astolfo
Berberi – Massinissa, Giugurta erano berberi, il regno di Numidia era
berbero, anche quello di Libia. Molti arabi con i quali abbiamo avuto e abbiamo
più commercio sono invece berberi. Che conoscono e parlano l’arabo per via del
Corano, ma hanno una loro lingua, di cui sono sempre più orgogliosi – che non è
l’arabo, anche se dello stesso ceppo. S’incontrano soprattutto in Marocco e in
Algeria, specie sull’Atlante (Rif, Cabilia, Aurès), ma anche in Tripolitania, e qualcuno pure in Tunisia e in Egitto, nell’oasi
occidentale di Siwa. E probabilmente tra i barbareschi che a lungo hanno
infestato le coste tirreniche, dalla Calabria e la Sardegna fino a Ostia e alla
Liguria.
Gli Stati barbareschi, vere e propri sultanati autonomi
dentro l’impero ottomano, furono molti e a fioritura continua – la Treccani ne
elenca una ventina. Dovevano il nome non a “barbaro” ma a “berbero”. Gli Stati
barbareschi delle corrispondenze diplomatiche erano detti anche Barberia, o
Costa berbera. E di fatto denominavano il Maghreb, il Nord Africa Occidentale,
anticamente detto Libia, fino a Tipasa-Cherchell (Cesarea) e oltre.
Per lungo tempo, fino al primo Ottocento, la Barberia
era accomunata alla pirateria, dei corsari saraceni. he però erano accreditati anche diplomaticamente, con le “lettere corsare” – avevano cioè diritto di abbordaggio. Ma erano prevalentemente turchi, sotto la
denominazione “ottomani” - anche cristiani, più o meno rinnegati. I berberi sono gente di terra, agricoltori
e allevatori. Combattivi anche, e battaglieri, come si vede dagli Stati che in
continuazione crearono nei secoli, fino all’occupazione coloniale del Maghreb,
cominciata dalla Francia in Algeria nel 1831, e proseguita con la Tunisia nel
1881.
Lo sbarco francese in Algeria cominciò in risposta a incursioni barbaresche. Nel 1825 perfino una flotta sardo-piemontese aveva forzato il porto di Tripoli di Libia: scopo della spedizione imporre al bey le scuse per avere oltraggiato la bandiera
sabauda esposta al consolato. Una prima “guerra di Libia”.
Una “prima guerra barbaresca” fu combattuta dagli Stati Uniti, durante la
presidenza Jefferson, 1801-1805, per garantire alle navi americane, non più protette dalla Marina britannica dopo l’indipendenza, il passaggio attraverso il Mediterraneo. In una “seconda guerra barbaresca”, o di Algeri, nel 1815, la Marina americana, spalleggiata da quella britannica e quella olandese, impose al bey di Tripoli di la cessazione del “pizzo”, la taglia imposta ai legni commerciali per navigare
liberamente nel Mediterraneo.
Un revival berbero, avviato dopo
l’indipendenza dell’Algeria sessant’anni fa, è attivo un po’ in tutto il
Maghreb, non in contrasto con i governi, a predominanza araba, ma appena tollerato.
Da qualche tempo è vivace soprattutto nel campo culturale, linguistico. E ove possibile
- in Marocco e in Algeria, i due paesi dove il berbero è riconosciuto lingua
ufficiale, rispettivamente dal 2011 e dal 2016 - di un principio di
bilinguismo, all’insegnamento primario.
Si stima che
la popolazione di lingua berbera sia al 40 per cento in Marocco, al 30 per
cento in Algeria, e al 10 per cento in Libia. Si parla berbero anche nel deserto
egiziano occidentale, prospiciente alla Cirenaica. E a sud del Sahara, in Mali,
Niger, Ciad e Burkina Faso. Per lo più a opera dei tuareg, le cui parlate,
variamente denominate, sono dialetti berberi – un dialetto berbero, zenaga, è
parlato anche in Mauritania.
Qualcuno ha contato fino a 5 mila dialetti berberi. Si vogliono berberi anche
sant’Agostino, e Zinedine Zidane. E da qualche anno si impone un’altra denominazione per berbero, parola inevitabilmente associata a
barbaro (anche in arabo): per dire berbero si dice da qualche anno imaziy,
“uomo libero”, plurale imaziyen. E per la lingua si cerca d’imporre
il termine
tamaziyt.
