sabato 24 giugno 2023
Siamo inglesi, by jingo
Fra le tante conseguenze della Brexit (inflazione, burocrazia, isolamento) chiude la libreria italiana di Londra, per i sopraggiunti costi doganali, di tariffe e di pratiche. Era l’unica superstite libreria europea. Nel paese e nella città dove più si legge chiude l’unica libreria europea superstite. È una sorpresa, e non lo è. Non si ricorda che il colonialismo nazionalista e razzista, il “jingoismo”, è stato cosa britannica – altrove i coloni, spagnoli, portoghesi, francesi, anche italiani, non avevano “destini manifesti” o “eccezionali”.
L’Africa degli africani – non più schiava e non ancora colonia
Una narrativa
lunga – dettagliata - di una vita breve, tra il 1745, forse, e il 31 marzo
1797. Senza eventi eccezionali. Se non per la personalità e il destino del
narratore: rapito nel nativo Benin, sul golfo di Guinea, da due uomini e una
donna, insieme con una sorellina, passa di mano in mano molte volte per sei o
sette mesi, finché non arriva al mare, dove viene venduto a una nave
schiavista, trasportato fino alle Barbados, e qui rivenduto a un Pascal,
capitano di un mercantile inglese. Che lo “battezza” Gustavus Vassa, anche se
il ragazzo avrebbe voluto chiamarsi Jacob (il battesimo vero e proprio avverrà alcuni anni dopo, a Londra). E se lo porterà dietro nelle sue
tante altre destinazioni, al comando di unità britanniche militari, nell’Atlantico,
anche in America, nel Mediterraneo, a Gibilterra e forse in Turchia, e al Polo Nord. In
compagnia di un ragazzo americano quindicenne, avventuroso, contrario alla
schiavitù, figlio di amici del capitano-padrone, che gli terrà compagnia, e ne
allontanerà le paure, per molti viaggi e imprese. Finché non lo rivendera bruscamente, a Montserrat, nelle West Indies, a un imprenditore locale - che lo venderà a sua volta in Virginia. Dopodiché si affrancherà, e si stabilirà in una Inghilterra che lo accetta
con animo buono.
La “Narrativa”
fu pubblicata prontamente a Londra, nel 1789, l’anno della rivoluzione
francese. Ebbe nove edizioni fino al 1797, quando Equiano morì, e avrà un ruolo
nella promozione dello Slave Trade Act del 1807, la legge che aboliva il
commercio degli schiavi. La dedica, al Parlamento della Gran Bretagna, è di una
persona del tutto integrata e senza complessi. Non c’è aspetto inglese che non
gli risulti piacevole. In navigazione la prima volta dalle Barbados a Falmouth,
in Inghilterra, è terrorizato dall’equipaggio che minaccia sempre di
“mangiarselo”, per scherzo. A Londra ha i geloni e i medici minacciano di amputarlo
di una gamba, o di tutt’e due. Poi ha il vaiolo, e lo guariscono, qui senza
scherzo.
Dell’Africa,
della cui geografia mostra una buona conoscenza, rivendica una sorta di parità
o uguaglianza, di condizioni di vita e assetti sociali. La vita in Africa è un
paradiso, molto igienico al confronto con Londra, in una natura che dà tutto.
Facciamo schiavi ma li trattiamo alla pari. Coltiviamo le terre in comune,
lontano dai villaggi – uno dei motivi per cui si fanno guerre. Abbiamo
sacerdoti e maghi, ma crediamo in un solo Dio creatore. Siamo circoncisi come
gli ebrei. Siamo anche noi della stirpe
di Abramo. Siamo di colore diverso dagli
ebrei per effetto della luce, l’aria, il deserto, l’umidità – condizioni
climatiche estreme. La storia “incredibile” non è di fatti eccezionali.
Incredibile è l’autorevolezza acquisita da Equiano-Vassa nella Londra di fine
Settecento, per nessun altro motivo che le sue doti di socievolezza, e di
autoapprezzamento, senza complessi.
Sia gli eventi,
minimi e grandi, che racconta, sia le stesse coordinate personali che dà, sono oggi
contestate dagli storici. In particolare l’origine. Si accetta che sia stato
venduto come schiavo nei Caraibi, a un inglese comandante di navi, commerciali
e poi militari. Ma più probabilmente da figlio di schiavi, nato nelle Indie
Occidentali danesi, l’attuale Carolina del Nord – il nome Gustavus Vassa risulta
in un certificate di battesimo, e in un registro navale. Si sa anche che si
sposò in Inghilterra, con una inglese, con la quale visse a Soham, vicino
Cambirdge, ed ebbe due figlie. Fu negli anni 1780 uno dei più rinomati
abolizionisti della schiavitù, chiamato a parlarne in numerose città britanniche.
A partire da fine 1781, quando denunciò quello che passerà agli annali come lo
“Zong Massacre”, il massacro di oltre 130 schiavi africani sulla nave schiavista
“Zong”, di armatori di Liverpool, da parte dell’equipaggio il 29 novembre 1781.
Equiano portò a conoscenza degli abolizionisti in Inghilterra l’esito del
processo intentato in Giamaica, dove la “Zon” era giunta, dagli armatori contro
gli assicuratori, che si rifiutavano di pagare per gli schaivi massacrati. La
giuria diede ragione agli armatori: l’assassinio di africani schiavi era legale
sotto certe circostanze, e le assicuarzioni dovevano pagare il carico perduto –
il verdetto fu rovesciato poi in appello, a Londra, da un giudice monocratico,
nel nome del re, dopo la campagna avviata da Equiaio.
