sabato 11 marzo 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (518)
Giuseppe Leuzzi
Spatuzza non ha niente da dire che non abbia detto. E sempre si lamenta povero e abbandonato – come tutti, primo Ottocento (già Dickens ne sa di più).
Fu posta in stato d’assedio, l’ennesimo, il gennaio 1894, al comando di un piemontese, il generale Fossa di Lavriano, con 92 morti (almeno novantadue, nei conti di Napoleone Colajanni, il governo non li contò nemmeno), contro i Fasci dei lavoratori, le prime organizzazioni sindacali, da un siciliano, Crispi. Un mazziniano garibaldino, erede della Sinistra in Parlamento. Antesignano del fascismo, Mussolini nel 1922 pretenderà - come Sergio Romano nota nella sua biografia: per il filogermanesimo, la francofobia, e le “sentenze”, sul battesimo di sangue, l’inciviltà degli slavi, la barbarie degli abissini, la missione civilizzatrice dell’Italia. La Sicilia fa cattiva politica?
È anche vero che i 92 morti contati da Colajanni erano di prima dello stato d’assedio. Opera della “normale” azione di contrasto della sicurezza pubblica nell’isola, rinforzata dai bersaglieri – quante ne hanno fatte i bersaglieri al Sud.
Mantiene una immagine, aristocratica, notabilare, non più attuale da decenni. Se non da poco meno di un secolo, dalla guerra, dalla caduta del fascismo. Basta vedere la sua classe politica. Non solo Sciascia e Tomasi nel 1955, e qualche romanziera francese di quegli anni, ancora Camilleri e Agnello Hornby, e il fortunatissimo “I leoni di Sicilia”, vi si appoggiano. Per una letteratura, tutto sommato, del rimpianto, nostalgica.
Ne fanno a meno i catanesi, vigorosi realisti, Capuana, Verga e De Roberto, e fino a Brancati. Come se Catania fosse stata una repubblica, pianamente borghese.
“Erede di Verga, Capuana e De Roberto, Rosso di san Secondo ha offerto della Sicilia un’immagine che travalica la dimensione provinciale, come Pirandello, ha proiettato in questo ambiente la tragedia universale del vivere degli umani….”. Ne fa la rivalutazione Antonella D’Amelia (“La Russia oltreconfine”, pp. 229-338), romana, russista, che fu allieva di Ripellino, altro siciliano dimenticato.
Se la moglie del sindaco vuole i baffi
Al sindaco settantenne
che vuole candidarsi per un terzo mandato la moglie sessantenne, madre di tre figli,
annuncia che è “in transizione”, che ha sempre voluto essere un uomo. Un aneddoto
boccaccesco svolto con la tecnica del classico vaudeville della teatralità
francese, trasporto al cinema, in gag in serie, serrate. Dallo
specialista Séguéla – stirpe di pubblicitari di fama, attenti ai linguaggi correnti.
Una commedia molto
realistica, piena di persone e personaggi anche brutti e bruttissimi, come avviene
d’incontrare dal vivo, e di situazioni normali balorde, in una cittadina del
Nord della Francia – il Sud dell “narrazione” italiana. Una satira alla fine radicale
del mondo della “transizione”, sempre con bonomia: i linguaggi, le attitudini,
e le dosi massicce di testosterone per farsi crescere i peli.
Tristan Séguéla, Un
uomo felice
venerdì 10 marzo 2023
L'auto elettrica meglio suv, meglio in America
In attesa che la
Ue decida se finanziare la produzione di batterie e semiconduttori, per l’auto
elettrica e le altre ingegnerie dell’economia di transizione ecologica, le case
tedesche investomno negli Stati Uniti. Investono nella produzione di suv e
pick-up elettrici. Che sono il tipo di auto che meglio si vende negli States: nel
2022 le vendite di suv elettrici hanno superato quelle delle berline elettriche
normali). E in più hanno accesso ai crediti fiscali e ai contributi a fondo
eprpduto della legge Biden per la transizione ecologica, Inflation Reduction.
Volkswagen-Audi e Bmw hanno in corso
investimenti rispettivamente da 2 e da 1,7 miliardi di dollari per la
produzione di suv elettrici negli Stati Uniti, in attesa di decidere se spostarvi
anche la produzione di batterie, e quindi le fabbriche principali. Volkswagen,
che trasforma l’impianto di Chattanooga, nel Tennessee (uno Stato che favorisce
gli investimenti, fiscalmente e con contributi a fondo perduto) per la
produzione di 90 mila suv elettrici l’anno, ha avviato un investimento di 2
miliardi di dollari per il rilancio di Scout Motors, marchio di veicoli
fuoristrada elettrici, suv e pick-up, col quale intende fare concorrenza a Ford
e Jeep-Stellantis, per uno stabilimento apposito nella Carolina del Sud (altro
Stato che favorisce gli investimenti). Lo stesso fa Bmw, nello stesso stato,
con un investimento da 1,7 miliardi di dollari.
Morire di sessualità
Un film semplice,
lineare, pudico, che infine lascia come un pugno nello stomaco. Perché gli adolescenti
sono infelici? L’adolescenza è un’età felice, ma fragile. Specie in un mondo che
non è altrettanto spensierato, e non è fragile. Tra complessi e pregiudizi. Da
qualche anno in forma di “diritti”, non compresi, non a fondo.
Un film delicato,
in ogni apsetto del racconto, e tuttavia politico, quasi un manifesto. Qui non
c’entra il dark web a turbare l’equilibrio delle personcine, c’entra il
modo di essere: una presunta, perfino eccessiva, sensibilità che invece è
insensibilità, all’età prima che ai sentimenti altrui. Infiltrata, e forse
radicata, nelle società, nel linguaggio, nelle attitudini, e non – per una
volta - nelle istituzioni. Non nelle famiglie, per esempio, non nella scuola, solitamente
rappresentate come discariche di vituperi, che qui sono invece attente,
sensibili.
