sabato 15 luglio 2023

La sindrome Fini, o della destra impresentabile

È curioso vedere come le destre al governo, pur non avendo praticamente opposizione, e pur sapendo che gli scandali sono politici (quanti non ne hanno praticato loro, con manette e sarcasmi?), stiano sempre in guardia e sulla difensiva. Sempre dietro il panno rosso che “la Repubblica”, ora un po’ supplita da “Il Fatto quotidiano”, gli agita ogni giorno sotto il naso – non grandi cose: il Pnrr (il Pnrr?), il salario minimo che nessuno vuole, la riforma della giustizia che tutti vogliono, le intemperanze di Larussa, i debiti di Santanché. Sempre in affanno. E sempre a caccia di un’intervistina con la stessa “la Repubblica”, anche se pochi ormai la leggono – erano le destre il maggior numero di lettori del quotidiano al tempo di Scalfari.
Si direbbe che effettivamente le destre mancano di legittimazione culturale. Ai loro stessi occhi. Di eletti, se non di elettori, tra i quali si troverà qualcuno che pensa e capisce liberale. Che abbiano connaturata una sindrome Fini, del “salotto buono” in cui infilarsi.
Sembra in affanno la stessa presidente del consiglio, che pure mostra esperienza e capacità di gestione internazionale, di personaggi, eventi, politiche, culture, quello che una volta faceva lo statista. Una personalità inconsueta nella politica dell’Italia repubblicana. Sempre in affanno quando sta a Roma, con dichiarazioni quotidiane, e anche bi-quotidiane. Cioè di precisazione. Cioè di navigazione in un’acqua che non sente la sua. Parla in lingua con i suoi grandi interlocutori, e conosce i dossier, ma nell’intimo si sente inadeguata?

Kennedy non deve morire – il Grande Complotto americano

Un gruppo di uomini ex – più o meno: demansionati – della Cia dopo la fallita invasione di Cuba nel 1962 vuole rifarsi con un fallito attentato a Kennedy, a Miami, capitale dei cubani negli Usa, da poter imputare a Castro, per dare poi una “vera lezione ai comunisti”. Cioè per invadere Cuba e cacciare Castro, senza i tentennamenti (“tradimenti”) dello stesso Kennedy. Per questo occorre “un cecchino con le credenziali”, capace di colpire il marciapiedi, la scorta, la berlina presidenziale che procede a passo d’uomo, ma evitando il presidente. E che sia stato comunista, e quindi da labellare castrista: Lee Oswald.
Una storia vera, una delle più verosimili dell’attentato a Kennedy. Andato poi male. “Noi non colpiremo Kennedy, noi lo mancheremo”, è la chiave del piano, architettato da Walter “Wim” Everett, Cia in disgrazia. L’attentato a Kennedy come 
“un colpo al cuore del nostro governo”, tale da costringerlo ad annientare Cuba. Sarà la “soluzione elegante” che gli scienziati vogliono ai problemi per dirli risolti. Tale da costringere lo stesso Kennedy, cui i congiurati imputano il fallimento della Baia dei Porci – il luogo di Cuba dove gli anticastristi, e gli americani di supporto, furono annientati o fatti prigionieri.

La prima delle tre storie canoniche sull’attentato, pubblicata nel 1988. Più verosimile delle altre due, “Un caso ancora aperto” (“The Story that won’t go Away”), il film di Oliver Stone, 1991, e “American Tabloid” di James Ellroy, 1995. Il più persuasivo e il meglio articolato, meglio caratterizzato oltre che documentato – con testimonianze, si suppone, documentali, legali, mediatiche, ricordi, incidenti, manie. Un po’ di tutti i personaggi, ma specialmente di Lee Oswald, seguito passo passo - questa è la sua unica forse, comunque migliore, biografia. Anche di Everett, il filo conduttore della storia, lo spessore è notevole. E di molte spie storiche, spesso doppiogiochiste, anche triplogiochiste. Per la notazione, anch’essa a inizio racconto, sulla triste arte dello spionaggio: “È così che andremo a finire, pensò”, pensa Everett, spia e golpista, “a spiare noi stessi”.
Sappiamo dall’inizio la trama. E sappiamo dalla cronaca come è finita male. Non è quindi un thriller. Eppure si fa leggere, scorrevolissimo, e tutto quanto è fitto, senza saltare: scene, dialoghi, antefatti, e documenti, dichiarazioni, testimonianze. Anche se un indice dei personaggi, essendo la narrazione frammentata nei tempi e nelle vicende, avrebbe aiutato – chi è chi. Come pure qualche nota esplicativa – sull’U-2 per esempio, sul quale si esercita e nasce la particolare “intelligenza” di Lee Oswald, e il suo rilievo per i servizi segreti, russi e quindi americani.
Il romanzo procede per più rivoli, ma è, si vuole, la storia di un fatto preciso, l’attentato a Kennedy, finito col suo assassinio. Non si vuole un romanzo storico, corale, di una società e un’epoca. Sotto questo aspetto è solo un racconto dell’oscenità dello spionaggio, del “mondo della Cia”, specie in quegli anni. E tuttavia, pur essendo un racconto circostanziato, di un fatto preciso, senza elucubrazioni sociologiche o sociopolitiche, è un romanzo della storia come complotto, che pure dovrebbe contestare. C’è in America una complottomania, vecchia ormai di mezzo secolo, dall’attentato a Kennedy, di cui ora si fa colpa alla destra reazionaria, ma che nasce a sinistra, come qui con Delillo (al tempo del film su Kennedy anche Stone era a sinistra) - senza peraltro mai incidere, perlomeno riflettere, sui  veri crimini americani. A differenza per esempio che in Italia, dove a partire da piazza Fontana, sei anni dopo Kennedy, la storia si è sicuramente annebbiata, ma pure molti punti oscuri si è riusciti a chiarire, e comunque la stagione dei complotti, del terrorismo invasivo, di destra, di sinistra, di Stato, è durato una dozzina d’anni, una parentesi, non un modo di pensare e forse di essere - o senza forse.
Don Delillo, Libra, “Corriere della sera”, p. 429 € 8,90
 

venerdì 14 luglio 2023

Appalti, fisco, abusi (230)

Quattro chiamate la mattina, tra fisso e cellulare, e quattro chiamate il pomeriggio. Da numeri semrpe diversi. Che il cellulare per fortuna sgama, ma il fisso no. Senza rimedio. Il Garante della Privacy, che pure costa una ventina di milioni l’anno, che ci sta a fare?
Sotto tiro sono i numeri dei titolari di contratti telefonici, luce e gas. C’è un mercato di questi numeri? Si possono utilizzare a fini commerciali, impunemente?  
 
