sabato 10 giugno 2023
La Nuova Politica Americana - 2
Gli ambienti d’affari americani sollecitano il mantenimento di relazioni aperte con la Cina – e con l’India. Da qui gli annunci ricorrenti che il segretario di Stato Blinken si appresti a fare visita a Pechino per ricucire i rapporti. Ma non ha in agenda offerte per scongelare i rapporti. Mentre si minaccia, e si attua, il blocco di molte attività cinesi in America, da Huawei a TikTok.
Appalti, fisco, abusi (230)
Enel, che si pregia di mandare
fatture di luce e gas a lettura semplificata su numeri certi, invece che “stimati”,
fattura 243 Smc di gas, “di cui 129 Smc già fatturati nelle precedenti bollette”.
Bontà dell’Enel.
Le letture “stimate” dei consumi,
con le quali le utilities si fanno pagare
le forniture due e quattro mesi prima degli effettivi consumi – aprendo una
contabilità “sospesa” all’utente - si direbbero illegali, ma non per l’Arera, l’Autorità
di controllo del settore energia.
Nella bolletta del gas Enel fa
pagare la quota maggiore alla voce “Trasporto e gestione contatore”. Cioè, fa
una gestione voluttuaria del contatore e la fa pagare all’utente? Sempre col
consenso dell’Arera.
L’utente può sempre cambiare
gestore, obietta l’Arera. Perché, c’è differenza fra i gestori?
L’Inps fa una trattenuta ad aprile
di € 495,44 per “debito Irpef anno precedente”. Un addebito Irpef di questa
natura non risulta al fiscalista né al numero verde Agenzia delle Entrate. Il
numero verde Inps “fa una segnalazione” (apre una procedura) e spiega che entro
un mese si riceverà una risposta via sms o email.
Entro un mese Inps non comunica
niente, ma sul cedolino di maggio paga € 452,96 come “credito Irpef anno
precedente”. Il prelievo forzoso si è assottigliato, a un decimo. Ma il numero verde
Inps non si spiega la meccanica dell’evento, può solo riproporre la
segnalazione.
La prima “segnalazione” attiva dopo
50 giorni questa risposta: “La trattenuta si riferisce ad un recupero gestito
dalle procedure centrali, proveniente dalla piattaforma fiscale”. Cioè? E il “credito
Irpef anno precedente”? Per dirimere la questione bisogna prendere un appuntamento,
in una sede lontana, a una data “in mente Dei”.
È roba da film, certo, il
pensiero che una “manina” all’Inps può assottigliare, di molto o di poco non
importa, i cedolini – ne paga 18 milioni, ogni mese.
Chiara bella e oscura
Il
racconto dei sedici anni, dal 1211, in cui la futura santa Chiara diciottenne scappa
di casa, si fa novizia (serva) in un convento di suore, naturalmente di clausura,
sente dire di Francesco d’Assisi, organizza un movimento di coetanee e altre avventurose
analogo a quello dei francescani, fino a quando non riesce a farsi approvare
una regola dal papa, rivoluzionaria, di monache nel mondo e non in clausura. Un
ritratto mediato dalla biografia di Chiara Frugoni, di cui la regista è stata allieva
alla Normale di Pisa, e quindi su temi femministi: la violenza maschile, di
padri, fratelli, papi, vescovi, qualche incomprensione c’è pure con Francesco.
Ma addolcito da Margherita Mazzucco nel ruolo della protagonista, che così è la
santa Chiara di tutti.
Pecato
per l’uso dell’italiano burino, alla Jacopone, che fa perdere una buona metà
del dialogo. Contribuisce alla realtà del tempo, così come i colori e le
scenografie brunite invece che solari, di povertà, anche cupa, e di isolamento.
Ma non è udibile. Questo “italiano
centro-meridionale” del Duecento non suona falso, ma è inaudibile – come anche nel
“Dante” di Pupi Avati. L’uso dei dialetti s’è diffuso nei sonori, dopo l’impiego
magistrale che ne ha fatto Copola nella serie del “Padrino” (nella serie
originale, non doppiata), ma è manierato - le cadenze romanesche, napoletane, siciliane,
o toscane, o baresi o lucana delle ultime serie Rai lo sono. Se si vuole
filologico, come le declinazioni campane di “Gomorra”, necessita dei sottotitoli.
Susanna
Nicchiarelli, Chiara, Sky
Cinema
venerdì 9 giugno 2023
La Nuova Politica Americana - 1
L’Italia
– la Nato, l’Occidente – è in modalità “Nuovo Washington Consensus” e non lo
sa? Non lo sanno i cittadini, o i media, e neanche il Parlamento, ma è il tema
alla Farnesina, il ministro Tajani non escluso. Non è veramente un “consensus”,
non c’è stata discussione né coordinamento, ma è come gli Stati Unti vedono il presente
e il futuro. Gli Stati Uniti di Biden, che però sul tema sono anche quelli di
Trump. È una sorta di Nuova Politica Americana che è in corso, da tempo e ben strutturata,
anche se non lo sappiamo.
