sabato 4 febbraio 2023
Caccia (islamica) al cristiano
Sono – sono stati
nel 2022 – 360 milioni i cristiani “fortemente perseguitati” a motivo della
fede, uno su sette. È la statistica di Portes Ouvertes, associazione belga dei
diritti umani. Sono stati 5.621 i cristiani uccisi, specificamente, a motivo della
fede. Più 5.259 rapiti, spesso scomparsi nel nulla. E 4.542 carcerati, spesso
seviziati.
Se il futuro è di Casini
La morte di Enzo Carra, il “martire” di Forlani
sui roghi di “Mani Pulite” (che Di Pietro&Co hanno perseguitato, non potendo
mettere le mani su Forlani, di cui Carra era addetto stampa), ha fatto riemergere,
nelle tante rievocazioni, il ruolo subdolo di Casini. Che di Forlani era il
protetto e il delfino, ma “Mani Pulite” ha lasciato fuori. Che poi si è messo
con Berlusconi, di cui è stato vice-presidente del consiglio, poi con Monti
contro Berlusconi. E in questa posizione ha impedito a Carra, che dopo l’assoluzione
aveva ripreso l’attività politica, di continuarla, nelle liste
Margherita-Pd-Unione di Centro-Scelta Civica, di cui Carra era stato anche
animatore - gli ha impedito la ricandidatura al Parlamento: niente candidature per chi aveva
avuto “pendenze giudiziarie” risalenti a “Mani Pulite”, stabilirono Monti e Casini, praticamente un no a Carra.
Tutto questo Casini aveva fatto in sessant’anni. Meno, in poco più di cinquanta. Senza scandalo, poiché il potere democristiano è
così, cannibale. Ma questo stesso personaggio, Casini, non è diventato da ultimo candidato
del Pd, se non membro lui stesso del partito Democratico, la cosa non è chiara,
alla presidenza della Repubblica?
Si spiega che il Pd navighi sott’acqua, sia
come partito, fra quattro candidati incolori alla segreteria, sia fra i
partiti.
L'impero americano è violento
Mossadeq (Iran),
Arbenz (Guatemala), Nasser, Cuba, Vietnam, Nicaragua, Bosnia-Serbia (con
l’utilizzo Nato delle bombe a uranio impoverito), per la creazione del Kosovo
(idem, più la più grande base militare americana nel mondo), Afghanistan, Iraq,
Libia, Ucraina 2008-2014, Yemen, Siria. Su 18 capitoli, 12 sono di “guerre
illegali” come il titolo dichiara. Degli Stati Uniti da soli, o con la Nato. Ma,
andrebbe precisato, con la collaborazione dei “volenterosi” della Nato, non c’è
mai stata una “guerra Nato”.
Una “guerra dei
gasdotti” sarebbe stata da aggiungere. Di quello dall’Iran alla Siria, da
impedire a tutti i costi. E del Nord Stream 2, dalla Russia alla Germania via
mare, evitando l’Ucraina e i Baltici, ora sabotato da non si sa chi – cioè, si
sa ma non si può dire. Una “guerra”, di fatto, all’approvigionamento energetico
dell’Europa – alla sicurezza nella diversificazione. Ma poi, e soprattutto, c’è una guerra “legale”? La
promozione di una guerra, l’attacco, frontale o surrettizio, non la difesa.
Qualcuna di queste
“guerre illegali” è ancora più complicata. Saddam Hussein fu dapprima portato
al potere in Iraq e poi sostenuto contro l’Iran. Nella prima Guerra del Golfo
anche direttamente, con distruzione di molte piattaforme petrolifere e navi da
guerra iraniane. Fino a che fu invece armato l’Iran, l’Iran mangia-americani di
Khomeiny, nella triangolazione Iran-Contra in Nicaragua, contro Saddam Hussein.
Poi punito con la seconda Guerra del Golfo, con ampio schieramento Nato, e
infine con l’invasione nel 2003. Un cinismo non casuale, Ganser fa rilevare da
George Friedman, lo scienziato politico magiaro-americano fondatore e titolare
di Stratfor (Strategic Forecasting) e Geopolitical Futures: “Raccomando la
tecnica introdotta dal presidente Reagan nei confronti di Iran e Iraq: sostenne
entrambe le parti in conflitto! Così si sono combattuti a vicenda e non contro
di noi. È stata un’operazione cinica e amorale, ma ha funzionato”.
Si legge di corsa
poiché è tutto noto o segue uno schema noto. Nel senso che la pubblicistica
terzomondista per molti decenni aveva agitato questo dossier – che in quegli
anni si diceva manipolato dall’Unione Sovietica. La conclusione è un manifesto:
“Gli avvenimenti storici degli ultimi settant’anni mostrano chiaramente che
molte volte i paesi della Nato ne hanno aggredito altri, violando il divieto
dell’uso della forza sancito dallo Statuto delle Nazioni Unite. La Nato non è
un’organizzazione al servizio della stabilità e della pace nel mondo, ma, al
contrario, rappresenta un elemento destabilizzante”. E tuttavia, malgrado
tutto, se tutto è noto è anche vero, si può aggiungere.
La Cia ha fatto
molti colpi di Stato, non solo quelli contro Mossadeq e Arbenz – o Noriega, che
Ganser pure ricorda, il presidente di Panama trafficante di droga ma per
decenni servo utile della stessa Cia. Basta ricordare Allende, che Ganser non
menziona, il presidente cileno abbattuto dal golpe di Pinochet. O i tanti
rivolgimenti militari in Sud America e in Medio Oriente, negli ani 1960-1970,
quando l’America puntava sui regimi “bonapartisti” – compreso Saddam Hussein,
compreso Gheddafi.
