sabato 1 luglio 2023
Fuga dalla Germania
Non c’è solo la recessione “tecnica” (due trimestri negativi), con l’inflazione alta e in aumento – a differenza degli altri paesi europei: in Germania tornano chiusure e delocalizzazioni.
Il teatro di Shakespeare nei disegni di R. Fludd
Com’era
e come funzionava il teatro di Shakespeare, il Globe Theatre, andato distrutto
in un incendio 410 anni fa, durante una rappresentazione dell’“Enrico VIII”?
Ricostruito l’anno dopo per volere e con i soldi del re Giacomo I, e poi chiuso
definitivamente, così come ogni altro teatro di Londra, dal Lungo Parlamento
nel 1642, nella Prima Guerra Civile Inglese – per evitare produzioni di
“frivolezze e divertimenti lascivi”.
Frances
Yates, la storica del Warburg Institute londinese, ora dimenticata ma già molto
apprezzata dell’esoterismo nel Cinque-Seicento, in Italia e in Inghilterra,
spiegava che l’aspetto poteva essere ricostruito sugli schizzi del “teatro della
memoria” di Robert Fludd, il medico
rosicruciano del primo Seicento. Sui suoi disegni del teatro della memoria che
tentava di propopre sulla traccia di Giulio Camillo (che riproponeva le
tecniche mnemoniche in uso e descritte da Cicerone e altri autori classici, che
la memoria affidavano a parti-immagini distinte dei luoghi dove dovevano parlare:
palcoscenico, tribuna, rostro, foro,.etc.). Disegni realizzati nel1619, avendo
avuto quasi certamengte memoria personale visiva del teatro distrutto e
ricostruito.
Frances
A. Yates, New Light on the Globe Theater,
“The New York Review of Books”, 6 maggio 1966, free online
venerdì 30 giugno 2023
Letture - 524
Biarritz-la-Négresse
–
Cambia nome, nel quartiere periferico di Biarritz, la stazione ferroviaria con
questa denominazione, che serve i treni provenienti da Parigi in direzione di
Irun e della Spagna, Dopo 220 anni. Il nome è ricordato da Nabokov nel racconto ”Primo
amore”, del viaggio estivo che “nei primi anni” del Novecento fece da ragazzo con
la famiglia, la madre, il padre, il fratello, le sorelle, verso la Spagna. Prendeva
il nome dalla donna che all’inizio dell’Ottocento avrebbe gestito l’albergo del
quartiere, per conto di un padrone schiavista, cui i soldati di Napoleone, di
passaggio nel 1813, avrebbero dato il soprannome la Négresse. Resiste invece l’analoga denominazione del quartiere
della stazione, che in origine si chiamava Harausta, parola basca per
“polveroso”: era il nome dell’albergo prima della gestora di origini africane.
Numerose iniziative, politiche e anche
giudiziarie, intraprese a partire dal 1994, quando Biarritz si apprestava a
ospitare un vertice periodico franco-africano, per ridare al quartiere il
vecchio nome basco, che sarebbe tuttora usato dai bascofoni anziani, sono stati
respinti, anche con durezza, dai sindaci, dalle amministrazioni provinciali,
dal governo, dai tribunali. Il ministro degli Esteri del 1994, Alain Juppé, si
rifiutò “categoricamente” di cambiare il nome. Un sindaco qualche anno dopo
rigettò la richiesta come “ridicola”. Una sindaca di sinistra successivamente
rispose che la denominazione era onorifica, testimonianza di una manager
intraprendente in epoca oscura. Altre iniziative furono intraprese per il G 7
del 2019. In precedenza, e successivamente, varie iniziative di parlamentari
socialisti e dello scrittore
franco-senegalese Karfa Diallo, sono state rigettate amministrativamente,
ancora dal comune, dal dipartimento, dal governo. Un sondaggio del giornale regionale
“Sud-Ouest”, di Bordeaux, ebbe nel 2015 una risposta al 94 per cento favorevole
al mantenimento della denominazione, su seimila partecipanti. Due accademie
linguistiche basche si sono ingegnate di trovare un’etimologia locale alla
denominazione, non razzista, anche se senza risultati aprezzabili. Anche la
società autostradale, che fa capo al gruppo Vinci, ex Société Générale d’Entreprises,
il più grande, o il secondo più grande, gruppo di costruzioni e gestioni
autostradali, si rifiuta di cambiare il nome del casello.
D’Annunzio
–
Ma (non) era anche gay? È stato detto? Non sembra, si enumerano sempre
relazioni focose e corrispondenze lunghe femminili. Di donne-donne, cioè, non
in transizione. Mentre molto lascia da pensare il suo maschilismo da caserma,
nelle trincee durante la Grande Guerra, e poi a Fiume, uno stordimento molto macho. E i versi? In “Versilia” si finge
“ninfa boschereccia”, per celebrare scopertamente, dopo molto
ammiccamenti, dell’uomo che guata e insegue, “la tua pelle\ che il Sol feceti fosca.
Snelle\ hai gambe come bronzo lisce”. O. Wilde, per dirne uno, pur confesso, non aveva
ostato tanto.