Per
“Nuovo Washington consensus” s’intende propriamente la dottrina enunciata dal
consigliere di Biden per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, capo del Nsc,
National Security Council, alla Brookings Institution di Washington il 27
aprile. Tema: “Il rinnovamento della leadership economica americana”.
Sullivan,
47 anni, avvocato, sa poco di relazioni internazionali – quello che ha studiato
a Oxford, un semestre che fu in Inghilterra con una borsa di studio. Ma, da ex manager
della campagna di Hillary Clinton alle primarie vinte da Obama nel 2008, con la
stessa Clinton al dipartimento di Stato ebbe la direzione strategica della
politica estera americana, funzione nella quale si segnalò per l’uso spregiudicato
dei movimenti e le fazioni islamiche, compresa Al Qaeda.
Il
discorso del suo “Nuovo Washington Consensus” è semplice e diretto. In quattro
punti. Con una notevole premessa, non detta: che il conflitto in Ucraina, in
Europa, non è problema strategico, di lungo periodo e di largo impatto - non per gli Stati Uniti.
Il
primo punto è una critica al liberismo. Alle “idee che sostenevano il taglio
delle tasse, la deregolamentazione e la privatizzazione a scapito dell’azione
pubblica, e la liberalizzazione del commercio fine a se stessa”. L’effetto è stato
che “intere catene di approvvigionamento di beni strategici” sono dipendenti
dall’estero, quando non si sono “spostati interamente all’estero”.
Il
liberismo, secondo punto, ha compromesso la “competizione geopolitica e di sicurezza”. Presupponeva
che “l’integrazione economica avrebbe reso le nazioni più responsabili e
aperte, e che
l’ordine
globale sarebbe stato più pacifico e cooperativo”. Non è così. La Cina continua
a sovvenzionare
in modo massiccio” le sue industrie, sia le tradizionali che le innovative. L’integrazione
economica non ha ridotto le ambizioni militari della Cina come della Russia.
Al
terzo punto la crisi climatica. La transizione non è una punizione, una scelta
tra “crescita” economica o del benessere e “clima”. Gli Stati Uniti possono e
devono farne una “strategia d’investimenti deliberata”.
Al
quarto punto il tema più delicato: “la sfida della disuguaglianza”. È fallito il
presupposto della globalizzazione, che i suoi benefici sarebbero stati “condivisi
all’interno delle nazioni”. Non è stato così negli Stati Uniti, per tre fatti
incontestati: “la classe media americana ha perso terreno”, si è impoverita
proporzionalmente; “i centri manifatturieri americani si sono svuotati”; molte
industrie nuove sono state trasferite all’estero per accrescerne l’efficienza.
Se
le mutate condizioni indotte dal liberismo sono chiare, anche i rimedi che la
strategia americana ha individuato e avviato lo sono. Ma implicano un riassetto
delle relazioni con i partner europei, Nato, occidentali (Giappone, Corea del Sud
e Taiwan compresi).
(continua)
La psicologa di corsa, bella e corretta
Gerini,
sempre in scena, oltre che alla macchina da presa, consulente psicologica
online, di una rete che vende i suoi servizi al minuto, e i pazienti chiama
clienti, s’intrattiene variamente con una “tipica” selezione di disadattati,
problematici, depressi cronici. Lo fa correndo in casa, sul tapis roulant del titolo, giacché la corsa, come deve ripetere a ognuno
dei clienti, i quali giustamente s’indispongono, le assicura il benessere fisico
e mentale, comprese le endorfine del piacere erotico, di cui ha bisogno. Anche
se la isola, guarda il mondo dala fienstra, parla ai video.
La
maratoneta finirà, semrpe correndo in casa, anche per “risolvere” in qualche
modo, insomma sopravanzare, un trauma adolescenziale, una violenza di quelle
irrecuperabili, che dannano un’esistenza. Una metafora è allora il tapis roulant della vita: Gerini corre,
da dove a dove?
Un’idea
geniale, per un film che poteva riuscire di culto. Con una sottile ironia, s’indovina
qua e là: la psicologa a minutaggio, di corsa, il pollice alto, il pollice verso e gli
asterischi, le gigionerie in video (pose, pause, tagli). Ma si salva solo, dopo
un’ora e mezza, per la misura della stessa Gerini. Per l’appiattimento in sceneggiatura,
forse per capitalizzare sul politicamente corretto: tutti casi cialtroneschi o
disperati, mai una caso da ridere, e magagne o delitti tutti maschili.
