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sabato 27 maggio 2023

Secondi pensieri - 515

zeulig


Antisemitismo
– Una proiezione – una sorta di golem, una oggettivizzazione esoterica della paura del mondo, del male. Lo scrittore Vassilij Grossman, di famiglia ebraica, che propone questa proiezione (in "Ucraina senza ebrei”), distingue l’antisemitismo di Stato, una misura di violenza opportunistica come ogni altra (Grossman ce l’aveva in casa, in Russia, anche se del’epoca zarista, “I protocolli dei savi di Sion”, che però non cita) , dall’antisemitismo ideologico. Che invece “esiste in ogni paese del mondo ed è esistito nelle varie epoche della storia umana”: “L’antisemitismo ideologico  è un fenomeno che nasce dal bisogno fisiologico di specchiare i mali del mondo e delle persone guardando uno specchio anziché se stessi”.
Può essere anche questo un artificio politico. Ma Gossman constata che “è nella parte istruita della società che si incontrano, soprattutto, i latori dell’antisemitismo ideologico”.
 
Un’osservazione scritta nel 1943, in una corrispondenza di guerra, di uno scrittore certamente all’oscuro di Heidegger, ma che si attaglia, quasi una specifica ex post, all’antisemitismo del filosofo. Serpeggiante nelle celebrazioni del Volk, del popolo, della tradizione, ed esplicitato nei “Quaderni neri”, della Shoah come “autoannientamento” – colpa degli ebrei, in quanto agenti della modernità – tecnica, rivoluzione. Gli ebrei sono gli agenti della modernità; ne hanno diffuso i mali. Hanno deturpato lo «spirito» dell’Occidente, minandolo dall’interno. Complici della metafisica, hanno portato ovunque l’accelerazione della tecnica. L’accusa non potrebbe essere più grave. La Judenschaft, la «comunità degli ebrei» — scrive Heidegger nel 1942 — «è nell’epoca dell’Occidente cristiano, cioè della metafisica, il principio di distruzione». Poco più avanti aggiunge: «Solo quando quel che è essenzialmente “ebraico”, in senso metafisico, lotta contro quel che è ebraico, viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia».
 
Entropia – “L’entropia misura cambiamenti irreversibili (dissipazioni) in un sistema, misura la nostra ignoranza su un sistema o, equivalentemente, l’informazione di cui abbuiamo bisogno per comprenderlo, o, ancora, di un sistema misura il disordine, che può prendere l’accezione di libertà di scelta, o di incertezza, a seconda del punto di vista” – L.Leuzzi, E.Marinari, G. Parisi, “Calcolo delle probabilità”, pp. 363-364.
La vita è uno spreco, per quanto si accumuli, risparmiosi, industriosi?
La libertà è uno spreco?
 
Non c’era ancora (non c’è) nella Garzantina di Filosofia trent’anni fa. Il pensiero fatica ad aggiustarsi a un concetto nuovo? Benché di ottica radicalmente rovesciata, su concetti, e realtà, basilari: storia, progresso, sviluppo – il mondo si consuma, o si immortala?
 
Heidegger - Non si riflette quanto la sua critica alla modernità, alla tecnica, allo sviluppo, sia reazionaria, e anche poco riflettuta – epidemica, superficiale, irritata: irretita in un pregiudizio “popolare”, provinciale - la vita modesta, il costume, il bastone, le uose. La cosa è argomentabile agevolmente. Ma basti richiamare l’analoga critica del Dostoevskij pubblicista, specie in tarda età, vituperatore dei “mercanti” ebrei, che Vasilij Grossman, “Ucraina senza ebrei”, conduce radicale in poche righe. Il tardo Dostoevskij confonde l’irruzione della borghesia negli assetti sociopolitici tradizionali della Russia, Stato autocratico e oligarchico, di mercanti e appaltatori, accaparratori, industriali, finanzieri, con la microboghesia ebraica. Una curiosa reazione, politica prima che una manifestazione di antisemitismo: “Studiò il personaggio del commerciane ebreo e lo prese in odio, senza capre che, mentre osservava il commerciante ebreo, l’appaltatore ebreo, l’intermediario ebreo, stava semplicemente guardando lo specchio che rifletteva i milioni di facce” della borghesia russa, una novità storica. 
 
Di Cesare di ontologico l’antisemitismo di Heidegger. Ma di che ontologia? Minima, da agitatore, predicatore,
spiessburger.


Nel gergo polivalente (ambiguo) alcune cose sono chiare. Spiacevoli, o deludenti. 


Nazionalismo – Si rifiuta perché ha derivato all’identità, micragnosa, microscopica, dopo aver derivato all’eccezionalismo, ai “primati”. O meglio essere passato per entrambe le derive, l’uno nutrendo l’altro. Dopo essere stato fattore di libertà, e di recupero della tradizione, del passato, della storia – e di linguaggi, usi, costumi, del folklore perché no. Ha derivato a fattore di imperialismo etnico. A un imperialismo chiuso, mercantilistico e non diffusivo, e arcigno. Fino alle degenerazioni dell’eccezionalismo, di cui molto soffre la politica contemporanea, a rischio deflagrazione. Di imperialismi che si ancorano all’eccezionalismo, alla chiusura come superiorità nazionale, etnica. Seppure curiosamente, nel caso dell’America, bilanciere e motore di questa deriva, di un’etnia composita e anzi affastellata. Di componenti che spesso si contrastano, per un eccezionalismo deviato a faide interne - ora ancora difensive, la cancel culture e la critical theory, domani chissà.

 
Poesia - “La traduzione di una poesia è una poesia, che ha in un’altra poesia la sua ragione di essere” – Ottavio Fatica, “Lost in translation”. Come da etimo, poiesis, creazione.
Fatica si rifà a Cocteau, la poesia è un linguaggio a sé. E a Mallarmé, la prosa non esiste – c’è l’alfabeto, e poi versi più o meno compatti, più o meno diffusi. Ma Mallarmé, che è forse l’ultimo guardiano delle metriche francofone (si pregiava di essere il poeta nazionale, nell’anno o due dopo la morte di Verlaine) è lo stesso che sancirà, a suo dire, anche la crisi del verso, con i fili stesi del postum “Coup de dés”, poema grafico (tipografico), cioè in immagine invece che in parole – l’alfabeto ridotto a segno grafico.
Pasolini farà poesia-oratoria in prose libere, non scansionate, dette versi perché tagliate a un certo punto ma senza scansione interna. Che si rileggono inerti, insonore, malgrado l’intento incitatorio – militaresco, di mobilitazione.
 
Prosa – “Il fatto è - conclude Fatica, sempre “Lost in translation”, la sua succinta trattazione della traduzione come “poesia” - che la prosa non esiste”. La sua, però, sì. Fatta di avanzamento, ragionamento, misura logica – spiegare, dimostrare, richiede una costruzione sapiente, cioè architettata, misurata.
Fatica si rifà a Mallarmé, che a un certo punto, elevato(si) a poeta nazionale, scopre anche questo, che la prosa non esiste – c’è l’alfabeto, suoni articolati, con una serie di combinazioni, bene o male articolati. Tutto in effetti si può dire, purché abbia un senso, buono o sbagliato.
 
