sabato 8 luglio 2023
Ombre - 675
Politicheide
La guerra allontana l’effetto serra?
O
è l’informazione?,
9, 15, 10, il dottor Chiné ha dato i numeri, è il suo
mestiere, e il presidente Gravina ne mena vanto: abbiamo in introdotto nel
calcio la certezza del diritto. Vero, lo dice sui giornali, risentito anche.
Malizia senza malizia
Laura
Antonelli senza “Malizia”. Da bellissima, impersonatrice dell’eterno femminino
per il pubblico italiano e di mezzo mondo, negli anni 1970 e anche dopo, grazie
al film “Malizia” di Salvatore Samperi, alla disgrazia: la droga, l’arresto,
l’indigenza, la morte solitaria, in un bilocale di un palazzone di Ladispoli,
ascoltando radio Maria. Ma non una parabola morale, moralistica. È una
carrellata sul mondo dello spettacolo, che è solido, ed effimero – in fondo,
anche Samperi, che pure aveva più solidità, sociale e culturale, di Laura
Antonelli, ha fatto un po’ lo stesso tragitto, con film di seconda e terza categoria, dopo il botto iniziale con “I
pugni in tasca”, consolidato poi dal successo mondiale di “Malizia”, e una
morte solitaria.
Spezzoni
dei film montati con abilità, e testimonianze d’epoca e recenti (soprattutto
quelle di Giannini e di Placido, che
hanno dato spessore al personaggio filmico di Miss Malizia) fanno il docufilm
sempre per qualche aspetto interessante. Contribuiscono anche i rumori di
fondo, il Sessantotto, gli anni 1970 del “vogliamo tutto”. L’esumazione fila
con ritmo e vivacità. Per dare un’idea del personaggio, Luchino Visconti, che
era molto snob, la diceva la donna più bella del mondo – come a dire desiderabile
anche da lui, che era omosessuale. Jean-Paul Belmondo aveva lasciato per lei
Ursula Andress.
Bernard
Bédarida-Nello Correale, Senza Malizia,
Rai 3, Raiplay
venerdì 7 luglio 2023
Le barricate dei magistrati
A p.1 il “Corriere
della sera” depreca, con Franco, “la tentazione (sbagliata) del muro contro
muro”, di Meloni che critica la giustizia politica. Nel settimanale dello
stesso quotidiano Polito depreca la persecuzione giudiziaria del sindaco di
Norcia, condannato e assolto poi ricondannato e probabilmente riassolto perché
dopo il terremoto del 2016 ha autorizzato alcuni manufatti in legno, non fissi,
per dare un segnale di rinascita. Tra essi una “struttura costruita con i fondi
della sottoscrizione lanciata dal Corriere
e da La 7, «firmata» da Stefano Boeri”. Perseguito non per altro, per
abuso d’ufficio, l’ipotesi di reato che tutti deprecano. Salvo, come ha fatto
lo stesso giornale, dissociarsi del governo che vuole abolirlo.
Non è
cerchiobottismo, è pavidità. Non c’è dubbio, Meloni o non Meloni, che la
magistratura fa politica. Fa politica in sede giudiziaria. Fa giustizia
politica, l’abominazione delle democrazie. Non da ora, e ha prodotto molti
danni. Contro Berlusconi, complice a suo tempo lo stesso “Corriere della sera”.
Ma anche, quando capita, contro il Pd.
Perché questo
non si dice? Non si può dire, e per quale motivo? Otto anni fa Umberto Eco, non
Meloni, aveva raccontato l’abominio del giornalismo nel suo ultimo romanzo, “Numero
Zero”. Si vuole dare ragione a Eco, anche in fatto di giornalismo?
Cronache dell’altro mondo – anti-affirmative (239)
La Corte Suprema degli
Stati Uniti ha condannato la “affirmative action” nelle procedure di ammissione
all’università in favore delle “razze colorate”, come contraria al 14mo
Emendamento – il disposto costituzionale della “equa protezione”, tutti gli
esseri umani, dovendosi trattare, a prescindere dalla razza, alle stesse
condizioni davanti alla legge.
La Corte ha rovesciato, in
una delle tante cause avviate da giovani “bianchi” contro le università, in
questo caso contro Harvard e contro l’università della North Carolina, il principio
su cui la “affermative action” era stata introdotta nel 1965, a protezione
degli svantaggiati, essenzialmente i giovani di colore.
La Corte ha rovesciato la lettura
delle statistiche prodotte nella difesa di Harvard. Prendendo il caso degli
studenti candidati all’ammissione con un punteggio rientrante fra il 10 per
cento migliore. Un asiatico (la “affirmative action” prescrive che i candidati
si classifichino razzialmente)avrebbe il 12,7 per cento di possibilità di
entrare a Harvard. Un bianco il 15,3 per cento. Un ispanico il 31,3. Un nero il
56 per cento.