Per alcuni
aspetti, però, è una disamina nuova. Sulla guerra “inutile” in Afghanistan già
quando Ganser scriveva, nel 2015. Contro i talebani che, non si ricorda
evidentemente mai abbastanza, furtono creati e armati, come tutto il
fondamentalismo islamico, dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita nello stesso
Afghanisan contro l’Unione Sovietia. L’Is compreso indirettamente, lo Stato
Islamico, strutturato in Iraq e in Siria dagli iracheni sbandati di Saddam
Hussein dopo l’invasione. E sulla guerra per procura tra Stati Uniti e Russia
in Ucraina, che Ganser documenta già sui fatti del 2008-2014: delle
dimostrazioni organizzate contro un presidente restio alla Nato, Yanukovich,
terminate con un eccidio senza padri, ma con la cacciata dello stesso
Yanukovich, fino al contrattacco russo in Crimea e nel Donbass
(nessuno ricorda che l’Unione Sovietica cominciò a crollare nel bacino
minerario e metallurgico del Donbass, per proteste sindacali e politiche
russe).
Utile repertorio
dell’imperialismo del secondo Novecento e del primo Millennio, è un libro che
pone indirettamente il problema dell’imperialismo. Che è politico prima che
legale, qual è l’approccio di Ganser, che tutto riferisce all’Onu, alle sue
deliberazioni o mancate deliberazioni, e rispetto alle quali definisce
“illegali” le attività militari americane nel mondo.
È dell’America di
fatto che si tratta. Per la semplice ragione, spiega Ganser, che le decisioni
spettano non al segretario generale dell’Organizzazione, un uomo di paglia, ma
al Saceur, il comandante militare, che è sempre americano – al generale
Eisenhower per Mossadeq, al generale Lemnitzer per i missili sovietici a Cuba.
È indubbio che un
secolo è passato, o quasi, di impero americano mondiale. Non grande e
indiscusso come fu quello britannico nell’Ottocento ma dotato di ben 737 basi
militari sparse nel pianeta – tante ne conta Ganser. Sotto le insegne della
libertà e la democrazia. Nella sintesi di Obama, nel discorso alla Nazione
dell’11 Settembre 2014: “Come americani, avvertiamo la nostra responsabilità di
nazione-guida. Dall’Europa fino all’Asia, dall’Africa fino al Vicino Oriente,
ci leviamo in piedi per la libertà, la giustizia, la dignità. Questi valori
hanno guidato la nostra nazione fin da quando venne fondata” - con l’augurio
finale consueto: “Dio protegga la nostra Nazione”.
Un impero altrettanto
in buona coscienza come l’impero romano, si può aggiungere, lo fu sotto il
segno della legge – non c’è paese che onori tanto i Campidogli come gli Stati
Uniti - ma altrettanto severo.
Un impero di
diritto, come ogni altro impero – che fa il suo proprio diritto. E nel caso di
Clinton con Blair, andrebbe rimarcato, e poi di Obama (Yemen, Libia, Siria,
Ucraina), democratico, liberatore, progressista, di sinistra. Di Obama in
strana alleanza (Yemen, Libia, Siria) con le petromonarchie, Qatar, Arabia
Saudita, le più attive nell’ispirazione e il finanziamento del fondamentalismo
islamico di matrice wahabita. Con Hillary Clinton alla Segreteria di Stato, la
cui Fondazione è - era – ricca soprattutto delle donazioni delle petromonarchie.
Come a dare ragione alle farlocche fantasie della destra americana, che voleva
il presidente Obama un islamista occulto. Forse è il
concetto di imperialismo che bisogna rivedere, nel mondo “unito”, cioè
globalizzato.
C’è in queste
“Guerre illegali” un pregiudizio anti-americano. Ganser si fa spiegare dalla
Bbc, con due teorici di Princeton, Martin Gilens e Benjamin Page, che gli Stati
Uniti, la patria della democrazia, sono di fatto una oligarchia. Sorretta,
aggiunge incidentalmente, da ben 16 agenzie di intelligence. E opina per
un “complotto” nel crollo di una delle torri Gemelle l’11 Settembre, non colpita
dagli aerei kamikaze. Ma porta anche molta “evidenza”. Mette a fuoco cioè molto
materiale fattuale, semplicemente trascurato, in una sorta di ubriacatura
dell’opinione pubblica, da una “battaglia di libertà” all’altra.
Certamente è da
rivedere la Nato, in questo mondo unificato. Il concetto e l’organizzazione.
Ganser parte con la considerazione che Helmut Schmidt, il cancelliere
socialista tedesco, scriveva nel 2008, dopo mezzo secolo di attività politica
di vertice, della Nato: “In realtà, questa organizzazione non è necessaria.
Considerata oggettivamente, è solo uno strumento della politica estera
americana, della sua strategia mondiale”. L’Europa dovrebbe sapere se è alla
sua fine che sta operando. Tanto più ora, che si trova all’avamposto contro la
Russia, che pure, secondo la geografia e la storia, è parte di essa.
Di grande lettura la
ricostruzione minuziosa della crisi nucleare di Cuba nel 1962 - con l’iperattivismo
di Egidio Ortona, l’ambasciatore italiano all’Onu (ministro degli Esteri era Segni).
