sabato 18 marzo 2023
Putin incriminato Putin rafforzato
Si celebrano i vent’anni della guerra all’Iraq, giudicata pretestuosa (su “cause false”), condotta male, dal punto di vista militare e da quello morale (torture, bombardamenti di civili, “fuoco amico” indiscriminato, anche contro gli italiani), e conclusa col ritiro. Un Afghanistan anticipato, con la differenza che in Iraq, paese molto urbanizzato, molto c’era da distruggere, edilizia urbana, sistemi sanitari, scuole, e molto la “coalizione dei volenterosi” con Usa e Uk ha distrutto. Si celebra lo stesso giorno in cui la Corte Penale Internazionale dell’Aja spicca un mandato per crimini di guerra contro il presidente russo Putin.
Aristofane social - disneyano
Il mondo dei social
nell’Atene di Aristofane, e di Socrate. Attorno al Socrate di A ristofane pre-sofista,
cioè chiacchierone più che saggio. Stupidi e furbi s’intrecciano in dialoghi degli
scemi, corredati da tranelli, scherzi, percosse, e rumori e gesti osceni, una
sorta di anticipazione, due millenni e mezzo fa, dei linguaggi oggi consueti –
oggi anche femminili, allora soltanto maschili, femminili sono nel cattivissimo
Aristofane le nuvole, coro leggiadro.
Un mondo che
Vincenzo Zingaro ripropone nel suo primo adattamento ormai classico, nel 1992, poi
portato in vari festival europei. Messo a punto con la sua compagnia Castalia,
al teatro Arcobaleno prospiciente la villa Torlonia, un vecchio avanspettacolo
di Alberto Sordi divenuto Centro Stabile del Classico per tutte le compagnie italiane.
Una riedizione impegnativa,
per il doppio ruolo cui quattro attori alternativamente rappresentano, Ugo Cardinali,
Rocco Militano, Fabrizio Passerini, Piero Sarpa. Per un teatro di maschere,
create a suo tempo da Rino Carboni, specialista del trucco e degli effetti
speciali, collaboratore di Fellini. Che i personaggi retorici dell’originale,
Discorso giusto, Discorso ingiusto, Primo Creditore, Secondo Creditore, riveste
da animali, come è l’uso nello stesso Aristofane, o da coatti di giornata.
La musica, anche
questa dell’allestimento originario, di Giovanni Zappalorto, segue i personaggi
come in un cartoon Disney. Altro effetto ricercato, secondo un’idea del regista-adattatore,
che di Aristofane fa per plurime tracce un precursore dei cartoon.
Aristofane, Le nuvole,
Teatro Arcobaleno, Roma
venerdì 17 marzo 2023
Problemi di base storici - 739
spock
“La storia
giustifica ciò che si vuole. Essa non insegna assolutamente nulla, perché
contiene tutto e dà esempi su tutto”, Paul Valéry?
La storia si
ripete, il passato non passa, e di chi è la colpa?
C’è un agente
nella storia, o è un mulino a vento?
La storia si
fa, a differenza della poesia, senza saperlo, e di chi è la colpa?
La storia si
fa - da sé o da parte di qualcuno?
Non sarà la
fine della storia la storia della fine?
Quando?
spock@antiit.eu
La versione di Tina
Battistina, “Tina”,
Pizzardo si racconta, la “donna del destino” di molto Pavese – a torto. Si racconta
fino alla storia vissuta con Pavese. Ma è un racconto di come si vveva, male,
negli anni 1920-1930, i suoi venti e trent’anni, da giovani e anche spensierati
soggetti a sorveglianze, perquisizioni, ammonizioni, arresti, processi.
Antifascista, per
tutto il lungo racconto, e anche dopo, fa d’acchito i conti col l’antifascismo,
“una vita sprecata” considerando la sua: “Perché anzitutto il fascismo sotto
varie maschere è ben vivo nel mondo, poi perché il fascismo italiano è stato
abbattuto non certo dai suoi strenui oppositori, ma da quegli stessi che
vent’anni prima lo avevano, per loro tornaconto, instaurato. Chi nella lotta ha
lasciato al vita è morto per niente”. Lei per tutti i venti anni che racconta
ne ha subito le pene: sorveglianza, obbligo di frima, carcere, precarietà, una
vita affannosa di insegnante privata a ore, benché matematica, allieva di Peano.
Un racconto
scritto tardi, dopo che il suo nome era stato insinuato quale colpevole del
suicidio di Pavese. Rimasto inedito, come tutto ciò che Tina-Battistina ha scritto
- aveva provato già prima della morte di Pavese, a partire dal 1948, di
pubblicare un romanzo che poi è andato perduto, “Fuga in prigione”, presumibilmente
sulle stesse “avventure” di questo “Senza pensarci due volte”. Pubblicato postumo,
nel 1996, per la cura del figlio Vittorio. Si riprende, per la cura della
vedova di Vittorio, la nuora Vanna Lorenzoni Rieser, dopo 27 anni, a ridosso
del revival Pavese, con la scadenza dei diritti. Aveva tentato di pubblicare “Fuga
in prigione” per dieci lunghi anni, informa Sandra Petrignani, “La versione di
Tina”, una nota che funge da prefazione alla riedizione: “Apprezzato da Primo
Levi ma bocciato da Einaudi e in seguito da Feltrinelli”.
Un racconto
veridico, anche perché non si fa sconti, pur evitando l’autoflagellazione. Vivace,
sempre leggibile. E unico per molti aspetti. Di donna intrepida, molto libera e
molto autonoma. Che ebbe molti flirt e anche qualche fidanzato. I più noti più
giovani di lei, Altiero Spinelli di quattro anni, Cesare Pavese di cinque. Un racconto
di un’età, gli anni del fascismo. Da un altro punto di vista, personale, e umano.
Di persone e situazioni vere, non di maniera, trascurate dalle storie. Le carceri.
Le carcerate, tante, diverse. Le madri superiore delle carceri femminili, anche
loro molto diverse, dalla sadica alla complice. Tante carceri, tutte diverse,
ben rappresentate in breve: Le Nuove a Torino, Marassi, Piacenza, Bologna, Ancona,
Grosseto, le Mantellate. Ognuna un mondo a sé. Con alcuni punti in comune: “La
carta igienica era marrone, perché non si potesse scriverci sopra”. Con le
“politiche” divise dalle “comuni”. Tra le quali il lesbismo è pratica diffusa.
Protetta, in qualche carcere, dalla suora secondina. Con una compagna di
branda, naturalmente una “politica”, tenta anche una disinvolta fuga, senza
sapere dove andare, ma con tanto di buco nel muro e di corda arrotolata pronta
all’uso. Fuga poi abortita perché la stessa mattina la compagna viene messa in
libertà – il regime, la burocrazia, è imprevedibile.
Un tratto felice
delinea una selva di eprpsoanggi in breve e br evissimo. “Togliattino” - “fratello
di Palmiro, morì giovane” - che la “presenta” per la tessera al partito Nazionalista,
al quale i conoscenti all’università la ritenevano destinata essendo stato il
padre militare. Il salotto di Barbara Allason. La facondia di “don Benedetto”
(Croce) Velio Spano a lungo e con affetto,
che la presenta al Partito, il partito Comunista, con Renzo Montagnana, primo
cognato di Togliatti.
Il partito subito
la manda a Roma. Dove è ospite in un istituto di suore, per le cure e a spese
del cugino Pizzarro, alora monsignore, presto cardinale. È, e sarà tutta la
vita, una comunista “nipote di un gesuita, nipote di una badessa agostiniana, pronipote
di due suore di San Vincenzo (una, o tutt’e due, in odor di santità), cugina di
un cardinale”.
Il “contatto” a Roma,
alla cellula universitaria, è Altriero Spinelli. “Altiero non aveva ancora 20
anni, e io ne avevo 24” è la prima notazione. Un rapporto intimo s’instaura che
durerà nove anni. Gli anni del carcere di Altiero, di cui Tina sarà la
“fidanzata”, quella cioè autorizzata a scrivergli, e a riceverne le lettere. Perché
presto i comunisti clandestini sono traditi, nel 1930, da un comapgno che
fungeva da corriere tra le città e quindi ne sconosceva molti. Tina è salvata,
forse casualmente, da un commissario della politica, che rimuove dalle carte a
lei sequestrate le sole due che provavano la sua appartenenza al partito Comunista.
