sabato 25 marzo 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (519)
Il primo
ministro inglese, Rishi Sunak, è figlio di indiani emigrati in East Africa, un
paio di generazioni prima di approdare in Inghiterra. Lo stesso la ministra
dell’Interno, Suella Braverman – sposata Braverman. La ministra degli Esteri è
invece figlia di una donna della Sierra Leone. Questo goevrno ha disposto la
deportazione degli immigrati non in regola in Ruanda. L’integrazione è
difficile.
La fortuna arride all’editore che legge
“Chi ci dice cosa
dovremo leggere, se potremo ancora leggere?” A dieci anni dai “Ferri del mestiere”,
dell’editoria come mestiere e non come industria, Sandro Ferri, titolare di e/o
con la moglie Sandra, riconferma l’attrezzeria. Che poi è una sola – quella fondamentale,
poi contano, certo, il titolo, la copertina, la promzione, etc.: una buona capacità
di lettura, il “fiuto”. La volontà di leggere, e la capacità di “sentire” la
lettura. Forte anche dei successi inanellati nell’intervallo: ancora Elena
Ferrante, con Muriel Barbery, “L’eleganza del riccio”, e – qui ancora non raccontata
– Valérie Perrin, “Cambiare l’acqua ai fiori”.
Un altro romanzo
dell’editoria, altrettanto brillante ma più svelto, e antitetico a quello di
Gian Arturo Ferrari, “Storia confidenziale dell’editoria italiana”. Ferri non è
un manager, lavora in proprio. Lavora, ha lavorato i prime venti, trent’anni, sempre
con l’acqua alla gola: i libri non bastano, i buoni libri, ci vogliono i soldi.
I soldi in Italia non si sono, sono solo delle banche, e le banche non ci
sentono, non amano i libri, troppa incertezza – “forse ho letto più manoscritti
nelle sale d’attesa degli istituti bancari che in qualsiasi altro luogo”.
L’editore della “fabrica
dei bestseller” racconta pianamente l’altra faccia dell’editoria, quella ancora
artigianale, di editori che leggono i libri e li pubblicano in base al loro
giudiziio, in questo caso dello stesso Ferri con la moglie Sandra, titolari della
casa editrice. In rapporto personale con l’autore. A tratti si ha l’impressione
di leggere un epicedio, un elogio funebre. La funzione nobile – e nel lungo
termine anche traino economico, oltre che letterario – dell’editoria lo stesso
Ferri lamenta stritolata fra marketing e anticipi – la pratica degli agenti
letterari, che ora spuntano cme funghi, di puntare al “tutti maledetti e subito”,
ad anticipi insostenibili per il piccolo editore. Ma il caso della copia
Ferri-Ozzola non dice che si può pure sopravvivere, allegramente?
Sandro Ferri, L’editore
presuntuoso, e/o, pp. 253 € 10
venerdì 24 marzo 2023
Deutsche Bank e i due pesi Bce
Tanto tuonò che piovve, là dove i parafulmini in teoria
erano i più solidi. Nel caso delle banche, in Germania. La Bundesbank, che impone
le politiche iperrestrittive della Banca centrale europea, non ha mai messo
ordine nelle sue banche: quelle statali, salvate quindici anni fa anche con i
soldi italiani, a suo tempo di Unicredit, ma anche le banche nazionali, Commerzbank,
malato cronico da almeno trent’anni (quando volevano rifilarla a Generali), e da
qualche anno Deutsche.
Il crollo in Borsa di Deutsche Bank non si
saprebbe attribuire a una manovra speculativa. È da anni che la massima banca
tedesca è in sofferenza, per problemi di gestione, e per troppe pratiche speculative
(tra esse la mai ricordata liquidazione dei titoli di Stato italiani, fatta trapelare
al mercato – al “Financial Times” - a luglio del 2011, insieme con valutazioni
abusive del proprio ufficio studi, che scatenò il quasi-default dell’Italia).
Senza che la vigilanza Bce evidentemente sia mai intervenuta, non in modi efficaci
– mentre faceva le bucce a Unicredit ancora a dicembre. Deutsche Bank, la quarta
o quinta più grande banca europea per attivi, capitalizza appena 18 miliardi,
un crollo di mesi e anni non di un giorno - Intesa 42
miliardi, dopo essere arrivata prima della “minicrisi” bancaria a 49, Unicredit
32, dopo essere arrivata a 40.
Non ci sono problemi per le banche europee? Sì, ci sono, e vengono da Francoforte, dove la Bce legifera. In America i problemi sono di assetti normativi, nella Ue di assetti politici.
Verde in mimetica
Perdono consensi i Verdi in Germania, nei sondaggi nazionali
e nelle elezioni locali, che due anni fa si candidavano a primo partito, ora
che sono al governo. Ma non per la partecipazione al governo socialdemocratico,
con la destra Liberale, di Olaf Scholz, a stare ai sondaggi. Perché non apprezzano
il bellicismo della loro leader, Annalena Baerbock, in qualità di ministro degli
Esteri del governo Scholz: le cronache della guerra vedono Baerbock molto militante
per l’Ucraina, e quasi pronta alla guerra contro la Russia.
Il calo dei Verdi può più probabilmente essere l’effetto
dell’atteggiamento moderato e pragmatico dell’elettorato tedesco, che si pone
il problema di cambiare, di ventilare la politica, ma non troppo. I Verdi erano
i primi nei sondaggi alle elezioni federali di settembre 2021, presero a straparlare,
e al voto sono arrivati terzi.
Il cancelliere Scholz, che per statuto ha anche
poteri di intervento nella gestione ministeriale (il cancelliere è una posizione
molto più solida del presidente del consiglio) e ha una struttura di affari esteri,
l’ha molto rafforzata in questo anno e mezzo. Tradizionalmente, anzi, è sempre
stato il cancelliere ad avere la parola definitiva in politica estera, con
Bismarck ma anche prima e anche dopo - Adenauer, Brandt, Schmidt, Kohl, la
lista sarebbe lunga.
Baerbock aveva debuttato con un programma di “politica
estera femminista” – “promuovendo le donne nel ministero, parlando delle donne,
incontrandole e ascoltandole” (a questo fine ha pure avviato subito una riforma
del ministero, di cui poi non si è saputo nulla). Ma anche di “politica estera
basata sui valori”, e quindi poco propensa alla diplomazia, al calcolo.
L’uranio non fa male, basta non respirarlo
I proiettili a
uranio impoverito non fanno male. Il generale Tricarico, ex capo dell’Aeronautica,
lo assicura su formiche.net. Le polveri che rilasciano dopo l’esplosione “si
disperdono nell’ambiente e quindi sono potenzialmente dannosi quando urtano una
superficie dura quali una corazzatura metallica o simili. Se invece penetrano
nel terreno o impattano superfici più tenere, non producono significative
contaminazioni”. Gli umani quindi ne vanno esenti, che sono teneri.
Sembra di
leggere “Candido” – l’MI6 britannico, l’agenzia di spionaggio, ama ispirarsi ai
classici.