Ironia
–
Sciascia, “L’affaire Moro”: “Nulla è più difficile da capire, da decifrare, dell’ironia.
E se si può impiccare un uomo muovendogli come accusa una sola sua frase avulsa
da un contesto, a maggior ragione, più facilmente, lo si può impiccare muovendogli
contro una sua frase ironica”.
L’impiccagione che Sciascia deplorava
era figurata e non, riferendosi all’ironia amara che traspariva dalle ultime lettere
di Moro dalla prigionia – quasi si fosse reso conto di essere detenuto da altro,
sorprendente, potere, quello di dargli la morte “per amicizia”, coma “a sua
difesa” – la morte di Moro è una tragicommedia.
Promozioni
–Viene
l’estate e si fa pubblicità ai libri. Ottima cosa, i libri svagano e formano.
La pubblicità è di romanzi. Bene. Ma con ridotto (ripetitivo) tipologia
promozionale: un milione di copie vendute (o tre milioni), anche “un milione e
mezzo” (e “oltre un milione e mezzo”), di copie vendute, tradotto in venti,
trenta, quaranta paesi, autore\autrice “di grande successo internazionale”,
“subito in classifica all’uscita”, “un fenomeno editoriale”, ”già venduto in
trenta paesi”, “il n.1 del New York Times”,:
Sono romanzi, in genere, di amore e
dolore. Per una buona metà, quest’anno, sotto forma di thriller. Di una “investigatrice per caso”, un “padre (prete) Raffaele”,
aspirante pasticciera, tanatoesteta, “la nuova Miss Marple”, una centenaria
(102nne) col mitra. Poi si leggono gli inserti nei giornali, o le anteprime sui
siti, e non si trova niente di cosi “irresistibile”, “senza respiro”, “da
leggere in una notte”. Come promesso.
Le promozioni sono poi in genere assortite della foto dello scrittore o scrittrice, formato tessera abitualmente, quindi face, in genere in età, grigio-nere, tese se non stremate. Che non si capisce se sono messe lì per spaventare - dissuadere.
Prefazioni-Postfazioni
–
Kierkegaard ne compilò un libro. Le idee di cui non scrisse il libro – il summary della saggistica angloamericana.
Tabucchi se le annota, in una delle tante riflessioni che fa del suo romanzo
non pubblicato, “Lettere a Capitano Nemo”, come “meta romanzo”: “Come postilla
al romanzo già scritto”, annota in un’agenda bancaria del 1977 (ora sempre in
“Letttere a Capitano Nemo”, Oscar, p.118): “Perché è di fatto un meta romanzo; è cioè un romanzo che continua, sotto forma
di analisi e di riflessione, il romanzo già concluso. È un romanzo sul romanzo”.
Pseudonimi
-
Due sorelle, Floria e Michela Martignoni, hanno scelto uno pseudonimo maschile,
Emilio Martini. Mentre lo scrittore franco-algerino Moulessehoul firma con un
nome femminile (della moglie), Yasmina Khadra - ma era colonnello dell’esercito
algerino quando cominciò a pubblicare. In Spagna la vincitrice del premio Planeta,
lo Strega nazionale, Carmen Mola, si è rivelata essere tre scrittori, Jorge D
iz, Antonio Marchero e Agustìn Martinez, di mestiere sceneggiatori.
Scrivere
–
Tabucchi lo dice attività “schizofrenica”, in una delle sue “Lettere a Capitano
Nemo”, non spedite, dell’omonimo romanzo non pubblicato p.164). Perché lo scrittore, finito il racconto
o il romanzo, “non è più quello
stesso uomo che scriveva il romanzo…. Ma
si vede e si giudica per quello che era quando lo stava scrivendo”. Una
schizofrenia, aggiunge, che può raggiungere “il numero 3 per esponente”, cioè,
intende, di terzo grado, se “per paradosso…colui che si è per così dire
«scisso» nella personalità di un bambino per scrivere un romanzo, ora,
riacquistata la propria, spieghi le scelte
di un bambino con la sua capacità raziocinante di adulto - che naturalmente non
può essere quella del bambino.
Elucubrato, ma a Tabucchi si attaglia:
il bambino sarebbe quello che, nel suo progetto di romanzo, scrive le lettere a
Capitano Nemo. Le scrive invece di lui stesso, del Tabucchi scrittore – le
lettere sceneggiano e raccontano fatti personali, di vita vissuta, forse ,
perché no, dallo stesso autore qua do era bambino.
Viaggiare –
Chesterston era contro: “Viaggiare restringe la mente”. Anche Emerson:
viaggiare è “il paradiso di un pazzo”. O Pessoa: “Aborrisco nuovi modi di vita e
posti non familiari… L’idea di viaggiare
mi nausea” – lui che dal Portogallo aveva viaggiato in Sud Africa, e dopo alcuni
anni ne era tornato, “traduceva, lavorava, scriveva, studiava e pensava in inglese”
(wikipedia), si faceva mentalmente lunghe trasferte, a Parigi, a Londra, anche
a Roma, e il viaggiare celebrò in celebri versi dallo stesso titolo, come
metafora della vita.