Il racconto di due
adolescenti felici all’improvviso infelici, non per colpa, alla fine suscita la
domanda se caricarli di troppi “diritti”, in materia di sessualità, non sia una
violenza piuttosto che una liberazione. Una semina fredda, forsennata, di
insicurezze e complessi. Contro le intenzioni, probabilmente, di Dhort, si
finisce per porsi, se non per adottarla, la critica dei Repubblicani in America,
che non vogliono gli adolescenti vittime dei discorsi sulla sessualità.
Lukas Dhont, Close,
Sky Cinema
giovedì 9 marzo 2023
Il futuro dell’Europa si fa in America
La “transizione
verde” europea - gli investimenti previsti per il passaggio alla mobilità elettrica
entro una dozzina d’anni – si farà in America? Tutto lo lascia supporre. I 369
miliardi di dollari di aiuti alle imprese americane dell’Inflation Reduction
Act, varato da Biden a Ferragosto, alle imprese che operano in America, sono
una calamita irresistibile.
Quella di Biden è
una legge protezionistica, sotto il titolo incontestabile, ma la risposta europea,
prevista per metà marzo, il Net Zero Industry Act, si preannuncia debole. Molti
investimenti sono già sospesi in Europa, e in via di emigrazione negli Stati
Uniti.
Volkswagen ha sospeso
il progetto d’impianto per fabbricare le batterie elettriche previsto in Europa
dell’Est, con l’intenzione annunciata di spostarlo negli Stati Uniti. Dove lo
stesso progetto beneficerebbe di 9-10 miliardi di dollari, in sussidi, credito a
condizioni di favore, e benefici fiscali. Praticamente il costo dell’impianto.
Con Volkswagen si muoveranno Audi, che fa parte del gruppo, e Bmw.
Con i gruppi Vw e
Bmw, anche l’americana Tesla studia di abbandonare la Germania, la gigafactory
che aveva in progetto a Berlino per la produzione di celle. L’associazione europea
Transport&Environment prevede già che due terzi della capacità produttiva
di celle per batterie elettriche di cui l’Europa avrà bisogno verranno ora prodotti
in America.
Difficile sapere
quanto gli annunci di Volkswagen, Bmw, Tesla siano una forma di pressione sulle
decisioni che Bruxelles dovrà prendere a metà mese. Ma molti sono i progetti
europei già accantonati o sospesi, dopo la legge di Biden. La svedese
Northvolt, pur senza il clamore mediatico di Volkswagen, ha sospeso un progetto
di fabbrica di celle in Germania perché avrebbe titolo a “ricevere più di 8 miliardi
di dollari in sussidi” per lo stesso impianto negli Stati Uniti. La slovacca InoBat
ha sospeso gli accordi già siglati per megaimpianti in Serbia e in Spagna.
In totale sono 50
i progetti europei per la produzione di celle per batterie elettriche automobilistiche
che ora sono in fase di stallo, secondo Transport&Environment. Per una capacità
di 1,2 milioni di terawattore, una potenza in grado di muovere 18 milioni di
macchine elettriche.
In stallo sono
anche i progetti europei di semiconduttori. Il più grande dei quali, dell’americana
Intel, aveva l’Italia al primo posto per la localizzazione. Un’altra legge ferragostana
di Biden, meno chiacchierata dell’Ira ma non meno sostanziosa, il Chips and
Sciences Act, è dotata di 200 miliardi di dollari, per incentivi e contributi.
Calvino scrittore classicista
I mondi di Italo
Calvino sono pre-moderni, non postmoderni – “Malgrado la reputazione di Calvino
come un postmoderno”, recita il catenaccio, “la sua immaginazione era più in
accordo con i modi letterari pre-moderni”.
Emre non è così
apodittica come la sintesi editoriale, ma fa una rilettura sorprendente di
Calvino, “uno scrittore di storie dentro le storie”. Del Calvino fantastico.
Della iniziale trilogia – “racconti di dualità, ambientati in mondi divisi
dalle forze del rituale e dell’anarchia”. E dei tardi romanzi, “Le città
invisibili”, “Se una note d’inverno un viaggiatore”, “Il castello dei destini incrociati”,
“Palomar” e le “cosmicomiche”.
La giovane
studiosa americana di origine turca, ora a Oxford (già specialista di “Elena
Ferrante”….) fa una lettura appassionata delle opere fantasy di Calvino. Ricollegandole testualmente e criticamente alla passione nota dello scrittore per Ariosto,
Boccaccio, Cervantes.
Merve Emre, Marvellous
Things. The worlds of Italo Calvino, “The New Yorker”, 6 maggio 2023, free
online
mercoledì 8 marzo 2023
Problemi di base fascisti - 738
spock
Hitler non è
morto, Mussolini neanche?
Perché tanti
si dichiarano oggi fascisti, che prima si negavano?
Il fascismo
non c’è, e per questo ci piacciono i fascisti?
Mussolini mascelluto
come la geometrica potenza delle Brigate Rosse?
È la violenza
che affascina o la propria inconsistenza?
È reato l’apologia
di fascismo, non essere fascisti?
Ma, dirsi fascisti
a Gerusalemme?
spock@antiit.eu
L’immigrazione, prova dell’indigenza europea
L’emozione per il naufragio
di Cutro porterà – forse – a un principio di ravvedimento in Europa. Dopo
vent’anni di naufragi, e decine di migliaia di morti - 26 mila morti in dieci
anni nel Mediterraneo, calcola il Missing Migrant Project (che però è attivo
dal 2014, mentre i naufragi sono cominciati prima). Per una sconsiderata non-politica
dell’immigrazione, o immigrazione selvaggia, da bestie da indirizzare alla
soma. La presidente von der Leyen sembra voler infine abbandonare la trascuratezza
di Angela Merkel, che per troppi anni ha fatto l’Europa.
A contrasto, fa
senso la superficialità dei media italianai. Che oggi svetta sul “Corriere della
sera” nel commento di primaria firma che anche gli italiani emigrarono, oltralpe
e oltreoceano, come oggi gli africani e gli asiatici in Europa. Mentre è questo
passato che fa la differenza con l’immigrazione odierna, che è da sfruttamento,
da tratta. A opera delle mafie di contrabbandieri di uomini, e dei governi
europei.
