziani, e pure i cristiani. Le origini egiziane dell’Occidente emergerebbero allora via Africa, come Anta Diop, laureato alla Sorbona, ha scoperto: gli egiziani erano bruni in antico, con la stessa soma della fascia sudanica, fino ai peul senegalesi, quali i Diop sono, e lo stesso vocabolario essenziale. Cristo c’è cresciuto, il miracolo di Cana avvenne in Egitto nella vita di Gesù della tradizione maomettana. Senza trascurare le concrezioni previe: la Grande Madre, che per Graves è bianca, potrebbe essere stata nera, ci sono Madonne nere, e santi, San Benito di Palermo, venerato in Sud America, con Antonio di Caltagirone e la nubiana Ifigenia, con cui fa trittico nelle pale d’altare, santi schiavi, incolti, docili. L’Occidente quindi sarebbe propriamente africano. Per molti degli stessi europei, del resto, paleontologi e non, il paradiso terrestre è in Africa, con Eva. Per alcuni in Sud Africa, e questo è strano, sono quelli dell’apartheid, o in Rhodesia che è come il Sussex, per altri nel Kilimangiaro, dove si trapiantano i masai sempre eretti – al cinema si può.


Si corre verso Occidente. Solo la Russia, che è a Occidente e a Oriente, quando si muove va a Oriente, verso la Siberia e l’Afghanistan – ora, con la guerra, sembra che vada a Occidente, ma in realtà l’Ucraina le sta sotto la pancia. Si corre verso l’America, che è sicuro Occidente, lo è nei documenti ufficiali e anche nei trattati, Emisfero Occidentale. E c’è in Perù la garua, come a Genova. È da tempo che l’Europa ha ripreso a correre verso Occidente, anche dopo la lezione del Toscanelli che per via di Occidente si finisce a Oriente. Per cui l’Occidente oggi si trova soprattutto in Cina: a San Francisco la Cina non è più a Oriente ma a Occidente.


Che l’Estremo Occidente si sovrappone all’Estremo Oriente è l’uovo di Colombo, Colombo l’ha pure detto. E Toynbee ha scoperto non solo che i britanni trafficavano nelle loro paludi con le monete del ricco Filippo il Macedone, anzi le copiavano storpiandone i caratteri, ma che l’arte cinese “attraverso il bacino del Tarim e il bacino dell’Oxus e dello Jaxarte, attraverso l’Afghanistan, la Persia e l’Iraq, la Siria e l’Asia Minore, si ricongiunge all’arte classica della Grecia nell’epoca precedente la generazione di Alessandro” – prima che la Grecia andasse a Oriente. La storia cioè si rovescia: “La fusione dell’onda greca con un’onda indiana ha generato la civiltà buddista”. Di veramente orientale ci sarà stato solo il cristianesimo, che, secondo Yourcenar, “fu importato dall’Oriente tramite l’Italia” – anche secondo Maurras, per il quale i vangeli sono
 “violente scritture orientali”. Cristo, “il suo nome è Oriente”, secondo una profezia messianica, e alla fine dei tempi “dall’Oriente come folgore esce”. Per cui il cristianesimo, pilastro dell’Occidente, si deve dire correttamente religione orientale cresciuta a Roma.

A volte l’Occidente si mescola all’Oriente. Il cristianesimo romano lo fece con l’islam, per distruggere con le truppe di Allah l’impero e la chiesa d’Oriente. O per soggiogare questo o quel principe malfido di Occidente. Né manca chi vuole togliere all’Occidente il Cristo. Anzi, c’è già chi lo dice, più che un ebreo rinnegato, un orientale, alla pari dei Magi. Ma il vero Occidente sta a Occidente, com’è giusto per la geografia e i meridiani, la vecchia Europa è confusa per ingordigia e dice scemenze. Il Vangelo ha fatto l’Occidente come l’Occidente ha fatto il Vangelo. È possibile, anzi è probabile, che Gesù abbia appreso dall’Oriente, a Cafarnao, o a Balkh, di prima mano o attraverso i carovanieri, ma è l’Occidente che gli ha risposto. L’Oriente non ha risposto prima e non ha risposto dopo, da Zoroastro a Budda. È questa la storia di san Paolo agente dei Romani: se non avesse fatto i viaggi sarebbe rimasto un capitano in congedo appesantito in Siria. Lutero, per dire, non poteva essere che tedesco. Calvino è l’intellettuale francese che è riuscito a farsi re.