Via Girolamo Induno e largo Ascianghi a Roma sono non più di cento metri di strada urbana, che connettono viale Trastevere con Porta Portese e i lungotevere. Sono chiusi da sei mesi per ripavimentazione, senza che un solo colpo di piccone sia stato dato. L’impresa riteneva di aver vinto l’appalto per la bitumazione, mentre i regolamenti urbani danno ancora il tratto selciato a sampietrini. Controversia, chiarimenti, ma l’impresa non ha tolto il blocco. Altri sei mesi minimo di chiusura, se la questione sarà risolta. Con danno per due soli esercizi, due cinema, il Troisi e il Nuovo Sacher (che tra l’altro dovrebbero stare a cuore all’amministrazione Pd), ma per i mezzi pubblici sì: in alternativa fanno una deviazione di un paio di km., sia all’andata che al ritorno, con gli ovvi inconvenienti (consumi, smog, traffico, ritardi).
 
Il governo patriottico Meloni dà a un fondo anglo-lussemburghese, Cvc Capital Partners, il lucrativo business della formazione in continuo  della Pubblica Amminstrazione. A tre università online, Pegaso, San Raffaele Roma e Mercatorum, del gruppo Multiversity, del fondo Cvc, Un appalto molto ambito – molto lucrativo. Il patriottismo online è cosmopolita?
Le stesse università fanno man bassa dei Prin, gli assegni di ricerca del ministero dell’Università: sedici nel 2022, per tre milioni. Non granché come prin, meno di 200 mila euro a progetto – il vero prin è più consistente, e vuole la mobilitazione di più centri di ricerca. Ma non sono da buttare.
 
Dandosi la guerra per vinta, almeno sul piano dell’energia, sono tornati in bolletta gli odiosissimi oneri di sistema e il trasporto. Due “tasse di scopo” senza scopo, a favore di Terna, e degli imprenditori (facili) di pale eoliche - i pali della luce, per esempio nella ricchissima Versilia, sono spesso ancora di legno, e qualche volta in mezzo alla strada, con qualche filo penzoloni. Mentre non si sa quale “sistema” di energia pulita stiamo finanziando. D
ue tasse di scopo per finanziare due rendite.  

La liberazione nell'armadio

Il 14 luglio usava celebrare la presa della Bastiglia. Il “Corriere della sera” lo celebra on la serializzazione di “Armocromoe” e “Forme”, in collaborazione con Yamamay, “due bestseller di Rossella Migliarino”. Che si presenta come “imprenditrice, autrice ed esperta di immagine”, fondatrice dell’Italian Image Institute, per consulenti d’immagine e professionisti del settore”.
La liberazione dunque attraverso il corpo, l’immagine del corpo. A partire dall’abbigliamento, dai colori con cui ci vestiamo. Applicata a Elly Schlein, la segretaria del Pd che questa pratica ha imposto su “Vogue”, sembrerebbe contropducente - ancorché, forse, veritiera (presentarsi, propagandarsi, in grigio?). E duqnue bisogna crederci, la rivoluzione è fede.   
Armocromia la Crusca registra come armonizzazione dei colori. A partire dal 2011, da un Neve Cosmesi Forum, in cui qualcuno affermava che è “sfruttatissima nello star system hollywoodiano, sin dai tempi dei primi film a colori”. E con “altro significato” nel 2000, in un articolo estivo sulla “Stampa”, Sezione Costume, il 29 luglio, a firma Antonella Amapane, “Erotismo a tavola, l’estate è servita”: “Potenza del colore. Ovvero armocromia, rìti del nuovo millennio che molti applicano maniacalmente, nel guardaroba scegliendo i colori degli abiti in base alla loro influenza sul(la) propria psiche e su quella degli altri”. Oggi più ambiziosa: “I colori e la loro armonia sono da sempre un componente essenziale dell’arte, della bellezza e della stessa quotidianità”. Obiezioni?

Rossella Migliaccio, Armocromia
Forme, Corriere della sera, pp. 70, gratuito col quotidiano

giovedì 13 luglio 2023

Il mondo com'è (464)