E della guerra nella ex Jugoslavia, di una serie spericolata di provocazioni Nato,
cioè americane, su tutti i fronti, Croazia, Bosnia, Kossovo. Specialmente
disumane, va aggiunto, in un territorio civilissimo usato per sperimentazioni
belliche come fosse un deserto: esercitazioni per l’affinamento dell’arma aerea,
con le bombe “a grappolo” e quelle all’uranio impoverito - che non sono state
catalogate, e non si catalogano, come armi chimiche, proibite, anche se tante
vittime hanno fatto di “fuoco amico”.
Oggi, nel pieno di
una guerra sicuramente di aggressione, della Russia contro l’Ucraina, la
lettura di Ganser solleva uno strano presentimento: di un déja vu, nelle
guerre jugoslave, guerre “illegali” in larga parte, della Nato, cioè degli
Stati Uniti, cioè delle 16 agenzie di intelligence in recondite manovre. Con
l’Europa in prima fila, a sua insaputa ma obbligata, con le sanzioni, cioè con
la disarticolazione della sua rete energetica, e col rischio ritorsioni.
Carlo Rovelli dice
tutto nelle quattro paginette dell’introduzione: siamo sommersi da “una
narrazione basata su un’impressionante ipocrisia”. Ma si spinge troppo a
delineare un Occidente ancora dominante militarmente, ma non più nell’economia
e nei saperi. Questo è vero dell’Europa. E non per ipocrisia, non sembra –
l’evidenza è persino arrogante: per incapacità, forse per viltà.
Il capitolo “La
guerra illegale contro l’Ucraina – 2014”, è completato in questa edizione da
brevi considerazioni sull “attacco” della Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio
2022, “un conflitto geostrategico tra Mosca e Washington”: “Come se gli Stati
Uniti e la Russia, entrambe potenze nucleari, si fronteggiassero in una guerra
per procura”. Non si userà l’atomica, ma l’Ucraina è solo il terreno di un
braccio di ferro tra le potenze nucleari. Come Cuba lo fu.
Con una cronologia,
in fondo, di “Alcune delle guerre illegali avviate dopo il 1945”.
Daniele Ganser, Le
guerre illegali della Nato, Fazi, pp. 589 € 20
venerdì 3 febbraio 2023
Problemi di base - 732
spock
La prima vittima della guerra è la verità?
Il male nasce e si diffonde senza ragione?
E senza giustificazione – anche quando potrebbe averla?
Muto come il
destino?
La calunnia
non è un reato, ministro Cartabia?
La stupidità è
irrimediabile (organica)?
spock@antiit.eu
Giallo Roma
La vita quotidiana
a Roma in questo primo Millennio. “Ogni giorno, rappresentanti di ditte tra le
più disparate spuntavano sul pianerottolo per vendere servizi e far firmare
contratti per la fornitura di energia”. Ci sono anche i fatti specifici di Monteverde
- quantum mutatus ab illo, di Pasolini: il romanzo è di un assassinio, di
più assassinii, e indaga la squadra omicidi del commissariato Monteverde. Cone
le altre specialità del quartiere: le cacche dei cani, razze più diverse, compresi
i cirnechi dell’Etna, le ortiche, i tatuaggi, i lavori stradali interminabili,
il bigné di san Giuseppe.
Ma, poi, Roma prevale.
Dove “la squadra di calcio del cuore è un’unione mistica” – una di quelle
“religioni dalle quali è impossibile abiura. È una fede. Si può cambiare
moglie, lavoro, ma squadra di calcio … quello mai”. E qui il calcio c’entra
molto. Sotto la forma pulcini promettenti, di cui si fa
lauto mercato. Come da troppi casi recenti. Vincenzo Sarno, il “nuovo Maradona”,
a undici anni comprato per 120 milioni dal Torino, campione per questo immediato
in tv da Raffaela Carrà, per poi cambiare club ogni pochi mesi, una cinquantina
di trasferimenti in quindici anni o poco più di attività agonistica. O Pietro
Tomaselli, nazionale belga Under 15, il “nuovo Messi” di Trigoria, finito al Coruxo
in Spagna, quarta categoria, semiprofessionista.
Ma, poi, Roma è
l’Italia, col ministro (dell’Interno) che si aggira con la felpa della Polizia.
C’è anche Putin. E l’editoria a caccia di romanzi di Hitler, dopo i Rosacroce,
i tarocchi, e le violenze sui bambini: le assaggiatrici, le nipoti, gli orfani,
e i cani – dopo “La cucciolata del cane di Hitler” siamo a “I testicoli di
Hitler”.
Più che scrivere,
Morlupi, italo-francese di Roma, sembra divagare. Volere divagare – la trama,
sottile, sarebbe breve. I “cinque di Monteverde” sono caratterizzati senza
essere collegati - come di fatto avviene nei commissariati. E vincono leggeri
come i delfini contro i pescecani. Benché il capo, commissario Biagio Maria Ansaldi,
sia obeso e ipocondriaco, ma forte. Ma il risultato, alla fine, qualche
soddisfazione la dà.
François Morlupi, Come
delfini tra pescecani, Tea, pp. 414 € 5
giovedì 2 febbraio 2023
Secondi pensieri - 504
zeulig
Fede – Se è quella di
Tommaso, che doveva “toccare con mano”, si può non dare – ma è un controsenso,
fede è l’opposto del toccare con mano.
Dall’altra parte
c’è l’agnosticismo. Che però pone più problemi della fede – della fede
religiosa. “Credere o non credere in Dio non è affatto importante, sostiene Voltaire.