Gli italiani emigrarono
per accordi internazionali in Europa, e oltreoceano con visita medica, visto, e
biglietto. Ed emigravano per lavorare. Non per prostituirsi, spacciare, vendere
merce falsificata, o elemosinare, attività cui viene spinta molta immigrazione.
Nell’indifferenza dei governi europei. Con imprenditori che hanno bisogno di
lavoratori veri ma non contano nulla.
L’Europa non sa nemmeno
immaginare di organizzare l’immigrazione, che pure sarebbe burocrazia facile.
Mentre i trafficanti di manodopera per l’economia del malaffare hanno campo
libero. A carico, due casi su tre, delle istituzioni e dei fondi, nazionali ed
europei, per la prima accoglienza. Che può durare anni, e comprende l’assistenza
legale, per farla durare decenni.
Giallo morto - l'ultimo di Costanzo
Tutto è noto, in
una colonia di scrittori, sul mare, dove tutti lasciano la porta aperta, ma
soffocante, con da giallo a porte chiuse. Duecento fitte pagine su chi è o
potrebbe essere chi, e di alibi per l’ora del delitto. Che è tutto alla prima
riga: “Il cadavere senza mani giaceva in fondo alla chiglia di una piccola
lancia a vela”.
La ragnatela dei personaggi
e la geografia dei luoghi è così insistita, e complicata, che è inutile fare
supposizioni, sulla dinamica del delitto, sulle motivazioni, sui colpevoli –
bisogna solo “saltare”. Alla fine, la spiegazione del giallo, “alla Poirot”,
qui in foma di confessione, prende almeno venti anche loro fittissime pagine.
Il segreto del giallo
sarà di farsi leggere (catturare l’attenzione), anche se lambiccato, o troppo verboso
- le parole, non costano? In questo caso è però faticoso. È antipatico perfino
Dalgliesh, “il ragazzo prodigio di Scotland Yard”, motore di molti gialli dell’autrice,
benché alto, giovane e bello: teme che la fidanzata gli entri in casa, non si commuove
per i genitori di bambina uccisa, mentre risolveva questo caso ha scritto e pubblicato
un libro di versi, e va in acanza da una zia. Il detective dev’essere fuori norma,
vedi Montalbano – un po’ misogino?
P.D.James nel 1962
era già aggiornata, o precorreva i tempi: l’omosessualità è proclamata, maschile
e femminile, e le ragazze sono molto libere, si direbbero maschili.
Il morto è uno
scrittore di gialli.
La riedizione si
segnala giusto per la paginetta finale, l’ultima?, del direttore della collana,
Maurizio Costanzo.
P.D.James, Per
cause innaturali, Giallo Mondadori Classici, pp. 223 € 6,90
martedì 7 marzo 2023
Il mondo com'è (458)
astolfo
Elsa – Elsa Triolet,
sposata Aragon, e Lilja Brik, musa e caretaker di Majakovskij, erano
sorelle, nate Kagan. Di Majakovskij la prima attrazione fu per Elsa – o di Elsa
per Majakovskij. Ma la più Lilja, più svelta, lo catturò per sé. Il destino di
Elsa si compirà del resto fuori dalla Russia, altrettanto operosa quanto la
sorella Lilja lo sarà in patria – per amore entrambe di patria? queste cose non
si sanno, ma “si sanno”. La fragile Elsa, donna d’acciaio, ha ispirato e salvato il bastardo Aragon, comunista in Francia a tempo pieno,
poeta “pazzo di Elsa”, fortunato se non felice di scrivere “giorno e notte”,
romanziere nel tempo libero.
Nobile destino dare vita ai poeti. Nobile famiglia di mercanti e
musicisti, i Kagan. Una casa piccola per le due sorelle adulte, ma con due
pianoforti, e una mamma dall’orecchio assoluto. Elsa, bella e più brava, a scuola
d’architettura e in casa, insofferente ai bolscevichi (“come si può essere
comunisti? la rivoluzione è terribile”), ha amato i poeti, Majakovskij,
Sklovskij, Jakobson, con Jakobson dev’essere stata dura, Ehrenburg, Duchamp, Aragon.
Una bella a trazione Fiat: “Il fascino principale di una buona macchina”,
Sklovskij scrisse a Elsa a Parigi, in una lettera non spedita di “Zoo”, “è il carattere della sua
trazione, il carattere del crescere della sua forza. Una sensazione simile al
crescere della voce. Molto piacevolmente cresce la voce-trazione della Fiat:
premi il pedale del gas, e la macchina ti porta con entusiasmo” - le auto
italiane erano reputate a Parigi dopo la Grande Guerra, scriveva il
corrispondente Alvaro, “le migliori del mondo”. Anche Sklovskij, che ha vissuto
poi a Mosca riverito, dove ha scritto “Zoo o lettere non d’amore” per Elsa, non
sapeva se era bianco o rosso. Passando dal Caucaso all’Ucraina indifferente, in
una guerra che vide Kiev liberata e occupata quindici volte, di cui tre in un
giorno.
A Parigi, in un
alberghetto rue Campagne Première, esule dalla rivoluzione, Elsa visse
infilando collane, a Natale disegnando cartoline. Dando materia ai racconti
della sopravvissuta Berberova. Scrisse romanzi elevati, che non si tradussero
in francese, tradusse in russo Céline, incoraggiò i poeti francesi. Gor’kij
l’ha incoraggiata, che amava le belle donne. “È un capitolo della storia
culturale europea, quello della russa emigrata, spesso israelita”, ha notato
Federico Zeri. Sposa, amante, amica, madre dello sposo, l’angelo custode russo,
di solito più ricco d’anni, è figura centrale delle lettere e le arti in Europa
all’Ovest nel Novecento, eterea divoratrice. E i comunisti protegge in forma di
Partito - “Aragocha” ne aveva bisogno.