Claudia
Gerini, Tapirulàn, Sky Cinema
giovedì 8 giugno 2023
Contro l’inflazione meno mercato più Stato
Oltre
che sugli scambi commerciali e finanziari (sussidi, cioè dumping, contingenti, golden rule, etc. mancano solo i dazi), il mercato perde da un paio d’anni
terreno anche sul campo dei prezzi, da quando l’inflazione è tornata, dopo quasi
quarant’anni. Non si arriva ai prezzi controllati, ma molte misure sono state
prese per raffreddare i prezzi, specie sui beni intermedi, o in alternativa per
evitarne l’incidenza sul carovita. Con i price cap (in Europa ha pesato quello
sul gas, perorato dal liberista Mario Draghi), accordi commerciali preferenziali,
politiche fiscali riduttive. Mentre parallelamente si diffonde, in Europa come
in America, la critica alla politica monetaria restrittiva – in Italia a opera
addirittura della Banca d’Italia, molto apertamente critica. Che ha effetto
dissuasivo soprattutto sugli investimenti e la produzione, e quindi, indirettamente,
non indebolisce il carovita, non nella misura in cui secondo la teoria dovrebbe.
Viene all’improvviso di moda un’economista
che solo un anno fa era derisa – anche dal Nobel Krugman: “Veramente stupida” –
come la tedesco-americana Isabella Weber, rea di avere proposto “un serio confronto
sul controllo dei prezzi strategici”. Con la paura persistente del covid (variante
omicron) ma con la ripresa degli scambi e l’intasamento dei porti, una grossa
valanga si stava formando a monte che avrebbe portato iperinflazione, Weber
spiegava in un breve articolo di giornale la vigilia di Natale 2021. Mentre il
controllo dei prezzi era stato un elemento essenziale della capacità americana
di mobilitazione nella seconda guerra mondiale. Quando i mercati si sono
riaperti, tutti i nodi all’offerta (scarsità, trasporti) a fronte di una domanda
dalla fame arretrata, e con una guerra in corso in Europa, hanno rilanciato i prezzi
a livelli da conflitto mondiale. Senza controlli.
Krugman ha fatto ammenda, e così
altri critici. Biden ha esitato sul fronte del controllo dei prezzi (era
invocato per la benzina), ma ha liberalizzato le ricerche di petrolio e gas, anche
le più inquinanti, ha utilizzato la riserva strategica di idrocarburi, minaccia
di aprire indagini sui profitti “eccessivi”.
Un inno all’Italia - famiglia e cucina
Una
celebrazione lieve e salda della famiglia, delle radici, anche trasposte nello
stato di New York sotto gli Appalachi, e di una cucina familiare, ancestrale. Non
il solito libro di ricette, ma il racconto delle stesse garbato e spigliato,
legato a storie (ricordi, aneddoti, figure, battute). E una celebrazione
dell’Italia, di ingredienti tutti italiani, quasi tutti, presentati e
raccomandati con sapienza narrativa. Per il gusto, anch’esso tradizionale,
familiare, di genitori e nonni, dell’aneddoto.
Un
libro di cucina, italiana, calabrese, raccontata. Di ingredienti e piatti
semplici. A partire dalla pasta aglio e olio. Continuando con la pasta e
lentichie, la pasta e fagioli – la pasta e fagioli al recupero miracoloso della
sensibilità, dopo un cancro alla gola, la resezione e le terribili terapie. Ma
non senza sorprese. Bitto, in Valtellina, è il formaggio più caro del mondo,
seimila dollari per una forma di venti chili. E nella carbonara solo guanciale,
niente pancetta – la carbonara è quella di “Pommidoro” a San Lorenzo a Roma, la
trattoria venuta alle cronache l’ultima notte di Pasolini, ma tenuta con mano germa
da un vecchio ristoratore, Aldo Bravi. E l’andouille
che non finisce di fare sfracelli – qui ricordata beffardamente non come la
calabrese nduja, ma come la normanna andouillette, diminutiva, gentile parola
per “un membro di cavallo da tiro”, un avambraccio riempito di robaccia, di maiale e di vitello, con strutto, gelatina, grasso vaccino, pangrattato. Con personaggi e storie di gusto, è il caso
di dirlo. Un atto d’amore e una perorazione elegante di tutto ciò che è
italiano, dal pane al garbo, in famiglia e con gli estranei – anche se “il
miglior pane italiano è in Francia”. Una promozione, gratuita, del made in Italy alimentare, di attrattiva enorme: argomentata,
condita di aneddoti attraenti.
Una
apologia anche, semplicemente esposta e non discussa, ma appassionata, della
famiglia. Attorno al tavolo da pranzo, sempre cucinato, tutti insieme a tutti i
pasti. Del cibo italiano e del cibo calabrese, quello dei genitori e dei nonni,
paterni e materni. Come era – come è per Tucci. Degli “umili piatti che hanno
viaggiato dalla Calabria agli Stati Uniti e a Londra, e ora, per dirne una, in
pensione da me in un piccolo bungalow
nel Lake District inglese, dove hanno nutrito un nuovo set di persone che hanno
appena incrociato la mia vita”. Di abitudini alimentari. Compreso il “fare i
pomodori” e le altre conserve in casa – del “fare i pomodori” imortala la
procedura tradizionale, la sola probabilmente ancora leggibile. E di abitudfini
mentali. La madre deve “fare qualcosa” mentre guarda la tv (“si perde il
tempo”): rassettare, stirare, riordinare la biancheria, dialogare col figlio,
tenersi aggiornata su di lui. Lo stesso fa il figlio.