Non è
tutto. “Con l’impatto su superfici dure si liberano microparticelle e non
nanoparticelle”, argomenta il generale: “La questione è”, manzonianamente,
“dirimente in quanto solo queste ultime, le nanoparticelle, hanno dimensioni
tali da penetrare nelle cellule umane e quindi, in spazi aperti, l’effetto delle
polveri è irrilevante se non viene inalato per vie aree”. Basta non respirare.
Bisognerebbe mandare anche i generali alle bonifiche post-bombardamenti, aerei, di artiglieria o anche di fanteria? Il rischio è che poi non ce la raccontino, non così faceta.
Tragedia a Milano, tra mafie d'importazione
Un poliziotto va
in pensione, dopo 35 anni di onorato servizio, eccetera eccetera, e una festicciola
a sorpresa gli è stata preparata dalla moglie intraprendente, ma sarà una notte dell’ultimo
giorno di delitti e pene, molti delitti e molte pene. Tutto per avere sempre
considerato di famiglia un cugino della moglie, che per non lavorare fa di
tutto, truffe, prostituzione, contrabbando, con le mafie nigeriane, e con quelle
cinesi.
Giallo, noir,
splatter, azione, film d’autore, di varie raffinatezze, e filmaccio di
serie B, di poche scene, di ambienti circoscritti. Per due ore di assoluta
tensione. A partire dal preliminare sorvolo di Milano in notturna, una città
quasi viva, quasi calda, illuminata, per alcuni minuti – una panoramica che
resterà nella storia della città. Scandite poi da un vernacolare calabro-lucano,
più adatto a una storia di vincoli parentali sempre pronubi di sventure, intervallato
da po’ di cinese.
Di Stefano, regista
romano ma di formazione anglo-americana, soggettista e sceneggiatore dei film
che dirige, esperto di suspense in ogni sua forma (“Escobar”, “The Informer”
sono i suoi precedenti titoli – da regista, è anche attore molto gettonato, in
una ventina di film, una decina di serie tv), si rifà, anche nell’inverosimiglianza,
a Quentin TarantinoQq, ormai
saldo presidiatore della miscela di generi all’insegna della violenza.
L’inverosimiglianza
della trama è retta, più che da Favino-Amore, che recita se stesso, da Paola
Caridi, attrice milanese (sì, ma prima?), allieva del “Paolo Grassi”, che tiene
su una moglie-madre calabrese che non la cede a niente e a nessuno. Una ben diversa
“donna del Sud”, più rispondente al reale. Doppiata dal cugino delinquente,
altrettanto incomprimibile ma dalla parte sbagliata della vita, dell’arricchirsi
a danno degli altri – un Antonio Gerardi gonfiato come un pallone. Con la curiosa
adozione, da parte di Di Stefano, di una sorta di canone nel filmare scene di
famiglie calabresi, con obiettivo stretto e strettissimo, quasi addosso ai
visi, e con personaggi femminili, giovani e meno giovani, veloci e ultimativi: quello
di Jonas Carpignano, lo specialista newyorchese quasi antropologo della Piana
di Gioia Tauro, dove ha piantato la cinepresa, regista di “Mediterranea”, “A
ciambra “ e “A Chiara” - ma già nel cortometraggio di dodici anni fa “A Chjana”,
la Piana appunto del suo territorio.
Andrea di Stefano,
L’ultima notte d’Amore
giovedì 23 marzo 2023
Cronache dell’altro mondo – complottistiche (256)
In attesa che il Gran Giurì si pronunci sull’incriminazione-con-arresto
di Trump richiesta dal Procuratore Distrettuale di New York Alvin Bragg, i
Repubblicani, in maggioranza alla Camera dei Rappresentanti del Congresso Usa,
hanno mobilitato tutte le Commissioni che operano in materia di giustizia per
indagare se la spesa federale è utilizzata a fini politici, per “attentato alla
democrazia”, nel caso del Procuratore di New York Alvin Bragg, che vuole incriminare
Trump per avere pagato la pornostar Stormy Daniels.
Il senatore repubblicano Rand Paul chiede il carcere
per il Procuratore Bragg, “uomo legato a Soros”, il famoso speculatore:
“Incriminare Trump è un disgustoso abuso di potere”.
La difesa di Trump è assicurata nella fattispecie dall’avvocato
italo-americano Joseph Tacopina, un avvocato di New York più noto come titolare
di una società di promozione sportiva a Madison Avenue, e per essere stato al vertice
di molte società di calcio italiane, Roma, Bologna, Venezia, oggi Spal.
Il caso della pornostar è stato materia di molte indagini
giudiziarie, anche di giudici democratici, come Cy Vance e lo stesso Bragg, che
non hanno trovato notizia di reato - neanche di “pratica scorretta”, secondo Tacopina.
Se c’è complotto, se è Soros all’origine del procedimento
contro Trump, tanto più curiosa è la prima definizione dell’affare Stormy
Daniels cinque anni fa, sulla pornostar che accusava Trump di violenza carnale:
il caso fu sollevato e alimentato dal “Wall Street Journal”, di proprietà di
Rupert Murdoch, sostenitore strenuo di Trump:
http://www.antiit.com/2018/01/ombre-401.html
Ecobusiness
“Nel vecchio West
in Bmw, al volante della gigantesca e potente XM ibrida da 653 cavalli con
trazione integrale. Una vettura che, se si resta sotto il 140 km/h, garantisce
un’autonomia in elettrico fino a 80 chilometri”. Perbacco, Roma-Ostia e ritorno,
una gita. Al prezzo “a partire da 181.500 euro”.
Anche gli ingombri
non sono male: tre tonnellate di peso, 511 centimetri di lunghezza, per 201 di
larghezza e 176 di altezza. Un monumento ambulante, per quattro posti.
Si fanno piani di
razionamento dell’acqua, mentre si aumentano le tariffe per contenere i consumi.
Intesi come sprechi. Ma non si fa nulla per ridurre le perdite dell’acqua dalle
sorgenti al rubinetto. Ufficialmente del 40 per cento, in molte aree del 50 per
cento, p. es. in Puglia, e più.
Si scopre, con la nomina dell’ex ministro all’Innovazione
e all’Energia Cingolani nel consiglio d’amministrazione, l’esistenza di un Nato
Innovation Fund, dotato di un miliardi di euro, per lo sviluppo di nuove
tecnologie militari eco-friendly – per una guerra “verde”?
La libertà americana è dei servizi segreti
Una spy story
da camera, in due o tre ambienti, una stanza, un’automobile. Senza in effetti ambienti,
solo il buio, l’obbiettivo fissato sulle facce.
Un thriller
di serie B o C, una furbata, una sorta di recita teatrale firmata, con un nome
di richiamo, Mel Gibson – un’altra faccia, per lo più immobile. Ma un film
curioso, della mania americana del complotto. Della libertà o democrazia come complotto.
A Hollywood è un
filone, tanti i film in cui le forze del bene sono i servizi segreti. Spietati,
qui anche crudeli, e doppiogiochisti – in cui Bene e Tradimento si intrecciano.