Allargando le maglie, un
bianco che rientrasse nel miglior 40 per cento dei canddati avrebbe meno del 2
per cento di possibilità di essere ammesso. Un asiatico meno dell’1 per cento.
Un ispanico meno del 5 per cento. Un nero il 12,8 per cento. Un nero, cioè, che
rientrasse nel 40 per cento avrebbe avuto più opportunità di un asiatico che si
fosse classificato nel miglior 10 per cento.
La decisione della Corte, a
maggioranza conservatrice, non è stata criticata questa volta come reazionaria.
La politica universitaria di “affirmative action”, nota anche come “azione
positiva” o “discriminazione positiva”, è emersa negli Stati Uniti, su
inziativa del presidnte Lyndin Johnson, nel 1964 e nel 1965, nell’intento di
favorire il miglioramento sociale delle comunità marginalizzate. Nel caso delle
università si era tradotta in un accesso di favore per i giovani di famiglie razzialmente
disagiate o discriminate, che però si concludeva il più delle volte, secondo
un’inchiesta dieci anni fa del magazine progressista
“The Atlantic”, con abbandono e dispersioni – cioè con costi per le famiglie
senza opportunità reali.
Racconto felice di un’infanzia piena – del filosofo del niente
Niente
padre (quindi niente Super-Ego – ma è sicuro?). Accudito da un nonno “Victor Hugo”, teatrante e invadente – ma col nipote la giusta misura: uno Schweitzer
alsaziano e protestante che ha sposato una cattolica. La quale non gli parla: “Attorniata
da virtuosi commedianti, aveva preso in odio la commedia e la virtù. Questa realista
così fine, sperduta in una famiglia di spiritualisti grossolani, si fece
voltairiana per sfida senza avere letto Voltaire”. Con una mamma tutta per sé – anche se
obliterata dal nonno suo padre - “cinquant’anni più tardi, sfogliando un album
di famiglia, Anne-Marie”, la madre, “si accorse che era stata bella”. Anne-Marie aveva avuto Jean-Paul a 23 anni, e viveva ancora, accudita dal figlio a Parigi, quando il libro fu pubblicato, nel 1964.
Un
avvio di fuochi d’artificio, brioso, scanzonato, tutto cose, che in qualche
modo resiste per le duecento pagine. Cento per “leggere”, che fu facile e anzi
la sola occupazione, il solo “gioco”, e
cento per “scrivere”, che invece fu difficile – e si sa, si è visto. Il vizio
di riflettere a ogni parola è ancora circoscritto – rispetto ai racconti del
“Muro”, al romanzo della “Nausea”. Questo che oggi si direbbe un memoir, il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza
dell’autore, fila via tra invenzioni sempre appuntite, tagli virtuosi, personaggi
vivi e vari, non ce n’è uno stereotipo. Specie sugli Schweitzer, luterani alsaziani che nella catastrofe del 1870 avevano scelto la Francia. E sui matrimoni di Fine Secolo, di coppie che non si corteggiavano e non si stimavano (parlavano) ma facevano figli - di sessualità animale? per accrescere il patrimonio? Con un paio di pagine acute su Paul Nizan, futuro grande amico alla Scuola Normale, qui intravisto per qualche settimana o mese alla scuola media. Sul fondo del mammismo, il legame stretto con Anne-Marie, la madre-sorella, che avrebbe poi trasposto nelle innumerevoli e concomitanti relazioni femminili. Innocenti, non adulterine, ma come incestuose: qui fa sapere, in nota, di avere “a lungo sognato di scrivere un racconto su due ragazzi perduti e discretamente incestuosi”. Tra lampi di grande storia. Anche se presto si impongono le autoanalisi, il vizio adulto sovrimpresso al bambino.
Sul
piano personale la constatazione di avere scoperto il mondo nei libri. Nelle
idee del mondo invece che negli eventi, le cose, le persone. “Ho confuso il disordine
delle mie esperienze libresche col corso rischioso degli avvenimenti reali. Da
qui venne quell’idealismo da cui ho messo trent’anni a disfarmi”.
Opera
tarda, di Sartre sessantenne, invischiato nella politica, nell’alcol e nelle
anfetamine, oltre che nella (controversa) fenomenologia, che invece fa mostra
di una freschezza inossidabile, una sorta di opera prima. Un’infanzia
privilegiatissima, raccontata con humour, e con qualche insegnamento, perché
no. Per il pubblico dei lettori, e personale. In particolare per la ginecomania:
una bambino cresciuto con una sorella grande, la madre Anne-Marie, che avrebbe voluto
anche una sorella minore, cui fare da compagno e maestro - che non è “scientifico”
ma rende l’idea.
L’edizione
tascabile francese è arricchita di un indice dei nomi propri ricorrenti, e
delle opere citate, delle lettura del giovane Sartre.