astolfo


Elisa Chimenti
– Una signora di Napoli, dove nacque nel 1883, la prima di quattro sorelle, che visse in Marocco una vita, a Tangeri, fino al 1969, dove scrisse molto e aprì una cuola italiana, la prima in Africa. Riscoperta recentemente, il 5 aprile, da Natascia Festa sul “Corriere della sera-Corriere del Mezzogiorno” l’edizione napoletana. Poliglotta, scrisse però in francese, e per questo forse è stata dimenticata – non una menzione alla morte, pur in epoca molto attenta alla cultura, e a Tangeri. Era anche stata nominata Cavaliere al Merito dal presidente Gronchi con decreto 30 maggio 1957. E nel Palazzo delle Istituzioni Italiane a Tangeri, che tuttora esiste, una sala le era stata dedicata in vita, “Elisa Chimenti”. Che tuttora ospita una Fondation Méditerranéenne Elisa Chimenti.
Il padre medico, Rosario Ruben, garibaldino, si era stabilito con la famiglia a Tunisi quando Elisa aveva un anno. Ultima di sei figli, un fratello e un fratellastro di nome Roberto, e tre sorelle, Mara Ester, Mara Giulia e Mara Dina. Alcuni anni dopo la famiglia si sposta a Tangeri, in Marocco. Qui  il padre si lega alle origini ebraiche, e fa educare Elisa alla Alliance israélite della città. Dove l’insegnamento è tenuto in francese, in arabo e in ebraico. Elisa cresce così cosmopolita e poliglotta – si vuole che conoscesse e parlasse speditamente ben quindici lingue, di cui buona parte dialetti araco-berberi, oltre a francese, tedesco, spagnolo, portoghese (non l’inglese). Col padre, medico di corte del sultano del Marocco, Muley Hassan I, frequenta la miglior società marocchina, ma anche le tribù berbere dell’Atlante, della Montagna: segue il padre nelle visite periodiche tra le popolazioni più povere, come interprete e per l’auscultazione delle donne.
Una vita divenuta più romanzesca alla morte del padre, nel 1907. Elisa è mandata a proseguire gli studi in Germania, a Lipsia. Qui pubblica i suoi due primi romanzi, “Meine Lieder” nel 1911 e “Taitouma” nel 1913. Nel 1912 si è anche sposata, con un conte polacco naturalizzato tedesco, Fritz Dombrowskij, ma il matrimonio finisce presto: il conte ha crisi di follia e tenta anche di strangolarla - successivamente si legherà a Si Ahmed Fekhardji, algerino, interprete di corte, senza sposarlo.
 Nel 1914 è di nuovo a Tangeri, dove fonda con la madre una scuola italiana. Multiculturale e multireligiosa. Finanziata dal 1924 dal governo italiano, da Mussolini. Che però successivamente impone un suo direttore. Elisa resiste, e resiste anche alle pressioni per prendere la tessera del fascio. Nel 1928 è licenziata, Riprenderà la direzione della scuola alla caduta del fascismo, nel 1943. Chiederà allo Stato italiano e otterrà un risarcimento per la “nazionalizzazione” della scuola negli anni di Mussolini, per la somma di 30 mila franchi francesi – che però non verrà mai pagata. Vivrà di giornalismo e di scrittura, soprattutto di cose marocchine, storiche o etniche. È morta, a Tangeri, il 7 settembre 1969.
Mara Pia Tamburlini, udinese, insegnante all’estero, anche a Tangeri, e cura l’archivio di Elisa Chimenti,  per l’“Enciclopedia delle donne” ne fa un ritratto lusinghiero, di “scrittrice eclettica e feconda, imprenditrice ante litteram, antropologa, ecologa, poliglotta, studiosa delle differenti culture e credenze presenti nel nord del Marocco – cristiana, musulmana, ebraica, animista”. Un solo suo romanzo,”Al cuore dell’harem”, risulta tradotto, nel 2000.
 
Sacagaweha
– Una squaw Shoshona, “moglie “ di un trapper franco-canadese, un cacciatore di animali da pelliccia, si può dire la scopritrice dell’America, del wild West.
La via verso il West fu aperta negli Stati Uniti nel 1804, dopo l’acquisto della Louisiana dalla Francia, dalla spedizoione (Meriwether) Lewis e (William) Clark. Che non conoscevano i luoghi verso cui si indirizzavano né le lingue delle tribù che andavano a incontrare, lungo il Missouri e attraverso le Montagne Rocciose, gli Shoshona, gli Hidatsa, i Mandan. Si appoggiarono quindi a un avventuriero francese di nome Larocque. Dal quale però presto ricevettero richieste eccessive. Assunsero allora come guida-interprete  un aiuto di Larocque, Toussaint Charbonneau, un francese del Québec, trafficante in pelli di discendenza mista, francese e irochese, che aveva anche il pregio di due mogli, Otter Woman e Sacagaweha, “donna uccello” – entrambe donne Shoshona, prese prigioniere dagli Hidatsa, in una incursione contro gli Shoshona. “Mogli” incontrate o rapite  nell’odierna Washburn, in North Dakota. Lo assunsero in qualità di interprete. Charbonneau aveva lavorato per altre spedizioni, ma era nota solo la brutalità: mentre lavorava per la North West Company come trapper, venne registrato nei diari della compagnia per essere stato accoltellato da una donna Saulteaux, di cui aveva stuprato la figlia.
Presto anche Charbonneau decadde nelle grazie di Lewis e Calrk, classificato come “un uomo di nessun merito”. Litigioso anche con le “mogli”, tanto che dovette essere rimproverato ufficialmente dopo un diverbio con Sakagawea. Delle due donne indiane Sakagawea divenne di fatto la vera interprete, e anzi la direttrice della spedizione: conosceva molti luoghi e molte persone, sapeva muoversi ta la varie lingue tribali. Salvò carte e documenti dal rovesciamento di una baca male manovrata da Charbonneau. Salvò molte situazioni tese con le tribù che incontravano. Alla fine della spedizione cedette la sua cintura di “grani blu” (turchesi) n cambio di una invidiatissima pelliccia di foca che la spedizione volle portare indietro come regalo per il presidente Jefferson.
Una donna oggi centrale negli studi storici, misconosciuta fino a recente. Sempre riferita da Clark nei diari come “moglie di Charbonneaux”, “donna indiana” o “squar” (non squaw). Il rapporto era ufficialmente mantenuto con Charbonneaux. Che risulta pagato al termine della spedizione, nell’agosto 1806, dopo19 mesi, 500 dollari, più un cavallo e un alloggio. Ma nei diari dello stesso Clark, durante la spedizione e dopo, non c’è che lei. Ora accreditata dagli storici della parte migliore del lavoro della spedizione, un percorso di migliaia di miglia, dal Nord Dakota al Pacifico: era il cardine dei contatti con i nativi americani, risultò l’unico membro della spedizione in grado di spiegare tutti i fatti naturali, vegetazione, fauna, ambienti, che incontravano, i passaggi da lei individuati e utilizzati per attraversare le Montagne Rocciose sono quelli rimasti poi in uso. È una delle personalità più onorate, con statuee e monumenti di ogni tipo dalla National Americam Woman Suffrage Association.
 