Si direbbe che l’America si protegge mettendo le mani avanti, mettendo in conto
che la sua Bontà (Giustizia, Libertà, Generosità) possa essere tradita dagli
stessi americani. Una forma suprema d’innocentarsi, in particolare con i
servizi segreti, che – quelli americani perlomeno, Cia e Nsa – non hanno mai
fatto del bene a nessuno. Nemmeno all’America, si direbbe, che ha perso in
pochi anni quattro guerre di seguito, Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, non per mancanza di armamento ma per non sapere nemmeno cosa andava a combattere né dove. Ma -
questa la curiosità - con esclusione totale del Resto del mondo, prima e anche dopo le quattro guerre perdute, per il quale la
buona America si batterebbe.
Qui la didascalia
ci informa che la camera di tortura è in “un paese dell’Est Europa”, che la
consente agli americani, così ci viene detto – in Belgio no, “non abbiamo licenza legale” si dice di
un rapimento di persona a Anversa. Una prefigurazione sinistra – il film è
stato girato quindici mesi fa – della guerra, con gli usi e le pratiche che
hanno portato alla guerra.
Dermot Mulroney,
Agent Game, Sky Cinema
mercoledì 22 marzo 2023
L’Occidente è trilaterale
La Commissione Trilaterale celebra mezzo secolo di
vita, puntando a includere la Cina.Una
costola del Gruppo Bilderberg, è stata è stata costituita nel 1973, da David
Rockefeller con Zbigniew Brzezinski, che ne fu il primo direttore, per allargare
l’intesa atlantica al Giappone. Si nomina Gruppo Bildeberg il parlamentino di
130 personalità occidentali che ogni anno si riuniscono informalmente per
discutere lo stato del mondo (Bildeberg è il nome dell’albergo dove la prima
riunione fu tenuta nel 1954, su iniziativa dello stesso Rockefeller, il banchiere
e politico statunitense – repubblicano liberal – erede della fortuna
petrolifera Esso-Exxon, per cementare l’alleanza atlantica).
Dopo cinquant’anni i pesi si sono equilibrati, se non
rovesciati - l’Asia prende un peso vieppiù maggiore. Nove personalità
cinesi fanno parte della Trilateral. Ma questo non basta: molte voci, specie in
Giappone, tra i membri della Commissione, chiedono più peso, pur riconoscendo
che il comitato è uno dei pochi forum in cui Asia e Occidente (leggasi Stati
Uniti e Europa) sono su un piede di parità. In particolare contestano da
qualche tempo, prima della guerra in Ucraina e dopo, la politica di confrontation
avviata da Washington con la Cina. Che la globalizzazione sia stata – o vada –
spiantata dalla polarizzazione sarebbe “narrazione occidentale”, una forma
surrettizia di politica aggressiva.
Tra i membri della Commissione oggi si segnalano, per
la parte americana, il segretario di Stato Antony Blinken, e Jake Sullivan,
National Security Adviser. La prassi è che i membri della Commissione che assumono
incarichi pubblichi si astengono dai dibattiti.
Il romanzo di Mosè, autore Freud
Il
primo esito delle sue riflessioni sulla Bibbia Freud elaborò in un primo tempo,
nel 1934, come “romanzo storico”. Si sa che di Mosé si sa poco o niente, delle
sue origini, la formazione, la vita, giusto il minimo particolare che fu
salvato dalle acque – l’elemento su cui compirà poi il suo grande miracolo. Da
qui la tesi, poi di Freud, che fosse un “generale” egiziano, a cominciare dal
nome, che non è ebraico. Ma nel 1934, non ancora in esilio, ma già sotto la
dittatura di Hitler, Freud non se la sentiva di ribaltare uno dei nodi
principali della Bibbia, e per questo adottò la forma romanzo. Che non
pubblicò.
Le
stesse riflessioni che aveva elaborato in forma di romanzo poi rielaborerà
criticamente, tra il 1934 e il 1938, pubblicando l’esito nel 1939, a Amsterdam,
sotto il titolo “L’uomo Mosé e la religione monoteistica”, in forma di “tre
studi”. Anche se manteneva, rafforzati, gli stessi scrupoli che l’avevano
dissuaso dalla pubblicazione cinque anni prima – apriva il volume con una excusatio:
“Spiegare a un popolo che non rientra nella sua identità uno che essso celebra
come il più grande di tutti i suoi figli non è qualcosa che s’intraprende di
buon cuore o alla leggera, a fortiori quando si è se stessi parte del
popolo in questione”. Erano anche gli anni in cui Mosé assurgeva a nuovo ruolo
nell’ebraismo, nell’ambito del sionismo che da lì a poco sfocerà nella
creazione di Israele, come simbolo e guida.
Mosé,
Freud confidava a Lou Andreas Salomé, lo aveva “perseguitato tutta la vita”.
Decidendo nel 1934 di non pubblicarne il “romanzo”, Freud spiega a Max
Eitingon, lo psicoanalista russo-tedesco emigrato l’anno prima in Palestina:
“Una parte del testo infligge gravi offese al sentimento ebraico, un’altra al
sentimento cristiano, due cose che è meglio evitare nell’epoca in cui viviamo”.
Introducendo il Mosé “romanzo storico” cinque anni prima, Freud si pone invece
il problema della verità. A partire dalla formula “romanzo storico”: “Per me
inventare e romanzare sono facilmente legati all’errore”.
Il
suo romanzo storico di Mosé parte dal metodo scientifico: “Trattare ogni
possibilità offerta dai dati come una base di lavoro, colmando poi le lacune
tra un frammento e l’altro secondo il principio, per così dire, della minore
resistenza, cioè favorendo le ipotesi che ci sembrano più probabili”. Una
storia ipotetica, insomma. L’esito è quello noto, dei tre studi, un po’ meno
conciso – ma più leggibile, seppure non convincente.
Sotto
forma di “romanzo” scientifico, di ipotesi fantasiosa ma a fini di credibilità
e non a sensazione, Mosè era già un classico negli anni di Freud. Dal 1790,
quando Schiller pubblicava sulla rivista “Thalia” “La missione di Mosè” –
Schiller è stato storico valente, prima che drammaturgo. C’era la rivoluzione
francese, ma Schiller si impegnava a rielaborare, in parte confutandola, la
prolusione un anno prima a Jena dell’illuminista framassone Carl Leonhard
Reinhold. Con un testo fitto, di una quindicina di pagine, come la prolusione.
Nell’ambito di un Antisemitismusdiskurs, un dibattito
sull’antisemitismo. Schiller fa nascere la parola “ebrei” con la fuga
dall’Egitto, un nome spregiativo dato ai riottosi israeliti dal faraone, che li
aveva confinati in aree separate. Ma non fa di Mosè un egiziano, bensì il
figlio di un’ebrea fatto crescere con un trucco dalla figlia del faraone, e
quindi a scuola dai preti, dai quali apprende i Misteri di Iside. È per questo
un capo opportuno ma anomalo per gli ebrei.
Il
“romanzo” è più teorico che storico: Mosé non sfugge al complesso di Edipo, al
complesso della liberazione – un padre padrone per gli ebrei. La salvezza degli
ebrei viene dal riconoscimento della colpa per avere misconosciuto il padre
Mosé. Una “colpa” che grava sugli ebrei, ma ne è anche la forza. Poiché ne
precisa e salvaguarda l’identità. È la conclusione del romanzo: “La nostra indagine ha forse fatto un po’
di luce su come il popolo ebraico abbia acquisito le qualità che lo
contraddistinguono”.