Del rifiuto del viaggio fa il conto la
filosofa magiaro-americana Agnes Callard (“The Case against travel”) che è di
famiglia ebraica, e personalmente è emigrata due volte, da Budapest a Roma, e
da Roma negli Stati Uniti. Dove si trova bene.
letterautore@antiit.eu
La Liberazione (non fu) opera della mafia
“Gli americani, la mafia e lo sbarco in Sicilia del 1943” è il sottotitolo e il tema del libro. Che è una ricerca storica. Al termine della quale si può dire con certezza che nessun accordo c’è stato o è stato tentato, e nemmeno pensato, in nessum momento. Gli “americani”, che in realtà sono gli anglo-americani, l’Amgot, Allied Military Government of Occupied Territory, il governo militare dei
territori
occupati, altro che Sicilia, Italia, Europa o altre grandezzate, insediarono
dei
sindaci mafiosi. Vero, ma molti meno degli onesti - insediavano i maggiorenti
locali, il clima politico più “avanzato” era notabilare. E quando Carabinieri e
Polizia li dissero mafiosi li sostituirono.
Non
c’è ignominia che gli Stati Uniti non perpetuino nei documenti, ma l’accordo
con la mafia per lo sbarco in Sicilia nel 1943, l’Operazione Husk di
proporzioni impensabili, non c’è. Si sapeva – era logico, era ovvio. Altri
storici prima di Lupo lo hanno accertato - meglio, e sempre con documenti, Elena Aga Rossi. Anche storici siciliani, come Saro (Rosario)
Mangiameli. Solo menti malate, se uno ha una minima conoscenza o idea di uno
Stato Maggiore, o dell’impegno organizzativo senza precedenti dello sbarco,
possono pensare alla tenaglia contro il nazifascismo sul continente - dopo averlo
battuto in Nord Africa, provandoci con la Sicilia come un anno dopo in
Normandia, contro il Vallo Atlantico nientedimeno - come una cosa di mafia.
Lupo,
lo storico per antonomasia delle cose di mafia, sa, dopo ottant’anni, che
l’accordo non c’era. Gli Stati Uniti non ci hanno pensato sotto nessuna forma,
nemmeno come boutade, dopo il
successo. E Cosa Nostra nememno, che allora navigava sottotraccia. E semmai si
negava: la famosa liberazione di Lucky Luciano, con espulsione in Italia nel
1946, a guerra defintivamente chiusa, era l’effetto di un accordo, ma con il
sindacato corrotto dei marittimi di New York, per evitare scioperi e
boicottaggi in guerra – accordo mediato da Luciano in carcere.
La
cosa purtroppo è stata ed è creduta. Dai siciliani. Anche di gran nome – anche da
chi non fa molto conto della mafia, come Camilleri, e perfino Sciascia. Che è
grande pretesa, oltre che infondata: della Sicilia che modella il mondo – dopo aver
avvelenato l’Italia ovviamente (di cui è vittima, e non lo sa). Una curiosità: nella ampia bibliografia di Lupo si nota la mancanza proprio dello studio già definitivo di Aga Rossi.
Salvatore Lupo, Il mito del grande complotto, Donzelli, pp. 208 € 16
giovedì 29 giugno 2023
Cronache dell’altro mondo – emerite (237)
Domanda: “Putin è uscito
indebolito dai recenti avenimenti?” Risposta: “È difficile a dirsi, ma lui
chiaramente sta perdendo la guerra in Iraq” - Joe Biden, presidente degli Stati
Uniti, 28 giugno 2023.
“È motivo di grande
imbarazzo per i dittatori, non sapere cosa sta succedendo” – id., detto del
presidente cinese Xi, a proposito del pallone-spia abbattuto negli Stati uniti,
21 giugno 2023.
L’elogio di Bob Kearney, un
triscugino, campione irlandese di rugby, si conclude con un “capace di gonfiare
come una zampogna a rugby i Black and Tans”, le forze speciali britanniche che
terrorizzavano gli irlandesi nella guerra civile dei “Troubles”, trent’anni fa.
Invece, si suppone, dei supercampioni neozelandesi del rugby, gli All Blacks –
id., 13 aprile 2023.
Biden riceve il primo
ministro indiano Modi mettendosi la mano sul cuore, come è l’uso ascoltando
l’inno nazionale americano, mentre si esegue l’inno indiano, lasciando poi
scivolare la mano, lentamente (avvertito per auricolare?) – 23 giugno 2023.
Nella stessa circostanza,
Biden stringe la mano di Modi a oltranza, dimenticandosi per un minuto buono di
lasciargliela.
E se la Russia dovesse
attacare un Paese Nato? “Risponderemmo? O dovremmo guardare dall’altra parte?
Saremmo forti? O saremmo deboli? Saremmo tu, saremmo noi, tutti i nostri
alleati, saremmo uniti o divisi?” - id., 22 febbrario 2023.