(continua)

zeulig@antiit.eu

L’amore nell’abbandono

Léa Seydoux fotografata in dolce, il viso, il corpo, i gesti, linee e colori morbidi. Vedova con una figlia, accudisce il padre che perde rapidamente forze e cognizione, vecchio insegnante di filosofia. Confrontandosi con la madre, ex del padre, imperiosa, e con una sorella minore inutile. Senza mai commiserarsi o perdere la pazienza. Nel tempo libero lavora come interprete. Con difficoltà ma senza lamentarsi. Ritrova l’amore in una vecchia fiamma degli anni adolescenti, e lo vive con slancio malgrado i tanti problemi – lui è ancora sposato.  
Scritto dalla stessa regista, è volutamente un apologo della vita. Una mano di serenità, nella elaborazione dell’abbandono, delle morti successive, necessariamente triste. Un racconto al femminile come usava, senza le asperità imperanti, d’obbligo.
Mia Hansen Løve, Un bel mattino

mercoledì 1 febbraio 2023

La rana Europa bollita nella guerra

“Pare che una rana nell’acqua bollente cerchi di saltare via, ma se messa in una pentola scaldata a poco a poco il suo istinto di autodifesa la porti ad acquattarsi sul fondo, finendo bollita”, è un apologo di “Lotta Comunista”. Che il mensile riferisce alla Russia: “Bollire la rana, appunto. Sarebbe la tattica di chi nella Nato vuole innalzare a mano a mano il livello delle forniture belliche a Kiev, contando che Mosca abbia poche possibilità di agire”. La vittoria nelle guerre d’attrito, come una volta negli assedi, è ridurre l’avversario alla malattia e alla fame, disarmarlo per consunzione. O l’apologo non è piuttosto da riferire all’Europa?
Si può dire questo dell’Europa, che non è parte diretta della guerra della Russia contro l’Ucraina? Sì, se si pone mente alla “dialettica” interna Nato. Dove vige da alcuni anni, in Libia, in Siria e ora in Ucraina, una sorta di “armiamoci e partite”, fra Stati Uniti ed Europa. Le sanzioni le sta pagando l’Europa. A caro prezzo. Soprattutto se si considera che la Russia ne è colpita meno - molto meno, come oggi dicono a Washington (“Chip e ricambi, a Mosca arriva di tutto. Con il flop delle sanzioni il pil ora cresce”). 
Tanto più che, come si sa da decenni e questo sito ha ampiamente spiegato un anno fa, le sanzioni si aggirano con le “triangolazioni”. E nemmeno a rischio inflazione, basta pagare un dieci per cento di mediazione.

La guerra si combatte in Europa per un fatto che all’Europa non stava tanto a cuore, l’Ucraina nella Nato - il coltello alla gola della Russia, come Krusciov tentò sessanta anni fa con i missili a Cuba: il coltello alla gola degli S tati Uniti. O, volendo nobilitare lo scopo, la democrazia in Ucraina, contro gli oligarchi e la corruttela – le “rivoluzioni” arancione. Ma poi, se guerra dev’essere, le guerre si combattono con decisione, per vincerle, e a rischio ovviamente. Questa “guerra d’attrito” danneggia naturalmente l’Ucraina, poiché si combatte sul suo suolo, ma anche l’Europa, che pensa di non essere in guerra, ma deve difendere la “dialettica” Nato.

L'amicizia vince su tutto

Due amici “rinati” altrove, Roman Polanski a Parigi e Ryszard Horowitz, fotografo, a New York, sì incontrano nella città di nascita e della prima infanzia, Cracovia, per rievocare i luoghi e le vicende dei loro primi anni, le rispettive case, la scuola, la guerra, la costruzione del ghetto, le deportazioni, la solidarietà, la polizia comunista del dopoguerra.
Programmato in sala per il giorno della Memoria, il film è invece un amarcord straordinario, perfino consolante, sempre sotto le righe, con punte comiche – la bestialità risolvendo nella stupidità. Di un’amicizia durata settant’anni, ottanta. Sempre viva malgardo ruoli discriminanti, gregario Horowitz dominante Pollasnki - o forse per la naturalezza (l’accettazione) di essi. Che rivive seza ombre lo sciocchezzaio delle avventure infantili, e i drammi, di entrambe le famiglie, per essere ebrei. Non rinchiusi nel ghetto, e cioè benestanti, ma pure per quattro anni sotto tiro, a rischio di denunce. La madre di Polanski deportata “ad Auschwitz” e non più tornata – “ad Auschwitz” designa nel colloquio la fine, è il campo di sterminio, degli altri lager si parla come di campi di concentramento. Roman salvato dal padre, che non può allevarlo nella clandestinità, affidandolo a una famiglia di contadini fuori città – un “paradiso” per il Roman decenne, che fa un ricordo “della Buchalowa”, la giovane madre di questa famiglia, stupefacente di lirismo e di forza. Horowitz e i suoi deportati col metodo Schindler, l’industriale che se ne appropriava e li salvava facendoli lavorare nella sua fabbrica, e da lui savati con determinazione – quando la madre e la sorella furono mandate dalle SS “ad Auschwitz” lui andò a riprendersele.
Un film documentario come ora usa, biopic, con mezzi poveri, inquadrature semplici e due soli personaggi, che si aggirano per la città chiacchierando, ed è invece invece un romanzo. Drammatico, grottesco, comico, lirico.
Mateusz Kudla-Anna Kokoszka-Romer, Hometown