Vale la pena ricordare qui la perplessità che
Voltaire faceva valere nel breve scritto “Auteurs”, 1770 ca, rifacendosi alla
“Histoire de la philosophie” del “buon abate Bazin”, che “mai nessun autore ha citato un
passaggio di Mosè prima di Longino, che visse e morì al tempo dell’imperatore
Aureliano”. Il nome era noto, Giuseppe ne parla più volte, ma nessuno cita un
detto o uno scritto, nessuno dei profeti autori dei libri biblici - “benché
egli sia un autore divino”, aggiungeva Voltaire.
Con
una prefazione di Giovanni Filoramo, lo storico delle religoni, che fatesto a
sé, per ampiezza e impianto. E il commento di Thomas Gindele alla primapubblicazione
dell’inedito, emerso alla Biblioteca del Congresso di Washington, che conserva i
cartoni con i manoscritti che Freud non ha distrutto.
La
prima pubblicazione è stata fatta in francese, Chiara Calcagno traduce dal
francese la nota al testo di Gindele, germanista francese, che ha curato la prima
pubblicazione. Johanna Venneman traduce il romanzo dall’originale, un manoscritto
in corsivo tedesco, una scrittura praticata fino alla guerra, che Freud usa in
modo molto pulito, anche nelle cancellature, ma è di per sé una selva di
ghirigori.
Sigmund
Freud, L’uomo Mosè. Un romanzo storico, Castelvecchi, p. 384 € 25
martedì 21 marzo 2023
Letture - 514
letterautore
Aristofane
– Precorre i cartoon, Walt Disney. È riferimento
di Vincenzo Zingaro, il regista e capocomico teatrale che ha dato una lettura
ormai classica delle “Nuvole”, la satira di Socrate, del sapere di non sapere: “Ci
sono molte affinità fra il mondo scenico di Aristofane e quello di Walt Disney,
così presenta la sua riduzione di “Le nuvole” - che su palcoscenico fa accompagnare
da musiche di stampo disneyano, con maschere fisse, come i personaggi dei
cartoni animati.
Calvino
– Cristiano malgrado se stesso lo vuole il cardinale
Ravasi, “La Bibbia vista da Calvino”, sul supplemento “Domenica” del “Sole 24
Ore”. E non alla Croce – “non possiamo non dirci cristiani” – o per l’humus culturale.
Figlio di miscredenti, non battezzato, all’asilo - al rientro in Italia da Cuba
- a Sanremo in una scuoletta inglese, il St. George College, alle elementari in
una scuola valdese, e al liceo Cassini (con Scalfari) con l’esonero dall’ora di
religione. Il tardo racconto “Giornata di uno scrutatore”, 1963, scrive però,
nota il cardinale, “in territorio evangelico”. Scrutatore elettorale al
Cottolengo, il comunista Ormea, dapprima irritato, alla fine della giornata si
dice: “L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli
diamo”. È il vangelo, dice Ravasi,
l’“Ama il prossimo come te stesso”, è il “Discorso della Montagna”, “aperto da
Cristo con la sequenza delle Beatitudini, la prima delle quali suona: «Beati i
poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli»”. Ormea, che è anagramma
di amore.
Calvino di suo
ha spiegato di non avere sofferto di isolamento per le decisioni dei genitori,
anzi di averne tratto beneficio: l’isolamento rafforza (può rafforzare), e
spinge ad avere rispetto per le opinioni altrui, ha spiegato, alla tolleranza.
Anche nei confronti dei religiosi: “Nello stesso tempo sono rimasto
completamente privo di quel gusto dell’anticlericalismo così frequente in chi è
cresciuto in mezzo ai preti” (cronologia di Mario Barenghi e Bruno Falcetto nei
“Meridiani”).
Dante
– Era all’Indice (dei Libri Proibiti), per una
condanna del trattato sula monarchia. E c’è rimasto fino quasi alla fine
dell’Indice. L’Index Librorum Prohibitorum di Paolo IV è stato abolito nel
1966. L’anno prima il papa Paolo VI, a chiusura del Concilio Vaticano II, posò
nel Battistero di Firenze una corona aurea su una copia della “Commedia” – la
corona cui Dante aspira nel poema. Con
una motivazione a metà ironica: come gesto riparatore, benché Dante si sia attribuito
il ruolo del Padreterno, quello di giudicare.
Si celebra il
Dantedì, quest’anno per il terzo anno, istituto dal governo su proposta di Di
Stefano sul “Corriere della sera”, con l’Accademia della Crusca e Luca
Serianni, come primo giorno del viaggio della “Divina Commedia”, il 21 marzo,
con la primavera, e con la Giornata Internazionale della Poesia, istituita dall’Unesco.
“Il viaggio di
Dante nel Triregno inizia nel tempo umano attorno alle 6 di mattina del I
giorno ed esce dal tempo umano alle 6 di sera (le nostre 18) del VII giorno,
quando entra nella dimensione unificante, fuori dello spazio e del tempo,
dell’Empireo”. Gioachino Chiarini, il classicista della Fondazione Lorenzo Valla,
specialista di Ovidio e sant’Agostino, ricostituisce l’“orologio” del poema in
un diffuso saggio su “Robinson”- “Scusi, Dante, che ora è all’inferno?”. Sul
presupposto che “un poema di cento canti e oltre quattordicimila versi (meno
dell’ ‘Iliade’, ma più dell’‘Odissea’ e ben più dell’‘Eneide’) difficilmente
poteva aspirare a un armonico equilibrio tra forma e contenuto senza una
preventiva, minuziosa, scrupolosa progettazione”.
La progettazione
lo studioso dice confermata dalle ricerche di Manfred Hardt, il filologo di
Duisburg autore de “I numeri nella Divina Commedia”, che ha rilevato “un legame
numerico significativo tra alcuni tempi della ‘Commedia? (ad esempio Cristo in
rapporto alla Croce), il numero di un determinato canto, il numero di
determinati versi al suo interno”. Una complessità che necessita di un piano,
una progettazione.
Elzeviro
– In uso nei quotidiani fino agli anni 1980, era il perno
dei servizi culturali (“terza pagina”). Una colonna e mezza di “piombo” –
quattro-cinque cartelle da trenta righe. Di divagazioni per lo più, evocazioni,
aneddoti. Una forma partica di dare spessore culturale ai giornali, e insieme un
reddito agli scrittori. Lo praticavano da ultimo Sciascia, Parise, Arbasino (in
varie misure, anche la letterina). Un forma che ha cominciato a declinare già negli
anni 1970, man mano che gli scrittori, a partire da Pasolini e subito poi da
Calvino, sono passati a commentatori da prima pagina, combattivi, sull’attualità,
anche politica oltre che sociale o culturale.
Guerra
– Invoglia alla lettura? “Nei primi anni di guerra,
contro ogni attesa, il consumo di libri cresce”, della seconda guerra – G. A.
Ferrari, “Storia confidenziale dell’editoria italiana”.