Jean-Paul
Sartre, Le parole, Il Saggiatore,
pp.192 € 21
Les Mots, Folio, pp. 212 € 6,50
giovedì 6 luglio 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (530)
Giuseppe Leuzzi
L’Umberto
Umberto di “Nonita”, la non eccelsa parodia
della “Lolita” di Nabokov che Umberto Eco scrisse per “Il Verri” e poi riprese
in “Diario minimo”, si fa forte dei “cromosomi meridionali di un ascendente
calabro”. Eco non lo sa, ma parodia il luogo comune tuttora corrente, malgrado
il politicamente corretto, nella pornografia come nei racconti di viaggio e
anche in letteratura, dei “negri”, degli africani.
Coraci,
il ragazzino del libro “Cuore” recentge “immigrato
da Reggio Calabria”, ricorre poco nella penna del diarista Enrico Bottini. Ma
sempre come “il Calabrese”. È l’unico denominato per l’origine o appartenenza.
Solo i maestri chiamano Coraci col cognome. Ma il maestro
che, in un diverbio tra Coraci e Nobis, dà ragione a Coraci, gli parla col tu, mentre
usa il voi con Nobis.
Se è del Sud va bene solo
santo
Rocco Commisso,
l’imprenditore calabro-americano che ha investito a Firenze per la squadra di calcio
tra una cosa e l’altra 6-700 milioni, è amareggiato. Ma non si fa illusioni.
All’Istituto Italiano di Culura a New York, che lo festeggiava per l’inclusione
nel “W all of Fame”, il muro degli immigrati illustri, ha ricordato: “È dal
tempo de Medici che non veniva qualcuno a investire a Firenze”. Per aggiungere
subito dopo: “L’America èd avvero la terra delle opportunità, e lo dico a nome
dei tanti meridionali che hanno dovuto lasciare l’Italia anche per i pregiudizi
che al Nord si nutrono nei loro confronti”..
Non ci può essere un profeta
del Sud a Firenze? Che pure ha avuto l’ultimo barbaglio della Gloria antica
grazie a un uomo del Sud. La Pira. Non se è un uomo del Sud capace (fortunato)
in affari – santi di chiesa ce ne possono essere, La Pira come Padre Pio.
L’amicizia è cieca e sorda
Muore suicida l’assassino,
uno degli assassini, di Lea Garofalo. Un amico di Lea. Uno che non aveva parte nella faida quarant’anni fa tra i
Comberiati-Garofalo e i Ceraudo-Cosco di Petilia Policastro in provincia di
Crotone, combattuta ultimamente a Milano, per piazzarvi le droghe. E nelle traversie
successive del “pentimento” di Lea, una
Garofalo avventata che aveva sposato un Cosco. Da cui aveva avuto una figlia.
Fino a quando non aveva scoperto la vera natura degli affari familiari, di
appartenenza e acquisiti. E all’assassinio, a Milano, di un fratello da parte di un cognato Cosco aveva
deciso di raccontare tutto alla giustizia, degli affari delle sue due faniglie,
di origine e acquisita.
Tutto bene fin qui, normale,
comprensibile. Poi Lea decise di uscire dal programma di protezione dei
testimoni, volendo eredere alle promesse di ravvedimento dell’ex marito – che
intanto l’aveva rintracciata, benché “protetta”. .Ma l’ex marito aveva solo un
piano di vendetta contro Lea, e tra vendetta e amicizia riuscì a coinvolgere
nei suoi piani il suicida di oggi. Nella parte peggiore dell’assassinio di Lea,
l’occultamento del cadavere. Operazione che i gialli e le cronache giudiziarie
tendono a liiquidare come succedanea, roba da poco, e invece è la più crudele:
lenta, lunga, richiede occhi e naso
tappati, determinazione costante, e un cuore di pietra – si può uccidere
d’impulso, l’occultamento è pratica sadica. Perché il suicida, che non era uno
spacciatore né un assassino, si è fatto coinvolgere? Per amicizia, con l’ex marito
di Lea. Fra coetanei, in paese.
La prima volta, al primo
progetto dell’ex marito Cosco di uccidere Lea, il suicida aveva provato a
dissuaderlo, e c’era riuscito. Poi, a cose fatte, aveva “aiutato l’amico”.
Un suicidio, seppure a distanza
di anni, mostra una certa sensibiltià:un suicida è uno che prova de sentimenti,
non un tronco carbonizzato come sono i killer di mafia, gli Spatuzza, i
Contorno, i Brusca, per quanto “pentiti”. E dunque? C’è una maniera ingovernabile,
cieca, di sentire l’amicizia.
Il patriarcato del Sud è materno
Melissa Errico, attrice,
cantante, regina del ,musical a Broadway, cognata di McEnroe (ne ha sposato il
fratello minore), bellissima, una che sa, come Joyce, che “il music-hall, non
la poesia, è la critica della vita”, non rcorda nulla delle origini italiane -
Errico è tuttora censito nome del salernitano. Non del padre Michael, benché
distin to ortopedico, nonché pianista – col quale Melissa spesso si accompagna
(il fratello, Mike Errico, è pianista jazz di professione). Benché studiosa
all’università, al corso di Belle Arti, di Artemisia Gentileschi. Di cui pure
tradusse una parte del processo per stupro, come prova di ammissione allaYale
Drama School. Tradusse dall’italiano all’inglese, quindi con una conoscenza
dell’italiano abbastanza buona, per saper leggere un testo del Cinquecento.