Fratelli Vivaldi – Ugolino e Vadino (Guido) Vivaldi, genovesi, navigatori, sono ricordati da Fabio Genovesi in “Oro puro”, il romanzo della scoperta dell’America, come precursori di Cristoforo Colombo. Della teoria che navigando verso Occidente si raggiungesse l’Estremo Oriente, l’India e il Cathay, la Cina, con le loro ricchezze. E della pratica: i due fratelli si avventurarono oltre “le colonne d’Ercole”, e se ne persero la traccia.
Precursori già due secoli prima, perché partirono nel 1291. Partirono con due galee, “Allegranza” e “Sant’Antonio”. Finanziati da mercanti e patrizi genovesi, tra essi un Doria, Tedisio. Una spedizione, come da contratto, “ad partes Indiae per mare oceanum”. Con l’intento però non di arrivare in Oriente navigando verso Ovest ma di arrivarci circumnavigando l’Africa - la rotta che seguitranno Bartolomeo Diaz e Vasco da Gama due secoli dopo. Sono dati per dispersi nelle cronache successive,  dopo capo Juby, dove oggi finisce il Marocco, al confine con la Mauritania. La loro fine, personale e della spedizione, è controversa. Una delle spedizioni organizzate per la ricerca, quella di Lanzerotto Malucello una ventina d’anni dopo, accertò che le galee avevano toccato le Canarie, e poi proseguito, fino alla foce del fiume Gambia (Senegal). Dove una delle due galee fece naufragio.La missione proseguì, nel racconto dei nativi, caricando equipaggio e viveri sull’altra galea. Nel 1455 Antoniotto Usodimare, anche lui genovese, scriveva di avere incontrato nei pressi del Gambia “un giovane della nostra stirpe”, che capiva e parlava genovese, qualificandosi discendente dai superstiti della spedizione Vivandi.
Franco Prosperi, regista cinematografico di documentari naturalistici, ideatore con Gualtiero Jacopetti del cinema detto Mondo movie, di formazione zoologo (ittiologo) ed etnologo, animatore di molte spedizioni etnologiche della Società Geografica Italiana, in una di queste, nel 1950, trovò e fotografò, incisa su una roccia lungo il corso dello Zambesi, al confine con la Rhodesia-Zimbabwe, in un tratto poi sommerso con la costruzione della diga di Kariba, la scritta “V.V. ad 1294”, che dedusse essere di Vadino Vivaldi.
Il progetto dei Vivaldi rientrava nella ricerca di una via commerciale verso l’Oriente dopo l’interruzione della via terrestre, con la caduta di San Giovanni d’Acri e delle altre piazzeforti cristiane nel Levante.


astolfo@antiit.eu

L’amore tra fiaba e tragedia

Una fiaba, la figlia del castellano innamorata del figlio del mugnaio, in abiti moderni. Con tanta natura, in ambito urbano. La “ricetta” di Hamsun, delle sue prose semplici ma suggestive. Il racconto di un amore, che di più scontato, per quanto contrastato?  Ma sempre sorprendente – un racconto “sull’amore”, avverte in nota Luca Taglianetti, che lo ha recuperato e ne ha curato la traduzione, ma senza filosofie. Un racconto degli attimi fatali, delle sliding doors in continuo, delle parole che tradiscono gli umori, e viceversa. Tra le stagioni, le erbe, i fiori, i colori, gli odori, gli alberi, ilmare, il postale, i laghi. E la città, quando proprio ci dev’essere, in sottofondo, in sordina.
“Un unico canto ininterrotto alla gioia, alla felicità”, si dice il figlio del mugnaio poi diventato scrittore, di successo, nell’ultimo suo libro. Peccato che il risvolto sminuisca la sorpresa della lettura, anticipando il finale.
Victoria, il nome che aveva dato alla castellana, Hamsun chiamerà tre anni dopo la sua unica figlia. Peccato maggiore è che “l’infausta adesione al nazismo in vecchiaia”, come avverte l’editore, faccia velo alla lettura di questo sempre sorprendente scrittore.
Knut Hamsun, Victoria, Lindau, pp. 128 € 13

mercoledì 12 luglio 2023

Problemi di base amorosi - 756

spock


“Già, che cos’è l’amore? Un vento che sussurra tra le rose”, K. Hamsun, “Victoria”?
 
“No, una gialla fosforescenza nel sangue”, id.?
 
“Una musica infernale che fa danzare persino il cuore dei vecchi”, id.?
 
“La margherita che si apre tuta al giungere della notte, l’anemone che si chiude a un soffio e muore se solo sfiorato”, id.?
 
“È una notte d’estate con in cielo stelle e profumi sulla terra”?, id.?
 
spock@antiit.eu

Il Mozart nero

La vita e le opere di Joseph Boulogne Chvalier de Saint-Georges, figlio naturale di un piantatore francese della Guadalupe e della schiava senegalese  Nanon. Compositore e violinista in Francia negli anni di Maria Antonietta e Luigi XVI. Un film alla Milos Forman, “Amadeus”, con personaggi sempre su di tono, e colonna musicale vertiginosa, in un Settecento senza pregiudizi.
Si ricompone la storia. Dopo il memorialista nero, sempre del Settecento, Olaudah Equiano, il “Mozart nero”. Che però non fu un fiore unico: negli stessi anni operavano l’afrobritannico George Augustus Polgreen Bridgetower, dedicatario della “Sonata a Kreutzer” di Beethoven, e il poeta e attivista, oltre che compositore, Ignatius Sancho, anch’egli afro-britannico.
Stephen Williams, Chevalier, streaming Disney +

martedì 11 luglio 2023

Secondi pensieri - 518

zeulig


Corpo
- Il grande rimosso del pensiero “occidentale” – in questo caso aggettivazione appropriata. Si dice partito da Cartesio.
Il dualismo corpo-anima, in realtà l’uomo animale nel senso unicamente dell’anima, è ben anteriore. Di Platone e non solo. Della coscienza o anima come distinta dal corpo, di altra natura. Che Cartesio invece voleva localizzata nel corpo, nella ghiandola pineale, un punto esatto alla base del cervello.
 
Si dice anche cancellato dalla religione. Dalla religione cristiana? Partendo da sant’Agostino. Ma allora dopo i padri della chiesa, che invece ce l’avevano ben presente. E fino al contemporaneo san Girolamo - contemporaneo di Agostino. Che comunque nelle “Confessioni” ne fa buon conto.
 