Di più viaggiò dopo la
pubblicazione della “Narrativa”, per promuoverne la diffusione, anche in Scozia
e in Irlanda. Avviò un progetto di sviluppo in Sierra Leone, la colonia fondata
nel 1792 per accogliere gli schiavi affrancati dell’Africa Occidentale. Operò con
Granville Sharp, lo studioso filantropo che aveva avviato il movimento
abolizionista – e lo concluderà con lo Slave Trade Act.
La “Narrativa” resta notevole,
oltre che come opera storica, per le conoscenze geografiche e storiche
dell’Africa Occidentale – solo di recente riemerse dopo le cancellazioni del
colonialismo. E per la primissima caratterizzazione dell’essere africano, al suo
terzo capoverso: “Siamo soprattutto una nazione di danzatori, musicisti e
poeti”. Che sarà il leitmotiv un
secolo e mezzo dopo della négritude,
il movimento di rivalsa culturale (Aimé Césaire, Léopold Sédar Senghor, Alioune
Diop, Cheick Anta Diop) che avvierà negli anni 1940 la decolonizzazione. Riferimenti
che saranno il fodamento dell’articolato saggio epocale “Orfeo Nero” di Sartre,
posto nel 1948 a prefazione dell’ “Anthologie
de la nouvelle poésie nègre et malgache”, a cura di Senghor, per ilcentenario
dell’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi.
A
cura di Giuliana Schiavi.
Olaudah Equiano, L'incredibile storia di Olaudah
Equiano, o Gustavus Vassa, detto l'Africano, Occam, pp. 328 € 20
venerdì 23 giugno 2023
Problemi di base poetici - 753
spock
“La poesia è un linguaggio a sé e andrebbe tradotta nella
propria lingua”, Cocteau?
“La traduzione di una poesia è una poesia, che ha in
un’altra poesia la sua ragione di essere”, Ottavio Fatica?
“Soffriamo tutti di sinestesie”, id.?
La traduzione è “transustanziazione in pillole”, id.?
Il traduttore è un poeta – ossia: il poeta è un traduttore?
Ermetico?
spock@antiit.eu
La scoperta della Persia
Le
civiltà e gli imperi persiani, dalle origini a Khomeiny. Lo zoroastrismo prima
dell’islam. Gli Elamiti, Susa, Babilonia, i Medi, gli Achemenidi, i Parti, i
Sasanidi. Fino a Maometto. Il quadro di un mondo che oggi perversamente si isola
dal mondo ma per millenni è stato al centro della storia e della cultura, dell’Occidente
come dell’Oriente. Il “primo popolo storico” di Hegel, e degli archeologi
successivi. Con le distruzioni operate da Alessandro Magno, e le sconfitte
patite dai tardi imperatori romani. Mostrati e raccontati attraverso le scritture
e i monumenti di tremila anni.
Fa
impressione vedere questa storia pure non ignota in tv. A opera di una
giornalista britannica originaria del
Nord dell’India, crescita nella lingua urdu, parente del farsì, con un
nome persiano, Samira. Le basta far vedere le innumerevoli tracce in pietra e
in pittura del passato, e scorrere le pagine di Firdusì e Khayyam. Senza le fanfare
che si vantano per Alberto Angela, ma lo stesso immaginativa ed evocativa.
Niente
di straordinario. Fa impressione sopravvenendo alla cancellazione, in Italia,
della geografia e la storia, dall’editoria, dalle scuole, da una generazione,
quasi due, a questa parte. Senza il passato, è un altro mondo.
Samira
Ahmed, I Persiani, Bbc-Sky Arte
giovedì 22 giugno 2023
Secondi pensieri- 517
zeulig
Animalismo –Si concentrano
le ricerche scientifiche o parascientifiche sul lato animale dell’essere umano.
Non nell’indirizzo di ricerca ch ha portato a Darwin e all’evoluzione, ma al contrario,
per ridurre l’umanità il più possibile, se non soltanto, alla condizione
animale. Ci operano i neuroscienziati e i biologi. Sulla traccia degli
psicoanalisti, che vorrebbero liberar si della psicologia, ancorarsi a dati
certi. Impegnati a trovare i luoghi dell’intelligenza e delle emozioni il più possibile
condivisi dall’uomo con gli animali. Da ultimo Mark Solms, neuro psicoanalista,
trova la radice degli affetti – “ciò che ci rende profondamente umani” – nel
tronco encefalico, che l’essere umano condivide con rettili, uccelli, pesci.
È una ricerca, molto accreditata, che palesemente non può condurre
a nulla. Solo indica la voglia di disumanizzare il mondo, di ridurlo allo stato
animale, forse nemmeno, forse solo minerale – psicoanalizzare un animale, quando
se ne sarà appreso il linguaggio, a occhio non sarà agevole, l’animale è
naturalmente stubborn, poco
condiscendente. . E a lume di logica nemmeno: anche i minerali avranno un’anima-
sentiranno il tempo, non solo il suo trascorrere, anche il tempo atmosferico,
le stagioni, avranno attrazioni, repulsioni. Forse non in un disegno, che non
si vede, ma per épater le bourgeois,
fare la differenza, singolarizzarsi, affermarsi. In un tempo della credulità
totale. E a premio: credere “necesse est”
– naturalmente in un’epoca di miscredenza. È come un vagare nel vuoto,
riempiendolo di agudezas, trovatine. Anche
senza cattiveria, solo per occupare il tempo: è il momento ci cui l’umanità per
la prima volta più non muore di fame, e non è tarlata dal bisogno. Ma non sa
come passare il tempo – si autopromuove a scuola, e vaga “libera”, cioè a
piacimento, senza più esami, sono censura.