Melissa non ricorda nulla
eccetto che per un particolare. “Io vengo da una famiglia di immigrati italiani”,
ricorda parlando con “Forbes”: “La madre di mia madre, Carmela, arrivò
dall’Italia, insieme con la sotrella Rosa. Lavoravano come sarte”. Rosa
arrotondava la sera come guardarobiera in un ristorante, addetta ai cappelli. Qui la
notò Ziegfield, e Rosa divenne una Ziegfield Girl, in giro epr gli Stati Uniti,
tutta piume, lustrini e canzone: “Io sono spiccicata zia Rosa (Rose)”. Due foto apppaiate lo confermano.
Il patriarcato del Sud è materno.
Lo notava già Corrado Alvaro nel 1952, teorizzando “Il mammismo”, nel (breve)
saggio omonimo. Che fu letto come una bizza, una agudeza, contrastando il.terreno ritenuto inscalfibile del patriarcato – c’era o non
c’era il delitto d’onore (senza andare a vedere il ruolo in esso delle madri,
come tuttora avviene in Italia nel caso delle ragazze di famigla islamica che
vogliono affrancarsi)? Si vede che la “donna del Sud” è ancora terra incognita.
Onora
la mafia
Capita di
leggere la ricerca documentaria di Salvatore Lupo sullo sbarco alleato in
Sicilia nel1943, che non fu ovviamente opera della mafia, e insieme di vedere
per caso il vecchio film diPif, “In guerra per amore”, il primo di Pif, sul
tema contrario, di un giovane siciliano emigrato a New York che nel 1943 puo’
tornare in Sicilia, per chiedere la mano della fidanzata senza spese grazie
alla mafia, che organizza l’Operazione Husky, il grande sbarco. Senza ironia:
il Pif ironista qui si vuole (quasi) serio (paragona la mafia ai partiginai,
nella predentazione del film….), benché sappia che la spara grossa.
C’è
compiacimento in Sicilia per questa balorda “visione della storia”, tutta
mafia. Camilleri ne era convinto. Sciascia no, ma si capisce che gli avrebbe
fatto piacere – era pur sempre covinto che la “linea della palma” avesse invaso
l’Italia. Lupo il suo libro, sul tema “gli americani, la mafia e lo sbarco in
Sicilia del 1943”, deve intitolare “Il mito del grande complotto”. E non ha
convinto i credenti: la sua ricerca è stata più criticata, nell’isola, che
lodata.
È un’idea
persistente, questa della Sicilia che domina ilmondo, sia pure con la mafia. Sarà
per questo
che la Sicilia non diventa la California dell’Italia, come da mezzo secolo, se
non di più, si candida a essere – avendone tutti i titoli, compresa Hollwood, i traggediaturi, giudici,
pentiti, killer a gogò- Difetta di dark ladies,
questo è vero – pur avendo molte bionde (ma anche le more andrebbero bene).
Eco minimo
Riproposto con una copertina
lieve, si rilegge come una cappa: ancora dieci anni fa divertiva, ora non più.
Perso lo smalto, il brio, e più nei “pezzi” famosi, la fenomenologia di Mike
Bongiorno (“il valore della mediocrità”), l’elogio di Franti, il cattivo del
libro “Cuore”.
Sono parodie, avvertiva Eco
all’edizione 1975 (e avverte oggi), ma grevi. Non sono pastiches – “pasticciare” è tutt’altro genere (vi eccelleva Proust,
“i pezzi alla maniera di”). E non sono satire. Potrebbe esserla la rilettura dei
“Promessi sposi” come fossero l’“Ulisse”, la giornata particolare di Joyce, ma
Manzoni non si dileggia, e alla fine non si ride. Sembra anche strano che si
ridesse dell’“uomo-massa”, della “cultura di massa” (“Industria e repressione
sessuale in una società padana”). Sono critiche, un po’ spiritose, ma non più
tanto.
La scelta che “creò” Eco, della
rubrica mordace che teneva sul “Verri”, la rivista dell’innovazione letteraria,
insieme con “Opera aperta” (e dopo “Filosofi in libertà”, l’esordio
goliardico). dissacratore, acuto, divertente, ora è muta. I punti di vista, gli
approcci, le inversioni, le gag sono sempre di grande inventiva: i Borboni
patriottici e Mazzini austriacante, il lavorio del papa (Paolo VI?) per la
riabilitazione di Satana, la Chiesa (in Italia) laica e mondana mentre
l’Industria è ascetica…. “Diario minimo” era ben una rubrica satirica. Ma non
si prestano a “trattazioni”, a spiegazioni. Nelle quali invece Eco si perde, da
candidato semiologo – da filologo fa la parodia della filologia.