Formidabile coppia
sono nella cultura di mezza Europa le sorelle Lilja e Elsa, falco la grande
delle conquiste della minore. Per sé Elsa dovrà cercarsene una lontana,
dapprima André Triolet, nome poetico e musicale, un dandy che la portava in vacanza a Tahiti, e ai trentacinque Aragon
implume, benché coetaneo, che l’amore risolveva con gli amici di mano o al
bordello. Per un destino di rispondenze, mastice il fango della storia. Poeta
era il primo amore, Majakovskij, e in amore ingenuo, che Lilja volle ingorda
per sé. Ma le due sorelle si terranno compagnia tutta la vita, per essere ebree
in un paese, dice a tutti la maggiore, che è “molto antisemita”. Lilja, da
Mosca, fornirà generosa a Elsa, a Parigi, caviale, cioccolata, conserve,
liquori negli anni difficili del dopoguerra, che nel suo turpe privilegio non
soffrì, sotto il patronato di Stalin. È Lilja che dalla magione moscovita ha
aperto a Elsa, nel buio bicamere parigino, il fascino del televisore e del
magnetofono, e di Salinger del “Giovane
Holden”.
Elsa era stata con
Aragon a Mosca quando Vitali Primakov fu arrestato, nel 1936, e assassinato.
Primakov, marito pro tempore di Lilja la seduttrice. Erano ancora a Mosca nel
dicembre 1948, quando, morto Zdanov, il baluardo del realismo socialista,
Stalin fece suo vice Lysenko, il biologo che volle spezzare la catena genetica,
per creare i caratteri con appropriate condizioni ambientali, e fu sul punto di
eliminare il grano dal granaio Ucraina, il suo paese. Il poeta perse sette
chili, Elsa sette anni, la paura fu forte ma sopravvissero. Per montare in
patria i processi ai comunisti sopravvissuti, dai campi di concentramento di
Stalin. E poi tornare a vivere a Mosca, nel 1953, i pogrom contro i medici e gli intellettuali ebrei. Avendo egli
scritto, rivendicava orgoglioso, “il primo esempio nel romanzo francese del
«realismo socialista» quale è stato definito al primo congresso degli scrittori
sovietici”. In una epoca in cui i poeti, non solo gli ebrei, e i comunisti, erano
assassinati o deportati in Siberia. C’è una dignità comunista, quella dei
dignitari: formidabile forza d’animo negli occhi d’acciaio. O è il candore
della poesia.
La forza
ispiratrice della poesia è forza a ogni effetto. Attraversando altera la morte
degli altri, e ogni terrore. Specie su Aragon, che sarà direttore implacabile
di “Les Lettres Françaises” per conto del Pfc, il partito comunista francese. “Figlio
della nonna”, primo in catechismo, che si presentava alle serate surrealiste
nell’uniforme celestina degli studenti di medicina, e per prima cosa scrisse “Une vague de rêves”, una vagonata di sogni. “Contadino”
tra i passages di Parigi, che faranno da scena a Céline, ripresi al
microscopio da Benjamin. Osservatore acuto delle nature morte, e uno che sa “guardare
le donne passare”. Accusatore dei poveri sopravvissuti a Hitler e Stalin, al
loro patto, e alla guerra.
Incroci – Il Settecento illuminato era per l’incrocio. Locke
vide un gatto fare l’amore con un topo, o era una topa?, generando un animale
mezzo gatto e mezzo topo. Réaumur pretese d’incrociare galline con conigli. Si
testarono su larga scala le teorie di Fortunio Liceti, secondo cui un uomo può
fecondare le vacche e le galline, oltre alle pecore. E alla fine del se-colo
Johann Christian Fabricius scoprì che i negri si fanno per accoppiamento tra
uomo e scimmia. Dello stesso parere era Jefferson, ambasciatore a Parigi, che
ispirò la rivoluzione americana: le donne nere vogliono l’uomo bianco, gli
scimpanzé le donne nere. Inclinazione che egli coltivò, facendo una serie di
figli a Sally, la cameriera di sua figlia a Parigi, una ragazza già mulatta,
essendo figlia del suocero di Jefferson – o era creo-la? Contemporaneo della
Rivoluzione francese, Fabricius era allievo di Linneo, che le specie umane
aveva invece regolato monogeneticamente, anche se gli riusciva “difficile
persuadersi che l’europeo e l’ottentotto so-no nati dallo stesso seme”. Nulla
di nuovo, Plinio lo dice degli indiani. Plutarco rintraccia negli accoppiamenti
di Fabricius l’origine di minotauri, ondini, silvani, egipani, sfingi e
centauri. E il mito, si sa, è realtà.
Meticciato – È stato segno
di distinzione. Lo è tuttora nei paesi tropicali, nella figura del creolo –
meglio, della creola. Dove o quando la donna africana, o già creola di suo, si
incrocia con un caucasico. come il bianco era chiamato prima del politicamente
corretto. Celebrata è la bellezza dei creoli, i meticci fatti nei letti dei
padroni sontuosi - non delle padrone. Oppure, nei Caraibi e in Sud America, i nati
da un bianco e un’amerindia, per lo più – un incrocio tra bianco e amerindio. E
in Australia tra bianco e aborigena – per lo più.
Il razzismo
volendosi esatto, il meticciato si classifica per quarti di sangue non bianco,
mulatto, quarterone, ottavino, per aggettivo percentuale nella più precisa
lingua inglese, terceron (un terzo di sangue “nero” – incrocio tra bianco
e mulatto), quadroon (un quarto di sangue “nero”), o quarteron, quintroon,
sextroon, hexaroon, octaroon, decaroon, hexadecaroon (un sedicesimo
“nero”) e avanti fino a venti. Ma si è creoli solo se bianco è il padre. Meglio
– se n’è fatta poesia e musica – se si è figlia femmina, creola.
Fino a recente i
meticci si credevano sterili, per questo motivo furono detti mulatti, da mulo,
e quindi liberi di farlo. Una credenza che per le donne equivale a licenza e
per questo superò ogni evidenza contraria.
Si prenda l’octaroon
o octoroon: si riferiva a una persona con un ottavo di derivazione
africana-aborigena. Cioè chi aveva un nonno bi-razziale. Cioè, un bisnonno
africano e settebisnonni europei. Un caso del genere era Puškin – che pure era
considerato, e si considerava, avere tratti somatici negroidi, come allora si
diceva, capelli, colorito, labbra.