Altiero e altri sono mandati al tribunale speciale e condannati. Ma un rapporto
sempre in clima di militanza. “Non si piange sui caduti, perché a quel tempo
nel partito si crede che il fascismo avrà vita breve”. Spinelli specialmente lo
crede. In uno degli incontri clandestini “lungo la linea Roma-Milano dove lui
doveva recarsi come corriere” (ma in realtà a Lucca), dopo l’attentato Zamboni,
fine ottobre 1926, Altiero le ha assicurato “che il partito saprà resistere e,
entro due o tre anni, vincere”.
Il legame con Spinelli
prigioniero Tina lascia ambiguo. La corrispondenza tra “fidanzati” dura nove
anni. Lui al ricorda poco nelle memorie, Lei, ricorda, “l’8 ottobre 1927 gli
scrivevo da carcere a carcere la prima delle mille e forse più lettere che gli
avrei scritto fino al maggio del ’35 quando, per essere stata di nuovo arrestata,
mi sarà impossibile continuare”. Con l’affetto dei familiari di Altiero, la
madre, le sorelle, almeno uno dei fratelli. Di lui non si sa, anche se avrà
scritto anche lui le sue mille lettere. Il tributo è unico, in tanta
memorialistica, a Maria Spinelli, la madre di Altiero, “una donna che tra la scuola
(ha insegnato per quarant’anni), otto figli estrosi, un marito dispotico, le
frequenti difficoltà finanziarie, gli alti e bassi di una malattia cronica, è
sempre riuscita, mossa dall’innata bontà e dagli ideali socialisti della sua
lontana giovinezza, prodigarsi per tutti”
– la sua madre “adottiva”.
Gli ultimi quattro
capitoli sono dedicati al rapporto con Pavese. Dopo un quintultimo capitolo sul
rapporto in un primo tempo casuale con quello che sarà suo marito, Henek Rieser,
comunista, polacco, ebreo. Prima di Pavese, un forte ricordo è dedicato a Leone
Ginzburg, “il più intelligente, ma soprattutto il più buono, più fraterno, più
caro, dei nuovi amici”, quelli di Giustizia e Libertà, del salotto di Barbara Allason. “Ciuffo, pipa, scontrosità me lo fanno riconoscere prima che mi sia presentato", è la prima immagine di Pavese: "Penso che di lui so tutto e che ci piacciono le stesse cose. Più tardi scoprirò
che tutto ciò che so di lui è tutto un po’ sbagliato. Ha tradotto ‘Moby Dick’,
quindi ama il mare. No, odia il mare….”, etc. È misogino. Non ama la politica –
“Non so quante volte lo vedo in casa di Barbara, certo poche perché non ci
veniva volentieri: si parla troppo di politica…
e tutte quelle smorfiose… e il the... roba che non fa per lui”.
Non è stato un
colpo di fulmine, né da una parte né dall’altra. Non c’è stato nemmeno un rapporto
intimo. A Pavese piacerà pensarlo nel confino di Brancaleone nel 1935 - che
dura solo sei mesi, non un’eternità, come si è indotti a pensare, presto arriva
la grazia. Né al ritorno a Torino c’è stata la scena teatrale messa in giro da
Davide Lajolo, “Il vizio assurdo”: l’incontro alla stazione, l’annuncio del
matrimonio di Tina, lo svenimento. Ci sono stati incontri, con la proposta di
matrimonio, che Tina ha ritenuto inappropriata al loro rapporto, di amicizia.
Sa che Pavese ne scriverà e, soprattutto, ne parlerà male. Ma sa anche che
Pavese non ha una concezione qualsiasi di un rapporto a due con una donna – si attribuirà
molteplici amori, con una “dichiarazione” perfino alla diciottenne Romilda Bollati
baronessa di Saint-Pierre, dopo le sorelle Dowling. Una “tendenza”, quella del
suicidio, che ora si sa aveva coltivato, e minacciato, in più occasioni. Era
pure un bell’uomo: “Mi pare ancora di vederlo”, scrive Tina dell’incontro
fortuito sul Po il 31 luglio 1933, il primo incontro a due, quando Pavese,
maestro della navigazione “a punta”, imbarca malvolentieri Tina che andava a remi
con un amico comune, al quale aveva appena esternato il desiderio d’imparare ad
andare “a punta”: “Alto, corpo d’adolescente annerito dal sole, mutandine da
bagno e cappellaccio di feltro calcato fino agli occhiali. (C’era solo lui sul
Po a portare il cappello con le mutandine da bagno, lui e i sabbiadori)”. “La versione
di Tina” si fa leggere, e anche credere.
Tina Pizzardo,
Senza pensarci due volte, il Mulino, pp. 255, ill. € 18
giovedì 16 marzo 2023
Secondi pensieri - 509
zeulig
Complotto - Si crea un
nemico, e poi lo “difende” – lo attrezza, lo arricchisce o potenzia, lo
migliora, se lo rende invincibile. È una creazione, una proiezione di sé: chi
non ha iniziativa forza, coraggio, fortuna, di fare da sé s’immagina di combattere
l’Altro che si crea, nelle forme che egli stesso elabora.
Vive, vegeta, prospera, si moltiplica perché impossibile “dimostrare” il
contrario. Scava nella buona coscienza e nella buona fede, la altrui ma anche
la propria, se ne fa aggio, tradendola ovviamente. Sempre su un presupposto proprio,
quello che uno si pone.
È ipotesi (pattern, modalità) mentale, o delectatio, da
tempo di pace. Da tempo in cui, cioè, non urgono minacce esistenziali reali.
Non è stato così nel caso della pandemia da covid. Ma per una trahison des
clercs, degli specialisti, degli scienziati. In parte in malafede, per
eccessiva specializzazione, oppure protagonismo, mediatico, politico, di
potere, anche solo accademico. In parte senza colpa, perché la scienza è reputata
asettica, non pregiudicata (politicizzata, fidelizzata, comunque prevenuta):
libera e intelligente, di intelligenza incontestabile. Mentre la scienza, già
come ricerca, ma anche come campo scientifico, è un coacervo massimamente
litigioso – può esserlo, di fatto lo è, in troppe occasioni.
Manomorta – Si può dire la
risorgiva della borghesia italiana. Che per questo è pusillanime, corrotta più
che innovativa o avventurosa, e più nella sua persistente, ininterrotta
simbiosi col potere politico – in altra cultura si direbbe lo Stato. A intervalli
nemmeno molto spaziati tra di loro.
La manomorta propriamente detta è costituita dai beni degli enti ecclesiastici,
parrocchie comprese, che pure esplicano funzioni pubbliche, e si può ritenere
conclusa con le leggi eversive, pre- e post-unitarie. Quella del Regno di
Sardegna, 1855, portò alla “nazionalizzazione” 399 conventi e 1.700 benefici
ecclesiastici, per un valore stimato in lire di allora di 3,651 milioni - dai
dati riportati da Lucetta Scarafia, “Il contributo dei cattolici
all’unificazione”, in “I cattolici che hanno fatto l’Italia”. Quella del 1866 portò
alla “nazionalizzazione” di 37.031 enti ecclesiastici, per un controvalore di
321,3 milioni di lire, per metà di immobili e per metà di valori mobiliari. Di
valore reale, però, decuplicato o centuplicato. Ciò che lo Stato ne ricavò,
vendendo (da cui i valori ufficiali della “eversione”), fu infatti poca cosa:
la parte del patrimonio ecclesiastico che andò ai privati fu svenduto, a favore
di amici e protetti, la parte immobiliare destinata al demanio (caserme, scuole,
uffici) richiese grossi appalti – la forma privilegiata di finanziamento delle clientele
personali e politiche.
Oggi è l’enorme “terzo settore”, dei servizi pubblici pagati dallo Stato
in appalto ai privati, con criteri contrattali laschi e senza controlli, un
settore in crescita tumultuosa. In quarant’anni è cresciuto fino a gestire 80
miliardi di euro, il 5 per cento del prodotto interno lordo.
Si suole dire che in Italia non c’è borghesia. Lo ha sostenuto anche il Grande Borghese Scalfari:
“La borghesia è la classe di chi ha un reddito che supera l’appagamento dei beni
necessari e che può pertanto farsi carico anche del bene comune. In Italia
questo non è avvenuto”.