Resiste
il goliardico “Do your movie yourself”, fatevi il vostro film, con i quadri in
serie suggeriti a registi vari, Antonioni, Olmi, Visconti, Godùard, etc., sempre
in carattere con la cifra del maestro. E qualche pezzo serio. “Dove andremo a
finire?” soprattutto, scritto nel 1963 per la seconda edizione della raccolta.
che accendeva la luce sull’opacità dell’informazione, dell’opinione pubblica.
Già sessant’anni fa, dunque, ben prima dei social da macello – ma dell’opinione
pubblica Eco è stato sempre lettore acuto e fine, da bravo semiologo, da ultimo
nell’ultimo romanzo ,“Numero Zero”.
Umberto Eco, Diario minimo, La Nave
di Teseo, pp. 192 € 14
mercoledì 5 luglio 2023
Problemi di base nomadici 2 - 755
spock
“I sentieri si costruiscono viaggiando”,
Kafka?
O si distruggono?
Si viaggia perché si ritorna – per raccontarsela?
Il viaggio è’ un racconto?
Il vero viaggio è senza meta?
È come uscire all’aria, meglio se in un
paesaggio diverso, con un’aria diversa?
spock@antiit.eu
Se gli Stati Uniti fossero stati un Canada
“E
se è stato un errore fin dall’inizio? La Dichiarazione d’Indipendenza, la
Rivoluzione Americana, la creazione degli Stati Uniti d’America – se tutto
questo fosse stato un’idea terribile, se le ingiustizie e la follia della vita
americana dopo d’allora non sono malgrado le virtù dei Padri Fondatori ma a
causa loro? La Rivoluzione, si potrebbe continuare, fu un innecessario e
brutale attacco di panico degli schiavisti contro il chiacchiericcio
dell’Illuminismo, creando un paese che è sempre stato segnato da violenza e
scontri e demagogia. Si guardi a nord al Canada, oppure al Sud all’Australia e
si vedranno differenti possibilità di evoluzione pacifica lontani
dall’Inghilterra, da paesi normali e uniti, più giusti e meno sanguinari”.
Gopnik
sa che “la Rivoluzione è il nostro ultimo baluardo”. Ma sa che la storia
successiva non è
stata
esemplare. Un’ipotesi non provocatoria, questa che la rivista ripropone per la
festa
dell’Indipendenza.
Ipotizzata da un vecchio saggio,del 2017, del suo scrittore di punta. Che è di
famiglia
ebraica, americano di origine e poi di attività, ma cresciuto in Canada negli
anni degli studi
superiori
e dell’università. La sua non è però una provocazione, ma la lettura-recensione
di tre libri
di
storia, loro sì rivoluzionari, sulla “rivoluzione” americana, sulla guerra d’Indipendenza.
I tre libri,
non
tradotti in italiano, sono: Justin du Rivage, “Revolution against Empire”
(Yale), Holger Hoock,
“Scars of Independence” (Crown), e Jonathan Israel, “The
Expanding Blaze”. Le prime due ricerche
Eversive. La terza invece in linea, patriottica, ma lungo
la linea tracciata quarant’anni fa dal decano
degli storici americani,GordonWood, “The Radicalism of the
American Revolution”: malgrado
brutalità e ipocrisie, quella americana fu una rivoluzione
nel senso che sradicò millenni di teorie e
pratiche di poteri ereditari, divini, più o meno assoluti.
Gli studi di Du Rivage (ricercatore a Yale) e di Hoock,
professore a Pittsburgh, specialisti di storia inglese, sono piuttosto sul lato
britannico della questione indipendenza, fra Whigs Radicali e Riformatori
Autoritari, del No Taxation without
Representation radicale contro il Taxation
NoTiranny - titolo del libello
commissionato a Samuel Johnson, in qualità di saggio, nel 1775 per
controbattere le richesite americane.
Tutt’e tre le pubblicazioni concordano che la Rivoluzione
fu brutale, molto più di quanto il mito della stessa riconosca. “Pagina dopo
pagina,”, spiega Gopnik, “il lettore sbianca alla lettura di massacri e
contro-massacri, di frustate e stupri, di baionette inastate conficcate nei
corpi a più riprese, di gare a impiccagioni e assassini. L’effetto è più allucinante
per l’ambientazione: questi orrori si producono non in Polonia o in Algeria ma
in quelle che ora sono le aree di sosta lungo l’autostrada I-9, in Connecticut
e New Jersey, in un tempo che ancora immaginiamo di cappelli a tre corni e del
clip-clop di carrozze hollywoodyane su strade acciottolate”. E convergono nella
conclusione che un allentamento, invece che un distacco radicale, del legame
con la Gran Bretagna avrebbe accelerato l’abolizione della schiavitù, evitando
la guerra civile, e avrebbe ridotto, se non impedito,la caccia ai nativi
americani, sotto le varie insegne via via adottate.