Vinicio Paladini – Fu
“bolscevico” dichiarato, a Roma nel fascismo, anni 1930, e poi in America, negli
anni del maccarthysmo, a cavaliere del 1953. Fu autore anche di una sorta di
anteprima, o abbozzo, del “Pasticciaccio brutto” di Gadda, con la commedia “Il
labirinto”, presentata a fine dicembre 1929 al Teatro degli Indipendenti a
Roma, di Anton Giulio Bragaglia. Il cui finale incongruo, tra il lazzo e il
pecoreccio, può fare capire perché Gadda non completò il “Pasticciaccio”. Presentata
come commedia “immaginista” (con riferimento, non detto, all’“imaginismo” di Ezra
Pound a Londra negli anni 1910, e all’“immaginario” coevo di Ejzenstein in
Russia), ma in realtà un dramma poliziesco. La moglie uccide il marito con la
complicità del proprio amante, per evitare che lasci la sua fortuna alla propria
amante, che viene anch’essa assassinata. Scopre tutto un falso inquirente, uno
che s’inventa Procuratore per il gusto del brivido, suo personale e degli inquisiti.
Il brivido fa trasalire la vedova assassina, che non ne ha mai troppo, e sposa
il falso inquirente.
Forte della nascita a Mosca, da madre russa, nel 1902, fu comunista
professo a Roma (dove la famiglia si era trasferita già nel 1903) negli anni
del fascismo. Da subito, dai suoi vent’anni, nel 1922, animatore dei “futuristi
di sinistra”. Architetto, discepolo di Balla, pittore, scenografo di film, critico d’arte, autore teatrale e cinematografico,
Poi mediatore della scena culturale europea, negli anni 1930, da Parigi e da Berlino.
Emigrato infine a New York nell’estate del 1938, scontento del conformismo
europeo, architetto d’interni fino al 1953, quando, sospettato di comunismo per
la perdurante professione di filosovietismo, ritornò in Italia, proseguendo
l’attività di architetto.
astolfo@antiit.eu
Complotto per la morte di Pasolini
Una dichiarazione
d’intenti, quella del titolo, più che una inchiesta. Difficile da dimostrare,
anzi impossibile, come al solito, non è il primo film sull’assassinio che mette
in dubbio la confessione di Pelosi, il prostituto minorenne con cui Pasolini si
accompagnava - ci hanno già provato Roberta Torre e Marco Tullio Giordana tra
gli altri.
Scontato che sula
morte di Pasolini non si possa accertare più nulla, rispetto alla confessione del
suo ultimo partner sessuale, il film ricostruisce due storie poco convincenti.
Quella di un’Italia governata da forze oscure, negli anni forse più innovativi
della Repubblica, dal 1960 al 1975. E quella di una crescita di Pasolini come
capro espiatorio dell’Italia perbenista nello stesso arco di tempo, dal
successo di “Ragazzi di vita” e dei primi film. Una ricostruzione amorevole,
nel centenario della nascita, in ambito quindi celebrativo, ma una ricostruzione-verità?
Che non sarebbe forse piaciuta allo stesso Pasolini, molto perbenista di suo -
il più perbenista degli intellettuali italiani dei suoi anni. Come poeta, come
narratore, come traduttore, come uomo di cinema anche, autore di teatro, e come
elzevirista, polemista. Sull’abbigliamento, il look, le automobili, le seconde e terze case, il portamento, e la maniera
di porgere, o di non gridare, non alle manifestazioni, come sull’aborto. Cero,
c’è la questione omosessualità, di cui però solo lui si faceva un questione - anche
ossessiva, a leggere la narrativa delle tante raccolte quasi postume, e postume.
Ma più spesso, perfino in questo, corrivo a certo scandalismo borghese – si
legga “Teorema” in controluce. Fino alla banalità: ipostatizzare il male in Eni
e Cefis come progettava di fare in “Petrolio” – piace pensare che non abbia
voluto, più che non ci sia riuscito, a portare avanti il romanzo perché conscio
di tanta scioccheria, di piccole “agenzie di stampa”, per lo più di ex spie, o
pretendenti tali, ricattatorie, per piccole cifre.
Cefis non sarebbe
il solo burattinaio. Rispetto ad altri film sullo steso tema, questo segue un
impianto dichiaratamente complottistico. Basato sul libro dallo stesso titolo di
Speranzoni, avvocato a Bolgona, e Bolognesi, il presidente dell’associazione
tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna il 2 agosto
1980, deputato Pd, che il “Pasolini, un omicidio politico” ancorano a Piazza
Fontana e e alle stragi successive. In un certo senso riduttivo: l’assassinio
di un poeta è altra cosa, più drammatica di un delitto politico.
Presentato alla
Festa del Cinema di Roma. Con molte testimonianze, affettuose ma note, e
ininfluenti sulla trama dl delitto, di Fofi, Colombo, Benedetti, Grieco, Maraini
tra i tanti. E dei giudici Salvini e Calia, specialisti di complotti.
Paolo Fiore
Angelini, Pasolini, cronologia di un delitto politico, Sky Documentaries
lunedì 6 marzo 2023
Ombre - 657
La Cassa Depositi
e Prestiti (lo Stato) assolutamente vuole la rete telefonica Tim, a qualsiasi
prezzo. Una rete che Tim ha gestito male e malvolentieri. Una ricostruzione della
Tim privata avrebbe, a naso, dell’incredibile: una “vera storia” delle privatizzazioni
dei servizi essenziali.
Ora, dopo un
quarto di secolo e molti guasti, come per le autostrade, si va a una
ri-pubblicizzazione, a caro prezzo. Sarà l’ultimo regalo al “mercato”?
Il papa ribalta i
filoscafisti e dà ragione a Giorgia Meloni: è uno scandalo che s’imbarchino
dieci, cento bambini. Naturalmente non è vero, non è così che vanno le cose, il
papa ha un ministero degli Esteri minimamente efficiente e sa da molto tempo,
da sempre, come vanno le cose in questo mercato dei migranti. Che sfrutta i
motivi umanitari prendendoci per scemi. Prendendo alcune anime buone per scemi.