Questo non è vero. Una borghesia in Italia è bensì attiva, nella
produzione e negli affari, perfino più industriosa che in altre nazioni. Ma si
nega. Un negarsi che è molto borghese – fa alta borghesia, nobiltà dello
spirito – ma in Italia caratteristicamente risponde al bisogno di differenziarsi
dal rank-and-file della classe sociale, le turbe che vivono della
rendita pubblica.
Psicoanalisi – È la
stregoneria ammodernata? Il riferimento è per ridere ed è vecchio, ma Feynman
spiega seriamente perché (“Il senso delle cose”. 118). Con un parallelo solo all’apparenza
capzioso. Le idee, le ipotesi, emergono a caso, “di solito sono frutto di
analogie, ma a volte questo sistema porta a errori madornali”. E fa il
parallelo fra “un’età prescientifica” e “l’analogo nella nostra epoca”. Quale?
La scienza psicoanalitica. Lo stregone, racconta il fisico americano, dice di
saper curare le malattie. Il chinino pure. Il chinino funziona. Allo steso modo
come dice lo stregone: “Ci sono spiriti dentro il corpo del malato che bisogna
aiutare a uscire, soffiandoli via, cose di questo genere”. Il malato che faccia
parte della tribù va dallo stregone, “perché ne sa più di chiunque altro”,
magari continuando a dirgli che è uno sbruffone, e che giorno verrà che se ne
farà giustizia. Noi, che non apparteniamo a una tribù, siamo anche esenti dalle
stregonerie? No, se guardiamo agli psicoanalisti e agli psichiatri, “a quante
teorie complicate sono riusciti a tirar fuori in un tempo infinitesimo”, senza
confronto con qualunque altra scienza: “Tutto questo gran castello, e le pulsioni,
le inibizioni, l’Io e l’Es, e le funzioni, le tensioni…. Non può essere tutto
vero”. Per un motivo semplice: “Sarebbe troppo perché una sola mente (o poche
menti) ci potesse arrivare in così breve tempo”. Ma, facendo parte della tribù,
“non c’è nessun altro a cui rivolgersi, c’è solo lo stregone”.
Opinione Pubblica – Il “caso”
meglio è raccontato meno ha la probabilità di eserte “vero”, se non nella sua singolarità
è il problema dell’Opinione pubblica – dei media, della comunicazione. Più è
singolare, più è convincente, meno, contrariamente all’opinione corrente, è
vero in senso lato, sistemico – è individualizzato.
Sapere (capire) per credere: è facile, perfino “normale”, fare leva su
questa equazione per diffondere il falso – violento, abietto. Caso abnorme è
quello dell’Italia con la giustizia. Delle cronache di giustizia, opera di furberie
composite, neppure tanto sottili, anzi di proposito aggressive: indiscrezioni,
insinuazioni, allusioni, il cosiddetto armamentario del sospetto, che rende ogni
difesa inutile. Per un semplice sofisma: fare leva sul bisogno di verità, urgenza
di verità, per diffondere il falso, imporlo, impiantarlo nella buona coscienza,
dopodiché diventa non sradicabile. Si crede per fede. All’opposto cioè del processo
comunicativo che si chiama opinione pubblica, che esige invece lealtà e fondatezza.
Prova – Si fanno i
santi per un solo miracolo. Ma un solo esito non basta per comprovare una
teoria o ipotesi scientifica – si fanno i santi per atto di fede: la
probabilità è zero in un solo caso, che può essere fortuito. Il “come te lo
spieghi?” che conclude l’esposizione di un fatto o evento, un tentativo, un
esperimento, uno solo, può avere mille e una risposta, cioè una spiegazione che
opera nel campo vasto del fortuito, senza essere una prova di causa-effetto.
Statistica e probabilità sono temi matematici, che necessitano di un campione
di casi vasto.
Tribù – Una categoria sociopolitica
abbandonata, nella concezione comune del progresso come freccia, una delle più
scadenti se non vecchie, comunque perenta, e invece ben viva. Non solo nello
spirito variamente comunitario che si moltiplica da alcuni decenni, nazionale,
territoriale, confessionale, perfino razzista. Di più nei comportamenti,
raramente inclusivi, per lo più selettivi, in bade ad affinità non elettive ma
di derivazione – legami “ancestrali”.
Oggi, epoca
massimamente scientifica e razionale, lo spirito tribale è sempre forte,
argomenta il fisico premio Nobel Feynman “Il senso delle cose”, proprio per la
credulità che si riterrebbe espunta. Per la credulità scientifica. Feynman lo
argomenta ironicamente, ma non tanto, a proposito della psicoanalisi (v.
sopra).
zeulig@antiit.eu
Guerra alla Cina, ma non troppo
La presidenza Biden ha accentuato
la politica di confrontation con la Cina di Xi, avviata sotto la
presidenza Trump. Estendendola dal commercio alla pressione militare, con la
riapertura della questione Taiwan, il riarmo atomico dell’Australia, l’estensione
dell’area d’interesse Nato all’Indo-Pacifico. Ma solo in chiave di deterrenza.
Quattro imponenti fattori
rendono implausibile il passaggio dalla sfida al conflitto, anche solo economico.
L’enorme quantità di investimenti americani in Cina. L’enorme quantità di
debito federale americano sottoscritto dal risparmio cinese. La grande opportunità
che il mercato cinese offre sempre come sbocco anche americano. La riluttanza
degli alleati a marciare contro la Cina, della Germania, il Giappone, la Corea
del Sud, anche solo sul piano economico (finanziario, industriale,
commerciale).
Guerra alla Cina, Tokyo dissente, come Berlino
Entrambe potenze
economiche, dopo le superpotenze Usa e Cina, entrambe potenze non nucleari, e
quindi militarmente dipendenti, ma entrambe decise contro il decoupling,
l’indebolimento o l’interruzione dei rapporti industriali, commerciali e
finanziari con la Cina.
Germania e Giappone reiterano
a ogni occasione il bisogno d’integrazione in uno schieramento “occidentale”,
garantito cioè dalla potenza militare americana. Ma recalcitrano all’ipotesi di
rottura o riduzione dei collegamenti economici con la Cina. Nonché a “ogni
ipotesi” di collisione militare dei mari della Cina – rimanendo la questione Taiwan
impregiudicata. Hanno deciso di riarmare consistentemente, ma per venire
incontro alle richieste americane, senza alcun disegno di politica militare autonoma.
Cronache dell’altro mondo – minorili (253)
Per l’anno 20121 il dipartimento americano
del Lavoro ha accertato 2.819 casi di minori occupati in violazione dele leggi
contro il lavoro minorile. Si tratta quasi sempre di ragazzi latinoamericani.
Occupati principalmente in lavori meniali nelle cucine di catene di ristoranti,
o in agricoltura.
In agricoltura, coltivazioni
di cotone e tabacco comprese, la legge consente l’occupazione di minori dall’età
di 12 anni, con l’assenso dei genitori, senza limiti di or ario, che può estendersi
alle ore di luce, anche 12-14 ore al giorno.
In agricoltura è anche consentito
impiegare ragazzi di 16 anni in attività pesanti o pericolose – seghe, affettatrici,
etc,.
Il ricorso ai minori si è
accresciuto dopo la pandemia, per ovviare alla mancanza di manodopera che si è
manifestata sul mercato. Il governo federale, sotto la presidenza Biden, ha
ridotto da 21 a 18 anni l’età per la guida dei mezzi pesanti interstate,
cioè a lunga distanza.
L’eccezionale normale Elvis Presley
Un film che si
vede (vende) per la colonna sonora? Non ci si pensa a quante canzoni ha
composto e cantato Elvis Presley, tutte per un verso o per l’altro memorabili.
E all’energia e la simpatia del personaggio: un ragazzo del Sud, che sa ricreare
la “musica dei negri”, sempre affettuoso comn amici, familiari, referenti,
intrattenitore oceanico. Un “eccezionale normale”.
Il racconto è però
scialbo. Segue la “carriera” di Elvis passo passo, narrata dal suo manager, il
“colonnello” Tom Parker - un Tom Hanks rigonfio, guitto eccezionale, sicuro
dell’Oscar che poi non ha avuto (otto candidature e niente, nemmeno la colonna
sonora). Sfumata è perfino l’amicizia col coetaneo B.B.King. Mentre l’incontro
con Little Richard è limiato all’esecuzne di “Tutti frutti”. Scialba anche la
vita amorosa, con l’unica fidanzata, poi moglie e madre, Priscilla.