Fake
– È l’ansia, lo spettro agitato della contemporaneità. Che si ripropone in successione, pena una riflessione che potrebbe scacciarla (sanarla). Delle fake news un mese o un anno fa come ora della AI o IA, intelligenza artificiale: un’ansia stagionale, di periodicità sempre più breve.
Una delle tante espressioni del bisogno di novità, di incostanza, d’irrealtà piuttosto che di “realtà” – e quindi di “verità”, di stabilità, sicurezza.
Se ne parla, lo-la si propone, lol-a si soffre, come se fosse una novità. La novità è la voglia (tentazione, pretesa, sotto forma di paura) di ritenerla una novità. E di volerla abolire. Della “verità” come opposta al fake.
 
Oggi è la normalità – e dunque non più fake? L’informazione è sempre stata delicata, un esercizio sul filo del rasoio, dire la verità, non di parte, non di questo o quel testimone, di questo o quel partecipante, protagonista,  interessato oppure non. Il giornalismo è sempre stato un fine tuning, un’opera di sorveglianza e di bulino. Ora il campo è occupato dagli informatori e dallo storytelling – dal “ve la racconto meglio”, e tanto più suasivo tanto più vero.
I social – facebook per primo – che dovevano socializzare ci hanno resi più isolati. “Come la campagna per unire il mondo si è risolta in un sondaggio individuale”, a fini commerciali, è tema già di qualche anno.
Fake news alla fine è solo il vezzo o moda di portare a galla il limo, le stupidaggini, le insensatezze, magari colorate, dando loro status di informazione o di formazione. Ci sono sempre state, si chiamavano conversazioni da bar o da treno, solo che ora prendono status di opinione pubblica. Cosa è cambiato allora? Il tentativo sciocco (perdente) dei media, giornali e radio-tv, di restare a galla sulla rete evidenziandone ogni palpito. Non avendo saputo, non cercando di sapere, come esorcizzarle.
Non è neanche vero che ora le chiacchiere da bar fanno rete. Cioè, non la fanno diversamente da come la facevano prima, con altri mezzi di comunicazione. Che i black blok d’Europa si riuniscano a Genova attraverso la rete quello è un altro fatto, di cui la rete è solo un canale, uno dei tanti. O che si organizzino attraverso la rete rave  party con migliaia e decine di migliaia di partecipanti di mezza Europa. Questo è un commercio, una forma di servizio commerciale. Si vive di fake news in quanto i media se ne fanno eco e tramite. I media hanno status di informazione e formazione dell’opinione pubblica: è attraverso i media che gli sciocchezzai fanno ultimamene opinione – perlomeno in Occidente, nel mondo che conosciamo.
Le chiacchiere da bar o da treno restavano al bar o al treno. In rete diventano mondiali, galleggiano in una sorta di fluido osmotico universale. È internet, allora, la rete, la minaccia? No, è l’esito di un modo di recepire la rete, magnificandone i lati inconsistenti o oscuri: lasciate a se stesse le fake news rimarrebbero isolate, al gruppo, anche di migliaia o di milioni di followers. Rilanciate e commentate, diventano parte del discorso – dell’informazione, dell’opinione pubblica.
 
Fede – “Anche profonda, la fede non è mai intera. Bisogna sostenerla senza posa o, almeno, impedirsi di rovinarla” – J. P. Sartre, “Le parole”, p. 161. Sartre si riferiva probabilmente, benché evocando la fanciullezza, alla fede politica - di cui a sessant’anni, l’età de “Le parole”, si riteneva peraltro vittima – non avendo avuto un’educazione religiosa.  
È incostante, va rinnovata. Nelle dottrina cristiana la fede è “atto di fede”

 
Immagini – Sono il fondamento e la sostanza della creatività (immaginazione, fantasia, inventiva). Artistica come religiosa.
Questo è un legame che pone E. Jünger, in avvio al tardo zibaldone di riflessioni che intitola “La forbice”: “Non può darsi alcun culto senza immagini”. Sia pure, aggiunge, solo una pietra nel deserto (allusione all’islam).
È un dato di fatto. E c’è una persistenza del culto: “Davanti a una statua sottratta alle macerie sentiamo: qui ha abitato un dio. Anche se non conosciamo il santuario, e nemmeno  il suo nome, ne avvertiamo il senso nascosto, che fu ignoto allo stesso artista. Vive nell’opera d’arte una fede, sopravvive a tutti i dogmi”.
 
Vi si lega il “numinoso”, argomenta Quirino Principe commentando Jünger, “che pone fuori gioco il divino, essendo un mistero inattaccabile a qualsiasi fede e a qualsiasi rivelazione e reden zione”.
Numinoso non è il paganesimo?
 
Immortalità – Dovrebbe variare con la navigazione spaziale, argomenta Nabokov nel suo racconto di fantascienza “Lance”: “Nel profondo della mente umana il concetto di di morire è sinonimo a quello di lasciare la terra. Sfuggire alla gravità significa trascendere la  tomba (“grave” in inglese, da cui l’accostamento a “gravity”, n.d.r.), e un uomo che si ritrovi su un altro pianeta non ha in effetti mezzo di provare a se stesso che non è morto – che il vecchio ingenuo mito non si è prodotto”. La morte sarebbe una finzione, cerimoniale?
 
Progresso – Un misirizzi. Inaffondabile, in qualsiasi mare, per qualunque vento ostile – oggi l’ambientalismo, ieri Heidegger, la capanna, il montanaro, il carro. Cos’altro è il pensiero, la riflessione filmica, pensata e ripensata, rivista, rifatta, cioè in progress?
Progresso – scientifico, tecnico, etico, perfino logico - come processo di verità (tensione a), scoperta.
 