martedì 31 gennaio 2023

La Germania non si fida

Il cancelliere Scholz ha accettato di fornire i carri armati Leopard 2, pochi (una compagnia, niente), solo a condizione che gli Stati Uniti ne forniscano all’Ucraina di analoghi, gli Abrams perché non vuole essere in rima fila contro la Russia, e non si fida degli Stati Uniti. Nell’ipotesi che la Russia estenda il fronte ad altri apesi europei, considerandoli cobelligeranti, la Germania non è sicura che gli Stati Uniti scenderebbero in campo.
Nell’ottica italiana questa sembra una enormità. Ma è quello che la Germania ha indicato dai primi giorni della guerra, restia a inviare armi (mandava gli elmetti). La Germania del cancelliere socialdemocratico Scholz. Che però su questo non ha opposizione, non dei Cristiano-democratici né degli alleati Verdi.
Tra i socialisti tedeschi è diffusa la diagnosi che della Nato fece l’ex cancelliere Helmut Schmidt nelle memorie: “In realtà, questa organizzazione non è necessaria. Considerata spassionatamente, si tratta solo di uno strumento della politica estera americana, della sua strategia mondiale”. Schmidt da cancelliere, successore di Willy Brandt, che aveva impresso alla politica tedesca una decisa apertura verso l’Est comunista, favorì il dual-track di fine 1979, lo schieramento in Europa occidentale di 572 missili tattici americani a testata nucleare in Europa in risposta allo schieramento di analoghi missili sovietici nell’Est europeo, il nuclear sharing, tra Paesi Nato nucleari e paesi non-nucleari, e il sistema della doppia chiave, dell’assenso del paese non nucleare all’uso di ordigni nucleari in partenza dal suo territorio.
Anche la Zeitenwende, il riarmo varato da Scholz un anno fa, allo scoppio della guerra, con un primo piano di spesa da 100 miliardi, rientra in questa ottica. Il “cambiamento epocale” è che la Germania farà un riamo efficace. Oggi, secondo i dati accolti dal Sipri, la spesa militare dei quattro grandi paesi della Ue (Francia, Germania, Italia e Spagna), pari a 163,6 miliardi di dollari l’anno, è due volte e mezza quella della Russia, 65,9 miliardi (quattro volte se si aggiunge la spesa britannica, 88, miliardi) ma di scarsa o nulla efficacia deterrente.

Letture - 510

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Agnelli – L’Avvocato Agnelli Jas Gawronski ricorda con Cazzullo sul “Corriere della sera” come personaggio di grande caratura internazionale: “Quando era segretario di Stato, era Kissinger a cercarlo per chiedergli consiglio, non viceversa”. Kissinger fu segretario di Stato da metà 1973 a fine 1976, con Nixon e poi col vice di Nixon, Gerald Ford. Forse chiamava l’Avvocato dopo, quando fu fuori dall’amministrazione.
Nel 1984 Gawronski, speaker a un convegno internazionale della Fondazione Cini a Venezia sull’immagine dell’Italia all’estero, in qualità di giornalista di vasta esperienza, corrispondente Rai di grande levatura da Mosca, New York e Parigi, lamentava che solo Enrico Mattei era un nome di qualche risonanza all’estero tra politica ed economia. Un convegno cui anche l’Avvocato Agnelli presenziava, alla sua maniera, ci sono e non ci sono - era irrequieto. Forse fu per questa considerazione che Gawronski divenne poi una delle compagnie preferite dell’Avvocato. 
 
Cioran - Si era stabilito a Parigi, senza pagare dazio, come Eliade, entrambi fieri Legionari della Guardia di Ferro fascista rumena ancora durante la guerra - sostenuti da Ionesco, che in guerra aveva collaborato col governo “collaborazionista” di Vichy – ma per esercitarvi un’arte tutta francese, dei pensieri o aforismi, Pascal, Chamfort, Vauvenargues, La Rochefoucauld, La Bruyère.
Si legge, però, e fa testo solo in Italia.
 
Conrad - Vide il mare per la prima volta a Trieste, ricorda Magris: “È su queste rive e in questo golfo (di Trieste, n.d.r.) che Conrad ha visto il mare per la prima volta, in un viaggio da Venezia, diventando mare lui stesso”.
 
