sabato 22 luglio 2023
Le guerre della Francia all’Italia
Si tiene a Roma una conferenza sul Mediterarneo, a cui partecipano tutti. Eccetto la Francia. Per nessun motivo specifico. E il pensiero va alla storia. Che vede l’Italia legata alla Francia in tutto quello che fa i suoi punti deboli, la cultura burocratico-giuridica (poco si è diversificato, forse solol l’Antitrust, costruito sull’esempio della Germania Federale), e la Costituzione modellata per la aprteb politica (palamento e governo) sulla Quarta Repubblica. E sempre trattata ostilmente dalla Francia.
L’Italia di Zaki
Patrick Zaki rifiuta il volo di Stato.
Potrebbe dire per non profittare dell’Italia. Fa invece dire, o lascia dire, per
non dover ringraziare il governo.
Va bene anche così, fa quello che
vuole. Ma si può ora anche dire che il suo è stato ed è un modo di stare a fronte
del Paese di accoglienza che si fa solo con l’Italia. Ha creato un problema fra
l’Italia e l’Egitto (che peraltro ne hanno di veramente gravi, l’assassinio di Regeni)
con una fake news sulla persecuzione dei Copti. Si dice: la libertà di espressione. Ma non si può giocare su una convivenza religiosa, pacifica.
Si tralasci pure questo, l’oggetto
del suo processo. Ma Zaki è uno che dopo avere impegnato diplomazia e interessi
dell’Italia per un suo (non) problema, ora non vuole essere riconoscente. Questo
succede solo con un Paese come l’Italia: poteva anche scusarsi e ringraziare,
non il governo, l’Italia. Lui no, sa poco o nulla dell’Italia e non intende
imparare, nemmeno la lingua.
L’Italia del resto lo ha
proclamato cittadino, con voto parlamentare. E lo ha addottorato, non sappiamo per
quali studi, a pieni voti - in che lingua, massonica? Una ventina di città lo vogliono cittadino onorario. Lo avremo presto parlamentare - in inglese?
L’emigrazione è un’avventura – dei forti
È
il terzo volume della serie che che Hervé “Baru” Barulea, figlio di immigrati,
maestro riconosciuto del fumetto di scuola franco-belga, dedica agli immigrati
italiani in Francia. Una storia “eterna” in Francia da un secolo a questa parte,
e sempre violenta, oggi con gli africani come un secolo fa con gli italiani.
Un
fumetto “storico”, che Baru ha costruito su una documentazione solida, di
eventi e personaggi. In chiave naturalmente di protesta e di riscatto – la
serie, di tre volumi, nell’originale reca il titolo “Bella ciao”.
I
personaggi sono “veri”. In situazioni “vere” – la siderurgia e le miniere belgo-lorenesi.
Con il loro carico di oppressione e di morte, e di un prolungato isolamento. Nel caso dei suoi
nonni, attesta Baru, fu un’insistita richiesta di tornare alle origini nelle Marche,
per esservi sepolti. Desiderio che non fu possibile esaudire, neanche questo.
Una
storia però non rivendicazionista o asfittica: ci sono le tragedie e c’è la
nostalgia, ma c’è anche l’orgoglio dell’integrazione, della patria acquisita,
in guerra e oltre. E ci sono ricette, banchetti, feste, canzoni, familiari e di
ogni occasione, tra parenti vicini e lontani. Baru, del esto, per quanto legato
ai noni paterni e all’Italia, non sa l’italiano:
il padre, figlio di emigrati dalle Marche, aveva sposato una bretone, e la
saldatura si è presto fatta.
Il
curioso, nota Baru in un’intervista che accompagna la pubblicazione, è che “il prezzo pagato dagli immigrati
italiani per mimetizzarsi nella società francese è la negazione della violenza che è stata
loro inflitta”. Nell’immigrazione, come negli altri paradigmi della storia dei popoli, tante ferite si
producono, che poi si ricuciono – e l’emigrazione è un ferita dei forti
(determinati, caparbi, avventurosi).
Baru,
A caro prezzo, Oblomov, p. 136, ll.
€ 22
venerdì 21 luglio 2023
Problemi di base amorosi ter - 758
spock
“L’amore è la prima parola di Dio, il
primo pensiero che veleggiò per la sua mente”, K. Hamsun, “Victoria”?
“Quando Dio disse: «Sia fatta la luce!»,
l'amore fu”, id.?
“L’amore fu l’origine del mondo e il suo
dominatore”, id.?
“Ma tutte le sue strade sono piene di
fiori e di sangue, di fiori e di sangue”, id.?
“Invecchiare non significa solo
rimuovere: è anche rinnovare”, id.?
spock@antiit.eu
Voltaire giornalista
Una
proposta di testi leggeri di Voltaire. Nel presupposto, come diceva Valéry, che
molto lo aveva in confidenza, che dopo i sessant’anni ancora dice qualcosa.
Dopo i sessant’anni suoi, di Voltaire. Che prima invece era stato autore di un’abbondante
produzione di tragedie in cinque atti, in versi, e di storie prolisse.