Storia - L’“archeopizza” di Pompei chiuderà il dibattito su chi ha inventato la pizza? Sicuramente no – la pizza, anche “archeo”, potrebbe essere cinese, perché no (per ora è “americana”). La storia può inventarsi quello che vuole. La “carbonara” non l’hanno inventata a Roma soldati americani durante la liberazione, notori buongustai? Diventa così anche un piatto americano, senza danno per nessuno.


zeulig@antiit.eu

Ci fu una volta la scoperta dell’America

Un romanzo d’avventure, anche se di storie conosciute – la scoperta dell’America. Di tipo picaro, anche se perbenista, di buoni sentimenti sempre. C’è Lei, l’indigena, l’amore. La ricerca di un padre – l’Ammiraglio, il Capitano, Cristoforo Colombo in persona. E l’oro – l’oro ci deve essere, perché altrimenti l’impresa?
Nuno, padre ignoto, figlio e nipote di puttane da porto di mare, ebreo, costretto all’esodo dai re cattolicissimi di Castiglia e Aragona, finisce imbarcato, è di Palos, sulla “Santa Maria”, l’ammiraglia della spedizione di Cristoforo Colombo. Mozzo sprovveduto, entra nelle simpatie della ciurma per il buonsenso – il buon uso degli scandagli, l’occhio fine, il fiuto dei venti. E del Capitano, che rallegra, e che aiuta a correggere la scrittura incerta, fra italiano, portgoghese e castigliano. Tiene in sostanza il diario  di bordo, che è questo racconto.
Sarà Nuno a causare il naufragio della “Santa Maria”, il giorno dopo Natale. Ma il Capitano lo vorrà sempre con sé. E poiché Nuno è come il granchio di mare, che anche buttato nelle acque profonde sempre torna al suo scoglio di terra, ci sarà anche il ritorno. Dopo aver raccontato, passo dopo passo, le Canarie, Cuba, Hispaniola (Haiti), la scoperta del pepe, cose simili.
Una storia veloce, la sceneggiatura dei resoconti dello stesso Colombo. Con qualche imprecisione: Palos non è Andalusia? al ritorno gli ebrei sono ancora lì, non erano stati espulsi? E un po’ di bozzettismo toscano, “bimbo”, “grullo” - non molto, il q.b. dei nuovi narratori tirrenici, Genovesi, Malvaldi, etc. 
Il fortemarmino fumantino Genovesi si mette da parte, per una sveltina. Anche in senso proprio, del volgare scopereccio: nei sogni con Lei, “prima di pensare a come non venire, venivo. A spasmi così forti che mi ha sorretto Lei”. Roba da
young adult, la vena narrativa alla Antonio Dikele Distefano che ingolosisce gli editori da qualche anno? Consolante – quindi i ragazzi leggono, qualcosa leggono.
Fabio Genovesi, Oro puro, Mondadori, pp. 439, ril., € 20

lunedì 10 luglio 2023

Letture - 525

letterautore

Adelphi – La casa editrice è una miniera, di inventori. Ogni poco una scoperta. Ora Di Stefano fa la scoperta di Claudio Rugafiori, che “faceva” i libri con Morante e con Calvino. E ha creato il marchietto. Dopo Luciano Foà. Dopo Calasso. Dopo Bazlen, in memoriam.
Però fa piacere che personaggi dell’editoria abbiano due pagine sul “Corriere della sera”, anche se non belli, molto meglio di influencer, volti tv (?) e cantanti, che solitamente riempiono il giornale: sanno di esotico.
 
Cimiteri italiani
– Sartre li adora, in una pagina insistita di “Le parole” (74) sui morti in famiglia e sui funerali. Perché danno un senso di continuità, della morte vivente: “Per questo motivo ho sempre amato, amo tuttora i cimiteri italiani: la pietra vi è tormentata, è tutto un uomo barocco, un medaglione vi si incrosta, inquadrando il defunto, che richiama il defunto nel suo primo stato”.
 
Corneille
– Sartre adulto (“Le parole”, 128) ne fa un ritratto cattivo, descrivendo la sua decisione a dieci o dodici anni di diventare scrittore – di diventare scrittore di successo, non più epico, “un Pardaillan invece di Corneille” (i Pardaillan erano il ciclo di maggior successo dello scrittore di successi  Zévaco): “Trasformai Corneille in Pardaillan; conservò le gambe storte, il petto stretto e la faccia di quaresima, ma gli tolsi l’avarizia e il gusto del guadagno”.
 
Cookies
– Oggi una delle mille idiozie che la privacy fa pagare per non avere nessuna privacy - siamo seguiti e registrati fin nel sonno, oltre che al bagno, per non dire in camera da letto  - è termine culinario, per dolcetti. L’inutile richiesta affligente di consensi a non si sa che cosa aprendo un qualsiasi sito è già in “Lance”, il racconto “fantascientifico” di Nabokov, che non amava la fantascienza e i gialli (“Lance” in realtà il è Lancillotto del “romanzo medievale” franco-germanico, annota lo stesso Nabokov, che opportunamente nel Novecento naviga tra le stelle), e ne concludeva la critica in questi termini: “Sono come i dolcetti assortiti che differiscono l’uno  dall’altro solo in forma e ombreggiatura, con le quali i loro abili manipolatori irretiscono il consumatore goloso in un folle mondo pavloviano, dove, senza sovrapprezzo, variazioni di semplici valori visivi influenzano e gradualmente  sostituiscono il sapore”.
 
Manzoni
– De Giovanni (“La Lettura” di ieri) lo vuole liberare, anche lui. Ma per un motivo plausibile: “Se fossi Manzoni chiederei soltanto il piacere di essere letto come romanziere. È qualcosa che ha a che fare con la tragica modalità con cui la scuola propone la narrativa, che è come spiegare il sesso attraverso la dissezione degli organi genitali, una cosa ributtante”.
 
Misteri
– “I romanzi fanno paura ai misteri”, può titolare “La Lettura” una lunga conversazione con i due giallisti principe, Lucarelli e De Giovanni. De Giovanni fa un esempio: “Inventare una trama narrativa può aiutare, per esempio, a capire cosa accadde a Ustica”. Se non che cosa accadde a Ustica è noto da subito – cosa accadde veramente. Il dopo-Ustica pure. Il romanzo avrebbe potuto imbellire, forse, le due vicende: impossibile rappresentarne la sordidezza, sono senza respiro - mancherebbe la necessaria catarsi. I misteri sono irredimibili.
 