Ortonimia – No ad asterischi
e schwa, no all’articolo davanti al nome (la Meloni, la Schlein), no alle
(re)duplicazioni retoriche, “i cittadini e le cittadine”, anzi “le cittadine e
i cittadini”, e nomi di professione declinati al femminile - magistrata, avvocata,
questora, e naturalmente professoressa, dottoressa. L’Accademia della Crusca, l’organo istituzionale conservatore per
definizione (guardiano della purezza della lingua) risponde semplice alla Cassazione,
l’organo del ghiommero burocratico. Che si vuole sempre al passo coi
tempi, anzi un po’ più in là – la lingua non è della giustizia?
Pavese – Un bell’uomo appare
per la prima volta a un contatto diretto, in barca sul Po, a Tina Pizzardo, la donna
dalla vece “rauca e dolce” di Pavese – che si Pavese rifiuterà la proposta reiterata
di matrimonio (“Senza pensarci due volte): “Alto, corpo d’adolescente annerito dal
sole, mutandine da bagno e cappellaccio di feltro calcato fino agli occhiali.
(C’era solo lui sul Po a portare il cappello con le mutandine da bagno, lui e i
sabbiadori)”.
È poi “un uomo
forte, deciso, sicuro di sé” e “un poeta”. Ma è anche “uno spregiatore delle
donne”. E ancora, di nuovo: “Cesarino: a quei tempi era un bel ragazzo alto,
snello, un gran ciuffo sulla fronte bassa, il viso liscio, fresco, di un leggero
color bruno soffuso di rosa, i denti perfetti”.
È poi “un uomo
forte, deciso, sicuro di sé” e “un poeta”. Ma è anche “uno spregiatore delle
donne”. E ancora, di nuovo: “Cesarino: a quei tempi era un bel ragazzo alto,
snello, un gran ciuffo sulla fronte bassa, il viso liscio, fresco, di un leggero
color bruno soffuso di rosa, i denti perfetti”.
Per aggiungere, dopo
avere spiegato per l’ennesima volta il rapporto complicato che si era stabilito
nella loro frequentazione, assidua: “Chi l’ha conosciuto più tardi lo ricorda
taciturno, pieno di sé, sprezzante; non può immaginare com’era facile e incantevole
stare con lui giovane” – Tina aveva 31 anni e un passato convulso, Pavese 25, e
posava come un ragazzino sul Po (da “sabbiadore”), quando si sono incontrati.
“L’estetica dell’esattezza”
gli attribuisce Gian Arturo Ferrari, “Storia confidenziale dell’editoria”, come
autore e come editore. Ma lo è anche di Fenoglio, di Soldati, di Natalia
Ginzburg - un’“estetica piemontese”. Che potrebbe attribuirsi anche al libro “Cuore”,
benché De Amicis sia ligure.
Sessanta
– Sono anni di “riflusso” – di delusione, di rifiuto
dei migliori scrittori? Presentando “Le piccole virtù”
di Natalia Ginzburg, Domenico Scarpa fa della delusione, un “sentimento d’inappetenza”,
un “maladjustement”, un tratto comune agli scrittori “in quel giro
d’anni - più o meno tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta”:
“Molti autori italiani di prima grandezza
si ritrovano come su un valico, e di lassù contemplano un paesaggio
piagato e desolato: capita a Calvino come a Parise e a Pasolini, a Elsa Morante
come a Zanzotto, a Caproni come a Sereni”. Negli anni più feraci e innovativi
dell’Italia, nell’economia come nella cultura, il cinema, il teatro, la poesia,
la narrativa, le arti figurative? Al fondo, di fatto, non detta, la delusione di
molti (non di Parise, o di Caproni, non sono delusi) è del comunismo, del 1956.
Dopo la mancata vittoria nel 1948, di una Resistenza ritenuta limitata al
partito Comunista.
Standa
– Era Standard – Natalia Ginzburg compra per i figli
“i quaderni allo Standard” ne “Le piccole voci”, la divagazione sul senso del denaro
per i bambini, scritta a Londra nel 1960 e pubblicata su “Nuovi Argomenti”, al
grande magazzino Standard.
letterautore@antiit.eu
Verso un mondo sinocentrico
Il presidente cinese Xi Jinpjng a Mosca non risolverà
la guerra. Né all’evidenza se lo propone. Ne approfitta come tribuna di sicuro
richiamo mondiale, con la guerra in corso, per un messaggio distensivo. In una
polarizzazione che l’Occidente ha creato. Non è suo interesse della Cina che
Mosca faccia pace con Kiev, o che Kiev faccia pace con Mosca: il suo scopo è
diffondere il messaggio “Nessuno è superiore agli altri”. Un messaggio, per quanto
non veritiero, di inoppugnabile appeal.
Il messaggio è rivolto agli Stati Uniti di Biden. Ma
dipiù al mondo intero. Di cui è certo l’apprezzamento. Dell’India come dell’Indonesia,
o del Brasile. Ma anche del Gippone, per dire. I dazi e contingenti anticinesi
di Biden sono gli stessi tentati, e in parte applicati, dagli Stati Uniti contro
il Giappone trentacinque anni fa – correvano allora pubblicazioni del genere “The
Coming War with Japan”, e non per ridere – opera di George Friedman, l’imprenditore
ugroamericano animatore di Geopolitical Futures (con la moglie Meredith LeBard,
1991).
Nei trent’anni della globalizzazione la Cina ha
mutato le coordinate della potenza mondiale. Proponendosi non come superpotenza,
o potenza “liberatrice”, “guardiana della libertà”, ma come campione del multilateralismo.
Di una Nuova Globalizzazione, o Globalizzazione Riformata, in cui non c’è più l’Occidente,
leggi gli Stati Uniti, a dettare le regole, ma in condizioni di stabilità e var
chi aperti per tutti.
L’opinione prevalente è che Xi non farà un passo verso
Biden. Non avendone bisogno sul piano economico – troppi investimenti americani
in Cina, troppi investimenti cinesi nel debito pubblico americano. A Pechino si
fa risalire a Biden il tentativo di aprire un “fronte Taiwan”, con la visita bellicosa
di Nancy Pelosi, e altri esponenti democratici. Biden era conosciuto, quando Xi
è emerso dodici anni fa, per opporsi alle politiche di apertura di Obama, di
cui era vice-presidente, col trattato Transpacifico e un abbozzo di multilateralismo.
Non c’è una guerra fredda all’orizzonte. Ma la Cina
sì. I cui tempi sono lunghi. Per il confucianesimo, ma anche perché non ha
elezioni dietro l’angolo, o giudici e giornalisti a caccia di scandali.
La virtù delle parole semplici
“Il ricordo sarà
la vampa\ Che ancora lei mordeva negli occhi spenti” – antica sfida, o
condanna, del suicida ai sodali. Come il mare, uguale a se stesso, importuno:
“Le voci morte\ assomigliano al frangersi di quel mare”. Indispettita e
intenerita - Cesare Pavese ossessiona gli amici - in pochi tratti, due versi
dell’ampia produzione dello stesso Pavese, Natalia Ginzburg ne scolpisce
l’immaturità, il disadattamento come ora la psicoanalisi la chiama,
quell’introversione che preclude il mondo – “aveva un modo cauto e avaro di dare
la mano nel salutare, poche dita concesse e ritorte”.