Perché il problema non è che gli esseri umani siano animali. Non
sarebbe una novità e non è questa la novità. Il problema è che si voglia
ridurli a animali. Con distinzioni minime, ininfluenti.
Femminicidio – Connesso
al maschilismo della storia occidentale, di 2.500-3 mila anni di storia, si può
legare al nomadismo che l’ha preceduta. Di quando, nella sintesi di Bachofen,
la femmina “serviva” solo per uso riproduttivo, del maschio naturalmente, e di
femmine quanto bastava per la riproduzione. È la connessione più ovvia. Ma non
in natura, dove invece si può ipotizzare come una rivalsa. Di un’inferiorità
biologica. E di una lunga storia, anche “naturale”, che invece è fatta di ominicidi,
di uccisione del maschio a opera della femmina, una volta assolta la funzione
riproduttiva. Da
Primo Levi, “Ranocchi, etc.”: Si può pensare al femminicidio indotto, dalla
protervia femminile? “È noto come molti ragni femmina divorino il maschio,
immediatamente dopo o addirittura durante l’atto sessuale; così del resto fanno
anche le mantidi, e le api massacrano con meticolosa ferocia tutti i fuchi
dell’alveare”, dopo che uno di loro ha impalmato la regina – “l’uxoricidio, tra
i ragni, è pressoché normale”, tutte le strategie del ragno maschio sono
indirizzate a salvarsene. Primo Levi non lo dice, all’epoca i sessi non erano
divisi, ma è come se il femminicidio cristallizzasse una frustrazione di lungo
periodo, da selezione naturale. Anche le “superlucciole”, aggiunge dopo un
ripensamento, hanno lo stesso vizio: imitano la luce delle femmine di lucciola
propriamente detta, per attirare i maschi e divorarli appena si posano vicino.
Prima
di quello giuridico, la cancellazione dell’uomo era dunque un fatto naturale.
Ora si dice che l’uomo è cattivo e uccide le donne. Come se cristallizzasse una
frustrazione lunga millenni, da selezione naturale.
Infinito – È
un concetto e un fatto. È l’esplosione di una stella avvenuta
centosettantaquattro milioni di ani fa e visibile dalla Terra un giorni di
febbraio del 1987, a una certa ora della notte, nota e calcolata al minuto. La Supernova 1987, avvenuta nella Grande Nube di
Magellano a 160.000 anni luce di distanza da noi, è stata individuata per la
prima volta il 23 febbraio 1987, quando la sua luce è esplosa nel cielo
notturno con la potenza di un centinaio di milioni di soli, per poi continuare
a brillare per vari mesi. Non è l’unica, è stata l’esplosione stellare più vicina,
e visibile a occhio nudo, dopo la Supernova
osservata da Keplero nel 1604.
La morte, il suo opposto, è anch’essa una presenza di questo tipo,
l’idea che si sarebbe potuto non averne conoscenza.
Lusso –
Ritorna senza limiti, in forma detta selvaggia, dei “crazy rich”, nelle
capitali dell’esibizione del dispendio, Londra, New York, Parigi. La sociologa Caroline
Knowles ne redige un esteso campionario in “Serious Money”. “Londra ha generato un ecosistema unico per
generare e consumare ricchezza”, nota, con un elenco di precondizioni che di
farro si applicano, in forme forse solo meno vistose o numerose, ovunque, in Australia
come in India, a Mosca, e nella stessa Cina comunista: “strumenti finanziari sofisticati”,
con “tutti i servizi per eludere le tasse, delocalizzare e nascondere la ricchezza”,
bei quartieri, riservati, belle case, buone scuole esclusive”. E molti
maggiordomi, che sono una necessità (“secondo la Work Foundation in città ci
sono due milioni di persone impiegate nei servizi domestici”, in un città di
nove milioni di residenti). Il maggiordomo è necessario come le guardie del
corpo, non necessariamente per ragioni di sicurezza ma per proteggere la privacy, la solitudine. I segni
ostensivi in uso sono di tutto riguardo: “C’è chi compra casada 45 stanze per 200 milioni di sterline (è successo a
Knightsbridge), chi chiede che in hotel la moquette venga sostituita da un vero
prato per le esigenze del cane”, chi non beve il tè se no in porcellane di Meissen.
Tutti devono avere “un superyacht, uno status
symbol dove il lusso non è
negoziabile: scalinate di onice, bagni en
suite, spa”, con “uno staff di decine
di persone e continua manutenzione”.
I quarant’anni di
thatcherismo-reaganismo, dell’ideologia dell’individualismo e del libero
mercato quale maggiore veicolo di ricchezza per tutti, hanno riportato in auge
la teoria del lusso, o del consumo ostensivo, come origine o matrice del capitalismo.
L’origine del capitalismo nel lusso, nel dispendio, ha avuto molti e noti
sostenitori: Sombart, Fourier, Colbert, Mandeville, gli stessi moralisti
Rousseau, Montesquieu, Adam Smith, in parte anche Marx – fino a Rathenau, il
liberale imprenditore tedesco ministro degli Esteri che i terroristi di destra assassinarono
nel 1922, che in un paese nel quale non ci sono più ricchi ci
sarà solo gente povera, molto povera, diceva. Senza razionalità, e agli antipodi
di ogni pretesa virtuosa che il capitale si ricama addosso, d’industriosità,
applicazione, efficienza, eguaglianza, merito, uso ottimo delle risorse scarse.