Otto-Novecento – Il secolo del teatro l’Ottocento, il secolo del cinema il Novecento Sartre caratterizza in “Le parole”, ricordando la golosità sua e della madre per le immagini in movimento, ogni pomeriggio in tutte le sale di Parigi, quando aveva sui dieci anni: “I borghesi dell’ultimo  secolo non hanno mai dimenticato la loro prima serata a teatro e i loro scrittori si sono incaricati di ricordarne le circostanze” – il sacro sipario si leva, gli spettatori si sentono a corte, “gli ori e le porpore, i fuochi, i belletti, l’enfasi e gli artifici mettevano il sacro fin nel crimine”. Negli intervalli, “spettacoli” di nobiltà e vanità. Poi stacco radicale: “Sfido i miei coetanei a dirmi la data del loro primo incontro col cinema”. Spettacolo per tutti, al  buio, che “prefigurava la nostra barbarie”: “Entravamo alla cieca, in un secolo senza tradizioni che doveva segnalarsi per le cattive maniere”, e la nuova arte, “il cinema, l’arte plebea, prefigurava la nostra barbarie”.
Sartre, curiosamente, ha sempre provato col teatro, che seguiva, commentava, frequentava, anche fuori scena, scriveva, e mai col cinema – non si ricorda una sua critica, un soggetto, anche una sola amicizia o frequentazione , mai un’attrice, fra le tante donne che ne ingombravano la giornata. Era uno Ottocento?
 
Parodia – Ha funzione seria – seriosa – secondo il suo cultore e mistagogo Umberto Eco: “Una delle prime e più nobili funzioni delle cose poco serie è di gettare un’ombra di diffidenza sulle cose troppo serie- e tale è la funzione seria della parodia” (“Nota all’edizione 1975” di “Diario minimo”, riproposta nella riedizione corrente).
 
Pastiche – È la parodia di una scrittura, uno stile – Proust ne era maestro (le parodie raccolse in “Pastiches et Mélanges”, che tuttora sono saporite). Si attaglia al pastiche la nota di buon cuore che Eco dà alla parodia: “Non sempre una parodia si esercita su un modello che considera negativo; sovente parodiare un testo significa anche rendergli omaggio” (ib.).
 
Poetesse – Sorpresa, sono escluse dalla poesia del Novecento, dalle migliori antologie, di Gianfranco Contini, Edoardo Sanguineti, Pier Vincenzo Mengaldo, Cesare Segre e Carlo Ossola. Le più progressiste comunque, teoricamente non sessiste. Per gli editori Rizzoli, Mondadori, due volte Einaudi (Sanguineti e Ossola-Segre).
 
Riso – Il riso è proprio dei pazzi, diceva Baudelaire – e Umberto Eco concorda: “il riso è satanico, e dunque profondamente umano” (citaz. in esergo all’ “Elogio di Franti”, in “Diario minimo”). Se è vero, aveva spiegato il poeta, “che il riso umano è intimamente legato alla disgrazia di un’antica caduta, di una degradazione fisica e morale”. Di cui trovava conferma a teatro: “Tutti i furfanti da melodramma, maledetti, dannati, fatalmente segnati da un sogghigno che arriva alle loro orecchie, rientrano nella ortodossia pura del riso”.
 
Sartre – Nella autoanalisi che si fa ne “Le parole”, 1965, si dice nato “segnato”. Segnato dalla sconfitta del 1870, in una famiglia luterana di lingua tedesca che scelse la Francia, col cumulo conseguente di un bisogno permanente di giustificazione:  “Se ho commesso, in un secolo di ferro”, il Novecento, "la folle bevuta di prendere la vita per una epopea, è che sono un nipotino della sconfitta”.
 
Solo contro tutti – L’eroe duro e puro è il sogno borghese per  Sartre memorialista dell’infanzia (“Le parole”, 113): “Uno contro tutti: era la mia regola”, da scrittore imberbe a dieci anni: “Si cerchi la sorgente di questa fantasticheria triste e grandiosa nell’individualismo borghese e puritano del mio ambiente”. Ma, allora, di una borghesia prima della “borghesia” otto-novecentesca. Anzi eterna, poiché il mito ne è pieno.
 
Traduzioni – Sono rischiose. Jumpha Lahiri non cura le edizioni americane dei suoi racconti italiani, li fa tradurre da specialisti. Nabokov, invece, che traduce in americano i racconti russi, “russi” anche quando li scrive direttamente in americano, “Lolita” compresa, sembra sempre a rischio imbalsamazione: parole rare, costruzioni inconsuete, perfino i nomi propri sembrano falsi. Lo studio a più voci sulle sue traduzioni, a cura di Chiara Montini, specialista del “clan Nabokov”,  si intitola “Traduzioni pericolose (Scritti 1941-1969”- già il saggio biografico sul “clan”, sulla moglie Vera e il figlio Dmitri, Montini aveva costruito attorno alla ”traduzione”.

letterautore@antiit.eu

Libero il cuore nel mondo dell’apartheid

A Città del Capo, 1967, in pieno apartheid – “questo non è un mondo per donne e gente di colore” – una donna bianca e un uomo di colore rendono possibile il primo trapianto, di cuore, evento epocale. Il film mescola una storia vera col clima odierno, in favore di una piena equiparazione, sessuale e razziale. Quindi po’ si contraddice, volendo fare dell’odierno femminismo e antirazzismo in un anno e un posto che invece coltivava il razzismo per legge, l’apartheid, e praticava, come ovunque altrove, la discriminazione sessuale. Ma ne guadagna in vivacità, contraddicendo le attese del subcosncio, del saputo, col miracolo finale: due personaggi giovani, dotati e coraggiosi, contribuiranno alla prima pioneristica operazione al cuore.
Franziska Buch mescola una storia vera col clima odierno in favore della piena equiparazione, di genere e razziale. La storia vera è di una collaboratrice del dottor Barnard, il chirurgo che in Sudafrica, nel 1967, sperimentò e avviò la tecnica dei trapianti di cuore. Una cardiochirurga tedesca, Lisa Scheel, qualificata ma in subordine nella cerchia del cardiologo principe Theodor Kohlfeld, che all’ultimo sgarbo reagisce emigrando in Sud Africa, per lavorare col rivale del tedesco Kohlfeld, l’austriaco Barnard. Una storia d’amore con un giovane africano, e l’opposizione ai divieti e le imposizioni dell’apartheid completano il racconto.
Franziska Buch, Miracolo a Città del Capo, Canale 5, Mediaset Play