“E voglio ringraziare tutti
voi per questo”, una conferenza su cibo e manutrizioe, “incluse personalità
bipartisan come il senatore Braun, il senatore Booker, e la deputata Jackie. È
qui? Dov’è Jackie?”, chiedeva il presidente Biden il 29 settembre 2022
“Jackie”, Jackie Walorski era però morta un mese prima.
“Fine della citazione,
ripeti la riga”, 9 luglio 2022, a conclusione di una conferenza stampa
sull’aborto: la frase è stata letta da Biden sul “gobbo” elettronico, dove
appariva come indicazione, come se fosse parte del suo pensiero.
“Gli Stati Uniti
interverranno militarmente nel caso di un’aggressione cinese contro Taiwan” -
id., 23 maggio 2022.
“Putin può circondare Kiev
con i carri armati, ma non conquisterà mai il cuore e l’anima del popolo
iraniano” – id., “Discorso sullo Stato dell’Unione”, 2 marzo 2022.
“Putin è un criminale di
guerra”, Putin “non può restare al potere” – id., 27 febbraio 2022.
“Pensa che Valdimir Putin
sia un assassino?”, “Sì, lo penso” – id., intervistato a “Good Morning,
America”, 16 marzo 2021.
“Dai, alzati Chuck, fatti
vedere, goditi i meritati applausi! Alzati” - id, a Chuck Graham, senatotre del
Missourti, parapeglico, luglio 2008, nella campagna per le presidenziali, in
ticket come vice-presidente con Obama.
Di Obama, che lo aveva
appena scelto come vice, nella prima campagna prresidenziale: “Il primo
afroamericano in politica eloquente, brillante, pulito e di bell’aspetto”-
giugno 2008
“Sono una macchina da
gaffe” – id, facendo propria la nomea che lo circonda a Washington: tutto il
repertorio sarebbe molto lungo.
Molte le cadute, quando
Biden cammina, e anche da fermo, sul palco.
Viaggiare fa male
“Qual
è la frase più non-informativa che la gente usa dire? La mia scelta sarebbe
«mi
piace viaggiare»”. Un repertorio di un paio di citazioni importanti e vasti
“movimenti di pensiero” contro la dromomania, l’impulso a viaggiare. Un po’
socntati per quanto riguarda il turismo – che peraltro rimane insalfito: si fa
turismo per passatempo, non per imparare, e se si fa in una città d’arte perché
no, non si offende nulla e nessuno. Che è il difetto di questo genere di
argomentazioni, che se non sono brillanti sono fastidiose. Callard, filosofa
peripatetica, che di sé essa stessa dice essere stata diagnosticata autisitca
dopo i trent’anni (un po’ di autismo è adesso il segno del genio), figlia di
ebrei ungheresi molti intellettuali e irrequieti, con un passaggio a Roma nel
1982-1983, prima del visto per gli Usa, se la cava. Un po’ fa anche
dell’ironia sull’anti-viaggio. Di Roma
ricorda che a scuola fu sorpresa dalla madre a spiegare “il cerchio” agli altri
bambini in uugherese, e che nel palazzo i genitori erano malvisti, in quanto
“sporchi e chiassosi”.
E
dunque: “Viaggiare restringe la mente”, G.K.Chesteston
“Viaggiare
e il paradiso di un pazzo”, Ralh Waldo Emerson.
“Socrate
e Immanuel Kant, probabilmente i due più grandi filosofi di tutti i tempi,
votarono con i piedi, lasciando raramente l’alloggio domestico di Atene e
Koenigsberg”.
Peggio
ha fatto e detto Pessoa, nel “Libro dell’Inquietudine”: “Aborro modi di vita e
luoghi non familiari… L’idea di viaggiare mi nausea… Ah, lasciate viaggiare
quelli che non esistono!...”, etc.
Definitivo
Samuel Johnson: “Quello che ho guadagnato viaggiando in Francia è stato
imparare a essere più soddisfatto del mio paese”. Emerson, come Boswell, provò
a viaggiare anche a lungo, ma senza soddisfazione. Di Roma scrive: “Cerco il
Vaticano, e i palazzi. Mostro di essere inebriato da vedute e sugestioni, ma
non sono ebbro”.
Alla
fine un’arringa a somma zero – dopo la prima sorpresa, Chesterston, Pessoa, Emerson,
il dr. Johnson, Socrate e Kant. Callard si ripete (è costretta a ripetersi?),
senza convincere. Ma divertente.
Agnes
Callard, The Case against Travel,
“The New Yorker”, 24 giugno 2023, free online
mercoledì 28 giugno 2023
L’economia del buonsenso
Sembra dire l’ovvio il presidente dell’Antitrust Rustichelli, che l’inflazione colpisce i ceti deboli e non i forti, che anche i
risparmi sono stati intaccati dall’inflazione, per almeno una famiglia su due,
e che il rispamio andrebbe in qualche misura remurato e protetto e non
castigato. Ma lo deve dire l’Autorità Antitrust, non ci sono più giornali in
grado di saperlo e di spiegarlo. Di sapere l’ovvio. In materia di interesse per
tutti.