In brevi prose
Natalia Ginzburg ribadisce la sua arte di far “parlare” le parole povere,
l’eloquio piano, quotidiano – l’“infraordinario” di Georges Perec, suggerisce
Domenico Scarpa nella lunga introduzione. Elzeviri scritti per giornali e
riviste raccolti dall’autrice nel 1962. Una raccolta editoriale, per confermare
ai critici e ai lettori la cifra di “Le voci della sera”, il primo libro
topico, “ginzburghiano”. Pronuba di “Lessico familiare” - scritto mentre
raccoglieve questi testi sparsi (sarà pubblicato l’anno successivo). Natalia
Ginzburg li chiama saggi, ma non ne hanno l’impianto né il respiro, non se li
propongono: sono divagazioni, di cose viste e vissute per lo più. Molti sono
diventati subito “classici”.
Il confino col
marito e i figli in Abruzzo nei tre anni della guerra – il rientro a Roma, dopo
l’8 settembre, nei ranghi della Resistenza, sarà ferale per il marito, Leone
Ginzburg. Con brevi note sui figli, Carlo, Andrea e Alessandra. E notazioni
sparse che si rileggono come un’antropologia dell’Abruzzo montano, povero,
isolato, a due passi dall’Aquila (con una notazione breve ma molto lusinghiera
nella prefazione, brevissima, alla riedizione 1983 della raccolta).
L’Inghilterra malinconica, altro pezzo famoso della raccolta, caratterizzata
dall’immangiabile, chiamato genericamente food, in famiglia e fuori,
sotto nomi esotici, “Le Alpi”, “Roma”, “Chez nous”. Con l’impossibiltià di
avere in tavola acqua e pane. E la conversazione, stenta e formale. Per il riserbo.
Un lunghissimo,
dettagliatissimo – quante cose non si fanno insieme in una coppia – “Lui e io”, lei è il secondo marito, Gabriele Baldini.
Il testo del
titolo, che chiude la raccolta, è smisurato, pur nella brevità, come affannato
più che conciso: tema il se e il come insegnare ai bambini il senso e il valore
del denaro. Lo stesso “Il mio mestiere”, il testo che apre la parte Seconda del
volume, dove si racconta profusa scrittrice dai primissimi anni, con capoverso lunghi pagine - uno dei primi
“saggi”, 1949. Per il resto “saggi” tutti più o meno memorabili, “Le scarpe
rotte”, “Il figlio dell’uomo”, “La maison Volpé”.
Al centro il
famoso ritratto di Pavese, “Ritratto di un amico”, sette anni dopo il suicidio:
“Il nostro amico visse nella città come un adolescente: e fino all’ultimo visse
così”. Natalia Ginzburg può dirlo con cognizione, avendo cresciuto tre figli
turbolenti, se non con problemi – spiega Scarpa nell’introduzione. Mossa da
vera pietà – la quale non vuole essere pietosa. Un ritratto di cui la chiave è
nella notazione che apre il testo centrale della raccolta, “Il figlio
dell’uomo”. “Chi di noi è stato un perseguitato non ritroverà mai la
pace”.
Natalia Ginzburg, Le
piccole virtù, Einaudi, pp. XLV + 155 € 11
lunedì 20 marzo 2023
Cronache dell’altro mondo – fallimentari (255)
Il fallimento di Silicon Valley Bank, Svb, è il secondo
nella storia americana – il primo è stato di Lehman Brothers, il 15 settembre
2008.
Signature Bank, la piccola banca di New York fallita
a ruota (salvata New York Community Bancorp, aveva depositi per 38 miliardi di
dollari. E un totale attivi per 110 miliardi.
First Republic Bank, altra “piccola” banca di New
York ora in lotta contro il. fallimento, ha attivi per 212 miliardi di dollari.
Lo stesso Svb.
Il ceo di Svb, Greg Becker, aveva venduto le azioni
della banca in suo possesso, per 3,5 milioni di dollari, pochi giorni prima di annunciare
l’aumento di capitale, e cioè le perdite incorse.
Qualche giorno dopo il Ceo, anche il direttore
finanziario e il direttore marketing di Svb hanno venduto le azioni della banca
in loro possesso, per 1,5 milioni.
Svb aveva un rating Moody’s di A 3 – lo stesso
di Generali. Svb e Signature avevano avuto un audit positivo sui conti solo dieci giorni prima del fallimento, il 24 febbraio, da Kpmg.
Cronache dell’altro mondo – salvifiche (254)
Il governo Biden, democratico, ha salvato tutti i depositi
presso la Svb, anche quelli superiori ai 250 mila dollari, che invece la legge
bancaria esclude dai rimborsi. Svb è “sistemica”, così la ministra del Tesoro
di Biden, Yellen, ha spiegato il salvataggio, “bisogna evitare di mettere in
crisi altri grandi gruppi”.
I depositi personali o societari superiori ai 250 mila
dollari non sono assicurati dal governo federale, secondo la legge
Glass-Steagall del 1933.
Glass-Steagall è la legge bancaria, che istituì l’assicurazione
pubblica sui depositi, la Federal Deposit Insurance Corporation. Compito
supplementare della Fdic è la vigilanza sulle banche statali, a proiezione cioè
locale, e non federali o nazionali (queste sono sottoposte alla vigilanza della
Federal Reserve). Svp è considerata banca locale – “statale”.
Svb è sistemica perché opera nel settore delle startup,
con l’intermediazione de grandi fondi finanziari dello stesso settore, l’investimento
su innovazione.
Nei settori tradizionali, agricoltura, industria, commercio,
i depositi individuali o aziendali superiori ai 250 mila dollari non sono
garantiti dalla Fdic.
L’editoria dall’estetista
Mimando la “Storia
confidenziale della letteratura italiana” di Giampaolo Dossena, prodotta quando
era l’editoriale di Rizzoli, l’ex grand patron di Mondadori in epoca Leonardo
Mondadori-De Benedetti-primo Berlusconi propone qui una storia che poi chiama
romanzo. Scritta con brio, col passo, a tratti, del romanzo, mette in scena le
figurine (padroni, manager, editoriali, editor) dell’editoria italiana del
Novecento. Le note (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Garzanti, Einaudi) e meno
note. Dell’editoria di Milano, con la coda Torino (Einaudi e Boringhieri).
Poche le pagine
fuori Milano-Torino (anche Marsilio, veneziana, confluisce nella galassia
milanese), sei o sette in tutto, con brevi note su Sellerio, Elido Fazi, il duo Sandro
Ferri-Sandra Ozzola, il duo Repetti-Cesari, Fanucci, Daniele di Gennaro, per avere imbroccato
la strada dei bestseller-longseller - Montalbano, Melissa P., Ferrante (e innumerevoli altri), Stile
Libero di Einaudi (De Cataldo, Lucarelli, Ammaniti, Don Winslow, Fred Vargas), Philip
K. Dick, Carver. Niente di Laterza e altri.
La parte più nuova
e interessante è la fabbrica del libro, che per la prima volta diventa
organizzata e non più rapsodica. Il personaggio centrale, ricorrente, del “romanzo”,
oltre l’ombra del narratore, è Mario Spagnol nelle sue varie incarnazioni, “soprattutto”
per essersi dedicato “con passione e senza pudore, al bestseller o, per meglio
dire, alla costruzione editoriale del bestseller”. Arte che lo stesso Ferrari,
s’intuisce, ha messo a punto, specialmente nella lunga direzione di Mondadori, con
successi in serie strabilianti, come “Gomorra”.