Sogni – Bagheera chiama Mowgli “il piccolo sognatore di sogni”. Una creatura forse per questo più realistica, fra le tante, animali, materiali, che popolano fantasiosamente “I libri della giungla”. Freud era cresciuto? Ma si sa, perlomeno si dice, che teneva “I libri della giungla” fino all’ultimo, anche nel trasloco dell’esilio, come livre de chevet.

zeulig@antiit.eu

Inamabili resti di una condanna per stupro

Dopo due anni dall’acclaramento della verità, la scrittrice non si è fatta viva con la vittima dell’errore giudiziario, che ha scontato sedici anni di carcere, e ventiquattro di emarginazione, escluso da un’attività qualificata, per la fedina macchiata dalla condanna per stupro. Silenzio, isolata nella sua cas a a Los Angeles da sei milioni di dolari, se non per la frase di circostanza: “Mi dispiace”.
Il riconoscimento del colpevole (il “confronto all’americana”) fu sbagliato, e l’incriminazione si fece per iniziativa della Procura, che poi manipolò il processo, scettica la polizia. Sebold ora dice, in questo articolo lunghissimo, di avere perso l’uso della parola, di non saper più pensare né dire. Ma “Truth”, che raccontava la vicenda dal suo punto di vista, di cui l’editore aveva sospeso la distribuzione cinque anni fa, quando la verità cominciava a emergere, ora si torna a vendere.
La ricostruzione immiserisce Mucciante, il produttore del film che poi non fu fatto su “Truth”, che la rivista (l’intervistatrice) e Sebold mostrano come un fanfarone, insolvente, pieno di debiti. Mentre, rileggendo e sceverando “Truth” incaricò un detective di rifare l’indagine, cioè ha pagato di tasca sua l’indagine che ha portato alla riabilitazione del condannato. E oggi è – non dicendolo, l’articolo infrange una regola basilare del giornalismo americano - un produttore di Netflix.
La giornalista e la stessa Sebold fanno ricadere la responsabilità dell’errore sulla vice-procuratrice all’epoca del fatto, Gail Uebelhoer, allora trentenne, incinta, autoritaria, dall’alto del suo metro e ottanta, da due anni parte di un gruppo speciale creato dalla Procura di New York per reati contro i minori e le donne. La responsabilità è vera. Nel dibattimento Uebelhoer zittì a più riprese un giurato che timidamente (la trascrizione dei dibattimento, ora pubblica, lo mostra poco alfabetizzato) voleva dire che l’errato riconoscimento nel confronto escludeva la colpevolezza dell’imputato – di questo non c’è traccia nell’articolo. E poi produsse una “prova”, che da tempo si sa falsata, un pelo pubico dell’imputato – l’Fbi una decina d’anni fa ha ammesso che le analisi di questo tipo erano inventate. Il processo si svolse in un’aula in cui il solo imputato era nero. Il giudice era maschio, con quattro figlie femmine. Dalle carte del processo rispolverate dagli avvocati di Broadwater nella revisione è emerso che l’investigatore del caso non era convinto delle modalità dell’evento: l’ispettore George Lorenz, aveva “trovato la vittima”, prendendo servizio la mattina alle 8, “mentre esaminava le foto dei possibili sospetti”, e terminava il verbale annotando che l’esposizione non era “completamente fattuale” e raccomandando che il caso fosso “riposto fra i files inattivi”. Ma poi Uebelhoer è sempre stata vicina a Sebold, e ne ha promosso i due libri in ogni angolo degli Stati Uniti.
Alice fu vittima di stupro quando aveva diciotto anni, all’ultimo giorno del primo anno da matricola (freshman) alla Syracuse University, l’8 maggio 1981, verso mezzanotte, nel sottopassaggio di un parco. Il giovane , allora giovane, Anthony Broadwater, afroamericano, ventenne, ex marine, in congedo per assistere il padre malato terminale di cancro, fu denunciato da lei cinque mesi dopo: uno che attraversava la strada venendole incontro sorridente e dicendo: “Ma non mi riconosci?”. Ne fece l’identiki alla polizia, e un poliziotto riconobbe il giovane come suo conoscente. Era verso di lui, in quel momento posizionato dietro Sebold, che il giovane afro si avvicinava sorridendo – la testimonianza, sottovalutata all’inchiesta, sarà determinate per riaprire ilcaso.
Il grand jury, indirizzato da Uebelhoer, aveva incolpato Broadwater di stupro, sodomia, furto e cinque altri capi d’accusa. Il tribunale lo condannò a 8-25 anni. Propose appello, ma gli fu rifiutato in ragione della natura del delitto. In carcere, dove è stato per sedici anni e sette mesi, ha chiesto cinque volte la libertà condizionale, che sempre gli è stata rifiutata perché non si ammetteva colpevole di stupro. Fu liberato con la fedina macchiata dal delitto di stupro, il che gli ha precluso qualsasi occupazione onorevole. Ha vissuto per vent’anni da emarginato, con una moglie che un amico gli ha procurato, un’unione fra emarginati. Fino a che Tim Mucciante, il produttore di Netflix, rileggendo “Truth” per farne un film, rimase scioccato dall’implausibilità del processo e della condanna. Incaricò un detective di rispolverare le carte del caso, e poi le affidò a due avvocati.
Sulla vicenda, lo stupro e il processo, Sebold avrà grande successo nel 1999 con il memoir “Lucky”, immediato, con un milione di copie. Bissato l’anno dopo col romanzo “The Lovely Bones” (“Amabili resti”), otto milioni di copie, che l’ha consacrata al primo tentativo una romanziera di successo – “il primo romanzo (début novel) di maggior successo commerciale dopo «Via col vento»”, scrive Aviv. Aveva passato un periodo di droghe, più spesso eroina. Al processo aveva dovuto testimoniare, come racconta Aviv: “Sebold ritenne che, per salvarsi dalla morte, era forzata a partecipare al suo proprio stupro. Sul banco dei testimoni descrisse come aiutò l’uomo a spogliarla; dovette baciarlo e praticargli sesso orale, perché potesse mantenere un’erezione. Quando finì, «mi disse che voleva abbracciarmi. Non mi avvicinai. Allore venne verso di me, mi spinse contro il muro e mi abbracciò e si scusò, disse «mi dispiace, sei una brava ragazza». Poi le chiese il suo nome. «Io dissi ‘Alice’ e lui disse ‘piacere di fare la tua conoscenza, Alice, ci rivedremo’”.
Ma presto dopo la condanna, e dopo un corso di scrittura con grandi scrittori, aveva cominciato a pubblicare, scrivendo sui giornali. Anche sulla violenza contro le donne. Presto “onstage” da Oprah Wimfrey, tutta blackie “come i capelli”, scrive Aviv, apparizione di grande effetto.
Broadwater fu rintracciato dai cronisti dopo l’assoluzione, a sessant’anni, in una casa abbandonata dei sobborghi poveri di Syracuse, accanto a un cimitero, coi vtri rotti, con un telone per tetto. Ora  è ricco: ha diritto a una pensione, ha fatto causa allo stato di New York, è stato risarcito con quattro milioni e mezzo di dlari. Ma si era dato e mantiene un coprifuoco alle sette di sera.
Rachel Aviv,
The tortured Bond of Alice Sebold and the Man wrongfully convicted of her  Rape, “The New Yorker Magazine”, 29 maggio, free online



venerdì 26 maggio 2023

Letture - 521

letterautore


Angoscia – Contemporaneamente al “Concetto dell’angoscia” Kierkegaard pubblicava, 1847, un libro di prefazioni a libri mai scritti, “Prefazioni. Lettura ricreativa per determinati ceti a seconda dell’ora e della circostanza”, firmandola Nicolaus Notabene, un’opera umoristica.
 
Ave – L’ave” dell’“Ave, Maria”, non è il buongiorno romano: nel greco del vangelo di Luca, I, 28, è “rallegrati” - χαϊρε, sii lieta.
 
Brexit – Un libro di 10 sterline che costava 11 euro ora ne 15 euro - Stanley Tucci, “Taste” dela Penguin , £9.99, in € prezzo consigliato 16 – la libreria lo vende a 14,75. Cosa è aumentato? Il cambio è semrpe, più o meno, di € 1,1 per una sterlina.  
 
Dostoevskij – Fu antisemita per errore? È la tesi di Vasilij Grossman a conclusione della plaquette “Ucraina senza ebrei”. Odiava l’affarismo, come era e sarà di una larga frangia di intellettuali russi, e confuse la crescente borghesia nazionale, nella Russia ancora vecchia di padroni e servi, come una invasione della microborghesia ebraica.
Una reazione strana, per uno che aveva viaggiato. Ma comune nell’intellighentsia  russa.
 