Così pure l’alternanza alla Banca d’Italia, dopo Visco
il suo ex direttore genrale Panetta. I due uomini, massimi responsabili della
politica monetaria in Italia, che criticarono il bail-in, introdotto proditoriamente (sbadatamente?) dai governi dem
nel quadro europeo – lo criticarono da tecnici esperti, non da sovranisti. E da
quasi un anno ormai non perdono occasione per criticare la dissennata politica
monetaria della Bce di Lagarde, di colpire l’immobiliare e gli investimenti –
la produzione – mandando alle stelle il caro-.denaro.
Non ci vuole molto: Lagarde è una controfigura, della
modesta e povera politica tedesca anti-inflazione della Bundesbank – buttare il
bambino con l’acqua sporca: mandare in recessione l’economia, quella tedesca ma anche quella dei
paesi più legati produttivamente alla Germania, come l’Italia. A nessun effetto
contro il carovita. Ma dove l’abbiamo letto?
Meloni cresce, viva Mitsotakis
Meloni
vince anche in Molise - poco, ma buttalo via. Nomina Figliuolo alla
rcostruzione in Romagna. Nomina Panetta alla Banca d’Italia. E niente, resta
sempre, come si vuole, quella di destra. Ma si celebra curiosamente Mitsotakis
in Grecia, uno di destra, come se fosse il nuovo vento di soave. Curiosamente per
i giornali Pd professi, “Corriere della sera”, “la Repubblica”, “la Stampa”, il
Messaggero”. Che lo celebrano come fanno in parallelo per Elly Schlein. Che
invece è, o sarebbe, di politiche diametralmente opposte, e perde le elezioni,
non le vince.
Uno
strabismo non nuovo, che porterebbe (dovrebbe portare) il Pd a interrogarsi su
tanti amici nei media.
A meno che il Pd non sia
altro che quei giornali, quelli che si professano suoi sostenitori. Che però
tutti insieme non arrivano a mezzo milione di lettori. E poi, perché no, non lo
diceva anche anche
Bersani, che sempre si aggirano gli “amici del giaguaro”, e bisogna stare in
guardia?
Com’era nuovo il calcio 50 anni fa
Il
personaggio è semplice e attraente, il regista garbato e rispettoso, ma la vita
di Gigi Riva non è scontata come lo spettatore presupporrebbe. Sì, le immagini
sono quelle attese di questi biopic: dai primi calci da bambino alla forza e intelligenza
sui campi di calcio, alla dirittura morale eccezionale, da calciatore, da dirigente,
da fumatotre incallito, da anziano malato. Ma le immagini del suo calcio sono
una novità.
È
una novità il calcio dei suoi tempi, cinquant’anni fa: atletismo, forza,
istinto, prodezze e errori. Invece del solito tic-toc tattico cui il calcio si
è ridotto. Dove si risparmiano le forze (il calcio in tv è esoso, molto
ripetitivo), si corre poco, non si inventa nulla, e si vince epr caso – il tic-toc
del Barcellona di Guardiola, che l’aveva inventao per addormentare gli avversari
e scatenare Messi all’improvviso – serpentine, tagli, invenzioni, suggerimenti.
Immagini di un calcio giocato con piacere – rabbia, agonismo, intelligenza,
voglia di vincere. Un calcio di calciatori. Non indagata, ed è un peccato, la rivelazione di Massimo Moratti che suo papà, il creatore di Saras Petrolchimica, a quei tempi la sola industria della Sardegna, col carbone del Sulcis, era di fatto il padrone del Cagliari, e pagò il non trasferimento di Riva alla Juventus - anche questo un altro mondo, quando i ricchi scendevano nel calcio per passione.
Riccardo
Milani, Nel nostro cielo un rombo di
tuono, Sky Cinema, Streaming Now,
On demand
martedì 27 giugno 2023
Se l’eroe dell’Occidente è Prigozhin
È sconfortante leggere nei
giornali italiani e in quelli americani il tifo per Prigozhin. Che è un brigante
– un fatto ben presente oggi ai iministri degli Esteri della Ue riuniti,
perfino al parolaio Borrell, la Farnesina non ha avuto problemi a mettere la cautela
in agenda.
Si potrebbe pensare che è
per l’abitudine ormai ossificata alle “notizie di guerra”. Artefatte per natura;
un genere d’informazione che accompagna in guerra le operazioni militari,
notizie di battaglia. Specialmente insistenti e anche brillanti in questa guerra,
ogni giorno due e anche tre, un grande sforzo che gli inviati si limitano a
sceneggiare - allungare, adattare, caricare di aggettivi e innuendo. Ma Prigozhin,
che fino a ieri era un macellaio, quello che fece fuori la brigata Azov
“martire”, quello di Bakhmut. E lo è in effetti, perché il suo più ricco business è da una decina d’armi, insieme
al traffico d’armi, un esercito di mercenari – come al tempo di Machiavelli.
Che si fa ben pagare dai cacicchi africani e arabi, e ora, in questa guerra,
dalla Russia.