“Gomorra” è un libro
“nato figlio di numerosi padri e madri” (il cui successo però Ferrari lo
ascrive alla ‘ndrangheta, alla carneficina di Duisburg: il libro, appena tradotto
in tedesco, volò nelle classifiche estive in Germania, e Mondadori trovò facile
organizzarne il rebound in Italia). L’editoria, spiega Ferrari, classicista
di formazione. “ha a che fare con il parto”, etimologicamente, “di cui gli
editori sarebbero le levatrici”. La questione “chi è il padre” anche qui restando
incerta: subito dopo s’illustra “il caso Gomorra”, come libro d’autore ma senza
mai nominare Saviano.
Un racconto attento
anche alla parte industriale del libro, la copertina, la grafica, il titolo prima
di tutto (Ferrari è titolista felice, anche quando non gli piace “La sera
andavamo in via Veneto”, il primo Scalfari pubblicato da Berlusconi – non gli
piace il titolo, assolutamente voluto da Scalfari), i motivi promozionali. In
effetti, l’editori a italiana si è rivoluzionata: sa fare i conti, sa fiutare
il mercato (gli umori, le tendenze), sa trovarsi il pubblico. Molto più
industriale rispetto a mezzo secolo fa, quando era ancora artigianale, ma di
qualche intuito, una sorta di editoria d’autore, e di poca professionalità. È la
ricetta nobile dell’editoria americana che Ferrari ha imposto, del maggiore e
più diversificato e più profittevole mercato librario: i libri si partoriscono,
cioè “si fanno”.
“Fare i libri” con
l’autore è la ricetta americana. L’editor americano non è un funzionario, è un “franco
cacciatore”, si occupa di pochi libri, quattro, cinque l’anno, in simbiosi con gli
autori. “Si lega all’autore e insieme a lui modifica, sposta parti e capitoli,
ne inserisce di nuovi, consiglia tagli. Un lavoro lungo e paziente che può
durare anni”.
Una sola
indiscrezione - insomma, un po’ di pettegolezzo. È l’eredità Calvino,
trasferita dalla vedova a Mondadori (Oscar e Meridiani) per una “cifra enorme”,
seppure rateizzata su dieci anni.
Un racconto sorridente ma un po' greve. Altre memorie editoriali, per esempio di Sandro Ferri di E/O, che ha imbroccato molti best-seller, ne fa un quadro meno infernale - commerciale: vi si può arrivare con la semplice lettura del testo, senza pubblicità, promozioni, affitti di spazi in librerie e vetrine, interviste, anticipazioni, soffietti, ci sono libri che da soli attraggono molti lettori. Quello che Ferrari non nota è che che non c’è più l’Autore. In questi cinquant’anni si è perduto, nella narrativa o nella poesia, ma anche nella saggistica, letteraria e non, nella storiografia, nel pensiero, di qualsiasi forma. Non si può più fare una storia della letteratura, poco danno, ma cosa resta? Già vent’anni fa Baricco si lamentava che Citati non volesse citarlo, ma ne aveva ragione? Si fa editoria come una fabbrica, di parole certo.
Si pubblica di tutto,
si fa molta pubblicità, diretta e indiretta, ci sono molti periodici librari, e
si vende anche, libri e periodici, il business c’è. Che è un bene. Ma l’editoria
non ha più lo spessore riflessivo che finora ha sempre proposto. Di innovazione,
di acume, di autorevolezza. Va a briglia sciolta. Un po’, con più peso ovviamente, come i social.
Se non fosse scorretto, si direbbe che si è femminilizzata: un buon parrucchiere,
un buon visagista, gradevole certo.
Gian Arturo
Ferrari, Storia confidenziale dell’editoria italiana, Marsilio, pp. 366
€ 19
domenica 19 marzo 2023
La pace cinese per paura degli Usa
Perché l’Arabia Saudita, ammesso
che voglia fare pace con l’Iran, nemico di millenni, passa per la Cina? In
passato, tre anni fa, poteva farlo attraverso Putin, che si era offerto, ma ha
lasciato cadere l’apertura. All’epoca non aveva problemi con gli Stati Uniti.
Ora ce li ha.
L’Arabia Saudita è un paese
feudale - patrimoniale nella terminologia sociologica, di Max Weber. Appartiene
ai Saud. Ora all’ultimo dei fratelli figli del fondatore della dinastia
Abdelaziz ben Saud, Salman. E per lui al principe ereditario e primo ministro,
suo figlio Mohamed ben Salman, che in
poco tempo ha rivoluzionato la politica e l’economia - e anche la società. Ma è
ritenuto responsabile di un assassinio politico, dell’oppositore Kashoggi, in
Turchia il 2 ottobre. È ritenuto responsabile dagli Stati Uniti. Mohammed ben Salman
non si fida: legge l’imputazione come un ricatto. Pechino è ora il suo ombrello - e non esclusa nemmeno Mosca, nemmeno il reietto Putin, con cui tratta un abbraccio nientemeno con Damasco, finora sempre nemica.
In Medio Oriente la
politica americana dei diritti umani non è creduta. A fasi alterne, fa vittime
di cui si pente – dice di pentirsene: lo scià, Saddam Hussein, Mubarak, lo
stesso Gheddafi. Non la crede nessuno, non soltanto i principi e i tiranni - le donne in rivolta in Iran se ne guardano.
Ombre - 659
Ricordando la guerra
dell’Occidente contro l’Iraq vent’anni fa, e le sue terribili distruzioni, con
la riduzione alla fame di metà della popolazione, il primate cattolico si
affida a Muqtada El Sadr, il leader politico sciita che avversò la “liberazione”,
fino ad affidarsi all’Is, al terrorismo. L’“Occidente”, che ne fa vanto, non si
dice la verità delle cose. E crede alla sua propaganda.
Sul “Sole 24 Ore”
si ricorda “l’Iraq 20 anni dopo, i disastri di una guerra che andava evitata”,
un paese diviso e disastrato, per “errori Usa e ricadute”, con un “conto di
134.400 morti”, quindi sicuramente molti di più di fatto, e le “bugie clamorose
per giustificare l’attacco a Saddam”. Una brutta storia, che non ha insegnato niente,
non all’Occidente. Non ci sono altrettanti morti nella guerra in Ucraina, che pure
è materia di propaganda – forse un decimo di quelli accertati in Iraq. Dobbiamo
intensificare lo sforzo?
Sempre, e solo, sul
“Sole 24 Ore” - brutta assonanza, ma voce della verità? – si calcola un “8
percento dei laureati in fuga all’estero. Oltreconfine retribuzioni migliori, fino
al 41,8
(sic!) per cento. Una perdita pari all’1 per cento
del pil”. Perfetto. Cioè male. La denuncia viene dal giornale della Confindustria.