E invece no: non cambia il mondo, forse, ma la vita (destino) personale sì - a
meno naturalmente di non prenderla alla Scalfari, l’ultimo interlocutore agnostico
del papa, della vita per gurru - per avventura, mezzo divertita.
Diceva Borges, l’agnostico (quasi) perfetto:
“I cattolici cedono in
un mondo ultraterreno, ma ho notato che di esso non si interessano. A me accade
il contrario: mi interessa, ma non ci credo”. Ma non può essere: nel momento in
cui è una sua creazione mentale, anche solo poetica – fantasiosa, volutturia e
non strumentale - oppure di ricerca, in divenire, è il principio della fede. Si
crede per autorità esterna, come servitù volontaria e anche entusiasta, ma si
crede anche per curiosità o volontà propria – bisogno proprio.
Minoranze – La “dittatura delle minoranze” perpetua in epoca di pace lo stato d’eccezione di Agamben, la stasis. In epoca di pace militare, poiché la biopolitica sempre ci vuole in guerra - come in effetti avviene: la biopolitica è una grande scoperta (come tutte le scoperte, di ciò che c’era e non sapevamo). E la strumentazione del potere è anche della resistenza, solo cambia la qualità e il peso del potere, non la sua natura o scopo, l’affermazione di un diritto.
Alla biopolitica si è arrivati indagando le
tecniche di controllo sanitarie, demografiche, psicosanitarie. Ma questo è un
percorso che si vuole senza limiti. E non può essere. Dal controllo delle nascite
al diritto di aborto, alla diagnostica prenatale, alla ricerca sugli embrioni. E
quindi a tutta l’eugenetica? Con i diritti sule nascite si agisce prima e non
dopo, ma è la stessa concezione di buona società del primissimo Novecento
angloamericano, e poi di Hitler. Come penetra la politica nella vita, come il
potere sovrano si appropria della “nuda vita”, è il problema di Agamben. Di chi,
di che? Di tutto, dentro la scienza. La scienza come un potere? Follia. L’ecatombe
nucleare è nulla al confronto, come responsabilità morale e come potenziale distruttivo.
Quanto dista un moderno Stato Liberale, iperprotettivo, anche delle minoranze
minime, dalla dittatura - dalla dittatura fascista, totalitaria?
Occidente - La Notte d’Occidente, “che è
bionda, e il cui corpo s’impenna in nervose vibrazioni atletiche”, Savinio contrappone
alla Notte del Nord, “la cui bianca capigliatura incornicia un viso fresco e
roseo di fanciulla dai seni limoneschi”, la Notte d’Oriente, che è “donna bruna
e massiccia, pesante e inagile come una sultana”, dalla “pelle oleosa come
l’epidermide di un lottatore turco”, e ispira “coliche e nausee”.
L’Oriente
viene da Occidente, al contrario della storia che invece, si sa, viene
dall’Oriente: dalla Cina alla Mesopotamia – alla Persia, alla Grecia – e
all’Egitto. Bisognerebbe quindi che ci fosse un Occidente, con moto retrogrado
rispetto a quello della storia, che la storia per così dire sifonasse
all’indietro.
L’Occidente,
si sa, cominciò a Salamina, dove gli ateniesi sconfissero i persiani: agili e
potenti remarono gli iloti bifolchi, la feccia della città. O a Maratona. O
alle Termopili, ma allora è un’altra storia, tutto originerebbe dagli spartani.
Senza contare che le Termopili si pensano una gola stretta dentro
cui l’armata persiana stolidamente s’imbucò, ma sono in realtà un posto tra le
colline e il mare del golfo di Malis, oggi largo alcuni chilometri (ci sono in realtà più Termopili,
le ultime furono vinte da Catone il Censore, lo stratega romano nemico della
cultura greca, che la difese poi contro i Seleucidi, l’ennesimo nemico che oggi
la Grecia chiamerebbe turco). O era cominciato con Mosè, che non esiste, la
figura centrale dell’Occidente, al quale ha donato Dio e la legge. La cultura occidentale stessa non esiste, al contrario del vuoto:
Fanon ne fa la dimostrazione, lui che è venuto dal nulla. Sempre che l’Occidente non sia egiziano,
per Mosè e Gesù, e non solo.
Fino a
tutto il Medio Evo l’Egitto fu asiatico, orientale, l’Africa partiva dalla
Sirte. Ma c’è chi, Simone Weil, vuole che i primi undici
capitoli del Genesi, fino a Abramo,
siano il rifacimento di un libro sacro egizio, e dunque: sono gli ebrei
egiziani, e pure i cristiani. Le origini egiziane dell’Occidente emergerebbero allora via Africa,
come Anta Diop, laureato alla Sorbona, ha scoperto: gli egiziani erano bruni in
antico, con la stessa soma della fascia sudanica, fino ai peul senegalesi,
quali i Diop sono, e lo stesso vocabolario essenziale. Cristo c’è cresciuto, il miracolo di Cana avvenne in Egitto nella
vita di Gesù della tradizione maomettana. Senza trascurare le concrezioni previe: la
Grande Madre, che per Graves è bianca, potrebbe essere stata nera, ci sono
Madonne nere, e santi, San Benito di Palermo, venerato in Sud America,
con Antonio di Caltagirone e la nubiana Ifigenia, con cui fa trittico nelle
pale d’altare, santi schiavi, incolti, docili. L’Occidente quindi sarebbe propriamente
africano. Per molti degli stessi europei, del resto, paleontologi e non, il
paradiso terrestre è in Africa, con Eva. Per alcuni in Sud Africa, e questo è
strano, sono quelli dell’apartheid, o in Rhodesia che è come il Sussex,
per altri nel Kilimangiaro, dove si trapiantano i masai sempre eretti – al
cinema si può.