Il racconto è
semmai del comnetsto. Dell’american dream che deve lottare contro l’american
way of life, piena di protervia e risentimenti – compresi gli assassinii
politici epocali, John Kennedy, Martin Luther King, Robert Kennedy in
sucessione. Di un giovane Elvis odiato per il successo, come Cassius Clay, come
ogni altro, anche perché “ancheggia come i negri”, nonché cantare blues e
gospel, punito con due anni di naja in Germania, coi capelli rasati, per
riconquistare il pubblico. L’impero americano in effetti è molto svetoniano,
avvocatesco e violento, di intrighi, eccessi, ipocrisie, e polpette avvelenate
in banca.
Raz Luhrmann, Elvis,
Sky Cinema
mercoledì 15 marzo 2023
Ma Tokyo non vuole guerre alla Cina
Aukus (Astralia-United Kindom-Usa
Security), l’alleanza a tre da poco creata dagli Stati Uniti, con la Gran
Bretagna e l’Australia, per armare nuclearmente l’Australia, attraverso i
sottomarini, ha soppiantato il Quad (Quadrilateral Securiy Dialogue), proposto
quindici anni fa dal Giappone. Il premier Shinzo Abe propose nel 2007 e
realizzò un collegamento diplomatico e un impegno di difesa reciproca fra Stati
Uniti, Giappone e Australia con l’India.
Il “quadro” doveva restare aperto alla
Cina. L’India non intende antagonizzare la Cina, anche se virtualmente i due paesi
sono in guerra nell’iymalaya. Ma, soprattutto, non intende farlo il Giappone.
Shinzo Abe non c’è più ma è la sua
stessa visione di sicurezza regionale che Tokyo persegue. Di cui è, o dovrebbe
essere, parte anche la Cina, seppure da esterno. O comunque non antagonizzarla.
Gli Stati Uniti invece, ritenendo
esauriti con le presidenze Obama, 2009-2016, i tentativi di inquadrare la Cina
in un progetto di sicurezza asiatico, anche per la contemporanea ascesa di Xi
Jinping, leader autoritario, operano con le presidenze Trump e Biden per la
riduzione dei rapporti economici con la Cina e il coinvolgimento militare nell’Indo-Pacifico,
in funzione anticinese, della Nato, e dell’Australia.
L’India beneficiaria della guerra, quattro volte
L’India ha beneficiato tre volte della
guerra in Ucraina. Anzi quattro. Ha avuto il petrolio dalla Russia a prezzo
scontato. Ma non solo: per non perdere il mercato indiano, l’Arabia Saudita è
intervenuta con forniture di petrolio a prezzo più vantaggioso per l’India di
quello russo. E non è finita: l’Iraq è intervenuto a sua volta, che tiene ai
rapporti con l’India per ragioni di politica generale e di mercato, ha offerto
il suo petrolio a sconto su quello saudita.
Ma non è tutto. Con lo scoppio della guerra, sono
migliorati molto i contatti tra l’India e gli Stati Uniti. Quello personale del
primo ministro Modi col presidente Biden, anche se di opposti convincimenti
politici. E il ruolo dell’India nelle strategie del dipartimento di Stato e del
Pentagono. La politica economica di Biden, il friend shoring, di
rilocalizzazione delle industrie americane fuori dalla Cina, potrebbe andare a
beneficio dell’India.
È sempre freddo tra India e Cina
Il primo ministro indiano Modi e il presidente
cinese Xi si sono incontrati dodici volte in sei anni, ma i due paesi rimangono
estranei, e anzi ostili.
L’India ha abbandonato nel 2019 una
Regional Comprehensive Economic Partnership, un accordo commerciale asiatico,
promosso dalla Cina, con la motivazione esplicita: “Non intendiamo tenere
aperta alla Cina una porta di servizio attraverso il libero scambio per penetrare
nel mercato indiano”. L’anno successivo, a giugno, truppe cinesi sono entrate
in contatto con quelle indiane al confine nell’Himalaya, con venti morti fra le
truppe indiane. Successivamente ogni sforzo è stato fatto dal governo cinese
per ridurre la presenza di capitali cinesi in India. Nel 2021gli investimenti diretti
cinesi in India sono stati ridotti di tre quarti, il 74 per cento.
Cronache dell’atro mondo – di povertà (252)
Un americano su otto, e un bambino
americano su sei, vive in povertà. Lo stesso che nel 1970.
Gli Stati Uniti, che hanno un prodotto
interno lordo più grande di quelli di Giappone, Germania, Regno Unito, India,
Franci e Italia sommati, hanno un taso di povertà relativa maggiore.
I contributi federali ai proprietari di
case - la maggior parte dei proprietari di case ricevono un aiuto pubblico in
forma di deduzioni fiscali degli interessi sui mutui e altri sussidi – nel
2020, 193 miliardi di dollari, è quasi quattro volte l’ammontare dell’assistenza
abitativa che il governo federale ha dato alle famiglie a basso reddito, 53
miliardi.
Nei quartieri più poveri di Milwaukee,
nel 2015, l’affitto mediano per un appartamento con due camere da leto era
inferiore di soli 50 dollari a quello mediano di tutta la città”.
Matthew Desmond, “Evicted”.
La verità delle tasse
Furono importanti
“le entrate giudiziarie, importanti per Atene, città egemonica, nella quale si
concludevano i litigi più importanti sorti nelle città alleate”. È uno dei tanti
paradossi della “giustizia tributaria” che meriterebbe reinstallare? Era uno
dei cespiti di maggiori entrate, il secondo di una ventina, della democratica, acculturata,
artistica, imperiale Atene di Pericle – al primo venivano le entrate fondiarie.
Niente imposte, invece, sul reddito, improprie per i cittadini – semmai per gli
stranieri. Le tasse vanno e vengono, opportuniste più che egualitarie, o
doverose.
Einaudi si divertiva e ancora
diverte, con questo “manuale” che va per un secolo di vita. “Rileggendomi dopo tanti anni,
confesso di essermi divertito”, si legge nella prefazione a una riedizione postuma,
del 1967 (non nell’edizione caricata online, che è la prima, 1940 – la seconda
di quello stesso anno, pure per altri aspetti ferale, di guerra): “Non mi sembrò di leggere pagine di quelle
scritture in fondo noiose le quali formano il succo delle trattazioni intorno
all’imposta”.
Innumerevoli i
motivi di interesse per il profano. Per
primo lo smontaggio della “giustizia fiscale”.
Questo fa al
capitolo Sesto, “La vuota boria dei sommi principi utilitaristici
dell’imposta”: “Alla radice dell’idea della giustizia tributaria sta la
seguente massima dell'oratore che nel consiglio grande di Firenze parlò in
difesa della imposizione della decima scalata proposta all'epoca della guerra
di Pisa. «Quella gravezza s'ha a chiamare eguale, che grava tanto el povero
quanto el ricco; perchè, e quando uno povero paga in comune una decima delle
entrate sue ed uno ricco paga una decima, ancora che la decima del ricco getti più
che quella del povero, pure molto più si disordina el povero di pagare la sua
decima, che el ricco la sua. Però la egualità di una gravezza non consiste in
questo, che ciascuno paghi per rata tanto l’uno quanto l'altro, ma che el
pagamento sia di sorte, che tanto si incommodi l'uno quanto l’altro»”.
