zeulig
Natura - L’arte imita la natura, la natura imita l’arte,
due “nature” si fanno incontrare che non hanno nulla in comune – si potrà
studiare il cervello e il corpo umano fin nelle più remote fibre e non venire a
capo della “differenza”, come si vede a ogni sforzo in tal senso ora con le
protesi, i trapianti, l’intelligenza artificiale, le “cellule griglia” di spazio e tempo . L’arte è l’uomo, e in questo
è anch’essa naturale, ma la natura in senso oggettivo, denominativo, è tutto
ciò che non è umano – che sfugge al fare, che è il proprio dell’uomo. Dall’alba
al terremoto, tuoni e fulmini compresi.
L’uomo
(l’arte) ne è una piccola parte, un segmento minuto dell’evoluzione, ma capace
di rendersene autonomo, fino a giganteggiare, per quanto minuscolo e minimo, di
fronte alla natura, per quanto rigogliosa, maestosa, imposante.
Psicoanalisi – La scrittrice Natalia Ginzburg riflette (alla
voce “Silenzio” della raccolta “Le piccole virtù): “Del senso di colpa, del
senso di panico, del silenzio, ciascuno cerca a suo modo di guarire”. C’è chi
viaggia, chi si dà da fare, chi s’ubriaca, chi dorme. Ma “di solito si dice che
queste cose si fanno per ingannare il tempo: in verità si fanno per ingannare
il silenzio”. Che la psicoanalisi non rompe. “Il mezzo più diffuso per
liberarsi del silenzio, è andare a farsi psicanalizzare. Parlare
incessantemente di se stesso a una persona che ascolta, che è pagata per
ascoltare: mettere a nudo le radici del proprio silenzio: sì, questo forse può
dare un momentaneo sollievo. Ma il silenzio è universale e profondo. Il
silenzio, lo ritroviamo subito appena usciti dalla porta della stanza dove
quella persona, pagata per ascoltare, ascoltava. Ci ricaschiamo subito dentro.
Allora quel sollievo di un’ora ci sembra superficiale e banale….”.
“Quando
andiamo a farci psicanalizzare, ci dicono che dobbiamo smetterla di odiare così
profondamente la nostra stessa persona. Ma per liberarci di questo odio, per
liberarci del senso di colpa, del senso di panico, del silenzio, ci viene suggerito
di vivere secondo natura, di abbandonarci al nostro istinto…”. La raccomandazione
la scrittrice trova bizzarra: “Fare della vita una pura scelta non è vivere
secondo natura: è vivere contro natura, perché all’uomo non è dato scegliere
sempre: l’uomo non ha scelto l’ora della sua nascita”, etc…. “Le cose che ci
dicono quelli da cui andiamo a farci psicanalizzare non servono perché non tengono
conto della nostra responsabilità morale, della sola scelta che è consentita
alla nostra vita”. Oltre a quella di non farsi psicanalizzare.
De fil en aiguille, N. Ginzburg poi
si orienta: “Siamo anche troppo avvezzi a chiamare malattie i vizi della
nostra anima, e a subirli, a lasciarcene governare, o a blandirli con sciroppi
troppo dolci, a curarli come fossero malattie”.
Estrae-pone il minotauro nel labirinto, di Dürrenmatt, di Borges: il sé
come una prigione, curioso dapprima, poi violento. L’uomo nel labirinto, di
specchi, che lo riflettono, lo invadono, lo occupano, lo tormentano. Un duello
assassino con se stessi. “Folgorò la sua immagine”, nel “Minotauro” di
Dürrenmatt: “Certo, fin dall’inizio\ del suo risvegliarsi nel labirinto –
ignorava\ tuttora che si trattasse di un labirinto - \ aveva percepito che fra
lui e i minotauri\ c’era qualcosa di misterioso, qualcosa\ di
simile a una parete, ma poiché con essi\ aveva danzato come loro capo, come loro
re,\ come loro dio nell’universo dei
minotauri\ non se n’era curato, ora però che aveva\ preso la ragazza, e aveva
premuto il suo corpo\ contro il corpo dei lei, dentro il corpo di lei,\ ora che
con le corna aveva trafitto\ e dilaniato
i corpi degli altri esseri\ umani, dai
quali era sgorgato qualcosa\ di caldo e
di rosso come dal suo, ora\ avvertì l’irrealtà di quell’essere davanti a lui,\
che l’aveva sì tradito, ma come lui\ era ricoperto di schegge di vetro”.