Si corre verso Occidente. Solo la Russia, che è a Occidente e a Oriente, quando si muove va a Oriente, verso la Siberia e l’Afghanistan – ora, con la guerra, sembra che vada a Occidente, ma in realtà l’Ucraina le sta sotto la pancia. Si corre verso l’America, che è sicuro Occidente, lo è nei documenti ufficiali e anche nei trattati, Emisfero Occidentale. E c’è in Perù la garua, come a Genova. È da tempo che l’Europa ha ripreso a correre verso Occidente, anche dopo la lezione del Toscanelli che per via di Occidente si finisce a Oriente. Per cui l’Occidente oggi si trova soprattutto in Cina: a San Francisco la Cina non è più a Oriente ma a Occidente.
Che l’Estremo Occidente si
sovrappone all’Estremo Oriente è l’uovo di Colombo, Colombo l’ha pure detto. E
Toynbee ha scoperto non solo che i britanni trafficavano nelle loro paludi con
le monete del ricco Filippo il Macedone, anzi le copiavano storpiandone i
caratteri, ma che l’arte cinese “attraverso il bacino del Tarim e il bacino
dell’Oxus e dello Jaxarte, attraverso l’Afghanistan, la Persia e l’Iraq, la
Siria e l’Asia Minore, si ricongiunge all’arte classica della Grecia nell’epoca
precedente la generazione di Alessandro” – prima che la Grecia andasse a
Oriente. La storia cioè si rovescia: “La fusione dell’onda greca con un’onda
indiana ha generato la civiltà buddista”. Di veramente orientale ci sarà
stato solo il cristianesimo, che, secondo Yourcenar, “fu importato dall’Oriente
tramite l’Italia” – anche secondo Maurras, per il quale i vangeli sono “violente scritture orientali”. Cristo, “il
suo nome è Oriente”, secondo una profezia messianica, e alla fine dei tempi
“dall’Oriente come folgore esce”. Per cui il cristianesimo, pilastro
dell’Occidente, si deve dire correttamente religione orientale cresciuta a
Roma.
A volte l’Occidente si mescola all’Oriente. Il cristianesimo romano lo fece con l’islam, per distruggere con le truppe di Allah l’impero e la chiesa d’Oriente. O per soggiogare questo o quel principe malfido di Occidente. Né manca chi vuole togliere all’Occidente il Cristo. Anzi, c’è già chi lo dice, più che un ebreo rinnegato, un orientale, alla pari dei Magi. Ma il vero Occidente sta a Occidente, com’è giusto per la geografia e i meridiani, la vecchia Europa è confusa per ingordigia e dice scemenze. Il Vangelo ha fatto l’Occidente come l’Occidente ha fatto il Vangelo. È possibile, anzi è probabile, che Gesù abbia appreso dall’Oriente, a Cafarnao, o a Balkh, di prima mano o attraverso i carovanieri, ma è l’Occidente che gli ha risposto. L’Oriente non ha risposto prima e non ha risposto dopo, da Zoroastro a Budda. È questa la storia di san Paolo agente dei Romani: se non avesse fatto i viaggi sarebbe rimasto un capitano in congedo appesantito in Siria. Lutero, per dire, non poteva essere che tedesco. Calvino è l’intellettuale francese che è riuscito a farsi re.
(continua)
zeulig@antiit.eu
L’amore nell’abbandono
Léa Seydoux fotografata in dolce, il viso, il corpo, i gesti, linee
e colori morbidi. Vedova con una figlia, accudisce il padre che perde rapidamente
forze e cognizione, vecchio insegnante di filosofia. Confrontandosi con la
madre, ex del padre, imperiosa, e con una sorella minore inutile. Senza mai
commiserarsi o perdere la pazienza. Nel tempo libero lavora come interprete. Con
difficoltà ma senza lamentarsi. Ritrova l’amore in una vecchia fiamma degli anni
adolescenti, e lo vive con slancio malgrado i tanti problemi – lui è ancora sposato.
Scritto dalla stessa regista, è volutamente un apologo della vita.
Una mano di serenità, nella elaborazione dell’abbandono, delle morti
successive, necessariamente triste. Un racconto al femminile come usava, senza
le asperità imperanti, d’obbligo.
Mia Hansen Løve, Un bel mattino
mercoledì 1 febbraio 2023
La rana Europa bollita nella guerra
“Pare che una rana nell’acqua bollente cerchi
di saltare via, ma se messa in una pentola scaldata a poco a poco il suo
istinto di autodifesa la porti ad acquattarsi sul fondo, finendo bollita”, è un
apologo di “Lotta Comunista”. Che il mensile riferisce alla Russia: “Bollire
la rana, appunto. Sarebbe la tattica di chi nella Nato vuole innalzare a
mano a mano il livello delle forniture belliche a Kiev, contando che Mosca
abbia poche possibilità di agire”. La vittoria nelle guerre d’attrito, come una
volta negli assedi, è ridurre l’avversario alla malattia e alla fame, disarmarlo
per consunzione. O l’apologo non è piuttosto da riferire all’Europa?