Eccezionalismo – È, è stato, tedesco prima che americano (o americano per essere tedesco? C’è mancato poco che l’America non nascesse tedesca a fine Settecento). Lo individua Vasilij Grossman nei ritrovati appunti “Ucraina senza ebrei”, “l’ideologia dell’eccezionalismo e del disprezzo per gli altri popoli, dell’indifferenza per le sofferenze altrui e del sentimentalismo esasperato nei confronti dei propri simili”. Era tedesca “l’idea sciovinista cullata e alimentata per decenni dal convincimento che si possa amare il proprio popolo solo se si disprezza il resto dell’umanità; è la certezza sconfinata della propria insindacabile egemonia sul mondo”.
Ma non solo della Germania, antivede Grossman nel 1943, a guerra ancora incerta. Il bacillo dice dell’epoca, come presto sarà nella guera freda, e poi, di più, nella globalizzazione, o “pensiero unico”: “La consapevolezza di un tale eccezionalismo non sonnecchia soltanto nell’animo del popolo tedesco, è piuttosto il flagello dell’umanità di oggi”.
 
Marina Jarre – Dimenticata in Italia, è celebrata in America per la traduzione di “I padri lontani” e “Ritorno in Lettonia”.
 
La Pira – Il “sindaco santo” è uno dei pochi credenti che non si santificano. Ricordando Ettore Bernabei nei suoi ultimi giorni, Marco Bernabei all’incontro fiorentino “Ettore Bernabei, Giorgio La Pira e la cultura fiorentina degli anni ’50” testimonia che, intrattenendo il padre morente di desideri possibili - su “quale desiderio potesse ancora trattenerlo fra di noi” - “vedere la beatificazione di La Pira in San Pietro fu quel che si lasciò andare a dire”.
 
“Nel 1977, quando La Pira muore, Sergio Lepri pubblica nel notiziario dell’ agenzia (Ansa, n.d.r.: - Lepri scrive di se stesso, in fine all’introduzione del volume “Ettore Bernabei e il Giornale del Mattino”) un racconto del viaggio di La Pira ad Hanoi, scritto da Mario Primicerio che lo ha accompagnato nella capitale del Vietnam. Il pezzo è ripreso dalle agenzie internazionali France Presse e Associated Press, e a Parigi “Le Monde “ne pubblica un sunto con un titolo a due colonne.  Sui giornali italiani niente”.
 
“Il comunismo non avrebbe vinto, come credevano Dossetti e anche Aldo Moro”, ricorda di La Pira nello stesso volume Lepri, in una ricostruzione della Firenze degli anni del “sindaco santo”. “«Il comunismo non può non morire», diceva La Pira” - per una ragione per lui semplice: “«Il comunismo è ateo»”.
 
Lascia o raddoppia – “Il «Giornale del Mattino»”, ricorda ancora Lepri, che ne era caporedattore, “unico quotidiano in Italia, ha un’ida che si dimostra fruttifera di simpatie e di vendite: ogni venerdì una pagina intera è dedicata al resoconto di «Lascia o raddoppia?»”, il programma di Mike Bongiorno, che andava in onda giovedì, “ai ritratti dei concorrenti, alle riproduzioni delle domande e delle risposte”. A Milano, invece, il “Corriere della sera” ragionava così, contro la volgarità dell’intrattenimento: “Se non en parliamo noi non esiste” – è vero che era il parere del condirettore Michele Mottola, “napoletano di origini irpine”, probabile nobile, ma per un periodo fu così.
 
Russia – Ottavio Fatica evoca Kim, nel suo trattatello “Lost in translation” sulla traduzione-come interpretazione, la dimenticata lettura di ogni ragazzo, che “gira sempre in tondo nel Grande Gioco o Torneo delle Ombre (quello fra l’orso russo e il leone britannico) che giorno e notte mai non cessa”. 
 
Stupro – Alice Sebold, la scrittrice famosa per “Lucky” e “Amabili resti”, un memoir e un romanzo sullo stupro di cui fu vittima a diciott’anni, l’8 maggio 1981, a mezzanotte, nel sottopassaggio di un parco, non trova più parole, dice, da due anni, da quando l’afroamericano condannato per la violenza è stato riconosciuto innocente. Dopo sedici anni di carcere, in semi-isolamento in quanto stupratore di un ragazza, e venticinque di isolamento sociale. Non trova “più parole” per scrivere, nemmeno per scrivere alla vittima dell’errore giudiziario, da lei indicato ma senza colpa.
 
Suicidi – Suicida per antonomasia è la “Signorina Else” del racconto di Schnitzler. Ma si è veramente uccisa? Ha preso abbastanza veronal per farlo, ma all’ultimo i soccorsi arrivano, e poi è lei stessa a raccontarsi la sua ultima convulsa giornata. Fino agli ultimi istanti, prima dell’assopimento col veronal – i soccorsi sono in tempo per la lavanda gastrica.
 
Titoli nobiliari – Sono vietati all’anagrafe in Austria, già dal 1919, alla nascita della Prima Repubblica dopo il crollo del’impero absburgico – come dopo la seconda guerra mondiale in Italia. Mentre sono utilizzabili in Germania. 
 
Traduzione – Ottavio Fatica, traduttore eminente, la vuole sempre “poetica” –  come da etimo, poiesis, creare: “Quando si traduce ci si accorge con stupore  di non scrivere in prosa bensì, volenti o nolenti, in versi, prigionieri di un ritmo, ingabbiati dentro leggi e misure”.
 
Usa – Stanley Tucci, attore e gastronomo rinomato, buon patriota, si ritrova nella Festa dell’Indipendenza o della bandiera solo nel paio di occasioni in cui l’ha celebrata a Londra, dove si è stabilito da una decina d’anni, invitato all’ambasciata. A casa no, la festa della bandiera “è stata monopolizzata”, nota in “Taste, la mia vita nel cibo”, “da falchi che agitano la bandiera più come un’arma che come un simbolo di liberta, accettazione e opportunità”. E ricorda, dei suoi ultimi anni in America, che si era cominciato a chiamare le  patatine fritte, in inglese french fries, Freedom Fries, “mentre si boicottavano e perfino si frantumavano bottiglie di vino francese perché la Francia si era rifiutata di mandare truppe a sostengo degli Stati Uniti in Iraq”.
L’Italia ce le ha mandate – con molti morti anche, per inavvertenza: avrà venduto più vino?