Tucci è attore di teatro, e di film, da “L’onore dei Prizzi” (John
Houstn) a “ILbacio dela morte”, “Era mio padre”, “Il diavolo veste Prada”, “Le
streghe” (Zemeckis) - e di molti altri “del cui nome”, come dice alla
Cervantes, “non intendo ricordarmi” (quelli, di solito, che lo hanno impegnato
più a lungo e lo hanno fatto guadagnare di più: c’è una correlazione). Autore,
regista e conduttore (alla Mario Soldati, che però non ricorda), prima di
questo tribute all’Italia, di “Searching for Italy”, la serie documentaria della Bbc sulla cucina regionale in Italia,
girata prima del covid, nel 2019-2020. Già celebre per un film di culto
sull’arte culinaria, “Big Night”, subito celebrato, come il classico “Babette’s
Feast”, oggi introvabile se non a prezzo elevato, su due fratelli abruzzesi e
il loro sogno di cucina in America.
Un po’ noioso - curioso per un Americano – solo nella
perorazione contro la “modernizzazione” di New York indiscriminata
– con un risorante
“Per se”, nell’Upper West Side, dove il menù degustazione costa 355 dollari,
senza
vino, più l’iva al l’8,875 per cento – e un fee
stappo di 150 dollari
a bottiglia
per chi si porta il
vino da fuori.
Ma l’aneddotica ampiamente compensa. Di un anno a Firenze, con le sorelle e i genitori,
al seguito del padre in sabbatico (insegnante d’arte, aveva voluto fare un anno
all’Accademia di Belle Arti), ricorda di essere stato retrocesso in seconda
media, perché sapeva poco l’italiano, e di non avere avuto praticamente
lezioni: era il 1973-74, insegnanti, bidelli e segreterie erano per qualche
motivo ogni giorno in sciopero e lui farsi la girata – in bicicletta, un sogno
non americano. Ricorda anche il cameriere del ristorante vicino
Termini a Roma, dove avevano pernottato due notti sbarcando dall’America per
visitare San Pietro e il Colosseo, il quale, al ritorno dopo un anno a Firenze,
salutò le sorelline per nome.
Un
diario di civiltà. Con molti dialoghi, di linguaggi ora probabilmente pe enti
benché pregni, di significati, emozioni, intenzioni. Soprattutto delle
conversazioni familiari, che rianima: che sembrano ripetitive e stupide e
invece trasmettono una civiltà, di mutuo interesse per ogni questione, piccola
e grande, e di garbo (rispetto reciproco).
Il
segreto – il tributo non detto anche se insorgente a ogni piega – è la madre,
Joan Tropiano. Laureata, occupata da segretaria, scrittrice, che non fa mancare
ai figli un pasto, a pranzo e a cena, e pubblica due libri di cucina di
successo, “Cucina&Famiglia”, e “The Tucci Cookbook”.
Un
libro felice, anche per il lettore.
Stanley
Tucci, Ci vuole gusto. La mia vita
attraverso il cibo, Baldini + Castoldi, pp. 320, ril. € 20
mercoledì 7 giugno 2023
Secondi pensieri - 516
zeulig
Egemonia culturale – Lo scrittore Pietrangelo
Buttafuoco, eponimo dell’intellettuale di destra nella pubblicistica,
interrogato sul tema ora che la destra è al governo, nega l’egemonia culturale
della sinistra. Dopo essere stato esibito per alcuni decenni quale testimonianza
che la presunta egemonia culturale della sinistra non c’è, giacché poteva scrivere
e parlare Pietrangelo Buttafuoco.
Il suo
assunto sembra tautologico non per questo ma per il fatto che da un quarantennio
l’opinione pubblica è moderata o di
destra. L’opinione politica cioè, non quella “pubblica”, con cui si ci si
riferisce ai media, che invece sono prepotentemente di sinistra – si dichiarano
a sinistra. Ancora negli stessi decenni in cui la politica è stata moderata o
di destra, alla Rai e nelle altre emittenti, Sky, La 7, e una parte di
Mediaset, nell’editoria, nei giornali, e in libreria ci voleva una
certificazione di sinistra. E ancora prima, per scrivere su “la Repubblica”,
“Corriere della sera”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, i giornali maggiori, bisognava
passare l’esame del comitato di redazione, che era di giornalisti esponenti del
Pci (o da questi comandati, “indipendenti di sinistra”) – i più influenti dei
quali si riunivano a cavaliere del 1980 a Botteghe Oscure con Walter Veltroni,
giovane responsabile Media del Pci, per catalogare i giornalisti delle rispettive
redazioni, se erano “buoni” o “cattivi”. Tutto questo, però, senza colpa di Gramsci:
questo tipo di egemonia era infatti politico o di potere, e non culturale. Un
tipo di egemonia derivata da Willi Münzenberg, il genio cultura le del Comintern
sovietico, tutta al contrario di Gramsci, e anche di Marx – Marx è liberale di
formazione, e di approccio critico. Prova ne è che niente rimane della
profluvie di scritti, teorici e pratici, di quegli anni, 1970-1990, della
lingua di legno “marxista-leninista”, un gergo insignificante. Mentre è per
converso vero che la migliore letteratura del Novecento – la letteratura è
cultura forse più largamente e con più radici della politica – è stata nel Novecento
di destra , Céline, Eliot, Hamsun, Pound, e sotto la scorza, guardando
all’opera, anche Proust e Joyce. Nel primo Novecento. Nel secondo si è avuto un
esercito, in Italia soprattutto, ma anche in Francia, e in Germania, di
“renitenti alla leva” ideologica, paramarxista.