Dante – Fu “fascista” durante il ventennio, monopolizzato da Mussolini nella retorica della patria e dell’impero, e come tale, come araldo del fascismo nazionale, registrato nell’ultima revisione, 1924, della canzone “Giovinezza” di Oxilia-Blanc, 1909 – “Giovinezza, giovinezza\ Primavera di bellezza\ Nella vita e nell’asprezza\ Il tuo canto squilla e va”. Nata col titolo “Commiato”, come inno goliardico da cantare alla laurea, poi fatta propria come “Giovinezza” dagli Alpini nel 1911, dagli Arditi nella Grande guerra, 1917, dai fascisti “sansepolcristi” (socialrivoluzionari) nel 1919, dai legionari fiumani di D’Annunzio, e nel 1924 da Mussolini come inno nazionale del partito Fascista, e di fatto dell’Italia, cantato da Beniamino Gigli, accanto alla Marcia Reale. In quest’ultima versione, commissionata a Salvator Gotta, mantiene il battagliero ritornello originario, ma si apre, un po’ zoppicante, nel nome di Dante: “Salve o popolo d’eroi\ Salve o Patria immortale\ Son rinati i figli tuoi\ Con la fede e l’ideale \Il valor dei guerrieri\ La vision dei pionieri\ La vision dell’Alighieri\ Oggi brilla in tutti i cuor”. La “vision dell’Alighieri” si riferiva in particolare all’italianità del golfo del Quarnaro, che quindi faceva dell’Istria una provincia italiana.
 
Tra i tanti appassionati di Dante c’è stato Giorgio Almirante, il futuro fondatore del Msi, che nel 1937 si laureò con una tesi sulla fortuna settecentesca del poema. È ad Almirante che il ministro della Cultura Sangiuliano fa risalire il suo interesse per Dante, fino ad avocarlo a una cultura di destra. Ma aveva indicato la strada Giorgia Meloni sul suo sito per il giorno di Dante il 25 marzo: Dante “è autenticamente «nostro»: è autenticamente italiano, è autenticamente cristiano. D ante è il padre della nostra identità”. Il primo “nostro”, tra virgolette, intendendo di tradizione (fascista), di partito, di programma. 

Editoria – In Italia è “rinascimentale”? La Francia legge il doppio dell’Italia, spiega Teresa Cremisi, la presidente di Adelphi che a Parigi ha lavorato 35 anni, a Chiara Valerio in una distesa intervista sul “D” di “la Repubblica”: “La popolazione è più o meno la stessa, ma l’editoria francese pesa più di 4 miliardi di euro e quella italiana a stento due. Significa più del doppio, che vuole dire poi la possibilità di fare dei tascabili a 6,7, 8 euro, di avere cioè una cultura del tascabile”, una lettura più diffusa.

Ma c’è un’altra differenza: in Italia i libri “difficili” si vendono di più. Continua infatti Cremisi: “In compenso, e non so spiegarmi perché, l’editoria italiana permette nicchie di alta cultura, e ha un pubblico sapiente, fra le 6 e le 15 mila persone, che possono comprare libri di saggistica di studio, scienze, di altissimo livello. In Francia libri così hanno tirature di 2000 copie, qui trovano 6-7 mila lettori, e vuol dire che siamo ancora al Rinascimento e con molti centri culturali e un gran numero di aspiranti eruditi”.
 
Patriota – Era inteso, nella prima ortografia, “patriotta”, per giacobino, francofilo, antiborbonico, in Calabria e in genere nel regno borbonico - U. Caldora, “Calabria napoleonica”. Oggi si direbbe di sinistra.
 
Poesia religiosa – Praticata nel Novecento da poeti i più lontani dalla fede: Borges, pervicacemente, dichiaratamente (professionalmente) agnostico, e Pasolini “comunista”, cioè materialista. Di Borges religioso fa una sintesi sorprendente il cardinale Ravasi (che sul tema, dice, ha avuto occasione di “dialogare pubblicamente con Maria Kodama”, la vedova di Borges, in due convegni a La Plata e a Cordoba, e di cui ricorda i colloqui con l’allora padre Jorge Begoglio, docente in un collegio a Santa Fe), sul “Sole 24 Ore” di domenica, recensendo lo studio di Lucrecia Romera, “Agnosticismo y fe poética en Jorge-Luis Borges”. Commentando alcuni poemi espliciti, su passi dei quattro evangelisti (ha tralasciato quello su un passo di Giovanni, che la rete celebra come un canto di Natale). Ricordando che ribadiva sempre si avere due stelle folgoranti nel suo cielo, la Bibbia (e soprattutto i Vangeli) e Dante”. E che soleva dire: “I cattolici credono in un mondo ultraterreno, ma ho notato che di esso non si interessano. A me accade il contrario: mi interessa, ma non ci credo”. 
 
Russia – Non è Occidente, sosteneva Federico Zeri, perché il mondo ha a due dimensioni: non pratica la scultura e la pittura congela nelle icone.
 
Regista – È parola coniata, si sa, nel 1932 dal linguista Bruno Migliorini, derivandola dal francese régisseur. Prima si chiamava direttore o impresario, Denominazione, quest’ultima, più corretta, dando rilievo anche al ruolo principale nella creazione del film, che ora giuridicamente è del produttore.