Si può dire questo dell’Europa, che non è parte
diretta della guerra della Russia contro l’Ucraina? Sì, se si pone mente alla “dialettica”
interna Nato. Dove vige da alcuni anni, in Libia, in Siria e ora in Ucraina, una
sorta di “armiamoci e partite”, fra Stati Uniti ed Europa. Le sanzioni le sta pagando l’Europa. A caro
prezzo. Soprattutto se si considera che la Russia ne è colpita meno - molto meno,
come oggi dicono a Washington (“Chip e ricambi, a Mosca arriva di tutto. Con il
flop delle sanzioni il pil ora cresce”). Tanto più che, come si
sa da decenni e questo sito ha ampiamente spiegato un anno fa, le sanzioni si
aggirano con le “triangolazioni”. E nemmeno a rischio inflazione, basta pagare
un dieci per cento di mediazione.
La guerra si combatte in Europa per un fatto che all’Europa non stava tanto a cuore, l’Ucraina nella Nato - il coltello alla gola della Russia, come Krusciov tentò sessanta anni fa con i missili a Cuba: il coltello alla gola degli S tati Uniti. O, volendo nobilitare lo scopo, la democrazia in Ucraina, contro gli oligarchi e la corruttela – le “rivoluzioni” arancione. Ma poi, se guerra dev’essere, le guerre si combattono con decisione, per vincerle, e a rischio ovviamente. Questa “guerra d’attrito” danneggia naturalmente l’Ucraina, poiché si combatte sul suo suolo, ma anche l’Europa, che pensa di non essere in guerra, ma deve difendere la “dialettica” Nato.
L'amicizia vince su tutto
Due amici “rinati”
altrove, Roman Polanski a Parigi e Ryszard Horowitz, fotografo, a New York, sì
incontrano nella città di nascita e della prima infanzia, Cracovia, per rievocare
i luoghi e le vicende dei loro primi anni, le rispettive case, la scuola, la
guerra, la costruzione del ghetto, le deportazioni, la solidarietà, la polizia
comunista del dopoguerra.
Programmato in
sala per il giorno della Memoria, il film è invece un amarcord straordinario,
perfino consolante, sempre sotto le righe, con punte comiche – la bestialità risolvendo
nella stupidità. Di un’amicizia durata settant’anni, ottanta. Sempre viva
malgardo ruoli discriminanti, gregario Horowitz dominante Pollasnki - o forse
per la naturalezza (l’accettazione) di essi. Che rivive seza ombre lo sciocchezzaio
delle avventure infantili, e i drammi, di entrambe le famiglie, per essere
ebrei. Non rinchiusi nel ghetto, e cioè benestanti, ma pure per quattro anni
sotto tiro, a rischio di denunce. La madre di Polanski deportata “ad Auschwitz”
e non più tornata – “ad Auschwitz” designa nel colloquio la fine, è il campo di
sterminio, degli altri lager si parla come di campi di concentramento.
Roman salvato dal padre, che non può allevarlo nella clandestinità, affidandolo
a una famiglia di contadini fuori città – un “paradiso” per il Roman decenne, che
fa un ricordo “della Buchalowa”, la giovane madre di questa famiglia, stupefacente
di lirismo e di forza. Horowitz e i suoi deportati col metodo Schindler, l’industriale
che se ne appropriava e li salvava facendoli lavorare nella sua fabbrica, e da
lui savati con determinazione – quando la madre e la sorella furono mandate
dalle SS “ad Auschwitz” lui andò a riprendersele.
Un film
documentario come ora usa, biopic, con mezzi poveri, inquadrature semplici e due
soli personaggi, che si aggirano per la città chiacchierando, ed è invece
invece un romanzo. Drammatico, grottesco, comico, lirico.
Mateusz Kudla-Anna Kokoszka-Romer, Hometown
martedì 31 gennaio 2023
La Germania non si fida
Il
cancelliere Scholz ha accettato di fornire i carri armati Leopard 2, pochi (una
compagnia, niente), solo a condizione che gli Stati Uniti ne forniscano all’Ucraina
di analoghi, gli Abrams perché non vuole essere in rima fila contro la Russia,
e non si fida degli Stati Uniti. Nell’ipotesi che la Russia estenda il fronte
ad altri apesi europei, considerandoli cobelligeranti, la Germania non è sicura
che gli Stati Uniti scenderebbero in campo.
Nell’ottica
italiana questa sembra una enormità. Ma è quello che la Germania ha indicato dai
primi giorni della guerra, restia a inviare armi (mandava gli elmetti). La
Germania del cancelliere socialdemocratico Scholz. Che però su questo non ha opposizione,
non dei Cristiano-democratici né degli alleati Verdi.
Tra i
socialisti tedeschi è diffusa la diagnosi che della Nato fece l’ex cancelliere
Helmut Schmidt nelle memorie: “In realtà, questa organizzazione non è necessaria.
Considerata spassionatamente, si tratta solo di uno strumento della politica
estera americana, della sua strategia mondiale”. Schmidt da cancelliere, successore
di Willy Brandt, che aveva impresso alla politica tedesca una decisa apertura
verso l’Est comunista, favorì il dual-track di fine 1979, lo schieramento
in Europa occidentale di 572 missili tattici americani a testata nucleare in
Europa in risposta allo schieramento di analoghi missili sovietici nell’Est europeo,
il nuclear sharing, tra Paesi Nato nucleari e paesi non-nucleari, e il
sistema della doppia chiave, dell’assenso del paese non nucleare all’uso di ordigni
nucleari in partenza dal suo territorio.