Nel calendario di Kant l’età
del lusso precede la morale - la cultura del lusso, talenti, abilità, gusto, che
crea bisogni non tutti appagabili. Per l’antropologia
la nozione di dépense caratterizza la mentalità primitiva e non economica.
Per la funzione economica, accumulatrice e non
dispersiva, del lusso bisogna partire da Madame de Genlis, analista acuta: “Il
lusso era grande perché era frivolo quello che meno poteva esserlo, e, non avendo
nulla di falso, le fortune mediocri non potevano imitarlo”. Il lusso ha senso
economico per l’effetto ostensivo, cioè se i mediocri lo copiano. I ricchi a
Firenze nel Rinascimento portavano i cappelli che ora portano i pastori in Afghanistan.
Madame de Genlis se ne fece un mestiere: amante
del duca d’Orléans, fu della fazione rivoluzionaria a corte, contro l’imborghesimento
introdotto da Maria Antonietta, ma poi al duca tagliarono la testa, e lei si
riciclerà insegnando l’etichetta alle sorelle di Napoleone.
zeulig@antiit.eu
Nel West all black a caccia dell’ufo
Un Western all black.
Su fondo bianco: interni (case, uffici, stalle, cavalli) ed esterni (case,
terreni, maneggi, strade). E tecnologico: il cattivo è un ufo, di
difficilissima individuazione. I cowboy sono fratello e sorella. Che rilevano l’azienda
del padre, prima vittima dell’ufo. Una ditta rinomata di cavalli addestrati per
il cinema e la TV. Subiranno varie disavventure, ma alla fine avranno ragione
del cattivo.
Lo schema è semplice, il
trattamento lambiccato. La coproduzione giapponese necessita di una storia di
contorno. Ed è quella di un imprenditore asiatico di un parco divertimenti equino
che è stato famoso da bambino, protagonista di una sitcom, per aver visto la
famiglia della sitcom decimata dallo scimpanzé di casa, disturbato dallo
scoppio di un palloncino. Finirà anche lui male, ma dopo varie digressioni.
Jordan
Peele, Nope, Sky Cinema
mercoledì 21 giugno 2023
Cronache dell’altro mondo - giudiziarie (236)
La maggior parte dei deputati e
senatori Repubblicani al Congresso sono a favore della candidatura Trump alle
primarie repubblicane per le prossime presidenziali dopo il rinvio a giudizio
di Trump da parte del ministero della Giustizia.
La cadidatura Trump alle primarie
repubblicane per le presidenziali 2024 raccoglie “oltre” il 50 per cento dei
consensi degli elettori repubblicani, “percentuale insolita” nelle primarie. Il
consenso è precipitato dopo il rinvio a giudizio di Trump da parte dell’amministrazione
Biden.
La transazione di Hunter Biden,
figlio del presidente, con il ministero della Giustizia sui suoi pregressi
penali (riconoscersi colpevole di ritardato pagamento delle tasse in cambio
dell’impunità) suscita perplessità anche fra i Democratici. Hunter Biden,
drogato cronico, era accusato di detenzione illegale di armi, e di traffici illegali,
con la copertura paterna, in Ucraina nei primi anni 2010.
(“The Atlantic Daily”, sito anti-Trump
del magazine, 18 e 20 giugno)
Un pubblico accusatore accusato, e condannato
Giustamente il giudice pubblico accusatore Davigo
s’indigna per la condanna: quando mai s’è visto. Per un giudice, poi, di Mani Pulite,
cioè pulitissimo per definizione. Il suo compagno di merende Di Pietro, che pure
non si voleva uno stinco di santo, ha vinto 250 o 300 cause, tutte quelle che ha
intentato – “mi sono arricchito”, diceva con orgoglio delle provvisionali vinte,
sempre per diffamazione.
Non si può nemmeno dire che sia una
condanna politica. Perché il partito oggi al governo era quello, quando la fiamma
era ancora viva e non spenta, del giudice.
E dunque? È proprio una condanna giudiziaria. Che semmai stride con l’assoluzione del giudice in carriera che lo ha
indotto al crimine, il dottor Storari, tuttora in forza alla terribilista Procura
di Milano.
Il dottor Storari prendeva per
oro colato le fantasie di un certo Amara, uno che mandava esposti, anonimi e
non, alle Procure meno indaffarate d’Italia, per esempio a Trani e Siracusa,
sicuro che gli avrebbero dato credito. E invece non gliel’hanno dato, né Trani
né Siracusa, ma il dottor Storari di Milano sì.
Caravaggio napoletanizzato
Un
Caravaggio truculento. Molto sangue, molta sporcizia, molto sesso, in tutte le posizioni,
anche con la Principessa Colonna a sessant’anni - povera Adjani, glielo avevano
detto (magari ci avrà provato gusto)? Una specie di pittore “maledetto”, molto
gridato, si direbbe napoletano, anche se era un lombardo. Fin dalla prima
scena, tra le battone dei vicoli di Napoli, antri di brutture e coltelli. Buttato
in mare alla fine in un sacco da una rupe a Porto Palo, dove però non ci sono
rupi. Dall’“Ombra”, un investigatore inflessibile – e traditore - cui Placido
dà il compito di “raccontare” Caravaggio inquisendolo. Su incarico del buon
papa Paolo V Borghese – protettore di fatto, col nipote cardinale, di
Caravaggio. A Roma negli anni del giocoso Filippo Neri. E non si capisce.