letterautore@antiit.eu

Quando gli ebrei scomparvero in Ucraina

Tardi nel 1943 il Grande Inviato Grossman entra in Ucraina, quando l’Armata Rossa supera il Dnipro e comincia a rincorrere i tedeschi, e la scopre vuota di ebrei, che prima la abitavano a milioni. Il fatto si sapeva già, da almeno un anno: si sapeva della Soluzione Finale, e si sapeva della liquidazione di decine di migliaia di ebrei a raffiche di mitra – una volta, alla periferia di Kiev, nel burrone d Babij Jar, di trentatremila in poche ore, tra il 29 e il 30 settembre 1941. Anche perché i tedeschi avevano la volenterosa collaborazione dei nazionalisti ucraini, organizzati da Stepan Bandera, anti-sovietici, anti-russi – la Germania nazista faceva valere in Ucraina e nei territori occupati “I protocolli dei Savi di Sion”, inventati in Russia, sul disegno ebraico di dominio del mondo. Le sue corrispondenze tuttavia non furono pubbliate dal suo giornale, “in attesa di riscontri” (Grossman ne pubblicò vari pezzi su riviste di opoca diffusione, e ora, ritrovate negli archivi, si pubblicano n integrale, ricostituiti e commentati dalla specialista di russo Claudia Zonghetti.
Sul tema principale, quello del titolo, Grossman non dice molto, né niente di nuovo. A parte un paio di pagine. Quella in cui lo sterminio – che non nomina - riflette nell’elenco dei piccoli mestieri che si esercitavano sulla strada, dei tipi, delle pratiche che prima animavano questa o quella cittadina o villaggio e ora non più, solo si incontrano silenzio, vuoto, distruzioni. E quella in cui si fa dire dai prigionieri tedeschi che no, la loro guerra è sempre stata bella, e doverosa, nessuno capisce il misfatto che ha commesso. Con un barlume di verità sulla Germania: “La Germania si è fidata del fascismo, e si è fidata perché voleva farlo e perché da quella fiducia aveva il suo tornaconto”.  Ci sono stati opositori, ma non si sono state due Germanie, una nazista e una no: “No, il popolo tedesco non è diviso in due metà, una bianca e una nera”, e la sua natura “non può cambiare in una decina d’anni, ingenerando nuovi tratti. Il nazionalsocialismo non ha generato nulla di nuovo, ha solo fissato, cristalizzato e usato a proprio vantaggio tratti del popolo tedesco che sono sempre esistiti”
Resta però una lettura singolare, per due punti. Per la diagnosi del nazionalismo degenerato in eccezionalismo. Che dalla Germania si è trasmesso altrove – e che Grossman fiuta che non fnirà con la guerra, il bacillo è diffuso nella contemporaneità. E per un’ipotesi originale, ma convincente, dell’antisemitismo, che pure è un fenomeno molto studiato. Partendo dalla battuta “l’antisemitismo è il socialismo degli imbecili” – attribuita a August Bebel, ma la curatrice scopre che Bebel l’ha pronunciata attribuendola al politico austriaco Ferdinand Kronwatter. L’antisemitismo è uno specchio, una proiezione. Come un artificio esoterico, di magia spirituale, di espulsione-oggettivizazione dei mali del mondo. Presto trasformato in ideologia. Con cura, con cognizione di causa: “È nella parte istruita della società che si incontrano, soprattutto, i latori dell’antisemitismo ideologico”.
In ultimo due pagine illuminanti sull’antisemitismo di Dostoevskij. Aveva semplicemente confuso l’irruzione della borghesia degli affari nella vecchia Russia, autocratica e oligarchica, con padroni e servi, il polverio di mercanti, appaltatori, fabbricanti, banchieri, con una sorta di sovraestensione della microborghesia ebraica. Una curiosa reazione, politica prima che una manifestazione di antisemitismo: “Studiò il personaggio del commerciane ebreo e lo prese in odio, senza capire che, mentre osservava il commerciante ebreo, l’appaltatore ebreo, l’intermediario ebreo, stava semplicemente guardando lo specchio che rifletteva i milioni di facce” della borghesia russa, una novità storica.  
Vassilij Grossman,
Ucraina senza ebrei, Adelphi, pp. 74 € 5

giovedì 25 maggio 2023

Problemi di base pedagogici - 749

spock


“Il coraggio è l’effetto di una grandissima paura”, abate Galiani?
 
“Il belletto non ha mai reso belle le brutte: ha bensì reso brutte le belle”, id.?
 
“L’educazione è un istinto, tutte le specie  di bestie hanno un proprio sistema educativo”, id.?
 
“La solitudine è amica della saggezza”, Madame de Lambert?
 
“Essere l’amico di se stessi, così non si è mai soli”, id.?
 
“Chi più desidera di più è il più povero”, id.?
 
“La religione è un commercio che si pratica tra Dio e gli uomini”. id.?


spock@antiit.eu


Il mattino di Firenze

“«Il Giornale del Mattino» fu il primo dei due giornali che inaugurarono un modo nuovo e moderno di fare il giornale quotidiano”, Sergio Lepri, che ne fu a lungo caporedattore, può sintetizzare così il giornale della Firenze di La Pira: “L’altro era (in realtà sarà, qualche anno dopo – n.d.r.) «Il Giorno» di Milano… Dico «moderni» per l’architettura delal pagina, per la gerarchia dei contenuti, per il tentativo (e questo fu caratteristico del «Giornale del mattino» più del «Giorno» di Milno) di vedere nel giornale un quotidiano dialogo con i lettori”.
Allo scioglimento del Cln, il Comitato di Liberazione nazionale, nel 1946, la testata del giornale interpartitico (cinque direttori, ognuno per ciasuno dei cinque aprtiti del Cln, e redattori divisi pro quota, due per aprtito…. ) “Nazione del Popolo” viene assegnata alla Democrazia Cristiana, comunisti e socialisti prendono il “Nuovo Corriere”, fondato dagli Alleati, sempre alla liberazione di Firenze, come avvenne con la “Nazione del popolo”, l’11 agosto del 1944.
Non c’erano i fondi per continuare la pubblicazione della “Nazione del popolo”, ma Vittore Branca, che ne era il direttore per conto della Dc, li chiedìse e li ottenne da mons. Montini, il futuro Paolo VI, sostituto alla  Segreteria di Stato del Vaticano – “Proprio ieri”, dice Montini a Renato Branzi, futuro aministartore, che ha accompagnato Branca, “il.Santo Padre mi ha dato questo asegno di otto milioni, lasciatogli da un visitatore, perché lo destini alla ricostruzione delle chiesse distrutte dalla guerra in Toscana. Il Papa è molto angosciato per la presenza in Toscana di un comunismo  ideologizzato come forse in nessuna altra parte d’Italia… Spiegherò al Santo Padre il cambio di destinazione”. Presto la testata sarà cambiata, attraverso un referendum con i lettori, in “Il Mattino”, in varie declinazione per non inciampare nella testata storica di Napoli.
Un giornale cittadino, nemmeno toscano, che però è arrivato fino a 50 mila copie, e a farsi leggere a Roma. Legato a Fanfani, allora “rivoluzionario”, dopo La Pira. Ma anche molto professionale. Ha redattori agli inizi Cancogni, Cassola, Citterich, Palandri, Cavallina, Sandro Norci, professore di filosofia, poi capo del Culturale all’Ansa, Hombert Bianchi – anche lui professore di liceo:molti i professori . Per la politica estera fa capo ai corrispondenti della “Gazzetta del popolo” di Torino: Ottone, Buno Romani, Mino Caudana, Arrigo Levi, Del Boca. Tra i collaboratori vanta Berenson, Luzi,  Leone Traverso, Branca, Betocchi. E molti giovani che diventeranno autorevoli: Folena, Baldacci, Leone Piccioni, Coccioli, Sanvitale, Valentino Bucchi, perfino Oriana Fallaci al debutto.
Una vivacissima ricostruzione di Sergio Lepri che apre il volume, un piccolo libro nel libro, testimonia di una Firenze molto vivace, e molto presente nella scena interna e internazionale. Soprattutto per le iniziative di La Pira, il professore siciliano di Diritto Romano che ne fu due volte sidaco. Il Festival dei Popoli, quando ancora molta Africa e molta Asia era in condizione coloniale, e le varie iniziative per la distenzione: dei sindaci delle città nemiche, Washignton, Mosca, Pechino, degli incontri e colloqui di pace tra nemici, arabi e israeliani, russi e americani.
Il volume raccoglie una selezione (una trentina) dei 299 editoriali di Ettore Bernabei, che per sei anni fu il direttore del quotidiano. Scelti e presentati da Piero Meucci. Con due testimonianze sullo stesso Bernabei, una sulla sua indelebile fiorentinità, del figlio Marco, e una sul suo ruolo, in effetti rivoluzionario, alla Rai di cui fu poi presidente, di Giuseppe Fedi, il figlio di Uberto, il responsabile della segreteria tecnica, il funzionario che introdusse il presidente-senza-poteri nell’intricato organismo.
Lo stesso Meucci ricorda nella breve introduzione un’altra Firenze, che riusciva ad “anticipare l’agenda del dibattito pubblico”, laboratorio di idee e di iniziative, nell’apertura sociale della città, e tra Nord e Sud, tra Est e Ovest.
Piero Meucci (a cura di), Ettore Bernabei e il Giornale del Mattino, Polistampa-Fondazione Giorgio La Pira, pp. 367, il. € 18

mercoledì 24 maggio 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (526)

Giuseppe Leuzzi


“La mafia dà lavoro, l’antimafia lo toglie: è il luogo comune preferito dai mafiosi”, Luigi Ferrarella, “Corriere della sera”, 19 maggio. Dei mafiosi non sappiamo ma dell’antimafia sì. Ma l’antimafia da più lavoro della mafia, molto di più.
 