“Decima scalata
era parola la quale significava «che chi aveva cinque ducati o manco di decima,
pagassi una decima (10 %); chi aveva dieci ducati di decima pagassi una decima
ed un quarto (12,50 %); chi n’aveva quindici, pagassi una decima e mezza (1 5
%); e così successivamente per ogni cinque ducati che l’uomo avea di decima, si
moltiplicava uno quarto più (2.50 % in più), non potendo però passare, per uno,
tre decime (30 %)». «L’incommodo » di Francesco Guicciardini ebbe nome di
«sacrificio» da Geremia Bentham, capo degli utilitaristi; ed all'idea
dell'incommodo risalgono le spiegazioni che in varie forme si danno
dell'imposta moderna. Alla radice di questa sta il concetto di un sacrificio a
cui il cittadino è chiamato a prò dello stato. La bontà o giustizia dell’imposta
non è saggiata dal confronto fra le quantità di moneta pagata dai cittadini; ma
dal confronto fra lincommodo o sacrificio o pena o dolore sofferto dai
cittadini in conseguenza del pagamento di date quantità di moneta. Non perchè
ciascuno paghi 1000 lire, o il 20 per cento del proprio reddito o l’uno per
cento del patrimonio dovrà dirsi giusta l'imposta; ma perchè la somma pagata,
qualunque sia, cagiona ad ognuno un sacrificio od incommodo che sia uguale e
proporzionale a quello di ognun altro. Lo stato, per fermo, non incassa
sacrifici, bensì moneta. Ma il criterio di decidere sul giusto quantum di
moneta da prestare è l’incommodo che quella prestazione monetaria reca al
cittadino. L’introspettivo psicologico è la premessa del concreto esteriore
monetario”.
E mille altri
paradossi e facezie attorno alle tasse, che Vincenzo Visco solo in un raptus
lisergico può aver defiito “gioiose”. “Il paradosso dell’imposta morta” viene
al capitolo Ottavo, da cui “ammortamento”, di cui Einaudi confessa di non
conoscere l’origine, ma ben capisce il senso. Il cap. V è “Fantasmi, illusioni
ed eleganze dei debiti pubblici”. Con la ricetta semplice del debito: “Anche
l'uomo semplice, dopo un po’ più di riflessione, osserva: se lo stato contrae
un prestito all'interno di un miliardo e compie opere pubbliche utili ora od in
avvenire, la ricchezza nazionale non è variata, avendo soltanto il miliardo
mutato forma, da potenza d’acquisto disponibile a cose concrete le quali
valgono ancora un miliardo; se lo stato invece butta i denari dalla finestra in
opere di lusso improduttive, come fece la Germania dopo il 1923 in parchi e
giardini e teatri, quando urgevano tante altre esigenze, il miliardo che c’era
prima non esiste più. La ricchezza nazionale è scemata o cresciuta, non a causa
o nonostante la natura interna del debito pubblico, che non c’entra, ma a causa
del cattivo o buono uso fatto del provento del prestito. Similmente per il
debito contratto all’estero. Se il miliardo straniero finì male, rimaniamo con
la ricchezza di prima e con una ipoteca di un miliardo a favore del creditore;
se servì invece alla attrezzatura economica od amministrativa del paese, si
avra un miliardo o forse più di nuovi valori creati in paese il quale
compenserà e forse al di là l’ipoteca d'altrettanto verso lo straniero. La
ricchezza nazionale italiana dal 1860 al 1880 crebbe a causa del buon uso fatto
dei prestiti esteri in ferrovie strade ponti organizzazione civile e
amministrativa; uso che non avremmo potuto fare con prestiti interni, perchè i risparmiatori
italiani producevano risparmio nella misura del possibile ma non ne producevano
abbastanza”.
Un’opera che si
vuole contro i “dottrinari”, “una delle sette piaghe d’Egitto”: “Sono stato a
lungo incerto intorno al titolo che più appropriatamente avrei dovuto dare a
questo saggio. Non sarebbe stato del tutto malvagio un titolo che dicesse: «In
difesa dello stato contro i dottrinari»; che invero in tutto il mondo
conosciuto la confraternita dei dottrinari sta diventando il pericolo «numero
uno» per la pubblica finanza. Gli amministratori pubblici, coloro i quali,
ministri delle finanze o direttori dei grandi servigi fiscali, governano la
finanza degli stati contemporanei, debbono difendere accanitamente i sistemi
vigenti, che bene o male funzionano e gittano miliardi, contro la mania riformatrice
dei dottrinari che, andando in cerca della giustizia e non contenti della
giustizia semplice grossa, che è la sola concretamente possibile, vogliono la
giustizia perfetta, che è complicata e distrugge dieci per incassare uno”.
Pieno di verità,
dimenticate. Al cap. Terzo, “Il mito dei sovrappiù”, una delle più semplici:
“Se non si vuole il balordo, occorre partire dal presupposto che la tassazione
del reddito significa tassazione sul capitale e viceversa. L’una è l'altra. La
scelta tra le due tassazioni o il contemperamento fra l’una e l’altra non è un
problema di principio, ma di metodo, di opportunità, di precedenti storici”. Certamente
non di “giustizia”, neppure sociale.
Luigi Einaudi, Miti
e paradossi della giustizia tributaria, pp. 322 free online
martedì 14 marzo 2023
Cronache dell’altro mondo – fallimentari (251)
È fallita in America una banca per il troppo
successo, su cui la banca centrale è intervenuta per punirla, indirettamente.
Il fallimento della Silicon Valley Bank origina nell’eccesso
di liquidità accumulato dalla sua clientela speciale, start-ups, aziende
tecnologiche, ricchi individui. La stessa con cui in pochi anni dalla nascita
era divenuta una dele prime venti banche americane. Una clientela di tale
successo che la banca non ha diversificato.
Negli anni della pandemia la liquidità già elevata
nel settore ict è esplosa. I depositi si sono moltiplicati, gli impieghi si
sono contratti – i clienti guadagnavano tanto da autofinanziarsi. L’eccesso di
liquidità affluito dall’ecosistema (sistema economico) Svb ha impiegato in obbligazioni
pubbliche a lungo termine, le più sicure, le più redditizie.
Quando la Federal Reserve ha cominciato ad aumentare il
tasso di sconto in percentuali elevate, molti clienti hanno ritenuto opportuno
utilizzare i depositi presso la Svb. Che si è trovata costretta a liquidare le
obbligazioni in perdita, per fare liquidità.
Meno cinesi, più produttività, Dragone imbattibile
La Cina in crisi demografica punterà sulla
produttività? È lo scenario più probabile, e renderà la Cina molto più
competitiva di quanto lo è già ora.
Tutte le proiezioni demografiche danno la popolazione
cinese in contrazione, e più marcatamente nelle fasce d’età lavorative, tra i
15 e i 64 anni. La popolazione cinese in età lavorativa, che era di 989 milioni
nel 2020, è prevista ridursi a 931 milioni nel12035. Mentre la fascia dai 65
anni in su va verso il raddoppio, da 180 a 315 milioni.
Gli stessi movimenti si prospettano in Occidente, ma
molto più contenuti. La popolazione europea (Russia esclusa) 15-64 si contrarrà
da 485 a 451 milioni – con i sessantacinquenni e oltre in crescita da 43 a 180
milioni. Negli Usa, invece, la popolazione lavorativa aumenterà, seppure di
poco, da 219 a 224 milioni – e i pensionati passeranno da 55 a 78 milioni.
Per compensare lo squilibrio demografico la Cina punta
sull’incremento della produttività. Uno sviluppo per il quale ha margini larghi.
Rendendo la sfida più incisiva contro l’Occidente.
La Cina è sempre stata ed è ancora competitiva con una
produttività infima rispetto a quella occidentale. L’indice di prodotto per
occupato, a parità di potere d’acquisto, che la Banca Mondiale elabora, vede la
Cina a nemmeno un quarto del livello di produttività americano, con 33 mila dollari
di valore aggiunto per occupato contro i 136 mila Usa – 98 mila in Europa, 77
mila in Giappone.
Dante umanista, tacitiano
La politica sarà
stata la passione dominante di Dante. Canfora dice la libertà, “il problema dei
problem, per Dante e per noi”. Per noi forse sì, è un secolo che non sbrogliamo
la matassa, in questo Duemila come nel Novecento, dopo l’ottimismo saputista
dell’Ottocento. Per Dante è dubbio, se non in senso lato: la politica è libertà.
E Dante sicuramente non è se non un politico sopra ogni altra cosa. Come delr
esto Canfora sottolinea: l’imperatore Giustiniano non solo si merita il paradiso,
ma anche un intero canto, può monopolizzarlo eccezionalemnte, in prima persona
dalla prima parola all’ultima.
Molto spazio è poi
da Canfora dedicato a Catone l’Uticense. Il Catone che alla vittoria di Cesare,
al crollo quindi della Repubblica, si tolse la vita. Con qualche riserva da
parte dell’accurato filologo, che per altri studi sa come Catone affossò
Catilna, accusandolo falsamente di congiura. Di Catone interessa a Canfora soprattutto
la sua collocazione nel Limbo. Anzi, la concezione dantesca del Limbo, il “nobile
castello” per i dotti del passato. Con la conseguente anticipazione-soluzione del
problema kantiano dell’autonomia dell’etica dalla fede.