Massimo Fagioli – Morto poco prima
del covid, nell’anonimato, fu una figura di peso a Roma negli anni 1960-1970, psicoanalista
critico di Freud, teorico e animatore dell’analisi collettiva. Delle sedute di
analisi collettive, sul tipo dell’Anonima Alcolisti. Un’influenza che Marco
Bellocchio mette bene in rilievo, evocando i rapporti col fratello maggiore
Piergiorgio, sul “Venerdì di Repubblica” il 24 marzo, passati a causa di Fagioli
dallo strettissimo all’insofferente, e mai veramente più riannodati: “I nostri
rapporti si diradarono, dopo la sfortuna di avere avuto una fortuna troppo
precoce, quando iniziai a seguire il percorso dell’analisi collettiva di
Massimo Fagioli, psichiatra radicalmente antifreudiano. Piergiorgio venne al
Festival di Locarno, che presentava una retrospettiva completa del mio lavoro e
anche una mostra dei miei quadri di gioventù, di cui lui fece una presentazione
nel catalogo. E dove fu presentato il film di Massimo Fagioli Il cielo della
luna che raccolse a Locarno tutti i “fagioliani”. Piergiorgio se ne andò
irritato dalla presenza di Fagioli che era l’opposto di Amleto, il suo eroe
antieroe, ma ancor di più attonito dai fagioliani che lo avevano seguito fin lì
per applaudirlo e adorarlo. Non li capiva. E soprattutto: non capiva più me. Mi
scrisse una lettera molto dura e io, che ero in un profondo coinvolgimento
fagioliano (sia pure con alcune perplessità), non la presi bene. …. Dopo la mia
separazione da Fagioli (non rinnegato), i nostri apporti sono ripresi, seppure
con un’intensità minore che in passato”.
Lo psicologo
(parapsicologo) aveva rotto un’armonia, invece di rinsaldarla. Non per colpa: è
che il suo approccio fu fortemente divisivo, e fortemente anche avversato.
C’era Lacan negli anni del suo debutto, con la psicoanalisi selvaggia, come
molta cultura anche universitaria in quegli anni, c’era la psichiatria in ebollizione
(si arriverà presto alla legge Basaglia), e Fagioli ci giocò un ruolo, a Roma
molto ampio.
L’analisi collettiva
nacque casualmente nel 1975, e si tenne alla Sapienza di Roma, luogo centrale
dell’ortodossia, all’istituto di Psichiatria, dove Fagioli aveva l’incarico di
supervisore degli specializzandi. Attività che svolgeva con un seminario a
settimana. Affollandosi i seminari anche di non psichiatri, com’era l’uso in
quegli anni all’università, di auto-formazione, Fagioli moltiplicò i seminari,
fino a quattro a settimana. L’analisi collettiva sedusse molti dei partecipanti:
gratuita, e anche anonima – relativamente: gli intervenuti non declinavano le
generalità. Si moltiplicò – l’affollamento richiamava la curiosità. E divenne
invisa all’Istituto di Psichiatria, che a fine 1980 revocò l’incarico a
Fagioli, precludendogli gli spazi nella città universitaria - continuerà la
pratica nel suo studio privato, a Trastevere.
Con Bellocchio Fagioli
ha lavorato ai film “Diavolio in corpo”, “La condanna” “Il sogno della
farfalla”. All’uscita di “Diavolo in corpo” risale la condanna di Fagioli da
parte della critica dominante, legata al Pci – contro Fagioli furono utilizzate
le accuse mosse da destra contro Braibanti, che la stessa opinione di sinistra
negli stessi anni combatteva, quelle di dilettantismo e di plagio. Il successivo
“La condanna”, Orso d’argento al festival di Berlino nel 1991, fu denunciato per
apologia di stupro.
Lo stesso Fagioli
farà cinema, un paio di docufilm, musica, scultura, allestimenti, anche col
giovanissimo Sgarbi, e poesia. Ma senza più il richiamo forte degli inizia, degli
anni 1970-1980. Un’ultima celebrazione ebbe al Parco della Musica nel 2015 o
2016, qualche anno prima della morte nel 1917, con l’invito “abbracciamoci” al
pubblico che affluiva.
Tedeschi-Francesi – La guerra tra
russi e ucraini, che durerà cent’anni, a meno di conflitto maggiore, ha messo
in ombra e probabilmente cancellerà quella tra francesi e tedeschi, da Luigi
XIV a Hitler, per due secoli e mezzo. Ma, come ora tra russi e ucraini, riesce
difficile separare etnie e interessi, se non come questioni di clan, di
sottotribù – il nazionalismo è difficile da definire (registrare, delimitare),
come si sa in Italia, dopo un secolo e mezzo e oltre di unità. Se i tedeschi
sono francesi era tema dieci anni fa di “Gentile Germania”, il libro-reportage
su cosa i tedeschi sono (e non sono). Ma come tutti i nazionalismi, anche questo
è probabilmente inesauribile, nuovi aggiornamenti si propongono.
La maggior parte
dei tedeschi parla francese, i franchi.
Nicholas Fréret
voleva i franchi tedeschi, come erano all’origine.