Intelligenza artificiale - Sarà il “nuovo mostro”? Un mondo di
algoritmi. Di che natura o specie? Matematica.
Non da ora la statistica
meccanizzata individua sequenze e studia macchine “intelligenti”. Capaci di
fare in automatico, con rapidità e con efficienza incomparabili, la ricerca di
correlazioni tra raccolte empiriche di dati, la loro elaborazione per la ricerca
di invarianze, estrapolazioni, applicazioni, o altri indicatori utili al
riordino – cronologico e sistemico, quantitativo e qualitativo, naturale e
sociale o politico. Creare per un umanista in un fiat un registro delle
concordanze che richiedeva anni di applicazione. Concentrare in un clic la
stampa e l’invio, a una lista di destinatari la più ampia immaginabile di pubblicazioni e altri dati. Con estensioni
in campo diagnostico, dell’analisi dei dati rilevati. Per esempio accertare meglio
del tradizionale “occhio clinico” se una macchia radiografica è un tumore,
specie se è un tumore “raro”. Dov’è la cosa paurosa? È un’intelligenza
servizievole, per quanto qualificata, e benefica.
La meccanica statistica è
all’evidenza più veloce della nostra, personale, umana,capacità di calcolo. Ma non dell’intuizione. Né della sintesi. È
algoritmica. Il che non significa razionale: ha una logica matematica, che è
altro. Può inoltrarsi a fini non perspicui, non per l’uomo e non per la
macchina stesa – è capace di provocare rovine. E non opera in autonomia: è
impossibile che l’algoritmo generi algoritmi, li generi congruenti, operativi.
L’algoritmo è solo applicativo, anche se per grandi numeri. Che sono la sua
forza, l’alimentazione a big data. Articolata,
in grado elaborare tutti i dati immagazzinati
per dare loro senso (informazione), e quindi, in base al comando di ricerca,
elaborare previsioni e proporre decisioni. Forza bruta, non padrona di se
stessa, ma non per sé pericolosa.
Il sottofondo dell’“intelligenza
artificiale” oggi è serioso ma fantascientifico, da “Odissea nello spazio”, del
computer-robot sessantottesco che si ribella e prende il comando. Ma non funziona
così – HAL 9000 è invenzione letteraria, non nuova, è il golem di altra
tradizione.
I maggiori specialisti di macchine intelligenti si dividono. Alcuni ottimisti: Bill Gates che ha inventato Microsoft vede nell’intelligenza artificiale solo un passaggio tecnico e di business – Gates è stato più volte imputato e condannato per pratiche commerciali monopolistiche, ma ha l’onestà del fabbricante. Altri pessimisti: Eric Schmidt, ex di Google, va in giro ammonendo che le macchine intelligenti faranno fuori gli esseri umani. E Geoffrey Hinton, lo psicologo cognitivo considerato “il padre dell’intelligenza artificiale”, ha lasciato Google per essere libero di confrontarsi con i “robot killer”, gli HAL 9000. La pratica dice che le nuove macchine intelligenti faranno da attendenti solleciti per noi: ci ordineranno la cena e sceglieranno la misura, il colore e il tessuto del pantalone che stavamo cercando tra i tanti in commercio. Ma questo lo fanno già, da una decina d’anni, Siri e Alexa, il riconoscimento vocale, che non ci ha traumatizzati, al contrario, ci ha divertiti e anche riposati – e tuttora è strategico per gli ipovedenti.
Gates profetizza anche che il “punto di singolarità”, il momento in cui l’intelligenza artificiale supererà quella mana, non è lontano, e che e che ciò comporterà la scomparsa di molte mansioni e attività ripetitive. Ma questo avviene già da tempo: l’analisi del bidg data in tempo reale, se non all’istante, le analisi di situazioni sul campo, oggi sanitario, domani militare, le previsioni.
Comoda e utile, ma
l’intelligenza artificiale si ferma alle associazioni, il livello più basso
dell’intelligenza. Il tentativo di farla creativa, con ChatCPT, è finito nel
ridicolo. L’intelligenza artificiale è un comodo e utile servocomando. Che
sostituisce anche molti lavori, solitamente costosi e non produttivi – Gates non
scopre nulla. Per esempio i numeri verdi e i call center di banche, utilities, enti sociali, previdenziali, etc.. E
molte fasi di progettazioni. Non nuovo, già cinquant’anni fa la meccanica-meccanica utilizzava robot
in sostituzione di molte attività manuali, in fabbrica e a casa.