Il problema vero
è: come mai il papa che meglio di tutti sa, da sempre, come vanno le cose in Africa,
o l’Italia, o l’Europa ancora meglio, in venti anni o quasi da quando c’è la tratta
dei clandestini, non hanno fatto nulla per un’immigrazione regolare, a condizioni
e costi normali. Umani.
Fanno sempre senso
le cifre del reddito di cittadinanza, di due milioni e mezzo di italiani, per
lo più venti-trentenni, che “non trovano lavoro”. Quando si vive a contatto quotidiano
con taciturni filippini o chiacchierone “donne dell’Est”, perpetuamente al cellulare
per “drizzare” da remoto mariti ubriaconi e figli sventati, non rifiutare nessun
lavoro pur di guadagnarsi i 600 euro che i redditieri di cittadinanza hanno
gratis. C’è un che di malato, non in chi si gode la pensione di Stato, ma nell’opinione
pubblica: sociologi, psicologi, politici, giornalisti. L’Italia è malata, e
felice di esserlo.
Il price cap
del gas, che sarebbe stato, è stato, la bandiera dei governi italiani, di Draghi
e di Meloni, a Bruxelles non è servito a nulla. Nel senso che il prezzo era già
sceso sotto il cap, e tale è rimasto, ma non per paura: c’è sempre troppo
gas in giro, anche togliendo dal mercato la Russia.
Assise
pre-elettorale nel Maryland del Conservative Political Action Committee, dei
Repubblicani americani puri e duri, con folta partecipazione internazionale di
partiti fratelli. Compresi i Conservatori e Riformisti Europei di cui è
presidente Giorgia Meloni – ha mandato nel Maryland una delegazione folta di 40
rappresentanti, guidata da Italo Procaccini, europarlamentare Fratelli d’Italia.
Da presidente del consiglio Meloni avrà una visita non facile, la sua prossima
all’estero, che farà al democratico Biden. Ma ha terreno fertile con il sostegno incondizionato a Kiev, insieme con quello della Polonia, altro governo dei suoi Conservatori, e con quello della Estonia di Kallas, ben di destra benché apparentata in Europa con i Popolari.
Hanno rapito Moro,
Luciano Violante lavora al ministero di Giustizia, coordina le Procure che si
occupano di terrorismo. Il Partito lo convoca. A una riunione ristretta,
“c’erano 4 o 5 persone”, sul “dilemma se trattare o no”. Tocca a lui, Berlinguer
lo interpella. “Risposi che il problema era loro”, del Partito. Ma che
“scendere a patti col nemico non era facile né opportuno”. Cioè, la morte di Moro in qualche modo decretata da Violante. Che di Moro era stato, ha spiegato
nella stessa intervista a Gnoli sul “Robinson”, allievo a collaboratore,
traendone grandi lezioni di etica, personale e politica.
Ci sarà una
patologia legata alla funzione giudiziaria.
Erede di Cariplo e
Commerciale, la popolazione bancaria probabilmente più innovativa ma anche più
coriacea, personalmente, dura a morire, Banca Intesa è il groppo bancario che
più stringe la camicia di contenzione tecnologica sui suoi correntisti. Che non
è una semplificazione ma una correzione e una costrizione, anche complicata. Abolire
l’assegno, per esempio, che aveva ed ha una molteplicità di funzioni, col bonifico.
Come già l’abolizione del personale di banco con terminali complicati come una console
d’aereo. Si dice per risparmiare, ma non per il correntista – e forse nemmeno per
la banca, considerando il cambio continuo di tecnologie - e il costo, comunque,
dei controlli sugli automatismi.
Fa ricorso a
Juventus contro la decisione balzana della Corte d’Appello della Figc, la federazione
del calcio. Su motivi procedurali e di civiltà giuridica. Mentre la condanna era
ed è politica, come questo sito spiegava a suo tempo
http://www.antiit.com/2023/01/le-manone-della-pdc-sul-calcio.html
Sarà interessante
vedere se il nuovo corso Pd agiterà le acque “democristiane” della Figc e delle
Sue Procure. O se queste sono “democristiane” di Berlusconi, cioè del Milan e
di Lotito.
Non c’entra nulla,
naturalmente, ma è curioso ricordare che la scelta di Schlein, che se è qualcosa
di preciso è una scelta contro il Pdemocristiano, fosse indirettamene nelle “antevisioni”
di questo sito, a proposito del potere nel calcio – come nell’istruzione, le Poste,
la ricerca scientifica, dal Cnr all’Asi, l’energia. E nel Pd, nella lunga lista
di Letta, Franceschini, Renzi, Gentiloni:
http://www.antiit.com/2023/01/le-manone-della-pdc-sul-calcio.html
La popolazione non
cresce, anzi diminuisce, e tra i giovani, sotto i 30 anni, uno su dieci, il
10,7 per cento su un totale di 1,8 milioni, ha scelto di vivere all’estero – lavora
o studia all’estero.
In testa nella fuga
le regioni del Nord. Tra il 2019 e il 2022 i trasferimenti di residenti all’estero
sono stati in Lombardia: Milano + 18 per cento, Mantova 40, Lodi 34,5, Cremona
32,9, Brescia 32,2. In Veneto: Venezia + 23,1 per cento, Rovigo 39,7. In
Emilia: Bologna + 26, 3 per cento, Reggio E. 31, 5.
L’emigrazione non
è più un fatto di bisogno ma di attrattiva, di convenienza. L’Italia non attrae
più, nemmeno gli italiani, che pagano volentieri lo scomodo di cambiare lingua,
ambiente, abitudini.
Casalino che ama
Baudelaire, e in particolare la sua poesia “Madame Bovary”, o non sarà
Butterfly?, e dice di essere stato “portavoce del governo”, non è un’eccezione,
in questi tempi di Isola dei Famosi. Ma portavoce, anzi “stratega della
comunicazione”, come dice, di Conte, questo sì, lo è stato e lo è. L’ignoranza
al potere, bel tema.