Molti
tedeschi si sono voluti fino al Settecento francesi. Non solo Heine. Il barone
d’Holbach, il cavaliere Grimm della “Correspondance littéraire - il “piccolo
profeta” della sua amante madame d’Epinay e del di lei amico diletto abate
Galiani. Il giovane Anacharsis Cloots, il nobile prussiano che si ribattezzo
Jean-Baptiste du Val-de-Grâce, rivoluzionario prima di essere ghigliottinato, “oratore del
genere umano”, “cittadino dell’umanità”, “nemico personale di Dio”. Gli antisemiti
Vacher de Lapouge, Drumont.
I tedeschi sono in
realtà “francesi” anche in questo, nota Savinio (“Scatola sonora”, 137-8): “I
Tedeschi, tre volte in meno di un secolo, hanno mosso guerra ai Francesi. Per
vincerli? No. Per distruggerli? No. Per manducarli a scopo eucaristico. Per
infranciosarsi (per indiarsi… Dieu est-il
français?” - con una coda: “In altri tempi, e quando non la Francia ma
l’Italia era la sirena di turno, i Tedeschi, e con lo stesso fine eucaristico,
cercavano di manducarsi l’Italia (Goethe)”.
L’antisemitismo
teutonico è anche ben francese, fino a Drumont, il più bravo e cattivo di
tutti, e a Bernanos (ne parla molto J. Roth, “Al bistrot dopo mezzanotte”, l’antologia
francese degli anni di Roth inviato in Francia – non ancor a esule – pp. 230
segg.). Fino all’ultima guerra: furono francesi i rastrellamenti di ebrei, censiti
uno per uno, anche di pochi quarti, oppure di passaggio (quelli che si erano rifugiati
in Francia per sfuggire a Hitler, soprattutto gli intellettuali, Hannah Arendt,
Walter Benjamin, lo stesso Roth). Collaboratori volenterosi in questo campo
degli occupanti germanici dopo la drole
de guerre. Perseguitavano gli ebrei anche se tentavano di lasciare la
Francia, ai porti d’imbarco, Le Havre, Marsiglia, alla frontiera con la Spagna –
per esempio Walter Benjamin. Ancora nel 1944, con la Germania in rotta, all’Est,
a Sud e sullo stesso fianco Ovest, si facevano denunce di singoli ebrei e
arresti a Parigi. Max Jacob, che pure era buon cristiano da molti anni, molto
pio, fu arrestato il 24 febbraio 1944 all’uscita dalla basilica dove aveva
servito messa, la messa del mattino: morirà nel campo di concentramento per
ebrei di Drancy.
Nell’anno 49 a.C.,
del ritorno di Cesare dalla Gallia, “un gran numero di Germani – centoventimila
venne riferito – ha attraversato il Reno e si è stabilito nelle terre degli
Elvezi, una tribù bellicosa, la cui risposta è stata di spostarsi a loro volta
verso ovest, all’interno della Gallia, in cerca di nuovi territori” (R.Harris,
“Conspirata”, p. 336).
Stefan George, che
ha rifatto la poesia germanica, solo da grande a Berlino scelse il tedesco,
essendo cresciuto col francese lungo il Reno, dopo aver fatto tesoro a Parigi
di Mallarmé e Verlaine. Lo stesso Rilke.
Molta letteratura
d’appendice nell’Ottocento, decine di migliaia di pagine, divide la Francia tra
franchi oppressori e galli onesti lavoratori, oppressi.
S.Weil, “L’enracinement”,
pp.138-43 racconta l’atroce conquista della Francia sotto la Loira da parte dei
francesi-franchi - i tedeschi di un tempo erano i francesi, nella Francia
attuale sotto la Loira, di Albigesi e trovatori che non erano francesi, in
Borgogna, nelle Fiandre, in Sicilia: “La Franca Contea, libera e felice sotto la
lontanissima sovranità spagnola, si batté nel Seicento per non diventare
francese. La popolazione di Strasburgo si mise a piangere quando vide le truppe
di Luigi XIV entrare nella sua città in piena pace, con una trasgressione della
parola data degna di Hitler”.
Nella conquista
feroce del Sud i francesi-franchi hanno creato l’Inquisizione, per meglio
perseguitare i felici popoli sottomessi.
Jünger, che è
nazionalista sensibile, voleva dare “tutto Stendhal per un poesia di
Hölderlin”. Poi si pentì, e riscrisse il romanzo. Ma fu l’edizione originale a
fare il successo di “Cuore avventuroso”.
La Linea Maginot,
la vantata postazione bellica allestita dalla Francia nei vent’anni tra le due
guerre, fronteggiavano sul Reno l’artiglieria e i corazzati tedeschi con i
cannicciati nel diario di Junger, “paraventi” o “contrevents” di canne.
Le Männerbunde inventate da Höfler, le leghe maschili, e i berserkir, Dumézil e i francesi invidiano
ai tedeschi, i feroci guerrieri del
dio norreno Voden, “furore”.
Nerval al Reno ha il grido:
“Germania, nostra madre a tutti!”
astolfo@antiit.eu