Hoock richiama “The Patriot”, il film sulla Rivoluzione di
Mel Gibson, pur non apprezzando il senso politico dell’attore-regista, come il
quadro più veritiero della Guerra d’Indipendenza – analogo al film “La Passione
di Cristo” dello steso Gibson: i nostri miti favoriti sono imbevuti di
violenza, di sangue.
Adam
Gopnik, We could have been Canada,
“The New Yorker”, 15 maggio 2017, free online
martedì 4 luglio 2023
Problemi di base nomadici - 754
spock
“Viaggiare è affascinante solo a posteriori”, Paul Theroux?
“La strada è la vita”, Jack Kerouac?
“Si viaggia non cambiare luogo, ma idea”,
H.Taine?
“La vita
è un viaggio e chi viaggia vive due volte”, Omar Khayyaam?
“I veri viaggiatori partono per partire e
basta”, Baudelaire?
“Viaggiare è come innamorarsi, il mondo
si fa nuovo”, Jan Myrdal?
spock@antiit.eu
Non si abbatte il diverso
Non è un referendum, ma 50 mila donatori in Francia per il poliziotto killer e solo 12 mila per il ragazzo da lui ucciso riflettono le proporzioni in Francia fra “francesi francesi”, che si sentono francesi a quattro quarti, compresi gli italiani e gli spagnoli immigrati anteguerra, e i francesi recenti, immigrati di seconda generazione, africani – maghrebimi, subsahariani. Questi animati dal risentimento per il passato coloniale della Francia, quelli risentiti dal risentimento - le colonie sono finite in Algeria, quindi sessanta anni fa.
Che i 50 mila siano stati
organizzati politicamente non conta. Anche i 12 mila lo sono stati.
Non è nemmeno una questione
reddituale, o di posizione sociale, residenziale. Tra le città e la campagna di
una volta (le jacqueries”), tra
periferie e centri urbani, tra poveri e ricchi. Ma di “differenza”. Che non è razziale
o di colore, però lo è: finisce per esserlo nella divisione attuale. Gli italiani
“ritals” non erano discriminati dal Fronte Popolare nel 1936 per il colore,
questa differenza non c’era. Ma c’era.
Ci vogliono generazioni per
“assorbire” il diverso. Anche senza colpe (prevenzioni) specifiche – coloniali, politiche,
di colore, razziali. Non si abbatte il diverso. Non con la pistola, ma neanche
con le buone parole.
Come vincere la malinconia, da sradicati
Scherzi,
“Il poeta dimenticato”. Ricordi familiari, “Primo amore”, la moglie “Elena”
invece che Vera, “la figlia” invece del figlio Dmitri. La passione per i
lepidotteri, “L’Aureliano”, e un po’ ovunque. Memorie pietroburghesi
disseminate qua e là: le automobili col muso, silenziose (le prime erano
elettriche), gli abiti a trenta bottoni,
i tram a cavallo - “il tempo è il riflusso” (“Mademoiselle O”). Traversie da
russi apolidi: commissariats,
domande, domande per spiegare le domande, e attese - “L’atreplice”, “Quadro di conversazione, 1945”. I
vaneggiamenti dell’amore: “Una bellezza russa”, “Primavera a Fial’ta”, il
crudele “Che una volta in Aleppo…”, l’amorevole “Segni e simboli”. Il grande
stomaco russo: i generali, i pogrom, “Scena dalla vita di un doppio mostro”. E
più spesso il nulla. Il viaggio vinto alla lotteria, tra emigrati, con compagni
sconosciuti (“Nuvola, lago, castello”,…), la vita degli émigrés, povera e furfantesca (“L’assistente del produttore”), Lancillotto
nello spazio, tra le stelle (“Lance”).
Racconti
piani, in genere senza finale (sorpresa). Molta ironia, sparsa con leggerezza
ma incomprimbile - “l’era
dell’Identificazione e Tabulazione”, “lo
Zio Sam e i suoi Rooseveltiani occhi blu”, il mondo vissuto da specie
transeunti. Il russo nato nell’affluenza e il potere, tra saloni, dacie,
governanti e viaggi “in Europa”, Wiesbaden a cinque anni, Biarritz a dieci, finito
ramingo e quasi indigente, orfano di padre
assassinato, vittima delle burocrazie, specialmente feroci con i sans papiers, a caccia perpetua di un
impiego decente, si salva con lo sguardo distaccato. Perseguitato (protetto?)
dalla memoria sempre e ovunque. E quindi dalla Russia, in qualche modo. Compassionevole.
Anche con i generali – quelli oggi di Putin non sono un’invenzione: grassi,
lenti, abulici. La realtà-irrealtà. Tanto precisa, circostanziata, datata,
quanto indefinita. Che il personaggio femminile, diverso, inattingibile,
esemplifica e moltiplica. Uno psicologo (o un neurologo?) direbbe: come vincere
la malinconia, da esuli volontari oppure ostracizzati, comunque sradicati.