domenica 9 luglio 2023

Migrazioni come business

Si fanno molti complimenti oggi a Carrara per lo sbarco dei migranti raccolti dalla Geo Barents di Medici senza Frontiere. Vantando in particolare “nessuno scafista tra i migranti”, Cioè confermando le accuse alle ong di “organizzare” il traffico dei migranti d’intesa con con i trafficanti. Appuntamenti precisi, trasbordi sicuri, da natanti che non naufragano, trafficanti impuniti, asilo sicuro - che fa bene al commercio.
Nella stessa giornata Chiara Severgnini fa parlare su “La Lettura” Hervé “Baru” Barulea, “uno dei maestri della bande dessinée, di scuola franco-belga, cantore della vita – durissima – della classe operaia”. A partire dai nonni, emigrati dalle Marche prima nel Sud della Francia per i lavori agricoli stagionali, come oggi a Rosarno, poi in Lorena, dove “la nascente industria siderurgica offriva loro un lavoro stabile”. Una vita durissma con le famiglie a casa nelle Marche, perché i ricongiungimenti familiari non erano ammessi – “un viaggio di tre giorni per vedere mogli e figli”.
L’emigarzione è sempee stata dura. Una sfida, di gente forte, e anche una disgrazia. Ma semrpe opera dei migranti, di loro iniziativa e a loro giudizio. È ora che invece si fa contrabbando dei migranti. Anche con le “migliori intenzioni”. È un business, dei trafficanti e delle ong.  

Non si trova altro motivo alla durezza del governo inglese - devono tornare ai loro paesi di origine, con deportazione forzata in Africa nelle more delle espulsioni. Un governo peraltro di inglesi di prima generazione, figli di immigrati, ancorché legali. Che altrimenti sarebbe un governo fascista, a ben più giusto titolo, anche se i giornali italiani non ne parlano ( questione di logge?), del governo ungherese o di quello polacco.

Il quarto Kennedy, progressista e no wax

Un altro Kennedy per la presidenza degli Stati Uniti, sessant’anni dopo John e Robert? Sì, è il figlio di Robert. Ma non è la sola sorpresa di questa lunga intervista. Robert Kennedy Jr. si è già candidato ufficialmente, con un vastissimo discorso di presentazione, alle primarie Democratiche contro Biden, è accreditato di un consenso tra l’8 e il 21 per cento, prima ancora che la campagna sia partita, e di un più robusto sostegno finanziario. Con una piattaforma elettorale, e un passato, che va bene ai Democratici di sinistra, e ai Repubblicani di destra, i trumpiani Bannon, Dorsey, Tucker Carlson.
Specialista di politca estera, Robert Jr. non condivide la belligeranza anti-R ussia di Biden.Così come i Demoeratici di sinistra, quelli che alle passate primarie, e a quelle precedenti, nel 2015-2016, erano per Saunders. Oggi su “La Lettura” la scritrice radicale Alice Walker, “Il colore viola”, lo apprezza per questo, anche se gli rimpovera una politica filo-israeliana invece che filo-palestinese nella questione mediorientale.
Nell’intervista Kennedy jr. rivendica la sua formazione in affari internazionali e l’interesse costante  per la politica americana nel mondo, di cui ha sempre criticato l’aggressività. Si è fatto da sé, rivendica, dopo una prima età turbolenta: escluso dalle medie, arrestato per marijuana, eroinomane, ma poi laureato in Legge a Harvard. Rivendica i “valori democratici”: la classe operaia, la piccola borghesia, la povertà. È stato uno dei leader del movimento ecologista. È avvocato, con un reddito 2022 di 7,8 milioni di dollari. Ma è un convinto cospirazionista. A partire dall’assassinio di John Kennedy, “opera della Cia” – per una serie di ragioni che qui espone (l’inchiesta Warren si è conclusa con un nulla di fatto perché “non poteva” dire la verità). Ed è di tutti i “complotti”. Portabandiera dei no wax: due anni ha pubblicato un libro contro Anthony Fauci, “The real Anthony Fauci”, che ha gestito la campagna americana anti-covid – uno dei suoi maggiori  rimproveri a Biden è la campagna di vaccinazioni. Convinto che i vaccini causino autismo, che gli antidepressivi tipo Prozac siano all’origine delle sparatorie nelle scuole, tra gli adolescenti, che “prodotti chimici tossici” siano la causa dell’ondata di “disforia sessuale” tra gli adolescenti. Sostiene anche che le torri 5 G e le monete digitali sono “strumenti totalitari” per il “controllo dei nostri comportamenti”.
L’intervistatore insiste per fargli criticare l’estrema destra “cospirazionista”, ma il quarto Kennedy non si dissocia. A più riprese richiama la terminologia dei Padri Fondatori, che bisogna ammettere anche i nemici nella “tenda”, ascoltarli, cercare i punti comuni. Un candidato decisamente “scorretto”. Non ha nessuna esperienza politica, né come amministratore né come legislatore. Ma rivendica di avere fatto “tutte le campagne presidenziali”, già dal 1960. Di avere pubblicato il primo saggio di politica estera a 19 anni, sulla autorevole rivista “The Atlantic”: “Ho incontrato capi di Stato. Ho visitato molti paesi. Sono stati in tutti i paesi dell’America Latina. Sono stato in molti paesi in Asia e in Africa”.   
David Remnick,
The alternative Facts of Robert F. Kennedy Jr., “The New Yorker”, 7 luglio 2023, free online