Spare – Il modello di Harry Windsor, il modello scelto per il personaggio delle sue memorie, “Spare”, è Amleto. Il libro di “memorie” di Hary Windsor la scrittrice Rebecca Mead (“The New Yorker”, 13 gennaio) trova una ghost story, ma non nel senso di un racconto di fantasmi, nel senso di racconto di un “negro”, come usava dire prima del politicamente corretto, di uno scrittore incognito per conto di un personaggio che firmava come autore. Nel caso, di J.R.Moehringer, che aveva fatto “lo stesso abile gioco col memoir di Andre Agassi”. Il modello per il principe Harry è Shakespeare, esordisce sul “New Yorker” in una lunga disamina. Amleto. E ne indica le tracce. Si inizia con la citazione scherzosa: “Barba o non barba”. La regina Camila è “l’Altra Donna”, la principessa Kate  “altera e insicura”, il fratello William un Amleto incerto, per di più calvo, casa Windsor, con cortigiani e familiari assieme, un castello di Elsinore. L’incontro-chiave, tra Harry, William e il padre Carlo, nei Frogmore Gardens del castello di Windsor, cimitero di famiglia, dopo il funerale del nonno, il duca di Edimburgo, ci vede, dice Harry, “ora sbattuti dentro il giardino cimiteriale fino alle caviglie, più profondamente del principe Amleto”.

“Moehringer”, spiega la scrittrice, “è un reporter vincitore del premio Pulitzer mutato in memorialista e narratore, come pure il ghostwriter, in particolare, dell’emozionate candido memoir  di Andre Agassi, “Open”. In quel libro, pubblicato nel 2009, un asso del tennis un tempo caratterizzato dai pantaloncini di jeans e la capigliatura al vento, si rivelava un tormentato nevrotico, odiatore del tennis, con problemi paterni e un incredibile parrucchino. Quando il titolo e la copertina di “Spare” furono pubblicati a fine 2022 la parentela tra i due libri – titolo di una sola parola; primo piano, mascelluto, ritratto – indicò che erano da considerarsi lavori fraterni nell’opera di Moehringer”. Il suggerimento può essere venuto da una conferenza che il futuro re Carlo aveva tenuto su Shakespeare a Stratford. 
Lo stesso riferimento propone D’Orrico nella sua rubrica “La pagella” (“La Lettura”, 20 gennaio): “Il colpo di genio di ‘Spare’ è puro Shakespeare. Per amore del padre, appassionato del Bardo, Harry legge ‘Amleto’ e ci resta secco: «Un principe solitario, ossessionato dal genitore defunto, osserva quello superstite innamorarsi dell’usurpatore», cioè Camilla”.

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La grande bruttezza

A Roma, la città delle fontane e fontanelle, non piove da tre anni. L’acqua è razionata, pochi minuti al giorno. È proibito lavare e annaffiare. Insetti di ogni tipo proliferano. Malanni e morti da infezione virale ignota, forse di origine animale, insorgono. Manca l’acqua da tre anni. Il Tevere è in secca. E questa è l’unica immagine memorabile.
Una partita musicale barocca, di Fausto Piersanti, premiata, accompagna il film e si pensa sia doverosa, trattandosi di Roma. Ma dà al racconto l’allure di una parodia. Quale forse il film vuole essere, nell’intenzione degli ideatori – con Virzì c’è Paolo Giordano: il rovesciamento della “Grande bellezza”, il film di Sorrentino, dalla bellezza alla bruttezza, dalla malionconia alla scurrilità. Con un po’ di Fellini: l’orchestra che va per conto suo. E di Pasolini: Silvio Orlando, carcerato modello e contento, messo in libertà suo malgrado che si perde nella città.
Al calco, a specchio, della Grande Bellezza rinvia anche il cast, di molte parti di facce note, Bellucci, Orlando, Mastandrea, Ragno, Marchioni, Pandolfi, Di Gregorio, et al. – e una superba Emanuela Fanelli, in un paio di scene anche queste memorabili, ma da cabaret (stand up comedy). Con in più, in clima pandemia, ovviamente il virologo onniologo televisivo, ovviamente padovano – Diego Ribon.  
Paolo Virzì,
Siccità,
Sky Cinema

lunedì 30 gennaio 2023

Ombre - 652

La Lega Calcio posta in rete una irridente manita, con la dida “Cinquina del Sassuolo a San Siro!”. Aspetta che sia rilanciata e poi la toglie dal sito. Ma non è un errore. Il calcio era retto da Galliani e Lotito, sia la Lega che la Figc, dall’area “bianca” che guardava a destra con Galliani, e a sinistra con Lotito, che si atteggiava a Popolare. L’equilibrio si è rotto con Lotito senatore di Berlusconi, dalla parte quindi di Galliani. In Lega, contro il presidente Casini, e in Figc col presidente Gravina e col Procuratore Chiné, è ora battaglia della sinistra, si fa per dire, contro la destra. Che però è al governo.
 
“Troppi fondi in nero per Ong, sindacati e associazioni”, spiega il sostituto Procuratore di Napoli Salazar al “Sole 24 Ore”. Si dice infine quello che da quarant’anni tutti sanno, dalla nascita del “terzo settore”: dietro la nobile facciata del volontariato stanno molti miliardi di soldi pubblici assegnati e gestiti senza controlli.
 