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Gli affari della Turchia sulla tratta magnogreca
Il focus immigrazione illegale dei media si punta sulla
Libia, interfaccia di Lampedusa, ma il vero hub di questo mercato è oggi
la Turchia. In direzione ancora delle isole greche ma sempre più anche - seguendo
la rotta magnogreca, di venti e correnti – della Calabria jonica.
Sulla rotta magnogreca i numeri sono inferiori a
quella dalla Libia a Lampedusa, ma in forte crescita: si sono contati 2.500 arrivi
nel 2020, quadruplicati a quasi diecimila nel 2021, un numero che sarebbe
raddoppiato nel 2022.
A differenza dalla Libia, le partenze dalla Turchia
sono controllabili e controllate. La Turchia ha coste sull’Egeo e sul
Mediterraneo orientale lunghe e frastagliate. Ma emigrare dalla Turchia comunque
si può solo regolarmente: la vigilanza è oculatissima, in ogni anfratto. Le
barche di questa nuova tratta schiavistica, d’altra parte, partono da Smirne, la Napoli della Turchia, non da
località remote.
La Turchia lamenta un numero di rifugiati, specie dalla Siria,
calcolato in 2 milioni e mezzo. Ma lo stesso numero di rifugiati sostiene il
piccolo Libano, senza creare problemi. Inoltre, per il sostegno a questi
rifugiati, e il loro controllo contro fughe di massa verso l’Europa, temute
dalla Germania, la Turchia ha beneficiato in sette anni, dal 2016, di nove
miliardi di euro da parte della Unione Europea, su decisione della Germania, in
tre tranches da tre miliardi. E in più di un aiuto speciale, sempre Ue,
nel 2022 di 1,2 miliardi, in passato anche di tre miliardi, per il controllo delle
frontiere dall’immigrazione clandestina, sempre da Siria, Irak, e Iran (che è
anche paese di passaggio per afghani, pakistani, bengalesi).
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Dare lavoro ai vecchi
La riforma delle pensioni contro cui si protesta in Francia
si limita a innalzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni – non a 67. Con l’obiettivo
non tanto di risparmiare sulle erogazioni dell’Inps francese quanto di “aumentare
il tasso d’impiego degli anziani”. Nell’ipotesi che sia una delle chiave per
contrastare il “declino economico”, demografico e dei “saperi” - che la Francia
ritiene di poter misurare, in rapporto alla Germania. Nell’ipotesi che si allenti
il mercato del lavoro, si migliori
la produttività, e si incrementino risparmi e consumi.
Per anziani s’intende la fascia d’età dai 55 ai 64
anni.
I numeri da cui parte la riforma francese sono di per
sé significativi. Il tasso medio europeo di occupazione di questi “anziani” è
del 60,5 per cento. Ma è a percentuali molto superiori nei apesi che funzionano
meglio: al 76,9 per cento in Svezia, 72,3 in Danimarca, 71,8 in Germania, 71,4
in Olanda. In Francia il tasso è invece basso: 55,9 per ceto – 55,8 in Spagna,
solo 53,4 in Italia, che negli anni delle “esternalizzazioni” fece falcidia di
questi “anziani”, scaricandoli sull’Inps, sullo Stato, sull’inattività
(obbligatoria per legge: niente cumulo).
Anche la spesa, però, il progetto di riforma francese
non sottovaluta. La spesa per le pensioni assorbe il 14,4 per cento del pil francese
(in Italia è ancora peggio, il 14,5 per cento). Contro una media europea molto
inferiore, l’11,3 per cento. Mentre in Germania assorbe molto meno, il 10,9 per
cento del pil – e il 10,8 in Danimarca, il 9,6 in Svezia, il 7,4 in Olanda,
paesi che pure non affamano i pensionati.
L’ombra del carcere oscurò la musica
Il titolo è di un
film di Antonio Pietrangeli, anni 1950, prima della “Dolce vita”, un film molto
turistico (tra gli sceneggiatori Dario Fo). Autore della colonna sonora, con la
canzone del titolo, è Lelio Luttazzi, il personaggio del docufilm. Pianista
jazz, autore di canzoni swing, e anche di “Una zebra a pois” per Mina, cantante,
intrattenitore. E molto triestino, in tutto, affetti, amicizie, ricordi,
canzoni. Un artista-non-artista, creativo ma equilibrato, e felice. Finché non
viene incarcerato, per sbaglio, per detenzione e spaccio di cocaina. Starà in carcere
un mese, meno, ma basta a distruggerlo.
Verdelli lo rappresenta
nella sua integrità, di triestino, artista, manager musicale (creatore e
direttore di orchestre, produttore discografico). Ma, non fosse che per le
testimonianze della moglie e della figlia, la vicenda giudiziaria prende nello
spettatore il sopravvento sul personaggio: l’italiano teme la giustizia.
La carcerazione non
fu la fine – a differenza di un altro caso celebre, Enzo Tortora. Luttazzi pure
fu estromesso dalla Rai, dove aveva programmi popolari, e dal cinema. Ma per
poco. Si rifece con un romanzo, “Operazione Montecristo”, su cui Alberto Sordi
imbastì un film di successo, “Detenuto in attesa di giudizio”, e con un film,
entrambi autobiografici, “L’illazione”. Il film fu un flop, ma Luttazzi
riprese anche l’attività in Rai, nel mondo della canzone, e i concerti jazz. E
niente, il filo non fu riallacciato: vivrà da allora in poi, per altri quarant’anni,
non in pace con se stesso. L’anno primi di morire, nel 2009, va a Sanremo, e
accompagna al piano Arisa in “Sincerità”, tiene un concerto in piazza dell’Unità
a Trieste per Ferragosto, è ripreso da Pupi Avati in un film documentario. E niente:
l’ombra del carcere non si dissipa, anche nel film.
Giorgio Verdelli, Souvenir
d’Italie, Rai 3, Raiplay
domenica 5 marzo 2023
Problemi di base migratori - 737
spock
Perché l’Europa
non concede i visti per ricongiungimenti familiari – che Canada, Australia e
gli stessi Stati Uniti hanno praticato fino agli anni 1960, fino a quando hanno
avuto bisogno di immigrati (l’“atto di richiamo”)?