Che fa i salari. E ha scelto nei trent’anni della globalizzazione i licenziamenti
di massa, un outsourcing veicolo di bassa qualità e bassi salari (l’allora
potentissimo Cesare Romiti li
teorizzava), e un’Italia, quinta potenza economica, in serie B.
Curiosamente, non
una parola sulle crisi bancarie come esito prevalentemente delle politiche
monetarie restrittive della Federal Reserve. Per le interconnessioni tra le
banche, specie per i depositi interbancari, tra prenditori (le tre banche americane
fallite) e prestatori: con il costo interessi moltiplicato in pochi mesi, non trasferibile
sulle posizioni creditrici, le banche illiquide hanno chiuso bottega. In parte
analoghi i problemi del Credit Suisse.
C’è invece trionfalismo
sulle banche centrali, Fed e Bce, vestali di non si sa che cosa. Che vanno alla
cieca, con misure da vecchio manuale, di economie novecentesche - uno ascolta
Lagarde e gli viene la febbre.
Trump, quasi in
manette, nelle cronache non è più il “tycoon”, è il “magnate”. Biden fa paura?
In effetti non è più l’arzillo vecchietto saltellante. Ha molto pelo sullo
stomaco, con i figli e fuori. È un guerrafondaio, freddo. E non sorride,
ghigna.
“Le parole di
Mussolini? Poteva essere Obama, oppure Shakespeare”. Attanasio, il manager pubblico che invitava
al lavoro col discorso protervo di Mussolini dopo l’assassinio di Matteotti, si
difende: è stato un errore. No, la citazione era precisa, sapeva bene da dove
la estraeva. È che Mussolini per molti non ha colpe. Nemmeno per molti manager.
Nemmeno di avere perduto la guerra, che per un manager è delitto capitale.
“Ho invitato a
casa Giorgia Meloni e ho cucinato per lei”, Checco Zalone confida a Cazzullo,
“ma ho votato Pd”. Sembra una macchietta, l’italiano simpatico.
Però ha ragione:
“Un Paese senza pazienza”, Zalone dice dell’Italia: “Non vuole più racconti ma
sintesi. I ragazzi non guardano più la partita, preferiscono gli highlights”.
Vero, le due ore di partita uno stress, in qualunque modo vada. E allo stadio
“si divertono” solo i teppisti.
Allegria Parlamento
europeo, tutte verdi le case entro dieci anni, dodici, via. Che non si sa bene cosa
sia, la casa verde, ma un grosso business sì. Edilizio: di infissi metallici (tutti
gli infissi da rinnovare, non sarà poca spesa), nuovi materiali a copertura dei
muri, nuove caldaie per il riscaldamento… Allegria dei media: che divertimento!
Allegria soprattutto
della sinistra maggioritaria in Parlamento, sotto tiro per le pratiche corruttive, che quindi allegramente vota transizioni verdi sempre più radicali, a scadenza
sempre più ravvicinata. Da “togliere il respiro”.
“La sinistra non mi sta antipatica; la
sinistra è antipatica”, dichiara Mentana – che fino al 1992 ha votato socialista,
poi non ha più votato”: “Anche questo lo sanno tutti, come la formazione della
Grande Inter”, spiega a Cazzullo, interista come lui. E continua: “È
aristocratica, elitaria, convinta di essere la parte migliore, vocata a
governare anche quando (quasi sempre) perde. È come la vecchia Y10: piace alla
gente che piace; e dispiace a tutti gli altri”.
Il giorno dopo “la Repubblica”, motore di questa sinistra,
muove guerra alla Francia per essere stata la figlia di un lettore, la quale studia
Scienze Politiche a Parigi, rifiutata in discoteca perché “non arriva a 1,70”, di altezza. Senza nemmeno
chiedersi se non sia una “provocazione” - Scienze Politiche a Parigi? la discoteca?
Le provenienze
dichiarate dai migranti clandestini giunti quest’anno in gran numero in Sicilia
e in Calabria si concentrano su una decina di paesi. Una delle tante prove che
il traffico è organizzato: nel 2023 ha reclutatori in Guinea, Costa d’Avorio,
Tunisia, Pakistan, Bangladesh.
Si leggono con sgomento
le cronache romane che per due settimane contestano la squalifica dell’allenatore
della Roma Mourinho. Uno che si sempre e ovunque illustrato per litigare con
gli arbitri. Ma a Roma c’è di più: i tifosi della Roma non vivono una settimana
quando la squadra perde – e perde una volta su due. Amareggiati al punto da
augurare la morte alla moglie di un calciatore avversario ricoverata per una gestazione
difficile. Sciocchezze? Pretesti per “uscire” sui social? No, i romanisti soffrono,
incattiviscono.
La Juventus vince
contro la Sampdoria. La pagella del “Corriere della sera” dà cinque 5 alla
Juventus e sei 5 alla Sampdoria. Che ha cinque sufficienze, contro sei della
Juventus, ma stentate. E la partita assortisce di una cronaca giudiziaria di si
capisce poco o niente, ma sì che la Juventus, che ha vinto alcuni ricorsi al
Tar e al Consiglio di Stato, non ha ottenuto niente. Il calcio è velenoso.
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Informazione,
Ombre,
Sinistra sinistra
Mussolini franò con l'imperialismo - di cui pure sapeva tutto
Giunta al dodicesimo
volume, su quattordici, la storia del fascismo scopre la politica estera, che
fu il campo di maggiore interesse di Mussolini, e il più attivo, anche con
qualche merito. Nello spirito dell’imperialismo, lo spirito dell’Otto-Novecento,
per cui l'Italia si era anche svenata, fino alla guerra di Libia. Ma di una
politica nazionale che non può fare a meno di un ancoraggio solido, e
rispettato, all’estero.
Con molta intelligenza.
Su Hitler fino a fine 1938. O sugli Stati Uniti, sull’imperialismo liberatore,
pur sempre missionario – il “fardello” di volta in volta dell’uomo bianco, dell’Occidente,
dei diritti umani. Il 1° gennaio 1919, a guerra appena finita, sapeva già: “L’imperialsimo
non è, come si crede, necessariamente aristocratico e militarista. Può essere
democratico, pacifico, economico, spirituale. In un certo senso, il presidente
Wilson – e non è difficile dimostrarlo – è il più grande e il più fortunato
degli imperialisti”.
Ma è sul fronte esterno,
della proiezione internazionale, che Mussolini ha poi fallito. Non ha calcolato
bene la potenza degli “anglossassoni”, che pure conosceva. E si è ingannato
sulla potenza di Hitler, di cui pure non si fidava, scopertamente fino al 1938.
Il 29-30 settembre si adoperò a Monaco per contenerne l’avidità. Subito dopo si tradì,
tradì se stesso, per voler fare l’ideologo: il 6 ottobre impegnava
il Gran Consiglio del fascismo, che pure era un organismo “suo”, in una maratona di ben
trenta ore per farsi approvare le leggi razziali, talmente erano assurde.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 12. La via dell’impero, la Repubblica, pp.150, ill. € 14,90
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