Nessuna ombra sull’arresto di Messina Denaro, assicura il Procuratore di Palermo De Lucia. E sarà vero: è stata allora solo solo inefficienza.
 
“La somma della spesa militare dei quattro grandi paesi dell’Ue” è “di 163,6 miliardi, cioè 2,5 volte superiore alla spesa russa”, calcola Sergio Fabbrini. Quella europea con la Gran Bretagna di 251,7. La spesa militare russa è stata nel 2021, nei dati del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), di 65,9 miliardi di dollari. Quella britannica di 88,1 miliardi, della Francia 56,6, della Germania 56, dell’Italia 32, della Spagna 19. A che fine?
 
“Nessun giocatore del Napoli è del suo livello”, dice Mourinho. Del Napoli che gioca il miglior calcio e segna molte reti. Di Dybala che la Juventus ha cacciato di squadra, regalandolo alla Roma come  un oggetto superfluo. C’è qualcosa, o molto, di oscuro nel calcio.
 
I giornali di Elkann a spada tratta difendono le intercettazioni libere. I giornali di uno che, in teoria, è sotto scacco in continuazione per via di intercettazioni nomale – selettive, discrezionali, diffuse illegalmente. A meno che. A meno che la difesa non sia di intercettazioni che colpiscono una parte della “Famiglia”, quella che porta ancora il nome Agnelli.
 
“Csm, primo vicepresidente di destra”. In 73 anni di attività del Csm repubblicano. I giudici sono dunque sempre governati a sinistra. E non sono stati buoni giudici, lo dicono tutti. Anche Mattarella, che è del Pd.
 
Il generale Petraeus, ex capo della Cia, che (non) ha vinto la guerra all’Iraq, contro gli sciiti iracheni, una minoranza, assicura che “l’esercitò russo potrebbe sgretolarsi”. (Non) vincerà neanche la guerra in Ucraina?
 
Zelensky silura mezzo governo come corrotto, per lo più di profittatori di guerra. Senza processi o prove, d’autorità. Si fa anche in Cina, ma lì c’è un partito Comunista, che “digerisce” le contese . E magari è vero, i silurati sono ladroni. Ma erano ministri e vice-ministri di Zelensky.
 
In Ucraina normalmente il presidente che vince processa e condanna la presidenza precedente. Ora la cosa si fa a metà mandato, e con i russi in casa. Una “purga”, titola il “Corriere della sera” – in vecchio stile sovietico. E in effetti così avveniva all’epoca: si facevano le “purghe” per lo più in guerra.
 
“Finché continuerà la guerra della Russia contro l’Ucraina, sarà difficile che il governo di Giorgia Meloni possa entrare in crisi o essere sostituito”. Diamine, e perché dovrebbe? Si pone il problema “Il Popolo” del Pd, se ne esiste uno? Il “Corrierino dei piccoli” grillino? No, il “Corriere della sera”. Informa i suoi lettori, che si vede sono in ansia di mandare a casa il governo che hanno appena eletto, che per ora non c’è niente da fare. Poi dice che i giornali nessuno li compra più.
 
“Pregi e difetti”, anche i difetti, non li nasconde Ferruccio de Bortoli nel ritratto dell’Avvocato Agnelli a vent’anni dalla morte, ovviamente apologetico. Ma non dice quali. Sì, portare i soldi nei paradisi fiscali. Ma farlo legalmente è anche un obbligo. Zero totale invece sulla Fiat, che l’Avvocato prese da Valletta come quarto gruppo mondiale, dopo le tre americane, e lasciò fallita. Solo intento a fare i bilanci ogni anno, cioè a pagare un dividendo alla Famiglia. Con le plusvalenze, o con i soldi pubblici. Con due soli modelli di successo dopo la Cinquecento e la Seicento ereditate: Panda e Uno-Punto. Dovute a un manager che però l’Avvocato licenziò, o Romiti. Le famiglie fanno bene alle aziende casalinghe.
 
Con Agnelli va anche Cuccia, il banchiere che si ricorda ora anche per le celebrazioni dell’Avvocato. Non ha “salvato” nessuna delle aziende cui ha messo mano, Olivetti, Montecatini-Edison, Fiat, e di nuovo Olivetti: un banchiere che non conosceva il mondo, i mercati.
 
Senza limiti lo squallore del giudice Borrelli, il Capo Procura di Milano, sodale del corrottissimo Di Pietro, rivela casualmente Cazzullo nella posta del “Corriere della sera”: “Mentre tutti pensavano e scrivevano che stesse trattando il rientro in Italia con il governo D’Alema e con la procura di Milano, Craxi diceva al telefono al cognato Pillitteri: «Io in Italia non rientro, preferisco essere operato qui in Tunisia, morire qui, essere sepolto qui»”. “Tutti” erano Borrelli, che col solito dire e non dire si lasciava presumere destinatario di una richiesta di grazia, e sovranamente annunciava che non l’avrebbe concessa. Tanto ludibrio sarebbe inimmaginabile, se non fosse vero. A Milano. Complici i cronisti milanesi.
 