Notevole è anche l’anamnesi
del congedo di Virgilio, il maestro, da Dante, alla fine del Purgatorio: “Libero,
diritto e sano è tuo arbitrio” - la chiave è nel finale del canto XXVII del “Purgatorio”,
qui non riproposto. “Dante perviene a una noizione di libertà”, commenta
Canforta, “che consiste nella consapevoleza del limite, o, per dirla con Hegel,
nella consapevolezza della necessità” – “che è l’esatto contrario dell’idea
banale di libertà («faccio quelo che mi pare»”.
Il filologo
richiama, a proposito di questo canto, il saggio seminale di Droysen,
“Grundriss der Historik”, 1868 – tradotto (tardi, in anno sfortunato, 1943) da
Cantimori come “Sommario di istorica” – che porta questo passo del “Purgatorio”
a supporto della sua tesi di fondo, che la storia, il movimento storico, è nella
libertà. Come questo, altri richiami filologici sono la parte più gustosa, e
poco o niente praticata, del saggio di Canfora. Sulle tracce, evidenti in
almeno due passi di Dante, di Tacito, che pure non era stato ancora “scoperto”
(lo farà Boccaccio). E di Svetonio – l’unico storico romano che, come Dante,
parte da Cesare nell’elenco degli imperatori (“Caesares”).
Tre canti,
“Paradiso” VI, “Purgatorio” 1, e “Inferno” XXVI, corredano il saggio di Canfora.
Che è una “Conversazione su Dante” tenuta a Milano alla Fondazione Corriere della
sera per il settecentenario. Una postfazione illustra il ruolo del “Corriere
della sera”, su iniziativa di Paolo Di Stefano. per la istituzione della Giornata
nazionale dantesca (“Dantedì”).
Luciano Canfora, Dante
e la libertà, Solferino-Corriere della sera, pp. 111 ril. € 9,90
lunedì 13 marzo 2023
Letture - 513
letterautore
Antifascismo
– Insegnante a 23 anni al liceo di Grosseto, Tina
Pizzardo, “sebbene eretica e ancor di più ignorante”, è nominata nel 1926 “segretaria
della federazione comunista di Grosseto. La quale contava cinque iscritti” – di
cui uno solo noto a lei: “Cinque gli iscritti, ma cinquanta figuravano nei
nostri documenti interni, dove le cifre venivano, per ordine superiore,
moltiplicate per dieci”. Lo scopo era di imbrogliare la polizia, “che presto o
tardi nelle nostre carte riusciva a ficcare il naso”, su “quanto esigue fossero
le nostre schiere” (“Senza pensarci due volte”, p. 58). E di presentarsi forti al
dopo, il fascismo essendo ritenuto debole e di pronta caduta.
Borghi
– “I borghi abbandonati degli Appennini e le Prealpi”
sono già di Pasolini-Orson Welles, “La ricotta”, 1963.
Emilio
Cecchi – Firma nel 1942 con una presentazione per la
collana Pantheon di Bompiani l’antologia “Americana” predisposta da Vittorini.
Che lo stesso Vittorini aveva pubblicato un anno prima, con una propria presentazione,
e subito sequestrata. Bompiani, che era anche l’editore italiano di Hitler, “Mein
Kampf”, e aveva commissionato Vittorini, ripubblicò “Americana” d’intesa col ministro
della Cultura Popolare Alessandro Pavolini. Che consigliò appunto il suo
conterraneo fiorentino, “l’Eccellenza Cecchi”.
Costanzo
– Direttore responsabile dei Gialli Mondadori dal marzo
2010, Maurizio Costanzo accompagnava ogni numero con un aneddoto, “L’angolo del
direttore”, segnato col suo profilo in silhouette. L’ultimo, in appendice a P. D.
James, “Per cause innaturali”, è un innuendo alle vicende dei reali inglesi,
con la ricostruzione della successione di Edoardo IV Tudor. Tra figli confusi e
zii e nipoti in lite – i Tudor, insomma, come i Windsor, violenti nei matrimoni
e autoreferenti (Shakespeare ne ha ampiamente scritto, anche della successione
di Edoardo IV, a opera del fratello invidioso, poi Riccardo III). Pezzo forte
di Costanzo è l’esumazione di Domenico Mancini, un frate italiano che in quel
fine secolo era stato a Londra e ne aveva scritto “De Occupatione Regni Anglii
per Ricardum Tercium”. Una memoria che “venne a galla” nel 1934, e spiega come
i due figli adolescenti di Edoardo IV potrebbero essere morti, rinchiusi nella
Torre di Londra, allora soggiorno reale, cosicché l’eredità passò allo zio Lord
Gloucester, Riccardo III.
Dante – Eversivo? Questo mancava, provvede Canfora, “Dante e la libertà”.
Rivoluzionario politico, e religioso. Che Catone mette al Purgatorio, un pagano
e un suicida, che né sant’Agostino né san Tommaso d’Aquino apprezzavano, il repubblicano
integrale, uno che la vita rifiuta in nome della libertà. Eretico anche sul piano religioso – ma qui lo
storico costeggia il Dante dei teosofi, delle “cose non dette”. Il massimo dell’eversione
Canfora trova nell’imperatore Giustiniano, posto da Dante in paradiso – dove però
fa come miglior forma di governo propone la monarchia, seppure universale.
Diari – “In casa di Barbara (Allason, n.d.r.) conosco il nostro
grande don Benedetto (Croce, n.d.r.) e la sua impareggiabile conversazione. Mi
sarebbe piaciuto scrivere una volta tornata a casa tutto ciò che avevo sentito
da lui, ma in vista delle perquisizioni non potevo farlo”, nota a un certo
punto la “comunista” Tina Pizzardo nelle sue memorie degli anni 1920.-1930,
“Senza pensarci due volte”. E aggiunge tra parentesi: “Sono sempre meravigliata
quando saltano fuori diari di quel tempo. Come facevano a tenere un diario di
carattere politico se per poco che uno si occupasse di politica le perquisizioni fioccavano impreviste?”
Editoria
– “Termine legato al parto”, la dice Gian Arturo
Ferrari, latinista di formazione e di prima professione, nella “Storia
confidenziale dell’editoria italiana”. O non piuttosto alla digestione, all’alimentazione?
Dal participio passato di “edo-edere”, il verbo latino per espellere, generare.
C’è un “edo-edere” anche per mangiare, ma che fa come participio passato “essum”.
Però, dì editore e editoria potrebbero appropriarsi le due funzioni: molti libri
sono digeriti dall’editoria, nel senso di scomparire, non di essere generati.
Gadda
– Pacioccone, confusionario, imbranato, l’aneddotica
è vasta e concorde. Ma di fatto tignoso in tema editoriale, con gli editori –
anticipi, opzioni, diritti. Sottile, avvocatesco. Al limite della slealtà, con Bompiani, con
Garzanti, anche con Einaudi. Posava, a fare l’ingenuo, lo sprovveduto?
Giallo – Giallo come genere letterario è creazione di Luigi Rusca – spiega Ferrari nella sua “Storia
confidenziale dell’editoria” – il direttore generale di Arnoldo Mondadori negli
anni 1930, quando la casa editrice era di proprietà (giuridicamente) di Senatore
Borletti, il ricco uomo d’affari milanese – nonché senatore del Regno. Rusca Ferrari
dice grande intellettuale, e manager infaticabile, inventivo, che copiava o
adattava tutto quanto aveva successo in Europa, e le serie o collane che veniva
creando identificava, in casa editrice e per il pubblico, con i colori, “azzurri,
verdi e neri”, senza riferimento ai generi. Eccetto che per il giallo. “Quando
arriva ai romanzi polizieschi prende ispirazione dal colore della prima
copertina, confezionata da un grafico inglese, e crea i “Gialli”” (p. 28), parola
che subito entra nel linguaggio comune”.
Rusca sarà poi ideatore e compilatore,
per Rizzoli di cui è diventato direttore generale, del “Breviario dei laici”, un
bestseller da 1.200 pagine, un tomo di elevazione e saggezza, spirituale
e morale.