Tutta ignoraza non dev’essere,
i media sono mezzi collettivi, gerarchizzati, non li indirizza un inviato, che
si limita a riscrivere le agenzie, che mediano le notize di guerra. Un Prigozhin
al posto di Putin non è una prospettiva buona per nessuno. Va bene odiare i
russi, se il direttore comanda, ma senza juicio?
La sinistra bancaria
Il Mes dopo il Pos? L’ultima
battaglia della cosiddetta sinistra politica sembra inventata dai suoi nemici,
tanto è bizzarra.Tutto si fa, anche scendere in piazza, per far guadagnare le
banche?
Per il Pos obbligatorio si
sono escogitati il riciclaggio di denaro sporco e le mafie, ma tutti sapevano e
sanno che non è vero. Tutti eccetto i giornali, è vero. Ma questi perché hanno
perso il senno, infatti non li compra nessuno – di Grillo è meglio non indagare,
ma lui si accontenta di poco, qualche presenza pagata, a convegni, inaugurazioni,
piani naturalmente verdi. Il Pos obbligatorio è solo un pizzo sui negozianti,
doppio: l’affitto del terminale e una percentuale degli incassi.
Ora si replica col Mes,
Meccanismo Europeo di Stabilità. Il Mes è in funzione, da anni – anche se
nessuno vi ha fatto ricorso. Quello che non entra in funzione, finché l’Italia
non lo vota, è un allargamento dell’ombrello Mes dal debito pubblico alle banche.
È lecito? No, sono problematiche diverse. Si dice: ma gli altri membri Ue hanno
votato la modifica, perché l’Italia non lo fa? Perché dovrebbe farlo? L’Italia
non ha problemi con le banche, la Bce con le banche italiane non ha mai avuto
riguardi, ha imposto cure pazzesche a Unicredit e voleva il fallimento di Mps.
Non ha fatto l’analogo in Germania, e Francia, dove ora quattro grandi banche,
almeno quattro, hanno problemi, Deutsche, Commerz, Société Générale, Bnp Paribas
- e anche, anche se non si dice, la olandese Abn Amro.
L’Italia può far mancare la
sua solidarietà? Certo che no. Ma non è una cosa di sinistra, anche se è la destra
a chiedere chiarezza - una parola chiara non è troppo chiedere, e sarebbe di
sinistra, l’Europa (l’Italia) ha già pagato troppo l’asse franco-tedesco.
Un film lungo la colonna sonora
Un
po’ troppo lungo, due ore e mezza, e un po’ troppo scontato: L’adolescenza, i
genitori, l’amica, il talent scout, e poi, onnipresente, il manager, l’arcangelo salvatore, dal padre
padrone, dal marito fedigrafo, dalla tossicodipendenza. Ma i due protagonosti,
la britannica Naomi Ackie nei panni di Whitney, e Sanley Tucci in quelli del
manager, calibrati probabilmente sugli originali, quindi non di repertorio,
tengono desta l’attezione. E come già per “Elvis”, altra sceneggiatura non appassionante,
anche questo “Whitney” è un’occasione per ascoltare molte belle canzoni,
ancorate a un filo narrativo, per quanto scontato.
Kasi
Lemmons, Whitney – Una voce diventata
leggenda (Whitney Houston – I wanna dance
with Somebody), Sky Cinema
lunedì 26 giugno 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (529)
Giuseppe Leuzzi
Flannery
O’Connor ha, nel romanzo “Il cielo è dei violenti”, il “Christ-haunted South”,
un Sud (degli Stati Uniti) ossessionato dal Cristo. Analogamente, il nostro Sud
si dovrebbe-potrebbe dire ossessionato dalla Madonna, innumerevoli sono le sue
facce e i suoi riti. Materno, seppure non matrilineare. Quindi non violento?
Bastianich
evoca su “Repubblica-Gusto” le vigne di cui Catania si attorniava. Che erano
scomparse e ora sono ricomparse. Attorno all’Etna in realtà, più che attorno
alla città, ma non importa. Sono ricomparse, fiorenti produttivamente ed
economicamente, con vini di grande qualità, a opera di non catanesi. È così.
Altre
colture, di bianchi robusti e saporosissimi, sono state abbandonate, negli
stessi anni 1950-1960, sulla Costa Viola, i costoni terrazzati tra Scilla, Bagnara
e Palmi in Calabria. E lì il tesoro sembra perduto per tutti – non sono in
vista vignaiuoli dell’Alto Adige, esperti in terrazzamenti.
Erano,
sono, incoltivabili? Nelle Cinque Terre no, dove pure erano soggetti a
dilavamento, non sono stati abbandonati. Con profitto (enorme) di tutti.
Il
Sud è probabilmente l’area europea a più forte consumo pro capite di antibiotici,
calcola l’Agenzia del Farmaco. In Europa i paesi nordici consumano pochi antibiotici,
il consumo pro capite più elevato è in Francia, Grecia, Cipro e Italia, nell’ordine.
Ma in Italia è al livello nord-europeo nelle regioni del Nord, mentre al Sud è
quasi il doppio. Al Nord si registra un consumo di 8,7 “dosi al giorno” per mille
abitanti, al Sud e nelle isole di 15,3 “dosi al giorno”. Per nessun motivo specifico.