Dunque, un vigile urbano su sei a Roma non va nemmeno a “lavorare”, manda certificati che lo dichiarano inidoneo al servizio. E cioè, da pensionare? Con l’Inail?
E gli altri cinque? I più escono in coppia, fanno tre o quattro multe nelle zone urbane non trafficate (non nelle strade commerciali, dove i vigili possono fare la spesa gratis, e quindi si può parcheggiare in doppia fila), e poi si imboscano. Corruzione? È la corruzione della corruzione: il posto di vigile urbano a Roma si compra.
 
L’editore Laterza organizza una tavola rotonda su “Stato e mercato”: chi crea (più) ricchezza? Con Boitani, Granaglia, Cassese e Vincenzo Visco, tutti Pd, più o meno di sinistra, più o meno statalisti – e tutti più o meno, eccetto la professoressa Granaglia, emeriti ottantenni. Cioè?
 
Juventus-Atalanta è la prima partita inibita ad Andrea Agnelli, neo condannato di Chiné. Agnelli, la madre di Andrea, però presenzia. E si fa fotografare con Elkann. Dopo le voci di dissensi tra suo figlio e il cugino erede dell’Avvocato. Non ci sono più le terribili “sorelle” dell’Avvocato, quelle che favorirono la retrocessione della Juventus per liberarsi di Moggi e Giraudo, specie Suni, il “maschio” della Famiglia. Il capitalismo familiare può essere umorale.
 
Il governo inglese è gestito da un anglo-indiano, indù, Sunak, primo ministro indicato da Zahawi, il presidente del partito, curdo iracheno rifugiato politico – già Cancelliere dello Scacchiere e ora sotto inchiesta per reati fiscali. E se la Brexit ha avuto il 2 per cento necessario per vincere dagli immigrati? Per contare a Londra? È una scemenza, naturalmente. Ma è una possibilità, se i Lord sono ora anglo-asiatici.

Cronache dell’altro mondo – bellicose (247

L’industria americana delle armi non è pronta per un conflitto con la Cina”, titola il “Wall Street Journal”. Riprendendo le conclusioni di uno studio del Csis, Center for Strategic and International Studies, fondazione bipartsian. Per chiedere una maggiore spesa militare a favore dell’industria bellica. Ma come se la guerra con la Cina fosse all’orizzonte.
La fornitura all’Ucraina di armamenti per 27 miliardi di dollari ha lasciato sguarniti i depositi. E trova l’industria bellica in una fase di semi smobilitazione: opera “in modo più adatto a un ambiente di pace”, secondo l’autore della ricerca, Seth Jones: “I problemi della base industriale, “in parte dovuti a procedure di appalto obsolete e a una burocrazia lenta, stanno influenzando la capacità di creare un deterrente credibile nella regione indo-pacifica o di affrontare la Cina in un conflitto militare”.
Il “consumo di armi” in Ucraina è elevatissimo: “Il numero di missili a spalla Javelin inviati all’Ucraina dallo scorso agosto, ad esempio, equivale a circa sette anni di produzione, in base ai ritmi di produzione dell’anno fiscale 2022… Il numero di sistemi antiaerei Stinger forniti a Kiev rappresenta all’incirca lo stesso numero di sistemi esportati all’estero negli ultimi 20 anni…. L’invio di oltre un milione di munizioni da 155 mm all’Ucraina ha ridotto le scorte dell’esercito americano, ora considerate scarse”.