Temi
crepuscolari, a parte qualche brio d’ironia, che è il fondo di Nabokov.
Talvolta per questo sorprendenti. Si fa negazionismo in salotto a New Yorl nel
1945 (“Hiltler era buono e bravo”….). Una White Warriors Union, nell’edizione
anglo-americana, la banda poco poco affidabile russi Bianchi, antisovietici
emigrati, scimmiotta la WWI americana, l’internazionale dei lavoratori. Nella
Russia attanagliata dalle rivoluzioni si vendono per strada “Le avventutre del
marchese de Sade” e le “Memorie di un’Amazzone”. Non manca l’amato Cechov del
Nabokov professore - dopo Puškin:
“L’erompente dama di Cechov che moriva per essere descritta”. E della
Germania, da russo fuoriuscito accolto per molti anni a Berlino, profetizza che
“con tutti i suoi molti neri peccati, rimane lo zimbello del mondo”. Il mondo variegato dei tanti
russi (siamo alla terza ondata in un secolo) cittadini del mondo.
Nabokov
manca ancora di un’edizione critica. Gli slavisti non se ne occupano, gli
americanisti nemmeno. Si pubblica quello che il figlio Dmitri ha curato – e in
molti casi ha tradotto, da cantante d’opera italianista. Difficile quindi
“sistemare” la raccolta nell’opera sua.
Sono
racconti scritti prevalentemente in inglese. O tradotti in inglese dallo stesso
Nabokov per la pubblicazione in libri e raccolte. Tre racconti erano stati scritti
originariamente in russo: “L’Aureliano”, Primavera a Fi’alta” e “Nuvola,
castello, lago”. Uno, “Mademoiselle O.”, era stato scritto in francese. Solo
“Mademoiselle O.” e “Primo amore”, avvertiva Nabokov in precedenti edizioni dei
racconti in America, “sono (eccetto che per i nomi cambiati) rispondenti in
ogni dettaglio alla vita dell’autore come la ricorda”.
Sarà
stato un problema per i traduttori, Franca Pece, Anna Raffetto, Ugo Tessitore.
E per l’editore: tradurre Nabokov dall’inglese, dalle traduzioni-adattamenti in
anglo-americano, o anche dal russo, e dal francese? La traduzione è l’attività
che ha maggiormente occupato lo stesso Nabokov, più probabilmente della caccia
e la cura delle farfalle. Uno scrittore che si può dire traduttore, dell’“Onegin” di Puškin tutta la vita, e nella
seconda vita dei suoi innumerevoli racconti e romanzi in anglo-americano.
Come
in “Lolita” e gli altri titoli famosi, anche nei racconti la frase è sempre
elaborata. Queste traduzioni attutiscono l’elaboratezza, gli “originali”
americani curati e licenziati da Nabokov al contrario la accentuano. Per il
vocabolario, preciso ma poco colloquiale, e frasi brevi che invece di
semplificare complicano, divagano – sembrano divagare alla prima lettura. Una
accuratezza-divagatezza si direbbe alla Henry James, quasi una parodia. Ma
fuori tempo e forse per questo legnose? È il problema che Edmund Wilson aveva
sollevato sul Nabokov “americano” – un’osservazione che ruppe un’amicizia.
Vladimir Nabokov, Una bellezza russa e altri racconti, Adelphi, pp. 758 € 38
lunedì 3 luglio 2023
Cronache dell’altro mondo – bideniane (238)
Scende in campo Obama per
sostenere la riconferma di Biden tra i Democratici alle primarie per il voto
presideniale del 2024. Una novità nella storia costituzionale di fatto degli
Stati Uniti – gli ex presidenti si astengono dalla politica attiva.
L’iniziativa dopo un
sondaggio che dà un Democratico su tre orientato alle primarie in favore di
Robert F. Kennedy.
Il sondaggio, condotto tra
il 20 e il 22 giugno, in un momento quindi non sfavorevole a Biden, ha
impensierito la Casa Bianca e la direzione del partito Democratico.
Una maggioranza larga di
Democratici si è espressa contro Kennedy. Il 38 per cento si è dichiarato
contro, e il 18 per cento “molto contrario” a Kennedy. Il 36,5 per cento a lui
favorevole implica però che presto o tardi Biden dovrebbe confrontarsi con lui
in un dibattito pubblico. Con la certezza, in questo caso, di perdere il
confronto, dati i recenti vuoti di memoria e la lentezza di riflessi del presidente.
Quando Petrucci cacciò Gentile
È amareggiato l’ex
calciatore Gentile, l’anti-Maradona del Mondiale di Spagna1982, dopo la fine
brusca dell’Europeo di calcilo Under 21, che da allenatore di quella nazionale
aveva avuto molti successi ma fu liquidato dal presidednete Gianni Petrucci
perché non “in linea” – sapeva troppo di
Juvents? Non era abbastanza di parrocchia (democristiana).