Pavese - Si ricorda
traduttore emerito di “Moby Dick”. Ma fu, prima, traduttore di “Moll Flanders”,
secondo titolo della collana Einaudi “Narratori stranieri tradotti”.
Risorgimento - Intervistato da Molinari
in occasione della sua visita a Roma, il primo ministro israeliano Netanyahu
apparenta la nascita di Israele al “Risorgimento di Garibaldi”. Però, bisognava
pensarci, un’idea che si fa realtà politica.
Il Risorgimento derubricato
da oltre mezzo secolo ormai, da Mack Smith
in poi, a causa di tutti i mali d’Italia, corruzione, debito, mafie, incapacità
militare, etc, è stato invece, ed è per molti, sinonimo di liberazione – è stato,
a ben guardare, la “rivoluzione” più popolare dell’Ottocento, anzi praticamente
senza antagonisti (l’Austria-Ungheria si è limitata a perdere, non ha lamentato
diritti violati).
Social
– “I social ci hanno mostrato quanto siamo stupidi
come specie”, James Gray, regista – “Quanto ci piace «cancellare» gli altri,
quanto ci vantiamo e cerchiamo continuamente di dimostrare che siamo più intelligenti
degli altri”.
Zingari
– Sono proibiti. Uno speaker dell’Atac, l’azienda comunale che
gestisce (malissimo) la metropolitana di Roma, è stato punito per aver intermesso,
tra gli annunci dei treni in arrivo, un “attenti agli zingari”. Un annuncio “inammissibile
e inaccettabile, offensivo e discriminatorio”, ha tuonato il sindaco Gualtieri
- uno che sembrava scomparso dopo la sua elezione un anno e mezzo fa (si vede
che il sindaco non prende la metropolitana: il borseggio vi è incontenibile, perfino
violento – organizzato). Non che gli interessati se ne offendano, che fra loro
si chiamano rom, uomo, uomini. Zingari è del resto parola bizantina, di
una setta ereticale. In francese sono ancora bohémiens, come quelli che
vengono dalla Boemia. In spagnolo gitanos, e in America e Inghilterra gypsies,
come provenienti dall’Egitto.
È dura l’opposizione in Lettonia
Molti giornalisti
e giornaliste che da Mosca e San Pietroburgo si sono spostati-e in Lettonia per
fare meglio l’informazione contro Putin e la guerra, hanno a Riga più vincoli,
regole, controlli che in patria. Magari sono sospettati-e di essere spie. È
difficile essere liberi.
Però, è anche vero
che i lettoni non amano i russi, ancorché anti-Putin.
E che l’Europa si
è messa dentro un calderone bollente, accogliendo slavi, baltici e quant’altri fraternamente, come se non avessero il coltello
tra i denti - tra di loro certo, non più contro la Germania, come usavano.
Però, a quel che
si vede, non se la passano male, ancorché in Lettonia – niente a che vedere con
gli esiliati del fascismo o del nazismo. Questa guerra nasconde qualcosa.
Oltremare, in cerca di un’altra vita
Una quindicina di
saggi su situazioni specifiche, per lo più di storia locale, con casi di studio
in Argentina, Uruguay, Brasile, i più, Canada, Australia, e altre destinazioni,
tutte oltremare. È un quadro delle migrazioni secondo Ottocento primo
Novecento, fino ai primi anni 1950.
“Un secolo di partenze
verso altri mondi e altri destini” è il sottotitolo. Evocazioni e ricostruzioni
fuori dalla retorica scontata, sul bisogno e i sacrifici. Dell’emigrazione
anche come storia di avventure, di povera gente, semplice ma inventiva, spesso
anche riuscite – comunque riuscite quelle che si raccntano.
Storie di testiminianze,
per lo più. Ma anche d ricostruziobi storiche, con molta tabelle statistiche.
Vittorio
Cappelli-Giuseppe Masi-Pantaleone Sergi (a cura di), Calabria migrante,
Centro di ricerca sulle migrazioni, pp. 291, free online
domenica 12 marzo 2023
Ombre - 658
“Ricordo il 1964”,
dice Enrico Mentana a Cazzullo sul “Corriere della sera”, quando doveva avere una
decina d’anni, o nove: “L’Inter vince al Prater la sua prima Coppa dei
Campioni, e vengono inaugurate la metropolitana di Milano e l’Autostrada del
Sole. È l’anno in cui in Italia nascono più bambini nella storia”. Anni di cui
non si fa la storia, perché erano quelli del centro-sinistra, quello vero.
Nel 1970, continua
Mentana, “entrò in vigore lo Statuto dei Lavoratori, fu approvata la legge sul
divorzio”.
Pensare a una pace
tra Iran e Arabia Saudita, a chi poco poco conosce il Medio Oriente, era ed è
impensabile. Per un’ostilità secolare, a partire dalla denominazione del mare, Golfo
Persico per secoli e poi, dopo l’ascesa dei Saud nel cuore degli Stati Uniti
(contro l’Inghilterra…), Arabico. La pace risulta ora fatta per la mediazione
della Cina. Sempre più l’Occidente, tanto potente e minaccioso, conta meno?
La Silicon Valley
Bank fallisce dopo una serie di infortuni, nel 1992 e nel 2001 - oltre al 2008,
come tutte le banche. Ma senza alcuna sorveglianza delle autorità di controllo.
Reagan quarant’anni fa ha ridotto le regole, e da allora non c’è verso, il
mondo deve restare appeso al “mercato” americano. Non è una buona bandiera di libertà.
E non è nemmeno eludibile – non vi si può sottrarre.
Le banche italiane,
a partire dalle più grandi, Intesa, Unicredit, assicurano di non averci nulla a
che fare. Ma come è possibile – forse con la Silicon Valley? Come è possibile
non “fare affari” con le banche Usa, per quanto deregolamentate – anzi, proprio
per questo? La banca come un token di Borsa, una fiche al casinò.
L’uso del pos è
costato in un anno 5 miliardi, stima la Confesercenti, a carico soprattutto dei
piccoli esercizi, familiari. Se anche il costo sia stato un miliardo, bell’affare
per le banche del pos. È il fascino dei maghi furbi, Monti, Grillo e Draghi? Il
tifo dei media è tanto facile da accendere- la stupidità è così diffusa?
Quanti erano a Cutro
per manifestare “in difesa” dei migranti? Forse nemmeno i capi delle tante ong
che ci vivono sopra. La questione migranti sarà stata la più grande manifestazione
di ipocrisia. Di destra e di sinistra indifferentemente. Mentre tutto è chiaro.
Per 9-10 mila euro a clandestino, e un milione di irregolari l’anno nel solo
Mediterraneo, i migranti sono un mercato mafioso che fa concorrenza alla droga,
con meno rischi di carcerazioni e condanne. Compreso il ruolo dei benefattori,
che l’affare rendono sicuro - la colpa è solo dei governi.
Curiosamente, nelle
tantissime pagine sul naufragio di Cutro, nessuno ricorda quello che più fece
sensazione, l’11 ottobre 2013, al largo di Lampedusa, detto della “strage dei bambini”,
perché fra i circa 200 morti ci furono “almeno sessanta” bambini. Strage di cui
l’Onu (Comitato dei Diritti Umani) ha stabilito due anni fa la responsabilità
dell’Italia. Mentre la solerte Procura di Agrigento non aprì nessuna inchiesta.
Perché c’era il governo Letta?
Cinquemila
salvataggi in mare in un giorno, tra Lampedusa e Crotone, e niente, non si leggono
e non si vedono che dubbi e sghignazzi sulla Guardia costiera, la Guardia di Finanza
e la Marina. Ci può stare, i balordi esistono - non sapere quanto sono complicati
e delicati i salvataggi, l’abbordaggio, il trasferimento uno per uno, i malati,
etc., l’intelligenza non è per tutti. Ma perché dovrebbero essere di sinistra?
E ancora e di
nuovo, è possibile che a sinistra non si capisca cos’è questo mondo dello
s? Capirlo non è difficile, ma la supponenza pure non è rara.
Lo stesso giornale
che tormenta l’Italia con la crudeltà contro gli immigrati, “la Repubblica”, incensa
il primo ministro inglese Sunak che lo ha onorato di una intervista esclusiva, per
vantare la sua “durissima legge contro coloro che sbarcano irregolarmente in
Inghilterra”. È solo questione di logge?