Le
donne sono tutte molto generose con Caravaggio, anche nel film, di favori
sessuali e per ogni altro capriccio: puttane, principesse, pittrici (Artemisia
Gentileschi). I pittori concorrenti pure, lo sono anche nel film: Baglione, Gentileschi.
I preti pure: Caravaggio ha lavorato, molto, su committenza quasi solo di preti, a
Roma, Napoli, Malta, in Sicilia. E su soggetti sacri, dopo le fioriere e i
bacchini di gioventù: non era un demonio, un posseduto. E lavorava più che fare
baldoria: ha lasciato un’ottantina di dipinti, quasi tutti grandi, in meno di
vent’anni di attività – morì che non aveva 38 anni. Era uno violento? No, si difese
in una rissa, fu condannato per modo di dire, mai perseguito.
Con
un cast di ottimi attori, oltre
Caravaggio-Scamarcio: Isabelle Huppert, Louis Garrel, lo stesso Placido,
Ramazzotti, Marchioni, Donadoni, Haber, Moni Ovadia, e “i figli”, Lorenzo Lavia
e Brenno Placido.
Di
bello c’è che si mostrano i quadri di Caravaggio. E questo al cinema è un
miraggio.
Michele
Placido, L’Ombra di Caravaggio, Sky Cinema
martedì 20 giugno 2023
Problemi di base finali - 752
spock
“Quanto al giorno del Giudizio,
disse lo straniero, ogni giorno è il giorno del Giudizio”, Frances O’Connor?
Bisogna vivere ogni giorno come
l’ultimo, si può?
“Tante volte sconfiniamo e ci
troviamo sotto un cielo privo di divinità”, card. Martini?
La fede non è semplice?
“Come nuvole alte nel cielo,\ i
nostri pensieri muovono le loro molli forme dentro di noi:\ Domani odieremo quello
che oggi amiamo”, Wilhelm Küchelberger?
“La cosa peggiore è non amare”. M. Duras?
spock@antiit.eu
L’irreligione che viene dalla Bibbia
Mason
Tarwater, il prozio che si è impadronito con la forza del pronipote Francis
Marion Tarwater, sottraendolo al nipote Ryber quando il bambino aveva quattro
anni, orfano della madre, per crescerlo in una radura isolata dentro il bosco
nel culto del Signore, del Secondo Avvento, e gli ha insegnato a leggere,
scriver e fare di conto con la sapienza del profeta, muore. Il pronipote, ora
quattordicenne, si ubriaca, al punto di non riuscire a scavare la fossa per la
sepoltura: se la caverà dando fuoco alla baracca a due piani che era la loro
casa, tra sporcizia e disordine, con dentro il vecchio prozio. Quindi,
consigliato da un vicino di colore, saggio, e aiutato da un paterno commesso
viaggiatore cui chiede un pasaggio, si trasferisce dalla zio Ryber, fratello
della madre, che faceva la puttana. Anche su Ryber bambino il vecchio Mason
Tarvater ha tentato la salvazione, ma il ragazzo gli si è ribellato, e ora fa
il maestro, agnostico – tanto più perché ha avuto un bambino down, per quanto celestiale, di figura e
attitudini. Siamo a un terzo del romanzo, la convivenza non sarà facile; il
giovanissimo Frances Marion è altrettanto profetico (avventista) del prozio
morto, e lo zio Ryber non intende dargli ragione, anche se non lo considera
pazzo, come invece considerava - ed era, con quattro anni di manicomio – il
vecchio Mario, e anzi gli vuole bene, come fosse il suo vero figlio.
Tra
zii, prozii, pronipoti e nipoti, e tra prima e dopo, c’è un po’ di confusione.
E questo è il senso che aggredisce il lettore. Ma è l’esito di una scrittura
piuttosto semplice, e ripetitiva (la nuova traduzione di Gaja Cenciarelli la rende
anche più fluida, meno irsurta, dell’originale). Ma è un effetto voluto. Su un
mondo che si pretende di luce e invece è di tenebre. Quello del Sud-Sud-Est
degli Stati Uniti, di protestantesimo radicale, che si salva con personalissime
(salvifiche, profetiche) Bibbie – Bible Belt,
l’area della Bibbia. E si appella, come da titolo, al profetismo radicale del
Battista, Giovanni il Battista. “Violento”, come da titolo, sulla base del
versetto apocalittico del vangelo secondo Matteo,11,12: “Dai giorni di Giovanni
Battista il regno dei cieli si acquista con la forza, e i violenti se ne
impadroniscono” (oppure: “Dal tempo di Giovanni Battista, il cielo è preso
d’assalto e i violenti se ne impadroniscono”). Violento era lo “spirito “ del
Battista, e quindi del prozio, il profeta dalla cui morte il racconto comincia.
Uno
strano “romanzo del Sud”: niente realismo, solo visionarietà. O allora un
realismo senza misura, di pregiudizi, capricci, solitudini - “confondere una follia
con una visione”. E tanta superstizione, anche nelle persone ragionevoli – ce n’è:
il vicino “negro”, che intanto ha provveduto a dare sepoltura al vecchio, benché
carbonizzato, e i guidatori in genere, di macchine o camion, quelli che danno
un passaggio al nipote perennemente fuggiaco. In un quadro da romanzo di formazione
ma al rovescio. Non c’è saggezza che viene trasmessa ed appresa, ma violenza, dissoluzione.