Si può fantasticare, e il “circo mediatico” che ha sostituito la vecchia
opinione pubblica, ragionata e critica, lo
preferisce - ipotizzare scorciatoie, avventi, fini del mondo è il modo oggi di passare
‘a nuttata. Ma è un dormiveglia a
nessun utile.
Di misurabile, forse, ci sono i danni provocati dai social. Soprattutto nell’età evolutiva, tra gli adolescenti - iGen nel
gergo d’obbligo. Se sono veri i dati dei tanti centri di ascolto, controllo e prevenzione
che hanno invaso la sfera pubblica. Una ricerca fra le adolescenti americane
dice che una su due si pensa senza speranza e una su tre pensa al suicidio. Un’altra
ricerca documenterebbe con più
consistenza, sulla base di test Pisa in 37 paesi (il Programme for
International Student Assessment dell’Ocse, l’organizzazione economica dei paesi
occidentali) che nel decennio dal 2012 la “solitudine” (indicatore di rischio depressione)
è cresciuta fra i ragazzi a scuola, nel luogo cioè di massima socializzazione, “in
misura esponenziale”, e ne indica la causa nella diffusione dei cellulari e dei
social media. Questo è molto dubbio, e in quanto è vero non è nuovo. I social hanno siti fantasiosi, di gruppo,
d’interesse, familiari. Permettono di dialogare, direttamente o indirettamente,
col passato, anche recondito, e prospettare un futuro. Di “fare scoperte, non sopravvivere
meramente. Nascono però come veicoli pubblicitari, e sono invasivi – ora
spudorati, violenti. Non è una novità, la pubblicità è sempre stata violenza,
anche se sotto la dicitura elegante della persuasione occulta, e sotto la maschera
di fornire un servizio. Non molti anni fa, nemmeno trenta, si votava in
Italia un referendum per escludere la pubblicità dalla tv, per ridimensionarla,
per esempio escludendola dai film (“non interrompere un’emozione”), oggi gli
stessi proponenti del referendum vivono e propagandano le serie, cioè minifilm,
abborracciato, per servire da riempitivo tra due spazi pubblicitari. Un’evoluzione
non necessaria. E si può pensare anche caduca, in un regime politico-economico
non di “mercato”, non alla mercé della merce più invadente, sotto le spoglie
dell’impresa e dell’imprenditoria – sinonimi di innovazione, coraggio, produttività.
Diverso il caso della persuasione occulta non economica. Politica o
attitudinale. Ma non c’è un linguaggio artificiale, né si ipotizza, diverso da
quello politico ormai bimillenario. C’è il problema degli indifesi, di fronte
all’assalto mediatico. Che non è intelligenza artificiale, ma in essa trova
comodo strumento e scudo.
Ciò che chiamiamo intelligenza artificiale non è una novità e non soppianta la vita umana, molto di quello che può fare, se non tutto, lo ha già fatto, dalla Silicon Valley, tra Apple, Google, Meta, Twitter.
Progresso – Non va per accumulo ma per selezione, naturalmente. Implica
perciò delle perdite. Che a volte sarebbero state utili.
Procede tipicamente per
tentativi ed errori. A volte colposi, a fronte di un’evidenza cioè che la
novità sarebbe state utile.
Strade - Walter Benjamin avrà fatto in tempo a focalizzarle
(in Italia si direbbero le piazze), nella sua dialektische feerie, come
“abitazioni dei collettivi”, che subito sono diventate deserti di persone,
luoghi di veicoli di ferro, chiusi, in moto incessante, e muti, per spostamenti
anche minimi. O di folle che vanno di fretta. Sostituite come “centri
collettivi” dai “non-luoghi”, ikee, centri commerciali, supermercati. Centri
che si vogliono anonimi – occasionali, senza fidelizzazioni, neanche memoriali:
la geografia è mutevole, il personale senza volto, la merce senza qualità specifica.
Luoghi a due dimensioni, senza spessore.
Ogni vuoto, certo, è destinato a riempirsi. Di che nel caso
specifico, del centro commerciale che ha sostituito la strada e la piazza, dà
premonizione, una delle tante possibili, certo, Ballard nel romanzo “Kingdom
come”, il regno a venire - 2006, l’ultimo di Ballard, morirà nel 2009. Il
protagonista Richard Pearson, pubblicitario, ne dà la ratio in
apertura: i pubblicitari credevano i non-luoghi “posti trasfigurati dai
prodotti”, da “marchi e loghi che davano un senso” all’esistenza delle vaste periferie
umane, mentre essi invece “in qualche modo si ribellavano, diventavano eleganti
e sicuri, il vero centro della nazione”.
zeulig@antiit.eu
Scoprirsi all’Elba
Una
coppia divorziata suole trascorrere insieme una vacanza d’estate con i figli –
il padre si unisce alla madre, con la quale i figli vivono. Il padre sempre
attaccato al lavoro, “devo andare in Irlanda”, e a flirt sfuggenti, i figli muti
al cellulare, la madre, farmacista, sola e inaccudita.