Sudismi\sadismi
“Fuori uso il bancomat della
cortesia”: domenica l’altra in prima pagina sul “Corriere della sera” Aldo
Grasso irrideva Musumeci, l’ex presidente della Regione Sicilia ora ministro della
Protezione Civile, delegato agli interventi in Romagna dopo l’alluvione:
“«Questo governo non è un bancomat». Con queste sprezzanti parole … ha
liquidato le richieste che gli amministratori locali di Emilia e Romagna gli
avevano rivolto per far fronte all’alluvione….”. Parole, aggiunge Grasso,
“dette da uno, poi, che ha governato la Sicilia, una regione dove strade e
ferrovie frenano e franano”.
Non è vero, e il giorno dopo
il giornale ha pubblicato la smentita. Musumeci non ha detto “questo governo” ma “il
governo”. Lo ha detto all’intenzione di “un amministratore invitato per mera
cortesia” (il sindaco di Rimini, n.d.r, Jamil Sadegholvaad, del Pd), che “non
può….presentarsi al tavolo e contestualmente alimentare sulla stampa una subdola
campagna di disinformazione e di denigrazione ai danni di un governo che … ha
fatto tutto il possibile, con un impegno senza precedenti per celerità e
quantità”.
La lettera è stata pubblicata integrale.
Con la giusta rivendicazione: “Confermo che il governo non può essere inteso
mai come un bancomat, cioè buono solo a erogare denaro a richiesta. E lo dice,
per rispondere al sottile riferimento di Grasso, un ex presidente che nella sua
regione, in questa materia, ha creato l’Autorità di bacino, attesa da trent’anni,
ha varato il primo Piano contro la desertificazione, ha speso cento milioni per
la pulitura dei fiumi, e destinato al contrasto delle frane circa mezzo
miliardo di euro”.
Aldo Grasso rimprovera Musumeci,
in prima pagina. Musumeci si difende in diciassettesima. Con una lettera al
direttore. Con replica di Grasso.
La scomparsa di
Palmi – un apologo
Sandra Misale, biologa, incaricata
dal dipartimento di oncologia di uno dei maggiori ospedali americani di creare
un Misale Lab per lo studio di nuovi farmaci, si schermisce con Paolo Bricco
sul “Sole 24 Ore” che la incontra a Torino, dove si è laureata: “La mia famiglia
è di Palmi, una città di quindicimila abitanti vicina a Gioia Tauro”. Quasi si scusa.
Anche se non ne avrebbe motivo: “A Palmi”, continua infatti, “mi sono diplomata
al liceo linguistico. Era una scuola sperimentale. Studiavamo tedesco, francese
e inglese e, in più, le materie scientifiche con i programmi del liceo scientifico”.
Lei poi ha studiato biologia
molecolare a Torino, abitando dai parenti emigrati per lavorare a Chivasso, alla
Lancia. La sorella, che lavora anch’essa
negli Stati Uniti, si è invece laureata a Cosenza. Bricco le trova “le
fattezze di chi arriva da quel pezzo di Mediterraneo scosceso e di montagna che
è la Calabria”, “piccola di statura”, che parla “con la vocalizzazione aspirata
di chi è cresciuto in Calabria”.
Però è anche vero che Palmi
era e non è. Era un mandamento-sottoprefettura. Con palazzo di giustizia e scuole
di tutti gli ordini e grado. Con un teatro, che faceva anche l’opera – sono di Palmi
Cilea a Manfroce. Tutte queste cose ce le ha ancora, ma in subordine. A cosa?
Alla sopravvivenza. Aveva ristoranti di culto in posti strepitosi. Aveva la
Marinella – che ha tuttora, ma di fatto impraticabile da mezzo secolo. Ha
ancora il miglio più bello di mare e di acqua di mare, trasparente. Con le
alici e il pescespada. Dall’Ulivarella alle Pietre Nere, un mondo omerico. Ma
non se ne occupa – da vent’anni è provvista di un porto da diporto, ma non lo
ha mai fatto funzionare (nemmeno per il piccolo business dei migranti). Sopravvive, e anzi arretra – la costa jonica
al converso, desertica e afosa, ogni anno si propone con nuove attrattive.
Dice: la mafia. Perché, c’è la
mafia a Palmi? C’è solo a Palmi? È il tradimento della borghesia. La Calabria
ne ha poca, e per di più pavida, cioè inerte – borghesia professionale, per lo
più, quale è tipica di una cittadina come Palmi, magistrati, avvocati,
insegnanti, impiegati della sottoprefettura. L’ultimo scrittore di Palmi, Domenico
Zappone, parliamo di cinquant’anni fa, satirico corrosivo, ne avrebbe ricavato
grande materia, se non avesse ceduto all’impulso di soccombere. I Manetti Bros, Antonio e Marco, nel millennio, avrebbero una miniera spalancata se osassero di più - lo scherzo e la satira sono campi fertili inesplorati, in questa Italia sotto correzione.