Come impadronirsi dell’altro. Sotto forma di amministrare il battesimo. Oppure
all’opposto, d’impedire il battesimo, per “riportare alla ragione” il credente
bigotto. In un crescendo di insensatezze – zio e nitpote, maestro e profeta in petto, fanno a gara a uccidere il
bambino disabile, muto, albino, che altrove sarebbe un angelo.
“È
dalla Bibbia che nascono le eresie”, le follie: Frances O’Connor non arriva
all’estremo di Paolo V, il papa del giocoso Filippo Neri, immortalato da
Caravaggio. Ma è come se: il mondo della Bible
Belt, dell’evangelizzazione bizzarra,
profetica, maniacale, è folle. Il contrasto tra religione e ragione non
potrebbe essere più teso, per oltre duecento pagine, tra personaggi di poco o
nessuno spessore, a aprte in fanatismo. Tra l’“entusiasmo” che lasciava
perplessi i vecchi teologi, e il buonsenso, che lascia perplessa Flannery.
Qui
il conflitto è tra religione e ragione, niente di meno. Che non è scontato o
freddo, come apparirebbe. Perché Frances O’Connor è classificata, e lei stessa
si vuole, cattolica, “una fiera cattolica”. Tanto più in partibus infidelibus, nella Bible Belt, arcignamente
protestante, del Secondo Avvento. L’ottica è rovesciata, proprio da “fierce Catholic”: il buonsenso è qualità diabolica, gli eccessi e le
stranezze sono accettabili. In un lugubre, ma non disperato, umorismo. Che
infetta tutte le figure che via via
popolano la narrazione. Come di un mondo a parte, in cui il più pazzo, o il
meno pazzo, dice pazzo agli altri.
È
il secondo romanzo della scrittrice del Sud Usa, della Georgia. Che la
confermava atipica nella letteratura americana primi anni 1960. Per la
scrittura, all’apparenza weird, da “Franchi Narratori” dirà un decennio dopo
la collana Feltrinelli dedicata agli scrittori italiani atipici, ma nel suo
caso costruita, anche molto, da scuola di scrittura nell’Iowa e in varie colonie per scrittori, e con esercizio costante dall’adolescenza. La scrittura è piuttosto,
se se ne può fare una categoria, del tipo southern,
meridionale, come in Faulkner, o Carson McCullers – anche questa, peraltro,
come Frances O’Connor, passata per lunghi anni da Savannah (Georgia). Con una
vena satirica irresistibile, per quanto sotterranea. Per l’occhio, che è invece
metropolitano, newyorchese nel caso di Frances O’Connor, anche se visse
ritirata nella campagna della Georgia: la corrispondenza, quotidiana e
prolungata, la mostra attenta a ogni novità.
Una
irlandese, con tutte le stamina, nel deep
South. Tra i “negri” che la confondono – quasi come i biblisti. Un re-appraisal
dovrà tenerne conto. Aveva paura dei neri, che chiamava negri ma come tutti,
senza disprezzo. Ma non si tiene conto che è poco americana, soprattutto nella
scrittura. Inventiva, umorale, “senza peli sulla lingua”.
Una
sorta di classico, alla terza o quarta riproposta in pochi anni. Già tradotto
da minimum fax, che lo ripropone in una nuova traduzione, di Gaja Cenciarelli.
Con una breve presentazione di Marco Missiroli, e una diffusa cronologia. Dopo
essere passato per Einaudi, la severa collana iperletteraria Letture Einaudi.
Flannery
O’Connor, Il cielo è dei violenti,
minimum fax, pp. 240 € 15
lunedì 19 giugno 2023
La sagra della giustizia
Cresce a sinistra il numero e la qualità dei giuristi favorevoli
alla riforma Nordio della giustizia, Flick, Cassese, Mirabelli - praticamente il solo Zagrebesky, Gustavo, è
contro, ma è un democristiano non pentito e petulante, al quale Ezio Mauro ha
messo la maschera del rivoluzionario a oltranza. Ciononostante i giornali che li ospitano sono neutrali, e
anzi contro. Pensano di vendere una copia in più con le intercettazioni e le
confidenze dei giudici, invece che con un’informazione “corretta”?
Singolare è la posizione degli avvocati, per i quali l’abolizione
dell’abuso d’ufficio significherà il crollo degli onorari senza lavorare. Vale
la vignetta di Giannelli sul “Corriere della sera”, con l’indecisa a tutto Schlein
che dichiara: “Abolizione del reato di abuso d’ufficio. Noi siamo contrari. E d’accordo
con noi è la totalità degli avvocati”.
Schlein è suffragata subito poi dal principe del foro
Franco Coppi, il difensore della miniera Berlusconi, quello del “processo nel
processo” (“i giudici sono galantuomini”) – non per caso tripolino di origine: “Toglierlo”,
togliere l’abuso d’ufficio, “vorrà dire che i Pm procederanno per corruzione, non
mi pare una grande alzata d’ingegno”. Come dire: i sindaci vanno comunque
perseguiti, vera logica tripolina, con processi più lunghi e più costosi.
Ogni Comune ha decine e anche centinaia di notule
avvocatesche pendenti. Quasi tutti procedono periodicamente, ogni venti o trent’anni,
a liquidazioni “a cottimo” – un tanto a testa per ognuno degli avvocaticchi del
paese in attesa.