Anche la Zeitenwende,
il riarmo varato da Scholz un anno fa, allo scoppio della guerra, con un primo
piano di spesa da 100 miliardi, rientra in questa ottica. Il “cambiamento
epocale” è che la Germania farà un riamo efficace. Oggi, secondo i dati accolti
dal Sipri, la spesa militare dei quattro grandi paesi
della Ue (Francia, Germania, Italia e Spagna), pari a 163,6 miliardi di dollari
l’anno, è due volte e mezza quella della Russia, 65,9 miliardi (quattro volte
se si aggiunge la spesa britannica, 88, miliardi) ma di scarsa o nulla efficacia
deterrente.
Letture - 510
letterautore
Agnelli
– L’Avvocato Agnelli Jas Gawronski ricorda con
Cazzullo sul “Corriere della sera” come personaggio di grande caratura
internazionale: “Quando era segretario di Stato, era Kissinger a cercarlo per
chiedergli consiglio, non viceversa”. Kissinger fu segretario di Stato da metà
1973 a fine 1976, con Nixon e poi col vice di Nixon, Gerald Ford. Forse
chiamava l’Avvocato dopo, quando fu fuori dall’amministrazione.
Nel 1984 Gawronski,
speaker a un convegno internazionale della Fondazione Cini a Venezia
sull’immagine dell’Italia all’estero, in qualità di giornalista di vasta
esperienza, corrispondente Rai di grande levatura da Mosca, New York e Parigi, lamentava
che solo Enrico Mattei era un nome di qualche risonanza all’estero tra politica
ed economia. Un convegno cui anche l’Avvocato Agnelli presenziava, alla sua
maniera, ci sono e non ci sono - era irrequieto. Forse fu per questa considerazione
che Gawronski divenne poi una delle compagnie preferite dell’Avvocato.
Cioran
- Si era stabilito a Parigi, senza pagare dazio, come
Eliade, entrambi fieri Legionari della Guardia di Ferro fascista rumena ancora
durante la guerra - sostenuti da Ionesco, che in guerra aveva collaborato col
governo “collaborazionista” di Vichy – ma per esercitarvi un’arte tutta
francese, dei pensieri o aforismi, Pascal, Chamfort, Vauvenargues, La
Rochefoucauld, La Bruyère.
Si legge, però,
e fa testo solo in Italia.
Conrad
- Vide il mare per la prima volta a Trieste, ricorda
Magris: “È su queste rive e in questo golfo (di Trieste, n.d.r.) che Conrad ha
visto il mare per la prima volta, in un viaggio da Venezia, diventando mare lui
stesso”.
Dante
– Fu “fascista” durante il ventennio, monopolizzato da
Mussolini nella retorica della patria e dell’impero, e come tale, come araldo
del fascismo nazionale, registrato nell’ultima revisione, 1924, della canzone “Giovinezza”
di Oxilia-Blanc, 1909 – “Giovinezza, giovinezza\ Primavera di
bellezza\ Nella vita e nell’asprezza\ Il tuo canto squilla e va”. Nata col titolo “Commiato”, come inno goliardico da cantare alla laurea,
poi fatta propria come “Giovinezza” dagli Alpini nel 1911, dagli Arditi nella
Grande guerra, 1917, dai fascisti “sansepolcristi” (socialrivoluzionari) nel
1919, dai legionari fiumani di D’Annunzio, e nel 1924 da Mussolini come inno
nazionale del partito Fascista, e di fatto dell’Italia, cantato da Beniamino Gigli,
accanto alla Marcia Reale. In quest’ultima versione, commissionata a Salvator
Gotta, mantiene il battagliero ritornello originario, ma si apre, un po’
zoppicante, nel nome di Dante: “Salve o
popolo d’eroi\ Salve o Patria immortale\ Son rinati i figli tuoi\
Con la fede e l’ideale \Il valor dei guerrieri\ La vision dei
pionieri\ La vision dell’Alighieri\ Oggi brilla in tutti i cuor”.
La “vision dell’Alighieri” si riferiva in particolare all’italianità del golfo
del Quarnaro, che quindi faceva dell’Istria una provincia italiana.
Tra i tanti
appassionati di Dante c’è stato Giorgio Almirante, il futuro fondatore del Msi,
che nel 1937 si laureò con una tesi sulla fortuna settecentesca del poema. È ad
Almirante che il ministro della Cultura Sangiuliano fa risalire il suo interesse
per Dante, fino ad avocarlo a una cultura di destra. Ma aveva indicato la strada Giorgia
Meloni sul suo sito per il giorno di Dante il 25 marzo: Dante “è autenticamente
«nostro»: è autenticamente italiano, è autenticamente
cristiano. D ante è il padre della nostra identità”. Il primo “nostro”, tra
virgolette, intendendo di tradizione (fascista), di partito, di programma. Editoria
– In Italia è “rinascimentale”? La Francia legge il
doppio dell’Italia, spiega Teresa Cremisi, la presidente di Adelphi che a Parigi
ha lavorato 35 anni, a Chiara Valerio in una distesa intervista sul “D” di “la
Repubblica”: “La popolazione è più o meno la stessa, ma l’editoria francese pesa
più di 4 miliardi di euro e quella italiana a stento due. Significa più del
doppio, che vuole dire poi la possibilità di fare dei tascabili a 6,7, 8 euro,
di avere cioè una cultura del tascabile”, una lettura più diffusa.
Ma c’è un’altra
differenza: in Italia i libri “difficili” si vendono di più. Continua infatti
Cremisi: “In compenso, e non so spiegarmi perché, l’editoria italiana permette
nicchie di alta cultura, e ha un pubblico sapiente, fra le 6 e le 15 mila
persone, che possono comprare libri di saggistica di studio, scienze, di
altissimo livello. In Francia libri così hanno tirature di 2000 copie, qui
trovano 6-7 mila lettori, e vuol dire che siamo ancora al Rinascimento e con
molti centri culturali e un gran numero di aspiranti eruditi”.