Squalifica ovviamente
confermata all’allenatore della Roma Mourinho dopo la sospensione per la partita
contro la Juventus. Una procedura inedita e irrituale, opera dello stesso Chiné,
il Procuratore della “giustizia sportiva”, lo stesso della condanna della
Juventus. Sembra impossibile, ma è così: il calcio giocato è solo un’apparenza,
la materia in Italia è poco chiara – chi è Chiné? chi è Gravina? chi fa le
partite e perché?
Andare allo stadio
era un piacere, ce l’hanno tolto. Ma anche pagare l’abbonamento, perché, per
arricchire Gravina? i suo amici di Dazn?
Il Tar del Lazio, per
la penna del suo presidente, mette in berlina il Chiné superlegista del calcio.
Cioè, non si capisce cosa intende, ma si vede che gli dà un calcio in bocca. Elegantemente,
tra persone di studi. Chiné risponde con una prosa che Manzoni non avrebbe saputo
inventare. Lo fa per ridere? Con la patente del superlegista – a Roma nulla si
fa senza Chiné?
Uno che ha rifatto
un processo per lo stesso reato per cui aveva deciso l’assoluzione – una improcedibilità
che è la base del diritto, da asilo infantile?
Tutti eroi, ogni
morte si vuole eroica, o santa – “santo subito”, “eroe” sono i proclami. Deformazione
giornalistica, semplificazione. Ma è l’antidoto della precarietà; l’epoca più
ricca del mondo, e anche relativamente in pace, c’è solo una guerra, seppure
dentro l’Europa, è insicura, ha bisogno di certezze. Il mercato non è una
soluzione?
Crescono le preoccupazioni
di esperti e istituzioni, per primo il Fondo Monetario Internazionale,
solitamente guardiano dell’ortodossia monetaria, per le politiche monetarie
eccessivamente restrittive della Fed americana e della Bce – dette “violente e rischiose”,
non di meno. Ma non c’è resipiscenza nei banchieri centrali, Lagarde come
Powell. La strategia antinflazione ridotta a colpi di tassi di sconto del 2 e 3
per cento annuo, senza nessuna cura per le condizioni sottostanti, di produzione,
distribuzione, approvvigionamento, consumi, è solo insensata, da burocrati. Il
governo dell’Occidente è un po’ malato – non solo le banche americane.
Il presidente
cinese Xi Jinping in persona accusa il presidente Biden di perseguire “una strategia di accerchiamento,
contenimento e repressione” contro la Cina, “che ha causato problemi senza precedenti
al nostro sviluppo”. Che sarà una excusatio ma è anche la verità. L’Occidente
va come il ballerino Biden – cammina saltellando.
La giudice Zanda
che a Firenze si rese famosa per avere teorizzato che i vaccini anti-covid
modificano il dna, si specializza post-covid nelle cause di Renzi: lo condanna
sempre. Dell’ultima sentenza, in un procedimento di Renzi contro il “Corriere
della sera”, il giornale ha riferito con dovizia e coloritura. Eccetto il più colorito
dei fatti, che la giudice è anche biologa per diletto, e teorica combattiva dei no wax. Alle giudici
benevolenti non si guarda in bocca.
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Contro la CCT, Commissione Cancellazione Totalitarismo
Una “difesa” del
totalitarismo. Del fatto storico, sottraendolo a sociologi, scienzianti
politici, psicologi. A tutti quelli che, “per amore di scienza”, lo negano, chi
al fascismo, chi allo stalinismo, e c’è perfino chi lo nega a Hitler. “Ritorno
alla storia” è il sottotitolo, una dichiarazione di possesso, da parte dello
storico Gentile. Che poi, però, strattona anche storici di professione, come Hobsbawm
sullo stalinismo, o Gordon Craig sul nazismo.
Un pamphlet,
avviato sul dispiegamento orwelliano di una Commissione Cancellazione
Totalitarismo – ma senza citare Orwell. Contro Hannah Arendt, d’acchito – a cui Gentile oppone Giuseppe Galasso, lo storico. Per celebrare il centenario della coniazione
del termine, e anche del concetto, da parte di Giovanni Amendola – da parte
quindi dell’antifascismo, come concezione negativa, del potere politico e della
società. Ma soprattutto, curiosamente, per affermarne la modernità. La
modernità del totalitarismo. Non del tutto criticamente, negativamente. Come uno
dei modi di affrontare-organizzare la modernità – le masse, i diritti, le
tecnologie. In alcune situazioni, Italia per prima, più efficace di altri, del
liberalismo – che l’Italia aveva conosciuto anche troppo bene – e del
bolscevismo.
Non una novità:
Gentile è stato bene ideatore e curatore una dozzina d’anni fa della silloge di
storici e scienziati politici intitolata “Modernità totalitaria”. Questo saggio
vuole come “definitivo”, opera di riferimento. Pendant della “Storia del
fascismo” con cui ha salutato l’anno scorso il centenario della “marcia su
Roma” – la storia “definitiva”, che ora “Repubblica” ripopone a dispense e illustrata
in edicola - complemento anche volumetrico della biografia di Mussolini
monumentale a opera di Renzo De Felice, che di Gentile è stato maestro. Ma
scritto col sarcasmo del polemista.
A Hannah Arendt, prima
studiosa del totalitarismo, 1949, lo storico rimprovera poca o scarsa
conoscenza storica, facendola comunque autrice di un “negazionismo parziale”, o
di “riduzionismo”. Per aver detto non totalitaria, per es., la Russia di Lenin.
Ma Lenin non morì nel pieno della sua stessa Nuova Politica Economica? Fu letto
il suo monumentale “Le origini del totalitarismo” come un’opera da guerra
fredda, che salvava le destre europee (tolto il nazismo, of course) per
schierarle contro l’Urss di Stalin, solo perché Einaudi (allora filosovietica)
non lo tradusse? Ma nessun altro editore “di destra” lo fece – “Le origini” fu
tradotto, tardi, da Adriano Olivetti (edizioni di Coumunità, su iniziativa
probabilmente di Franco Ferrarotti), per amore di verità, come altri “classici”
trascurati della sociologia politica, Max Weber etc. Sempre Arendt è anche
colpevole di avere detto il fascismo totalitario ma modernizzante, sempre ne
“Le origini”, senza avere studiato, o non averne tenuto conto, la vasta
bigliografia in argomento successiva alla pubblicazione del suo lavoro. Cioè,
del lavoro di Gentile nel 2011?
Molte le assenze,
che sarebbero venute utili proprio oggi, della modernità totalitaria, Adorno,
Orwell. Nonché, volendo restare tra gli storici, dei primissimi storici delle
“cause” del fascismo, Salvemini, Salvatorelli, Nolte – per non dire i primi
“sociologi applicati”, per così dire, cioè politici, come Tasca, Gramsci, lo
stesso Amendola.
Il libello esce
pure in contemporanea con un fascicolo della “Storia del fascismo” dello stesso
Gentile che l’editore può intitolare “Regime a conflitti”, tali e tante erano
anche negli “anni del consenso” le divergenze con la chiesa, con le forze
armate, tra i gruppi e le tendenze fasciste. E poi, la modernizzazione non
viene legata al fascismo da mostre, studi, pubblicazioni varie, via futurismo e
altre vie, costruttivista, monumentalista, revivalista (“postmoderna”), dalla
pubblicistica di varia specializzazione già dagli anni 1970, nella grafica, il design,
l’urbanistica, l’architettura, e perfino l’arredamento, la moda, i tessuti, i
materiali?
Da non storici si
può osservare che il totalitarismo è una forma politica tra tante. Forse
moderna ma non necessariamente – erano totalitari perfino i principati
italiani, tanto allegri ma pieni di spie, ostracismi, confische. E forzatamente
dialettica: è inevitabile che susciti divergenze anche radicali, non solo le
barzellette. Una vera dottrina del totalitarismo dovrebbe tenerne conto: è
moderno perché deve essere flessibile, perché più dura è la regola, più forte è
l’eccezione. C’è più totalitario degli ayatollah in Iran, che s’introducono
anche in camera da letto? Tanto amati, e non li sopporta più nessuno, eccetto i
“timorati d Dio” – ma questi sono un’altra categoria di umanità.
Emilio Gentile, Totalitarismo
100, Salerno, pp. 160 € 18
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