Letture - 523
letterautore
Aida
–
Si dirà l’“Aida” di Coda, quella allestita all’Arena di Verona per il
centenario. Anche di Mariette, l’egittologo, che è l’autore dell’intreccio
(Ghislanzoni si limitò a ridurla per il libretto, fra i “deh!” e i “lai”). Una
storia d’amore. E la più consona alla vicenda se non al libretto, e alla
musica. Dell’amore tra nemici (la vecchia freccia all’arco del pacifismo), e
dell’amore non riamato. A partire dalla “Celeste Aida” che la caratterizza.
Assegno
in bocca -
“Dovevo fare lunghe file per seguire le pratiche e passare da un ufficio all’altro
con l’assegno in bocca”: così Berlusconi a un forum sula Pubblica Amministrazione,
il 9 maggio 2003. “Assegno in bocca” era all’Eni nei primi anni 1970 l’allora segretario
di Aldo Moro, Sereno Freato – così in Astolfo, “La gioia del giorno”.
Italia
–
Fu patria di elezione per molti intellettuali e artisti fino al primo Novecento:
Michels, o Sorel “fortunato” solo in
Italia, Leo Spitzer, Ernst Robert Curtsius, Edward Lear, Norman Douglas, D.H.
Lawrence, Gorkij, Gore Vidal. I tanti artisti russi che prima e dopo la Grande
Guerra si trasferirono in Italia, della letteratura, del cinema, del teatro, del balletto. Poi non più – sono invece intellettuali
italiani di prestigio a scegliere la patria fuori. Si è cominciato con le leggi
razziali e si è continuato dopo la guerra, per tutta la storia della
Repubblica. C’è il regista italiano naturalizzato britannico, o francese, svedese,
le tante scrittrici naturalizzate francesi, l’artista naturalizzato americano,
ce ne sono in Germania, anche in Svizzera.
Jaccarino
–
Linda Jaccarino, la nuova Ceo di twitter, è variamente declinata, benché vip e anche
molto vip: Yaccarino, Yakkarino e Jakkarino. Ci vuole un y o un k, a preferenza
di una j, per essere veramente americani? Forse perché nell’ispanoamericano, la
seconda lingua degli Stati Uniti, dalla Florida e il Texas alla California, e a
New York, la j” ha un altro suono. Lei stessa comunque non si cura delle radici
campane – cura il futuro, ora, dalla presidenza e la gestione di twitter, se
rende di più con la pubblicità oppure con gli abbonamenti.
Kissinger
–“Kissinger
a volte, sentendosi uno straniero, cedeva al volere di Richard Nixon” - Luigi R. Einaudi, il diplomatico americano
nipote del presidente Einaudi, a Viviana Mazza su “La Lettura”, a proposito del
Kissinger “italiano” di Oriana Fallaci, il Kissinger “cowboy”. Non si pone mai
mente al fatto che Kissinger è un immigrato, uno che “si sente” immigrato. Con
un accento tedesco che suona accentuato, anche ora che ha cento anni. E un
tedesco ebreo per giunta. A un tassista che gli diceva di sperare che diventasse
presidente Kissinger avrebbe risposto, dice Einaudi: “In che caos dev’essere
questo paese per chiederlo a un grasso ebreo tedesco!”. Della politica di
Kissinger dice: “Era più conservatore di me, anche reazionario!”, ma “sapeva
che l’innocenza americana è una sciocchezza, che sono stai commessi abusi dei
diritti umani… In America c’è una
tradizione di violenza preventiva, come con Bush jr., ma non credo che
Kissinger l’avrebbe condivisa”.
Machismo
– Le
coppie classiche sono poco galanti, premettono sempre l’uomo alla donna: Romeo
e Giulietta, Cupido e Psiche, Amore e Psiche, Aci e Galatea, benché Aci fosse
un pastorello, doveva puzzare, Filemone e Bauci, Ero e Leandro, Deucalione e
Pirra, Piramo e Tisbe, Teseo e Piritoo, Pan e Dafni – che però è maschio all’anagrafe.
Nazionalpopolare
–
Il contributo forse maggiore di Gramsci, più del concetto generico di “egemonia”,
ritorna da destra. Dimenticato dalla sinistra che, seppure per la voce di
Baudo, eterno democristiano, l’aveva rivendicato per decenni, e le sagre dell’“Unità” celebravano. Abbandonato, ora che paga politicamente, a favore
della destra, che se ne è impadronita – mentre la sinistra si fa fastidiosa (radical chic). Se ne è fatta la
celebrazione a Verona, per i cento anni dell’Arena, con l’Aida. Uno schieramento
“italiano”, col sorvolo delle Frecce Tricolori, per la contemporanea celebrazione
dei cento anni dell’Aeronautica, inno di Mameli. Supportato da presenze forti:
Sofia Loren sempre diva, al bracco di Sangiuliano, napoletano ma ministro della
Cultura, e poi tutti quanti: Matt
Dillon e Gigliola Cinquetti, Baricco e Sgarbi, Jerry Calà e Lino Banfi,
Malvaldi e Placido, Mogol e Morgan, Alberto Angela e Luca Zingaretti, Iva Zanicchi
e l’Amadeus di casa. Personaggi anche di sinistra, si suppone. Ma con l’assenza
del primo sindaco di sinistra della città, l’ex calciatore Tommasi.