La
vacanza è quest’anno all’isola d’Elba. Il film è parte di una serie televisiva
vecchi ormai di una dozzina d’anni e trentacinque titoli. Una serie tedesca, ma
questa famiglia potrebbe anche essere italiana. L’Elba è vista in cartolina, con
tagli di mare naturalmente, Napoleone, qualche piazza, qualche viuzza, le
550-taxi. Ma, di più, è di montagna, anche se l’isola non arriverà ai mille
metri di altitudine: vedute boscose o pietrose, con un camping-rifugio al
centro, e il focus spostato sul bird-watching.
Un
cast ridotto, una trama semplice, una serie collaudata, senza sorprese, un film
amabilissimo. Raccontare la quotidianeità è difficile, lo spettatore non ha
voglia di ananke, di figli muti e
mariti assenti, e invece il filo della trama e i tempi la rendono attraente. Non
problematica come sarebbe all’italiana, semplice: le coppie si dissolvono, la
vita trascorre, i figli pensano a se stesi, quando pensano, la madre sola all’Elba
scopre se stessa, si riscopre.
Non
capita spesso di vedere dei film tedeschi. Molto piacevoli anche i personaggi italianissimi
affidati a attori tedeschi.
Jophi
Ries, Un’estate all’isola d’Elba,
Rai 2, Raiplay
martedì 6 giugno 2023
Letture - 522
letterautore
Woody
Allen –
“Mangiava gli spaghetti alle vongole con il cappuccino. E poi è uno stronzo, si
può dire?”, Maurizio Mastino, storico ristoratore al Lido di Fregene confida a
Maria Elena Vincenzi su “la Repubblica-Roma”.
Arie
–
È notevole il “repertorio” delle arie d’opera - le arie di cui i cantanti erano
per qualche motivo depositari o specialisti, e si portavano dietro, imponendole
a volte ai compositori (Mozart ne fu spesso vittima, nelle opere italiane:
Aria
di baule,
delle “prime parti”, era quella che un-a cantante di fama si portava dietro
come motivo di moda e imponeva all’autore, all’interno dell’opera.
Aria di sorbetto era invece
delle seconde parti, cui si dava spazio nell’opera per consentire al pubblica
un intervallo – per esempio degustare un sorbetto
Aria di sortita,
o cavatina:
quella intonata dal personaggio per entrare in scena, alla prima uscita dalle
quinte
Aria di mezzo
carattere:
in tempo disteso (“moderato”), per esprimere emozioni non violente (di amore
tenero, di dolore accettato)
Aria di
portamento:
in tempo lento, per sottolineare la capacità di “portare” la voce, di
“sostenere” il suono
Aria del
catalogo:
poco melodica, utilizzata per elencare personaggi, eventi, storie pregresse,
previsioni
Aria del sonno: come una ninna
nanna, cantata da un personaggio per addormentarne un altro
Aria di bravura: valorizza le
doti di agilità del cantante, per situazioni di passioni accese, in tempo
allegro
Aria in catene: intonata da un
personaggio incarcerato
Aria di caccia: accompagnata
dal corno, come a inseguire la lepre
Aria di guerra: accompagnata
dalla tromba
Aria di lamento: i personaggi
si lamentano delle proprie sventure.
Erano
un
repertorio: a volte si avanti con perdite.
Walter
Benjamin –
Un caso di bipolarismo? La prodigiosa attività, di ricerca e di elaborazione,
lascia esterrefatti. Anche per la brevità della vita attiva – è morto di 48
anni. Per la dromomania – mobilità/instabilità - frenetica, già prima dell’esilio.
Per l’instabilità affettiva. Anche con gli amici-benefattori. All’ombra
costante del suicidio.
Grecale – Un vento
vigoroso, interminabile (dura tre giorni), distruttivo, Pirandello dice “la
brezza grecalina” (“Taccuini di Harvard”, 35).
Hiroshima
–
Ha segnato la fine della seconda guerra mondiale. Col vertice a 7 del 19-21
maggio segna l’inizio di un nuovo conflitto, contro Cina, Russia e Corea del
Nord. Il vertice è stato dedicato alla deterrenza nucleare contro questi tre Paesi.
Hiroshima
e Nagasaki -
Ci morirono anche 50 mila coreani, arruolati più o meno volontariamente dal
Giappone, che aveva occupato la Corea. Il vertice a 7 di Hiroshima un mese fa li
ha ricordati per la prima volta – il Giappone periodicamente, in apposite
cerimonie ufficiali, chiede scusa ogni anno per l’occupazione di Corea e Cina
(la Corea sempre il Giappone nei secoli ha tentato di annettersela, e dal 1940
al 1945 ci è riuscito – dando inizio all’industrializzazione della penisola), ma
gli Stati Uniti non intendono scusare l’uso dell’atomica, e quindi solitamente
si evita nei consessi internazionali di evocare le distruzioni.