Quando il fascismo non era fascista

Il delitto Matteotti viene vissuto e gestito da Mussolini stesso come un crimine. In una democrazia parlamentare: Mussolini riferisce giornalmente alla Camera, in termini rispettosi, da presidente del consiglio eletto, seppure a grande maggioranza (in un voto, il 6 aprile, in cui era riuscito a coalizzare tutte le destre in una “Lista Nazionale”, per vincere il premio di maggioranza che la legge elettorale Acerbo introduceva nel sistema proporzionale, mentre tutti gli altri, dai liberali alle sinistre, si dividevano in 19 liste). Personalmente sconvolto, non ci dormiva la notte. Politicamente minoritario nel suo stesso partito, perfino isolato. Sfidato dalle correnti interne, moderati (del re) e oltranzisti.
Vengono arrestati i due mandanti del rapimento, e i tre esecutori del delitto. Mussolini fa dimettere da ogni carica i suoi collaboratori di anni, quasi confidenti, Cesare Rossi e Aldo Finzi, intimi di uno dei mandanti, Marinelli. Dimissiona il capo della Polizia De Bono. Quattro ministri si dimettono: De Stefani, Federzoni, Oviglio, Gentile. Un quinto ministero, l’Interno, deve abbandonarlo lui stesso, su istanza del re – viene assegnato a Federzoni. Nel direttorio del partito Fascista deve fare posto agli “intransigenti”: “Il coinvolgimento nel delitto dei principali avversari fascisti del rassismo confermava la validità delle accuse che i fascisti delle province da due anni muovevano contro il «porcaio politico» di Roma, contro gli arrivisti e i corrotti fascisti del governo, che pretendevano la fine del sano fascismo delle province”.
Tutto questo in pochi giorni, tra il 10 e il 17 giugno 1924. Il 17 giugno Mussolini si può rilanciare sul suo giornale, “Il Popolo d’Italia”, allertando i militanti come nelle lotte del 19-22, “come ai tempi delle grandi battaglie”. Ma contro la fronda interna, non più contro i socialisti. Dopo aver definito nello stesso articolo l’assassinio di Matteotti “barbaro, crudele, inutile, antifascista e, si può dire, dal punto di vista politico, antimussoliniano”. Il 24 giugno è tutto finito. Il Senato rivota la fiducia, e la votano anche Croce, Giolitti, Salandra.
Il fascismo si fa, non nasce, non si eredita.  
Emilio Gentile,
Storia del fascismo – 7. Dittatura con delitto, la Repubblica, p.158, ril., ill,. € 14,90

domenica 29 gennaio 2023

Cronache dell’altro mondo – criminali (246)

1.096 nel 2022 gli omicidi in Usa, 332 milioni di abitanti, per mano delle polizie, federali, statali, locali. 310, nello stesso anno, gli omicidi in Italia, 59 milioni di abitanti - in totale, nessuno per mano delle polizie.
1.096 è il calcolo delle vittime delle polizie americane secondo il “Corriere della sera”. La cifra è più alta secondo la ong Mapping Police Violence, “almeno 1.183”. Il numero più alto nei dieci anni in cui la ong ha operato, 31 più del 2021 – quando una campagna per il disarmo della polizia è stata avviata. Questi i dati annuali della ong: nel 2021 le polizie americane hanno ucciso 1.145 persone, 1.152 nel 2020, 1.097 nel 2019, 1.140 nel 1018, 1.089 nel 2017.
 
Dopo indagini si è scoperto che Virginia Roberts, sposata Giuffré, che ha accusato il principe inglese Andrea di “molestie sessuali” dentro una vasca da bagno ha mentito: la vasca è troppo piccola anche per una persona. “Giuffré” è stata una vedette del movimento #metoo congro gli abusi sessuali e dei media americani. Il principe inglese, pur negando l’intimità con la donna, aveva accettato un “accordo extragiudiziale”, cioè il ritiro della querela previ compenso. Un altro “accordo extragiudiziale” l’accusatrice aveva ottenuto da un professore di Harvard da lei accusato.
Nessun procedimento per calunnia può essere avviato contro “Giuffré” se non per querela di parte, anche se polizie e tribunali hanno speso tempo e soldi per circostanziare le sue accuse: la calunnia non è un reato.

Miracolo, si ride in tv

Due episodi billantissimi, il terzo (“Pierfrancesco” Favino) e il quarto (“Matilda” De Angelis), con situazioni e dialoghi comici a ripetizione, specialmente effervescenti, della soggettista e sceneggiarice Lisa Nur Sultan – al quarto episodio ha collaborato Federico Baccomo. Sull’attore che vive il personaggio anche dopo finito il film: Favino, impareggiabile “Che” Guevara, con habana e rum a profusione, nel castigliano della pampa, e subito poi il “capitalista” Draghi che sembra il vero Draghi, anche nell suono della voce. E sulla diva dai milioni di followers travolta dagli insulti, sempre sui social, per una pasta alla crema ingurgitata mentre attende l’aereo, che la solita foto, magari di un ammiratore, postata in rete denuncia come trasgressiva – impersonava un western al femminile, originalissimo, e viene licenziata.
Deliziosi anche i contorni. Tipo l’invenzione di un’attrice “non caucasica” in scuderia perché “ilvento del mercato è cambiato”, i casting vogliono protagonisti non bianchi. O l’instabile, tutta schiava/dominante, storia d’amore tra la maggiore (si può dire “la” maggiore per il grado militare?) della Finanza che controlla i registri contabili dell’agenzia e la workalcolic agente nei pochi minuti che questa si prende di pausa – tra un boccone schifato e l’altro di uno streetfood vegano, giusto perché la finanziera preda è vegana. O l’agente fedifrago, che abbandona l’agenzia in difficoltà, ma diventa un eroe perché così ha dissuaso gli acquirenti dell’agenzia, il gruppo che li avrebbe licenziati tutti – naturalmente tedesco.  
Un altro botto della Palomar di Carlo Degli Esposti, dopo i Montalbano e i BarLume.

Luca Ribuoli, Call my agent – Italia, Sky Original