Il labirinto lo scrittore prospetta come “impianto che Dedalo\ aveva
costruito con l’intento di proteggere\ l’essere mostruoso dagli uomini e gli
uomini\ dall’essere” – “un labirinto dal quale nessuno,\ una volta entrato,
avrebbe mai più trovato\ la via d’uscita”. Che l’uomo vive dapprima – infanzia
– come un teatrino di tanti se stessi. Finché non incrocia un’altra immagine,
non più la sua, di una ragazza smarrita come lui. E si scopre mostruoso.
Toro
– Mito virile, patriarcale?
Un animale di note fattezze, ma nome evocatore, celebrato in tanta
toponomastica, di una ritualità molto antica molto diffusa, in varie epoche
della grecità. Essere mostruoso nel mito, irruento, violento. Essere filosofico
ingombrante e inspiegabile – il minotauro di Pasifae, la figlia del dio sole,
che l’aveva partorito dopo che, rinchiusa per suo capriccio dentro la pelle di
una vacca, era stata ingravidata da un toro bianco sacro a Poseidone. È la
causa e l’effetto, il creatore e il creato. Forza gravida, creatrice-ingravidante,
senza altra ragione. Vitalismo.
Totalitarismo
– Il suo proprio, il
proprio del concetto politico, non è la forza ma la pervasività. La persuasione
non come verità ma come occupazione, propaganda. Che è forza, ma non nel senso
della violenza – è violenza ma non nel senso della brutalità. La sua forza vera
è la convinzione. Quado si vuole assoluta, e incontestabile. Anche se di fondamento
incerto – equivoco, equivocato. Mussolini ne era ghiotto e ne menata vanto. Ma totalitario non si voleva solo il nazifascismo. Storicamente, se ne è avvertita la forza più
volte in più occasioni nei quasi ottanta anni dalla sconfitta dei fascismi, i
regimi politici che si inventarono totalitari, e a un terzo di secolo da quella
del sovietismo, che fu una dottrina, prima che una pratica, totalitaria.
È una dottrina, prima
che una polizia. Il bolscevismo, marxismo-leninismo, ne è paradigma perfino eccessivo,
grandiloquente, di esercizio tanto brutale quanto bizantino. Il marxismo volle più eresie in un secolo che la chiesa in venti:
stirnerismo, proudhonismo, bundismo, struveismo, luxemburgismo, troskismo,
austro-marxismo, marx-legalismo, stalinismo, utopismo, kautskismo o centrismo,
flunkeiysmo, che sarà?, socialfascismo, socialsciovinismo, viechismo,
otzovismo, stirnerismo proudhonizzato, e spartachismo, posadismo, leghismo,
consiglierismo. Nonché economicismo, avventurismo, opportunismo. E il revisionismo,
il revanscismo, il deviazionismo, deli altri”. Sombart a inizio Novecento ne
contava 187. Poi moltiplicati nel linguaggio della Terza Internazionale, che
non temeva il ridicolo. Lenin amava gli –ismi, gli suonavano latini. Se fosse
vissuto di più avrebbe avuto titoismo, maoismo, emmellismo. La cosa irritava
pure Chesterston. Si potrebbero fare delle storie delle parole in –ismo. Queste
ultime piacciono alle dittature: arrivismo, fanatismo, settarismo, servilismo,
menefreghismo.
La rete sociale, viceversa, anche politica, può essere
protettiva. Di aiuto, ma non censoria, limitativa. La scuola pubblica – di cui
l’università pubblica e di accesso libero resterà memoria iperdemocratica, di
libertà – la sanità pubblica, il trasporto pubblico e le infrastrutture in
genere. Oltre alle funzioni pubbliche classiche, la polizia, la difesa, la
giustizia.
zeulig@antiit.eu