Gentile avev vinto il vincibile,
l’Europeo e la qualificazione all’Olimpiade, con l’unica medaglia vinta dal
calcio italano in quei giochi- un bronzo, ma dopo avev dovuto affrontare in
semifinale l’Argentina di Tevez, che
segnò in quattro partite otto gol.
Gentile doveva perfino
succedere a Lippi, dopo il Mondiale vinto nel 2006. O forse anche prima, Petrucci
da tempo tramava contro Lippi - che gli rifiutò il saluto nei festeggiamenti
della vittoria. Era evidentemente già in atto la Tagentopoli calcistica
(juventina) del colonnelo Auricchio e
dei giudici napoletani di grande carriera Narducci e Beatrice, con l’emerito
Giadomenico Lepore, la “tangentopoli” del calcio senza tangenti - si discusse
solo di una cena, che doveva essere stata il prezzo della corruzione perché di
pesce… (molto napoletana, la motivazione), ma poi si accertò che nemmeno una
cena c’era stata. Il potere è senza vergogna, Gentile giustamente ha atteso
quindici anni per lamentarsi.
Se la Liberazione fu opera della mafia
Un
prequel di “La mafia uccide solo d’estate”, e una delusione. Qui la mafia
decide la guerra: nel1943: abbatte Hitler, con Mussolini, e governa gli Alleati.
Una delusione dopo la brillante evocazione di Rocco Chinnici, il capo della
Procura di Palermo col quale Falcone si era formato.
Peggio
a vedere il film spiegato dallo stesso Diliberto.
Un
giovane siciliano che vive in America deve tornare nell’isola per chiedere
in sposala ragazza di cui è innamorato.
Per tornare in Sicilia ha un mezzo semplice : arruolarsi. Si arruola in America e sbarca, sicuro, in Sicilia – dove è
libero di girovagare alla ricerca del futuro suocero? Sì, perché in Sicilia
comanda la mafia, e si sa che l’Operaziome Husky, lo sbarco alleato in Sicilia,
è cosa di mafia.
E
non è tutto. “Volevamo fare un film sui partigiani”, ha spiegato Pif. Ambientato
in Sicilia, dove i partigiani però non ci sono stati: “Il progetto (con la
Rai, n.d.r.) era di fare un film sui partigiani, tema spinosissimo, lo sappiamo
tutti. Ora, i partigiani in Sicilia non ci sono mai stati. E cosa c’è stato al
posto loro? Ecco la nostra domanda di base. Invece dei partigiani noi abbiamo avuto la mafia”. Da non credere, la mafia “liberatrice”. Non per ridere, non si ride
Pif
è del 1970 o di poco dopo: l’aria era così tossica quando cresceva?
Pif,
In guerra per amore, Netflix (abb.),
Amazon Prime, Google Play per view.
domenica 2 luglio 2023
Ombre - 674
“La Ferrari a 48 millesimi dalla Red Bull”.
Quarantatotto millesimi: che senso ha a 300 km\h?
Dieci giornate di squalifica a Mourinho, allenatore della Roma, per avere litigato con Serra, un arbitro quarto uomo in Roma-Cremonese che lo aveva insultato, e radiazione di Serra dagli arbitri. Il primo caso nella storia in cui entrambi i litiganti sono colpevoli, gravemente. Ma la giustizia sportiva non è seria, non fa testo.
Dieci giornate di squalifica a Mourinho, allenatore della Roma, per avere litigato con Serra, un arbitro quarto uomo in Roma-Cremonese che lo aveva insultato, e radiazione di Serra dagli arbitri. Il primo caso nella storia in cui entrambi i litiganti sono colpevoli, gravemente. Ma la giustizia sportiva non è seria, non fa testo.
“Non c’è posto per i cristiani nelle terre del
cristianesimo”, Marco Ventura se ne accorge infine su “la Lettura”. Senza infamia - il papa, per esempio,
ancora non lo sa. Ma non ci spiega come mai. “I contesti e i processi sono diversi”, si limita a dire. Per esempio, tra
ebrei e mussulmani?
“Italia in declino”, annuncia “la Repubblica” in prima
pagina. Il giorno in cui fa quattro pagine sulla “Francia in fiamme”. Mentre si comunica che in
Germania la produzione è in calo e l’inflazione è in rialzo – in controtendenza sul resto
dell’Europa. Il quotidiano ex di Scalfari fa l’amico del giaguaro?
“Non c’è posto per i cristiani nelle terre del cristianesimo”, Marco Ventura se ne accorge infine su “la Lettura”. Senza infamia - il papa, per esempio, ancora non lo sa. Ma non ci spiega come mai. “I contesti e i processi sono diversi”, si limita a dire. Per esempio, tra ebrei e mussulmani?