Il governo milanese del
non-governo
Milano, il “Corriere della
sera”, “Mani Pulite”, la trama svelata del governo del non-governo.
Mieli a La 7, alla maratona di
Mentana il giorno della morte di Berlusconi, aspetta notte inoltrata, le undici
di notte, quando gli spettatori sono pochi, ma alla fine lo dice. Fu la Procura
di Milano a dargli in anteprima, prima cioè che il destinatario lo ricevesse e
si consultasse con i legali, l’avviso di garanzia a Berlusconi, domenica 20
novembre 1994, che il giorno dopo doveva presiedere a Napoli un forum Onu sulla
giustizia, e invece perse il governo. Un avviso di garanzia per un’indagine,
che poi si rivelerà inventata (poichè la
Guardia di Finaza non aveva scoperto pratiche illegali nelle mille
perquisizioni ordinate nelle aziende di Berlusconi, Berlusconi aveva pagato la
Guardia di Finanza…).
Sulla vicenda, il ruolo di
Mieli, la rivelazione e l’indignazione tardive si può leggere in sintesi
http://www.antiit.com/2023/06/le-trame-non-tanto-oscure-di-mani-pulite.html
Il fatto curioso è che Mieli
non dice tutto – dice che non dice tutto. Per omertà? Per ricatto? Manda
infatti un “avvertimento”: “Non lo dirò qui fino in fondo….”. E dove? E quando?
Ma non c’è dubbio che “Mani Pulite” non solo è stata milanese, ma non poteva
non esserlo. Col “Corriere della sera” e “la Repubblica”, che Scalfari voleva
milanese di spirito. Contro Craxi. Non per fatti personali, o politici (contro il partito Socialista, per conto della Dc o del partito Comunista, le "due culture" celebrate da Scalfari), ma perché Craxi
voleva un governo che governasse, come a lui era riuscito per una congiuntura
rara – aveva vinto un referendum impopolare sulla scala mobile, abbattuto
l’inflazione dal 25 al 3 per cento (sic!), contrastato la strafottenza
americana, mentre schierava gli euromissili, portato l’Italia a competere con la Gran Bretagna per il quarto posto fra le economie mondiali. Craxi non era addomesticabile,
predicava la “governabilità”, e quindi andava abbattuto - era un fascista, un corrotto,
un ladro.
Si dice l’accoppiata giustizia-media,
giudici-giornali, ma no, è Milano – quella c’è, Mieli l’attesta, ma non decide.
Milano odisoamata
Giovanni Gavazzeni fa sul
“Venerdì di Repubblica” un Giacomo Puccini implume esule a Milano al
Conservatorio come un modesto studente
fuori sede vittima oggi nella stessa
città del caro-affitti. Rinchiuso nella “fredda cameretta” che condivideva con
lo scorbutico Pietro Mascagni, per riscardarsi reciprocamente col fiato contro
i geloni, s’immagina. “Lo stambugio di via Solferino” dove sicuramente, può
dire Gavazzeni avendo compulsato l’amplissimo epistolario del maestro,
“condivideva i fagioli mandati da casa”, sempre con Mascagni. Scrivendo di
Milano esacerbato alla mamma: “Città schifosa, sudicia, merdosa, putrida,
caliginosa, infame, scureggialla (?), bifolca, bianca di grappa (almeno fosse di
quella fina), con quel Duomo che pare un panforte di Siena ammuffito in
cantina,… con quei risotti che paiono cacca gialla di bimbi, con quelle
cotolette che paiono guance di parroci rifiorite dai ponci (…) quel parlare
poi! Pare un rutto dopo una sbornia da giovedì grasso”.
Ma, bisogna dire, non
dissuaso. Come gli odierni fuori sede: il caro-affitti non scoraggia le
iscrizioni alle università milanesi – sempre più private, peraltro, quindi molto
più care del letto-in-una-stanza. Puccini era a Milano, a 22 anni, con una
borsa di studio modesta, regalo dela regina Margherita e di un medico amico di
famiglia. E della città era anche entusiasta, sempre nelle lettere a mamma
Albina, al borgo in riva al lago: “Che meravigliosa città. E che gioventù!”.
Entusiasmo che il biografo ultimo Julian Budden condivide, facendo di Milano
negli anni 1880 la città-traino dell’Italia, soprattutto di quella musicale.
Questo non è vero, Milano
contava poco, ed era in crisi economica – in “recessione”. Ma non importa, è
vero che anche l’editoria musicale era già milanese, tra Sonzogno e Ricordi, e
l’editoria e la Scala attiravano i futuri operisti in misura maggiore che
Napoli o altre capitali della musica. Quanto alle lamentele, del cibo, e dell’aria,
si può testimoniare di persona in favore di Puccini. È dai tardi anni1960,
grazie ai fruttivendoli napoletani, che Milano ha cominciato a respirare in cucina: a riconoscere gli ortaggi e le insalate, a
cuocere la pastasciutta. Prima, per mangiare, andava alle trattorie toscane (dove però, ancora, le verdure si limitavano a lessarle).
leuzzi@antiit.eu