I due obiettivi del bombarda mento
atomico furono scelti perché basi militari e centri industriali. E senza campi
per prigionieri di guerra nelle vicinanze.
Immigrazione
–Il
paese dell’immigrazione per eccellenza, e del melting-pot tra classi, nazioni, culture, religioni, etnie, è quello
che più a lungo e con durezza ha osteggiato l’immigrazione, di cui pure aveva
bisogno per sopravvivere. Con i Democratici, i “liberal” più risoluti dei Repubblicani, nominalmente conservatori. La
“New York Review of Books” dedica il prossimo numero, datato 22 giugno, all’antisemitismo
imperante nell’amministrazione Roosevelt prima e durante la seconda guerra
mondiale, che rifiutò negli anni 1930 e nei primi anni 1940 a molte migliaia di
ebrei in cerca di rifugio il visto per l’America – limitato a persone “di
qualità”, per censo o professionalità.
Nichilismo – Gianfranco Contini ha il “trito
romanticismo del mondo come «nulla»”, a proposito d dell’“esistenzialismo” di
Pascoli.
996
–
La “cultura del 996” (turni di lavoro dalle 9 alle 21, per sei giorni la
settimana), che pure ufficialmente è illegale, è stata pratica incontrastata in
Cina, la “fabbrica del mondo”, regime “comunista”, e tuttora viene praticata. Se
ne discute in India, dove si vorrebbe introdurla, per fare concorrenza alla
Cina.
Cesare Pavese – Un caso conclamato, si direbbe
oggi, di bipolarismo. Che più si espresse nel lato affettivo, per un’immaturità
mai superata-governata, da autodidatta implume. Anche in casa editrice, nei
rapporti di lavoro, nel quale pure era tanto impegnato e produttivo (pratico):
altrettanto distante, di poca compagnia, di poca confidenza. Di più con la
famiglia, e negli innamoramenti, mai uno a buon termine – si direbbe un
onanista dei sentimenti. Le memorie di Tina Pizzardo, per quanto possano essere
“di parte”, elaborate a discolpa, lo rappresentano in mille modi. I rapporti
con altre persone, Bianca Garufi (la fiamma di Roma nel 1944-45 che fu sua coautrice
e finirà per sposare Lajolo, il biografo-killer), quelli inventati con Pivano e
Bollati, quelli necessariamente teatrali con le sorelle Dowlings.
Pound
–
“Non si nasce impunemente nell’Idaho” è un celebre pun di Gianfranco Contini, per dire che Pound non sapeva l’italiano
e quindi non padroneggiava Dante e lo Stil novo, di cui si professava ammiratore
e conoscitore. Il problema è che Pound si continua a leggere, anche in materia
di stil novo, Cavalcanti, e pure Dante, con profitto, e Contini con difficoltà
– p.es. la sua edizione della “Rime petrose”.
Pubblico
–
“La Lettura” interroga i sovrintendenti di tre istituzioni musicali, Spoleto, Salisburgo e Lucerna, sul pubblico sempre più rarefatto ai
concerti di musica classica. Non è un problema di prezzo del biglietto, spiega
Marjus Hintehäuser, dei Salzburger Festspiele: “Qualche anno fa ero a un concerto di
Leonard Cohen e il biglietto che costava meno era a 140 euro” – qualche anno fa,
cioè prima del 2013, quando Cohen tenne l’ultimo concerto. “Ma se parliamo dei Rolling
Stones”, continua Hinterhäuser, “si arriva anche a 240 o 250”. Non sono i soldi
che mancano.
Ma, poi, la musica classica è sempre
stata per i pochi, re, principi, vescovi e nobili – l’aristocrazia conta per
qualcosa.
Russia
–
La Russia stalinista è ben Russia. E anche quella post-stalinista. L e ultime
purghe di Stalin sono del 1952. Così lo ricorda Sergio Lepri, nella introduzione
a “Ettore Bernabei e il Giornale del Mattino”, pp. 30-31: “Nel 1952 morte e
misteri nei paesi comunisti dell’Est europeo, un fenomeno che rimarrà a lungo
incomprensibile agli osservatori occidentali: esponenti di rilievo del partito
comunista di governo (in Russia e altrove, va aggiunto, n.d.r.), gloriosi di
antica militanza, qualcuno sopravvissuto alla prigione e ai campi di
concentramento, vengono arrestati e processati con imputazioni incredibili, non
solo vecchie come il trotzkismo o nuove come il titismo (cioè l’essere
favorevoli, come Tito, a vie nazionali al socialismo), ma addirittura di
spionaggio a favore degli Stati Uniti e, per alcuni, perfino di antiche simpatie
per il fascismo e il nazismo; ancora più incedibile è il fatto che quasi tutti
si dichiarano colpevoli, rei confessi dei più gravi misfatti ideologici”.
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letterautore@antiit.eu