Un Gianforte, governatore del Montana negli Stati Uniti, prende la rivoluzionaria decisione di vietare TikTok, perché “i suoi dati vanno a paesi nemici”, cioè al governo cinese. Gianforte fa per questo cronaca anche in Italia, ma nessuno si chiede se è italo-americano - lo è – né da dove veniva il babbo o il nonno. L’integrazione diventa “normale” anche per l’Italia, che usava rincorrere gli oriundi anche alla quarta o quinta generazione – se si si facevano onore, nello sport, lo spettacolo, la politica, gli affari. L’integrazione non è un percorso difficile, nemmeno complesso.
 
Galliani, titolare di una Elettronica Industriale, ha da Berlusconi l’incarico di creare una rete nazionale di ripetitori. “Fu il mio periodo eroico”, spiega a Cazzullo sul “Corriere della sera”: “Ho comprato pezzi di colline e di montagne in quattromila comuni. Al Sud sul rogito spesso il venditore scriveva: benestante”. Verro.
 
A Cazzullo che gli chiede di Dell’Utri – “è stato scritto che (Fedele) Confalonieri è il lato bianco del berlusconismo, e (Marcello) Dell’Utri, condannato per mafia, quello nero” - Galliani può rispondere: “A parte il fatto che il concorso esterno esiste solo in Italia, Marcello è nato a Palermo, Confalonieri a Milano e io a Monza. La cosa è tutta qui”.

Sudismi\sadismi
Aldo Grasso fa l’elogio di “Che tempo che fa”, la trasmissione tv di Fabio Fazio, e conclude: “Ultimo elemento rilevante: Fazio funziona meglio al Nord (18 per cento di share in Liguria) che al Centro Sud. Altro elemento che ne definisce l’unicità”. Cioè  non solo il valore commerciale (pubblicitario) ma anche il pregio.

La persistenza – radici (endurance)
“Per ‘Time’ era simbolo dei cervelli in fuga. Ora dice: «La ‘Ndrangheta esiste, ma l’America è più violenta»”. Dice Sandra Savaglio a Elena Dusi su “la Repubblica” – che titola: “Io, astrofisica negli Usa, sono tornata in Calabria perché cambiare si può”. Lei del resto viene da Marano Marchesato, dove “per fortuna negli anni ’70 la luce non aveva ancora preso il sopravvento sul buio”. Dove c’era poco “consumo del territorio”, poche case. E il papà aveva comprato un telescopio. Una ribelle, insomma, di carattere – figlia del papa?
Sandra Savaglio fu copertina di “Time” nel 2006, come simbolo di una generazione di ricercatori europei emigrati volontari negli Usa. Ma preso è passata in Germania, al Max Planck Institut, il Cnr tedesco, e anche di questo non ha buona memoria: “La Germania può essere maschilista: denunciai i soprusi contro una ricercatrice e mi feci dei nemici”. Il mondo è pieno di sorprese. Ed è tornata in Italia, in Calabria, a insegnare a Cosenza-Rende.
Le radici non muoiono – sono come il carattere, incancellabile. Anche a distanza possono insorgere. Nelle memorie, le forme verbali, espressive (dialetto), le parentele, le nostalgie. Che operano per gli emigrati, e per chi è rimasto in terra di emigrazione: segni di resilienza, come usa dire, di continuità, di radicamento nello sradicamento, di stanzialità, di restanza come dice l’antropologo Teti. Più che di identità, come vorrebbe l’ideologia di moda, che invece è fluida – conformabile. Le forme dilettali (idiomatiche, storiche), il rapporto genitoriale forte, gli usi culinari (i cibi ma anche, al Sud, il pranzo in comune), e anche la nostalgia, per quanto dissipati o mal riposte, continuano a interagire. Sopravanzando anche le delusioni: è sempre difficile che i luoghi d’origine colmino le attese (ma questo è vero anche per il turista, una delle cui regole-base è non tornare mai sui luoghi di una grande emozione). C’è una persistenza delle emozioni.
La persistenza è legata alle orini extraurbane – anche questa è una costante. La città di origine non la stessa emprise.
C’è nello sradicamento, nell’atto di emigrare, perfino dopo una generazione, due, una sorta di schizofrenia inconscia. Tra il territorio diverso, anche a distanza non oceanica, la lingua diversa naturalmente, i tempi, i modi, il diverso flusso dello stesso eloquio – l’italiano, per esempio, è diverso a Napoli e a Roma, o a Firenze, o a Torino. Oltre alle inevitabili divergenze di socialità, di attitudinalità. Un estraniamento che si compensa intimamente con la persistenza, più o meno riflessa – va anche in automatico. Anche quando è rifiutata – quando l’assimilazione è radicale. Sono ambivalenze ritornanti nella letteratura degli esuli, anche se volontari e non forzati – degli esuli sull’esilio.
Ove questa ambivalenza manca, svanisce, si resta indifesi. Si rileva, per esempio, in Paul Celan, poeta tedesco in terra francese, che ha trascurato tutto della Romania, dove è nato e cresciuto fino ai vent’anni, e probabilmente delle origini ebraiche – non ce ne sono trace nella sua poesia.
Un radicamento non legato alla nostalgia. Che è un altro stato d’animo. Voluto e non voluto – inconscio. Anche malgrado se stessi. Come un substrato, in un formazione tellurica multistrato.
 
Piove sul bagnato
Circolano, dopo le alluvioni in Emilia-Romagna i dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sul “consume di suolo”, a uso edificatorio. Le più alte percentuali di consumo annuo sono delle regioni più ricche e industrializzate. L’Emilia-Romagna è la quarta regione in Italia per “consumo di suolo”, dopo Lombardia, Veneto e Campania. Terza tra le regioni che hanno registrato l’incremento maggiore negli ultimi tre anni, 2020-2022, dopo Lombardia e Veneto. Tra le città, Ravenna è stata seconda, negli ultimi anni, dietro Roma.
Il Sud, eccetto la Campania (la aree metropolitane di Napoli e Caserta), viene agli ultimi posti, con percentuali irrisorie.
Piove sul bagnato non si può dire, poiché in Romagna è stato un disastro, ma il tema non è da scartare. Tra delocalizzazioni e migrazioni, interne ed esterne, crescere produttivamente per contiguità implica risparmi aziendali. Ma minaccia il territorio. Il ricacolo dei costi aziendali\locali che tenga conto anche dei rischi ambientali legati al consumo del suolo contribuirebbe forse proficuamente ai costi aziendali e al riequilibrio territoriale.
 
Milano
Nelle tante celebrazioni di Scalfari non si è detta una cosa pure singolare: che il suo giornale, pur conoscendo Milano, di cui era stato anche deputato, aveva volute romano. Una sfida tanto più ardua progettando, da Roma all’editoria milanese. E c’era anche riuscito, non fosse stato rimosso da “Milano” – dai debiti, suoi personali e di Carlo Caracciolo, con De Benedetti (il declino di “Repubblica” cominciò con la cessione forzosa).
   
Roberto De Zerbi, allenatore di calcio, è divenuto famoso in pochi mesi al Brighton, in Inghilterra, un club si serie B, in Premier League solo da sei anni. Consacrato ieri da Guardiola: “Il suo Brighton crea 20-25 occasioni a partita. Monopolizza il pallone come non vedevo da tempo. È unico, come un ristorante stellato Michelin”. De Zerbi la Procura antimafia di Milano, Boccassini e Storari, cinque anni fa lo voleva in carcere, con l’accusa di avere preso in nero 15.050 euro dal Foggia Calcio. Un’elemosina - per un allenatore di calcio una vergona. Poi la cosa finì nel nulla,  insieme con i fulmini sul Foggia Calcio.
De Zerbi è di Brescia, ma di papà calabrese. E allenava il Palermo e il Benevento, dopo il Foggia.