Perché l’Europa,
che ha tanto bisogno di manodopera immigrata (la sola Italia di 90-100 mila l’anno),
non apre uffici immigrazione in Africa, in Libano, in Irak, in Afghanistan, in
Pakistan, in Bagladesh, con visti – un biglietto aereo costa un decimo della
tariffa dei contrabbandieri?
Perché partono
barconi da Smirne, dove il semplice turista, e ogni turco, è controllato passo
dopo passo - provarsi a parcheggiare in Turchia fuori da un parcheggio, anche
in campagna?
Perché la
sinistra, che ha governato l’Italia per undici anni di seguito, o dodici, non
ha fatto nulla contro lo sfruttamento dei clandestini?
Perché dire
che la Guardia costiera italiana, ricevuto un Sos, non si attiva per il
salvataggio (salva 50-60 mila persone ogni anno) – i marinai non sono giornalisti cinici?
Perché l’odio
politico si nutre della morte dei bambini?
spock@antiit.eu
La guerra degli Stati Uniti contro l’Europa
Abbiamo avuto un
Francia-Germania per un secolo e mezzo al cuore dell’Europa, dalle guerre
napoleoniche a Hitler, avremo un Russia-Ucraina a tempo indeterminato. Nessun governo
ucraino dopo Zelensky accetterà l’amputazione di Donbasss e Crimea, nessun governo
russo dopo Putin rinuncerà. L’Europa resterà amputata di materie prime e difesa,
una brava piccola fabbrica di oggettistica, forse inventiva, comunque
necessaria a sopravvivere. L’esito dei trent’anni di pensiero unico è questo, l’Europa
è destinata alla sopravvivenza, non di più – se ci riesce, perché la concorrenza
manifatturiera è sempre più vasta e agguerrita.
La storia si
ripete? Si e no. In questo fatto – la guerra - è stata creata, artigianalmente.
Con cura, con abilità. Sul terreno cioè di quello che l’Europa vanta come suo brand,
la creatività. Gli Stati Uniti volevano separare, da trent’anni, dalle presidenze
Clinton, la Russia dall’Europa, e ci sono riusciti. Una guerra che hanno vinto,
contro Fortress Europa, senza combatterla, senza un solo morto – l’unica guerra
che hanno vinto in mezzo secolo.
L’Europa resta indifesa
Molti annunci,
anche roboanti, poca sostanza: la difesa europea si rinnova, dopo gli extrabuget
tedesco e francese, ma nel senso di rinnovare gli arsenali, niente di più. La Zeiutenwende
tedesca, il cambiamento epocale, con 100 miliardi subito di spese militari, e la
“legge di programmazione militare” di Macron 2024-2030, con 413 miliardi da spendere
nei sette anni, non cambiano molto, a una lettura dei contenuti dei
due provvedimenti.
Il governo tedesco
di coalizione, sinistra, destra (Liberali) e Verdi, punta a un “partneriato atlantico
rafforzato”. Fa cioè il suo dovere nel quadro Nato, come voleva già Trump, portando
gli impegni militari al 2 per cento del pil – i 100 miliardi della Zeitenwende
si spalmano su più anni. L’aumento della spesa si giustifica anche - in
Germania come in Italia e altrove nella Nato – con la necessità di rinnovare
gli arsenali dopo l’impiego di quelli esistenti in Ucraina. Ma niente per una difesa
europea, né spese né idee.
Lo stesso per il
programma francese. Molto più sostanzioso di quello tedesco, quattro volte
tanto. L’obiettivo è, come Macron ha pure detto, di ammodernare il deterrente
nucleare, e di trasformare l’esercito, dopo i fallimenti in Africa, da corpo di
spedizione a formazione territoriale per conflitti “ad alta intensità”. Nessuno
spiraglio, nemmeno un auspicio, per una difesa europea – assenza tanto più
notevole per un personaggio che si era qualificato per un progetto di rinascita
continentale.
Lo Stato fascista – e il totalitarismo cattolico
I conflitti del
titolo sono due: tra il partito fascista e lo Stato, e tra lo Stato mussoliniano
e la chiesa. Questo è noto, passata la luna di miele dei Patti Lateranensi, evento eccezionale - diedero finalmente cittadinanza politica ai cattolici, chiudendo la incredibile
parentesi del “non expedit”. Meno scontata è invece la questione d’apertura del
volume: la diatriba interna al partito Fascista sul fascismo che diventa Stato.
Che in realtà funziona al contrario: lo Stato diventa fascista, assorbe il
fascismo. Ma così facendo lo depotenzia. Anche nell’analisi del partito
Comunista a Parigi.
Un “impaludamento”
di cui è atto notarile la nomina di Giovanni Battista Giuriati a segretario del
Pnf, un devoto di Casa Savoia, amico del principe ereditario, e di papa Ratti. Col
compito di epurare il partito, soprattutto dei vecchi arnesi. Compito che assolse
presto dilegente, portando a Mussolini la
cifra abnorme di “circa 120 mila tessere ritirate”. E presto fu liquidato.
Ma anche sul secondo
punto, più noto, Gentile adotta un punto di vista originale: la diatriba
(soprattuto sulla scuola e l’insegnamento) fu tra “totalitarietà cattolica e
religiosità fascista”. Una sorta di inversione dei termini a confronto.
Il totalitarismo,
nella nuova declinazione di “totalitarietà”, non si addice alla chiesa - alle
chiese, ma più alla cattolica, la più tollerante, in virtù della confessione
assolutoria. Ma forse Gentile, che ha in uscita un saggio sul “totalitarismo”,
ha in mente altre componenti del concetto. In questo volume è un’accusa o critica
del fascismo, della rivista “Critica fascista” di Bottai, “la voce fascista
meno incline all’estremismo”: nel numero dell’1 febbraio 1930 nota che “alla
volontà educatrice e intransigente del Fascismo si oppone una concezione anche
più totalitaria e intransigente”.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – Regime a conflitti, “la Repubblica”, pp. 152, ill. € 14,90
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