Patriota
– Era inteso, nella prima ortografia, “patriotta”,
per giacobino, francofilo, antiborbonico, in Calabria e in genere nel regno
borbonico - U. Caldora, “Calabria napoleonica”. Oggi si direbbe di sinistra.
Poesia
religiosa – Praticata nel Novecento da poeti i più lontani dalla
fede: Borges, pervicacemente, dichiaratamente (professionalmente) agnostico, e
Pasolini “comunista”, cioè materialista. Di Borges religioso fa una sintesi
sorprendente il cardinale Ravasi (che sul tema, dice, ha avuto occasione di
“dialogare pubblicamente con Maria Kodama”, la vedova di Borges, in due
convegni a La Plata e a Cordoba, e di cui ricorda i colloqui con l’allora padre
Jorge Begoglio, docente in un collegio a Santa Fe), sul “Sole 24 Ore” di
domenica, recensendo lo studio di Lucrecia Romera, “Agnosticismo y fe poética
en Jorge-Luis Borges”. Commentando alcuni poemi espliciti, su passi dei quattro
evangelisti (ha tralasciato quello su un passo di Giovanni, che la rete celebra
come un canto di Natale). Ricordando che ribadiva sempre si avere due stelle
folgoranti nel suo cielo, la Bibbia (e soprattutto i Vangeli) e Dante”. E che
soleva dire: “I cattolici credono in un mondo
ultraterreno, ma ho notato che di esso non si interessano. A me accade il
contrario: mi interessa, ma non ci credo”.
Russia
– Non è Occidente, sosteneva Federico Zeri, perché
il mondo ha a due dimensioni: non pratica la scultura e la pittura congela
nelle icone.
Regista
– È parola coniata, si sa, nel 1932 dal linguista
Bruno Migliorini, derivandola dal francese régisseur. Prima si chiamava
direttore o impresario, Denominazione, quest’ultima, più corretta, dando
rilievo anche al ruolo principale nella creazione del film, che ora
giuridicamente è del produttore.
Editoria – In Italia è “rinascimentale”? La Francia legge il doppio dell’Italia, spiega Teresa Cremisi, la presidente di Adelphi che a Parigi ha lavorato 35 anni, a Chiara Valerio in una distesa intervista sul “D” di “la Repubblica”: “La popolazione è più o meno la stessa, ma l’editoria francese pesa più di 4 miliardi di euro e quella italiana a stento due. Significa più del doppio, che vuole dire poi la possibilità di fare dei tascabili a 6,7, 8 euro, di avere cioè una cultura del tascabile”, una lettura più diffusa.
Spare – Il modello di Harry Windsor, il modello scelto per il personaggio delle sue memorie, “Spare”, è Amleto. Il libro di “memorie” di Hary Windsor la scrittrice Rebecca Mead (“The New Yorker”, 13 gennaio) trova una ghost story, ma non nel senso di un racconto di fantasmi, nel senso di racconto di un “negro”, come usava dire prima del politicamente corretto, di uno scrittore incognito per conto di un personaggio che firmava come autore. Nel caso, di J.R.Moehringer, che aveva fatto “lo stesso abile gioco col memoir di Andre Agassi”. Il modello per il principe Harry è Shakespeare, esordisce sul “New Yorker” in una lunga disamina. Amleto. E ne indica le tracce. Si inizia con la citazione scherzosa: “Barba o non barba”. La regina Camila è “l’Altra Donna”, la principessa Kate “altera e insicura”, il fratello William un Amleto incerto, per di più calvo, casa Windsor, con cortigiani e familiari assieme, un castello di Elsinore. L’incontro-chiave, tra Harry, William e il padre Carlo, nei Frogmore Gardens del castello di Windsor, cimitero di famiglia, dopo il funerale del nonno, il duca di Edimburgo, ci vede, dice Harry, “ora sbattuti dentro il giardino cimiteriale fino alle caviglie, più profondamente del principe Amleto”.
“Moehringer”, spiega la
scrittrice, “è un reporter vincitore del premio Pulitzer mutato in memorialista
e narratore, come pure il ghostwriter, in particolare, dell’emozionate
candido memoir di Andre Agassi,
“Open”. In quel libro, pubblicato nel 2009, un asso del tennis un tempo caratterizzato
dai pantaloncini di jeans e la capigliatura al vento, si rivelava un tormentato
nevrotico, odiatore del tennis, con problemi paterni e un incredibile
parrucchino. Quando il titolo e la copertina di “Spare” furono pubblicati a
fine 2022 la parentela tra i due libri – titolo di una sola parola; primo
piano, mascelluto, ritratto – indicò che erano da considerarsi lavori fraterni
nell’opera di Moehringer”. Il suggerimento può essere venuto da una conferenza che
il futuro re Carlo aveva tenuto su Shakespeare a Stratford.
Lo
stesso riferimento propone D’Orrico nella sua rubrica “La pagella” (“La
Lettura”, 20 gennaio): “Il
colpo di genio di ‘Spare’ è puro Shakespeare. Per amore del padre, appassionato
del Bardo, Harry legge ‘Amleto’ e ci resta secco: «Un principe solitario, ossessionato
dal genitore defunto, osserva quello superstite innamorarsi dell’usurpatore»,
cioè Camilla”.
letterautore@antiit.eu