Che ci azzecca l’antimafia di Milano col Foggia Calcio? Ci azzecca perché uno del Foggia Calcio pretendeva di fare l’imprenditore a Milano. Un mafioso per definizione, anche se senza interfaccia milanesi, vittime o complici. L’antimafia di Milano è durissima, eccetto che con i milanesi – mai nessun condannato, nemmeno uno inquisito.

Piero Amara, un consulente dell’ufficio legale dell’Eni, persa la consulenza si vendicò montando un caso Eni-Nigeria, di tangenti multimilionarie, poi sgonfiato, e una loggia massonica coperta “Ungheria”. Ricevendo credito dallo stesso giudice Storari, passato dall’antimafia agli affari correnti. Che ci ha prosperato nei media, diffondendo i nomi della loggia segreta, in massonico numero di 66, attraverso il suo sodale al Csm, Davigo. Ora Amara, messinese, dovrà risarcire i 66 che ha calunniato. Storari e Davigo, lombardi, no – ogni tanto se ne chiede una sanzione al Csm, ma vengono sempre assolti.
 
Maestro di Resistenza il 25 aprile, con accenti di fuoco - “affila il colpo”, assicura il “Corriere della sera” – il sindaco Sala. Uno degli artefici dello spolpamento Telecom-Tim. Rimesso in carriera da Letizia Moratti, quando era sindaca, berlusconiana - una cui “Milano” ha negato la partecipazione al 25 aprile.
 
“Nelle strade di Milano sfilano in 100 mila”, strilla il “Corriere della sera” per il 25 aprile. Un  miracolo, in effetti, in una città deserta dalle tredici di venerdì 21, causa ponte.
 
Milano è “la metafora dell’amore” per i Baustelle, band di origini toscane. Non è vero, non ci sono grandi storie passionali, i narratori milanesi non ne hanno, Porta, Manzoni, Gadda, Scerbanenco, Arbasino, Testori, ma l’attrattiva evidentemente c’è.
 
Antonella Sciarrone Alibrandi, docente alla Cattolica Milanese, di padre messinese e madre di  Reggio Calabria, è milanese professa. Intervistata dal “Sole 24 Ore”, ricorda così l’adolescenza in zona San Siro: “Ricordo bene i picchetti e gli scioperi con le catene. Il quartiere di San Siro era residenziale….Era poco toccato dalla malavita di Francis Turatello e di René Vallanzasca  che aveva in mano la città. Ma la criminalità politica era ovunque”. Anche a San Siro, intende: “Una mia vicina di casa e compagna di classe si chiamava Francesca Marangoni. Qualche volta suo padre Luigi ci accompagnava in macchina al liceo prima di andare al policlinico, dove era direttore sanitario. Il 17 febbraio del 1971 stava salendo dalla rampa del parcheggio di casa. Quattro brigatisti rossi bloccarono l’auto e lo uccisero. Francesca, come me, aveva sedici anni”. In effetti, il segno di Milano è la leggerezza.
 
Gian Arturo Ferrari confronta, nel suo “romanzo” dell’editoria, di cui è stato megadirigente, “Storia confidenziale dell’editoria italiana”, “l’antica bottega dei grandi editori milanesi” a Torino, Boringhieri, dove ha lavorato, Einaudi, “disciplina”, “stile”, “aristocrazia culturale, dello spirito, orgogliosamente portata”. Ma dei “milanesi” aggiungendo: “Che proprio per questo sono diventati grandi”, niente stile e niente aristocrazia.
 
È la terza città più cara per viverci in Europa, dopo Londra e Lisbona- se ne parla per gli affitti agli studenti fuori sede, ma è cara per tutti. E la terza vita più inquinata al mondo, dopo Teheran e Pechino. Ma è contenta di sé, che sempre si elogia.
Dell’allegria milanese fa parte buttare la spazzatura sui piani di sotto, da Firense in giù. Ma l’Italia non si oppone, l’opinione si fa (sempre) a Milano.
 
Le borseggiatrici della metro postate in rete sono una violenza? Violenza delle borseggiatrici o violenza alle borseggiatrici? Milano sostiene l’una e l’altra cosa, non si perde nulla.
 
Era una cittadina all’unità, benché capitale del Regno Lombardo-Veneto: contava 169 mila abitanti nel 1861, duemila più di Palermo. Dietro Torino, 205 mila, Venezia, 340 mila, Roma esattamente  433.044, e Napoli, 447.765.

leuzzi@antiit.eu

Appalti, fisco, abusi (228)

“Giustizia allegra” dice Gramellini quella sportiva - “il folle andirivieni della giustizia sportiva”, tra 9, 10, 11 e zero punti di penalizzazione, a giorni alterni. Mentre invadono il campo i cronisti giudiziari, con le loro folli riforme, architetture di chi li manipola con le indiscrezioni. Ma chi sono Gravina, Chiné, Raiola (Raiola? Montecarlo?), i “giudici” dei vari tribunali calcistici? Basta scorrerne i curricula: sono il corpus romano-democristiano, il piccolo potere immarcescibile. Dal Coni alla Figc, alle altre federazioni sportive.
 
Il Tribunale di Ida Raiola sedeva da remoto, ognuno al televisore. Ha giudicato sparso, senza memorie scritte, non erano ammesse. Il Procuratore Chiné ha parlato (“sbraitato”, dicono alcuni) per un’ora. Che allo schermo è un tempo interminabile. Chiedendo non si capiva bene che cosa, ma sicuramente un punto in meno, un punto in meno, che la Juventus venisse rubricata in classifica dietro la Roma…. La presidente Raiola ha lamentato di non averci capito molto – “una memoria scrita avr ebbe aiuttato”. Che c’entra la giustizia?
 
Basta una scorsa alle bollette, cambiando operatore, per vedere, palese, un cartello, dietro la liberalizzazione dei mercati: dei telefoni (rete fissa) come dell’energia, luce e gas. La tariffa è, dietro le diversioni promozionali, la stessa.
I cartelli sono poibitissimi. Ma né le autorità di settore, Agcom e Arera, né l’Antitrust intervengono. In una situazione incancrenita ormai da un venticinquennio.
 
Il mercato libero è solo del tormento quotidiano di telefonate di procacciatori di contratti. Senza che l’Agcom, o il Garante della Privacy, sanzioni queste scorrettissime intrusioni. .  
 
La CO2, “l’elemento antropico”, è colpevole solo del 2 per cento dell’inquinamento dell’aria, certifica Franco Prodi, l’ultimo degli accademici fratelli Prodi, “fisico delle nubi”: “Conosciamo poco il sistema clima: di certo però il riscaldamento del pianeta non dipende al 98 per cento da noi, questa è una fesseria” – c’entrano il sole, gli altri pianeti, la gravitazione.
Il change, la transizione, è solo un diversivo industriale e commerciale, per far comprare al mondo intero un’auto nuova, a prezzo raddoppiato. Senza beneficio per l’ambiente, addizionando i fattori, soprattutto produzione e smaltimento delle batterie, e produzione di elettricità, fossile o rinnovabile - l’eolico modifica la circolazione dell’aria, i pannelli solari (le centrali) consumano, letteralmente, il territorio.

Giallo d’autore

Un ispettore di polizia giovane e perspicace, separato dalla moglie, che vede nei week-end, e una dark lady cinese, il cui marito muore sfracellato dopo un’arrampicata, sono fatalmente attratti. In un lungo intreccio, di sospetti, prove d’innocenza, e di colpevolezza, “buone morti”, misericordiose (la decision to leave del titolo), tema di obbligo di molti film, abbandoni e ritrovamenti.
Premio alla regia a Cannes 2022, celebrato come giallo hitchkockiano. Ma il richiamo è piuttosto ad Antonioni: un film di atmosfere, gelide, e di poche parole e molte intuizioni libere, o scorciatoie narrative. Un film “d’autore”, per il bene e per il male. 
Park Chan-wook,
Decision to leave
, Sky Cinema

martedì 23 maggio 2023

Problemi di base - 748

spock


“Il mondo è pieno di brave persone, che fanno brutte cose”, Poirot?
 