Ottocento
– Si
vuole affumicato. Bellocchio (“Rapito”) dopo Pupi Avati lo fa domestico, di
interni, grigio brunito, di voci soffocate.
Singolare seppia di un tempo che invece era rivoltoso, molto
sentimentale, individualista. Era fumoso, questo è vero, per l’industria
illimitata e anzi urbanizzata. Ma anche dentro casa? Gli uomini si può capire,
avevano barba e baffi e portavano le ghette. Ma le donne, vestivano anche loro
sempre di grigio?
Roma
–
Rimandano a Roma le cinque pagine di malumori che Marguerite Duras dedica a
Parigi nel libro-confessione “Vita materale” di quarant’anni fa. Le automobili,
la maleducazione, le scuole inerti, i turisti maltrattati, la ristorazione
precotta. E gli “stagnanti”, a ogni angolo del quartiere, alla chiesa, all’edicola,
al bar, sul marciapiedi: “Che non fanno niente. Che essere vivi. E guardare” –
in più sono ora al telefonino.
Scrittori – “Gli uomini
amano le donne che scrivono – anche se “non lo dicono” (Marguerite Duras, “La
vita materiale”). Ma anche i maschi: “Gli scrittori provocano la sessualità nei loro confronti.
Come i principi e le persone di potere”.
Sono però a rischio se amano il sesso,
dice sempre Duras (per esperienza?): “Ho notato che gli scrittori che fanno
superbamente l’amore sono molto meno grandi scrittori di quelli che lo fanno
meno bene e nella paura”.
Teatro di donne - “Dal 1900 non un solo testo di
donna è stato rappresentato alla Comédie Française, o da Vilar al T.N.P. né
all’Oéon, né a Villeurbanne, né alla Schaubühne, né al Piccolo Teatro di
Strehler, di un autore donna o di un regista donna”, Marguerite Duras, “La vita
materiale”. Per sessant’anni, fino all’irruzione della stessa Duras, e di Nathalie
Sarraute.
letterautore@antiit.eu
Storia pruriginosa di un falso piccante
Il
film di una beffa letteraria particolare, di un’adolescenza tra il lubrico e la
violenza. Un fim dal vero: oggi usa chiamarli docufilm, ma questo è
sceneggiato, e recitato, con un cast di nome, Kirsten Stewart e Laura Dern tra
gli altri, una vera storia.
Una
scrittrice, Laura Albert, ha avuto finalmente successo dandosi uno pseudonimo, J.T.LeRoy,
criptico ma maschio, e un passato tormentato, perduto giovanissimo, fra stupri,
marchette, droga, nelle stazioni di servizio del West Virginia, dove si
prostituisce insieme con la madre, e altrove. Il filone della violenza sui
minori caricando di ogni eccesso. Il primo successo replicando, con “Ingannevole
è il cuore più di ogni cosa” dopo “Sarah”. Entrambi i romanzi presentando come
storie dal vero.
I
romanzi fecero epoca, una dozzina d’anni fa, nella critica, anche internazionale,
oltre che tra i lettori – tra gli ammiratori dichiarati molte star, Toma Waits, Bono, Suzanne Vega. Alle
sollecitazioni del pubblico e della stampa Laura Albert e gli editori risponsero
con la “creazione” anche fisica del falso LeRoy: un’occasionale conoscenza della
scrittrice, giovane, androgina, si presta a impersonare il dissoluto giovanotto
sulla via della redenzione. Dapprima con
“foto
dello scrittore in varie occasioni”, poi con letture in pubblico, a distanza,
infine con una conferenza stampa – a Parigi, dove naturalmente una bella parigina
s’infatua del bel dissoluto. Fino a quando “New York”, il settimanale, e il
“New York Times” ne rivelarono l’identità – per prolungare il successo con lo
scandalo.
Una
storia di successi piramidali del falso. Il film punta sulla vicenda a due,
autrice e amica impersonatrice. Nella chiave dell’ambiguità di genere, e forse per
questo il film è presto passato all’archivio – o perché è uscito in prossimità
del covid. Ma è una storia a più strati e molto curiosa, dell’editoria, e dell’opinione
pubblica, nel Millennio: il bisogno di violenza, il bisogno di depravazione, il
gusto voyeuristico dell’infanzia o adolescenza abusata, l’androginia, la creazione
del best-seller, l’anonimo.
La
vicenda di “J.T.Leroy” è doppiata dalla storia del film. La soggettista e sceneggiatrice,
nonché coprotagonista del film, è la stessa “amica” che si prestò a impersonare
J.T.Leory, Savannah Knoop. Che sulla vicenda aveva imbastito il suo proprio best-seller, “Girl Boy Girl: How I became JTLeroy”. E in
parte sulla intervista-confessione, in parallelo, della stessa Laura Albert, “Essere J.T.LeRoy”.
L’intervista
è più sapida del film, per la verità, sullo stesso versante piccante: il godimento a inventarsi
maschio, benché sposa e madre, la progressiva identificazione col maschio
J.T.LeRoy anche dell’amica giovane impersonatrice, un set di “Ingannevole è il
cuore” dove la coca gira come l’insalata. “Ingannevole è il cuore” è il film
americano di Asia Argento, con un cast rispettabile e perfino venerabile,
presentato alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes nel 2004. I rapporti
fiammeggianti di Asia col lui\lei che impersonava J.T.Leroy, col vero
impersonatore, la propria cognata di Laura. La verità è una buona vendita.
Justin
Kelly, J.T.Leroy, Sky Cinema