“Quanto il tuo matrimonio va a pezzi, fai lunghe passeggiate”, John Le Carré?
 
“La vita conta in quanto c’è la morte, altrimenti non ha alcun senso”, Paolo Sorrentino?
 
Per chi è orfano?
 
“Chi può credere veramente all’amore”, Puškin?
 
“Può una cosa del genere mai esistere nel cuore volubile di una donna”, Id.?

spock@antiit.eu

Lo scandalo non è sportivo – Appalti, fisco, abusi (227)

Cominciati i processi alle plusvalenze nel calcio, sono scomparsi i procuratori dei calciatori, già pilastri dell’informazione sportiva. Letteralmente, scomparsi. Tutti domiciliati a Montecarlo o più in là. Dividevano le provvigioni sul proficuo mercato dei trasferimenti in serie? Erano il veicolo “sportivo” per la creazione di fondi neri – peculii esentasse?
 
Della fitta rete di acquisti-cessioni di facciata era capo e maestro Lotito. Che però è del tutto esente da sospetti o inchieste. Perché è lui che ha nominato Gravina, il presidnete della Federazione Calcio, e Chiné, il procuratore?
 
Resta inspiegato perché si fa un solo processo per le plusvalenze fittizie, a carico della squadra degli Agnelli, quando la pratica era comune a tuti i club. Ma non è un mistero: si sa che la giustizia è corrotta – è “politica”, si dice, ma è corrotta. La giustizia in generale – in Italia naturalmente: non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, è un simulacro. Le Procure sono centri di potere sovversivo: possono fare quello che gli pare.


Naturalmente è per caso che la punizione venga annunciata poco prima che la squadra da punire scenda in campo, in un match decisivo per partecipare alle coppe europee la prossima stagione. Partecipazione da cui dipende la valutazione dei calciatori - che quindi studiano e si impegnano soprattutto a lasciare il club, a sistemarsi altrove (in gara nessuno correva).

Dante brutto, sporco e cattivo

Accoppiamenti, defecazioni, minzioni, in un tardo Trecento polveroso, stinto, cencioso.  Dopo la peste, ma non solo a Firenze. E tante agonie e morti - di donne: c’è un perché? Dante si vede bambino impaurito, poi giovane sciocco, in troppe inquadrature, anche nudo mentre si accoppia con la moglie inamata, e basta. Si schiera con i Bianchi e non si sa perché - forse per odio alla moglie? E tradisce pure l’unico amico che ha, Guido Cavalcanti, condannandolo superficiale a quell’ostracismo di cui poi lui stesso avrà da soffrire tutta la vita.
Nella trama, Pupi Avati spedisce Boccaccio a Ravenna a portare un risarcimento di Firenze per i danni inflitti a Dante e alla sua famiglia all’unica figlia sopravvissuta, custode dei resti del padre a Ravenna. Un viaggio tra echi della vita e l’opera di Dante nebulosi, poco o nulla significanti, a meno di non averne già conoscenza.
Un racconto per immagini, i dialoghi sono di circostanza, di cui sovrastano tonalità, scorci, tagli di disfacimento. Di tristezza, cupa – mai un sorriso, anche quando se ne mostra il disegno. Sembra un atto di malumore di Avati verso il genio nazionale. A meno che non si sia fatto condizionare un impeto “filologico” – ringrazia in fondo quattro biografi di Dante, naturalmente molto romanzieri, inventivi di una vita poco documentata. Teoricamente segue la prima vita di Dante, quella di Boccaccio che lo consacrò quarant’anni dopo la morte, il “Trattatello in laude di Dante” – la missione riparatrice si situerebbe agli inizi della sua quindicennale riflessione su Dante. Ma forse Avati ha più seguito i “biografi” che ringrazia in fondo, Santagata, Pellegrini e altri.
Sul soggetto, prima ancora di riuscire infine a realizzare il film, Avati aveva costruito un romanzo, “L’alta Fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante”. Che così presentò: “Racconto Dante, il suo dolore e la bellezza”. Ma qui s’incontra solo isolamento, morte, e sporcizia.
Pupi Avati, Dante, Sky Cinema

lunedì 22 maggio 2023

Berlusconi risorto - 33

Rosario laico domenica sera da Fazio, compunto e corretto, a botte di incostituzionalità al governo (e quindi a Mattarella?). Si conclude con la faccia misteriosa di una delle vice-direttrici del “Corriere della sera”, Sarzanini, la quale nasconde il titolo di apertura del suo gionale l’indomani ma annuncia che ci sarà un’intervista. Con chi? Anche qui segreto, ma allusivo: “Non si può dire ancora per un’ora” –“ah, ah!”, commentano intesi gli altri recitanti, come a dire: “Bisogna guardarsi dalla concorrenza” (c’è una concorrenza al “Corriere della sera”?)?
L’indomani uno va a vedere e l’intervista è a Berlusconi. Il quale è lieto di essere fuori dall’ospedale, ma poi non dice nulla. Se non che dopo di lui Forza Italia non ci sarà più.
Cioè: non è vero che non dice nulla. Ancora all’ultimo giro di boa conferma che Forza Italia è stato il primo Partito del Capo (il “partito di plastica”, si diceva trent’anni fa), e tale rimane. Conferma anche (non lo dice ma si vede) che negli anni dell’interdizione giudiziaria alla politica ha giocato al ribasso a ogni voto, amministrativo o politico, per impedire che una diversa leadership emergesse nel suo partito – con candidati inappetibili, oppure dividendo il voto fra più candidati.
Si completa così, in diminuendo, l’identikit storico del Berlusconi politico. Ha impedito che il governo post-“Mani Pulite” passasse all’ex Pci. Ha costretto alla democrazia una Lega golpista. Ha democratizzato i neo fascisti – fino a farli sbroccare a sinistra… Se è stato uno statista Giolitti, Berlusconi un secolo dopo non è stato da meno. Tra l’altro nello stesso arco di tempo, trent’anni – corsi e ricorsi storici... Ha pure fatto anche lui una guerra in Libia. E allo stesso modo non ha organizzato il partito, pur pretendendo che sia esso il Centro del diorama politico - l’erede in realtà del vecchio quadripartito, “cristiano, liberale, europeista (rigoroso sui conti. n.d.r.), atlantista”.
Questo naturalmente non c’è nell’intervista, e questo è un altro aspetto “storico” del berlusconismo: l’opinione – l’informazione – ridotta a diversione. Alla vecchia formula del giornalismo popolare: sesso, malattia, denaro, principesse. Nella forma orrenda dei cronisti della giudiziaria prima e a lungo, per gran parte di questi trent’anni. Ora, scappate le pecore dallo stazzo (i lettori), provando a recuperare con l’aria fritta dei social: tiktokando invece che creando storie, e alle principesse sostituendo ipertatuati e influencerine, di nessun nome e attrattiva, per paginate. Mai una cosa giusta – una domanda, un risvolto, un senso? Berlusconi finisce in gloria.


Cronache dell’altro mondo – a guardia armata (233)

Cessando le restrizioni federali all’immigrazione sulla base dell’emergenza covid (Title 42), il Texas ha lanciato un coordinamento fra gli altri Stati per fronteggiare la prevedibile ondata di afflussi. Ma gli altri Stati della frontiera col Messico, Nuovo Messico, Arizona e California, non hano risposto: sono a guida Democratica, mentre il Texas è Repubblicano.
Il Messico ha una frontiera col Messico lunga poco meno di due terzi di tutta la frontiera americana sud, 1.254 miglia su 1.954
Tutti gli Stati a governo Repubblicano, 24, si sono detti invece pronti ad aiutare il Texas a fronteggiare l’emergenza immigrazione, se come previsto si produrrà.
Il governatore DeSantis della Florida, concorrente alle primarie repubblicane per il voto presidenziale 2024, ha mandato un migliaio di guardie e provvisto facilitazioni e finanziamenti per fronteggiare i migranti.
Chiudendosi l’emergenza covid, cessa la possibilità di applicare la legge nota come Title 42 all’emergenza immigrazione – Title 42 intitola il governo federale a misure di emergenza contro l’immigrazione di persone o mezzi se si temono disordini, infezioni, infiltrazioni.

Il sogno di diventare una domestica

Sulle note allegre di “Alla fiera dell’Est, apprese al primo sbarco in Europa, in Sicilia, da una volontaria, una delle tante che si susseguono nel film, la vicenda dolce e amara di una ragazza e un ragazzo  che sul barcone dall’Africa si sono dichiatati fratelli. Lei, Lokita, sedici anni, lui,Tori, undici, iperattivo, ingegnoso. Ospiti di una casa famiglia, si ingegnano di guadagnare qualcosa da mandare alle madri. Il venerdì sera recapitano a domicilio la dose settimanale di erba dei clienti di un ristoratore. Che dà loro volentieri resti di focaccia ma lesina sul pattuito e talvolta abusa di lei – per 50 euro. A volte fanno karaoke nel ristorante, “Alla fiera dell’Est” è gettonata, per qualche elemosina. Ma niente basta: gli africani trafficanti del “passaggio” in Europa controllano ogni movimento di Lokita e ne ntercettano ogni euro. Quando a Lokita viene negata la carta di lavoro, prova con le carte false: ma costano molto, per pagarsele dovrà coltivare una piantagione clandestina di marijuana, in isolamento. Non può finire bene, e infatti finisce male.
Tanta energia, allegria, innocenza, in un mondo devastato, devastante, dietro i suoi volontari. Il modesto sogno di diventare “una domestica” , per inviare alla mamma i pochi euro necessari per le scuole dei cinque fratelli, si trasforma in’odissea di squallore, alla mercé di trafficanti africani e di sfruttatori europei. In un’Europa che solo si vede che si droga, uccidendo e uccidendosi. Dovrebbe essere una tragedia, ma è un film lieve, nella sua pesantezza: l’Europa non è più terra di tragedie, scivola in superficie.
Jean-Pierre e Luc Dardennes, Tori e Lokita, Sky Cinema

domenica 21 maggio 2023

Ombre - 668

Si riunisce il G 7 - “i Grandi della Terra” - a Hiroshima e avalla l’agenda e il comunicato preparati da Jake Sullivan, il “consigliori” per la Sicurezza Nazione del presidente americano. C’era bisogno di andare fino a Hiroshima? Forse per la foto-ricordo?
O non sarà stato per reiterare le mancate scuse americane per l’uso della bomba atomica – che i “Grandi” capiscano?
 
A Torino si impedisce a Eugenia Roccella di parlare. Schlein applaude. È di sinistra?
Impediscono a Roccella di parlare un gruppo di donne, ghignanti e di poche parole. Roccella: “Quello che più mi ha colpito, e sinceramente mi addolora, è che delle donne abbiano impedito ad altre donne di parlare”. Se lo impedivano a un uomo era meglio?
Roccella, femminista ormai da qualche anno, non conosce le donne?
 
A Roma alcuni municipi-circoscrizioni non sanno spendere i soldi allocati da Roma Capitale, dal Campidoglio, per lo “sfalcio”, per ripulire marciapiedi e giardinetti da ortiche e altre erbacce - e dalle deiezioni canine. È vero, non è una barzelletta: hanno anche restituito a Roma Capitale i soldi ricevuti per questo appalto. I consiglieri circoscrizionali non ci potevano guadagnare?
 
“la Repubblica” fa quattro-cinque pagine contro il governo (non vuole aiutare l’Emilia, perde i fondi europei, “Trudeau gela Meloni”, si sa che il Canada è freddo), e poi gli sbatte in faccia una pagina di Zerocalcare: “La destra è ossessionata dall’egemonia culturale, la sinistra l’ha persa”. Cioè?
 
Eurobond è un’emissione obbligazionaria di un governo o di una società in una valuta straniera. Il primo eurobond, ricorda l’“Economist”, raccolse 15 milioni di dollari per Autostrade, il gestore della rete autostradale italiana, nel 1963. Allora di proprietà pubblica, dell’Iri. I gruppi pubblici, l’Eni ancora più dell’Iri, conoscevano e praticavano i mercati internazionali, a differenza di quelli privati – se non per le relazioni dubbie (personali) di Cuccia per Mediobanca.
 
Bono Vox degli U2 canta e ricanta “Torna a Surriento” al San Carlo di Napoli, in memoria del padre Bob, “un bravissimo tenore”, e di un Sorrento Lodge, il bar che col padre frequentava la domenica per una birra. Ne ha anche per Giovanni Paolo II, nel suo spettacolo – a Napoli in chiave festa di campionato: “Un portiere in gioventù diventato un marcatore. È stato il nostro Osimhen”.
 
“Io non voglio fare politica, ma per ogni serbo il Kosovo è il cuore, è il centro della nostra cultura, della nostra identità, della nostra tradizione, della nostre religione” - Novak Djokovic a Aldo Cazzullo sul “Corriere della sera”. È per questo che la Cia lo ha strappato alla Serbia, con le bombe, e con i “volenterosi” Scalfaro e D’Alema, la sacrestia e la falce e martello: per aprire una piaga in  Europa? Affidandolo a un capomafia, Ibrahim Thaci, un contrabbandiere di droga.
 
Quando la Nato bombardava Belgrado Djokovic aveva dodici anni. Al primo bombardamento che colpisce la casa, scappa con i fratelli più piccoli verso casa di una zia, alle tre del mattino. Inciampa cade, guarda in alto, e vede due caccia : “Spararono due razzi contro l’ospedale militare, che esplose a 500 metri da noi, la terra tremò, tremava tutto…”. Crimini di guerra? I “volenterosi” hanno e lanciano sempre  “bombe di precisione” – l’Occidente è esotico-….. (Evola) più che razionale. In guerra e non solo.
 
Il tennista serbo è stato in carcere in Australia. “Non potevo aprire la finestra. Io sono rimasto meno di una settimana, ma ho trovato ragazzi, profughi di guerra, che erano lì da moltissimo tempo. Il mio caso è servito a gettare luce su di loro, quasi tutti sono stati liberati, e questo mi consola. Un giovane siriano era lì da nove anni”. In Australia, una costola dell’Inghilterra, che è naturalmente la patria del diritto.
 
“La guerra l’hanno vinta gli Americani. E i Russi”, poteva annotare Le Carré nelle memorie, “Tiro al piccione”, 2006: “L’Europa è uno spettro, da Londra a Bonn”.

La morte di Poirot

Si parte col funerale di Poirot: il cimitero, la bara, l’interramento, il bastone sulla bara, gli amici inconsolabili al vermuttino postfunebre. Di che scolorire gli incubi mattutini di Montalbano, quando si sogna sepolto in bare di legno chiaro. Anche perché qui è Poirot che inscena la sua morte, interramento compreso, è lo snodo del plot, contro avversari che solo si manifestano con assassinii, e non la sogna. Naturalmente non metterà in moto le sue celluline grigie dalla tomba - il come è da vedere.
Un geniale adattamento televisivo – uno degli ultimi, se non l’ultimo della lunga serie, 2013 - del personaggio di Agatha Christie. Notevolissimo al confronto del romanzo da cui è tratto (“The Big Four”), un affastellamento di trappole e intrighi che A. Christie chiamò romanzo, legando insieme vari racconti e raccontini già pubblicati, per sfruttare il successo di “L’assassinio di Roger Ackroyd” l’anno prima.
Notevoli anche le ambientazioni. Il mondo del teatro,creativo e distruttivo, nella seconda parte. Una Società della Pace nella prima, che inalbera il solito ricchissimo mecenate, con la brillante scienziata, e il guru orientale - in un secolo poco è cambiato.
Peter Lydon, Poirot e i Quattro, TopCrime