I
titoli dei “pezzulli” sono invoglianti: “Dell’orribile pericolo della lettura”,
“Siate conformisti”, “Donne, siate sottoposte ai vostri mariti”, “Fino a che punto
bisogna ingannare il popolo”, “Dialogo del cappone e della pollastra, “Le tribolazioni
dei poveri letterati(gens de lettres)”.
Con le ennesime caricature dei grandi nemici, Legrand de Pompignan, e Jean
Fréron (“Le pauvre Diable”) - “vermicello del culo di Desfontaines”, altro critico
avverso a Voltaire.
Oggi
forse impubblicabile, troppo “scorretto”. Il precetto delle donne andrebbe a segno: è di san Paolo e non di Maometto. Quello del titolo è invece
di un populista patriottardo, quale se ne trovavano a destra e a sinistra in
Francia dieci anni fa, quando la raccolta è stata pubblicata: un’invettiva contro
Maometto e l’islam, che vogliono l’ignoranza. Ma ce n’è anche per i secoli bui,
l’undicesimo, impegnato in un “disputa degli stercoristi”, di un’Europa incolta e ignorante, che per
curarsi doveva andare dai mussulmani. Contro i gesuiti, naturalmente, qui
impegnati a imporre l’“amore puro”. Contro gli stupidi e la stupidità. E contro
la guerra: contro la guerra sempre, dal primo all’ultimo scritto, tanto è
insensata – “più se ne ammazzano, e più se ne presentano”. La guerra è anche
ridicola: “È ridicolo credere che Romolo abbia celebrato dei giochi in un
miserabile villaggio fra tre montagne pelate, e abbia invitato a questi giochi
trecento ragazze del vicinato per rapirle”, “Carlo Magno fece la guerra trent’anni
ai poveri Sassoni per un tributo di 500 vacche”.
Ma
non si ride con Voltaire. Anche sorridere, si fa poco: la sua sferza è
insistita, prolissa, ripetitiva. Risentita più che ironica. Al meglio, quando non
c’è motivo personale, è Gramellini nel suo diaio delle bêtise – uno strano effetto: Voltaire giornalista?
Voltaire,
De l’horrible danger de la lecture,
Flammarion, p. 183 € 6
giovedì 20 luglio 2023
Letture - 526
letterautore
Sibilla Aleramo – Lo pseudonimo è anagramma di
“amorale” nella presentazione che Silvio Raffo alla riedizione delle poesie di
Aleramo, da lui curate vent’anni fa. La biografia, pur ampia, di René de Ceccaty
si era limitata a delinearne il carattere impetuoso, da virago. Partendo naturalmente
d all’episodio che ne segnò la vita, il rapporto (subito? consentaneo?) a 15
anni con un dipendente del padre, col quale un anno si sarebbe sposata, pur non
essendone rimasta incinta.
Cinema
- Decretandolo
arte del Novecento, “non più parte delle nostre vite”, Cazzullo fa sul
“Corriere della sera” questa lista memorabile del secolo del cinema: “Io direi:
Stanley Kubrik, Peter Weir, Ridley Scott, John Madden, Christopher Nolan”. Pur
premettendo: “Ognuno ha la sua classifica”. Ma non si è perso il meglio?
Fantascienza-gialli
– Vladimir Nabokov, che non amava i due generi,
ne sintetizza così le debolezze (in un
racconto fantascientifico, “Lance”…. – il suo unico): “La stessa specie di tristemente
pedestre scrittura, con tonnellate di dialoghi e quintali di calcolato humour”.
Una scrittura di clichés: “I clichés, si capisce, sono mascherati;
essenzialmente sono gli stessi attraverso tutta la materia di lettura a buon
mercato, che attraversa l’universo o il tinello”.
Incipit
–
Sono l’unico, si può dire, riferimento letterario delle residue critiche novellistiche
nei media. Esito probabilmente dei passaggi al giornalismo dei redsttori editoriali.
D’Orrico, joker della narrativa per i periodici del “Corriere dela sera” ne fa
la celebrazione sull’ultima “Lettura” bocciando i cinque finalisti del premio
Strega, con due 3, due 4, e un “quasi sei” – a Maria Grazia Calandrone, “”Dove
non mi ha portata”: “Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero” (“quella
virgola strangola la frase”). All’opposto, quali incipit magistrali, “anni luce
lontani”, D’Orrico propone Ammanniti, premio Strega 2007 (“Come Dio comanda”):
“- Svegliati, svegliati, cazzo!”. E Volponi, Strega 1965 (“La macchina
mondiale”): “Il mio pensiero e la mia memoria, le lacerazioni che si producono
all’interno, nel tracciato della mia macchina e nell’accensione dei diversi
commutatori, mi tengono anche vicino alle cose e ai fatti che camminano intorno
a me”, e cosi via per altre quattro righe. “Questi sì che sono incipit che
stregano”, commenta D’Orrico. Ma non si capisce se scherza.
Impazienza
–
“Per impazienza Orfeo perse E uridice”, J. P. Sartre, “Le parole”, 189. Ma non
solo Orfeo: “Per impazienza”, continua il filosofo, “mi sono perso spesso. Sviato
dall’inattività, mi capitava di ritornare alla mia follia quando avrei dovuto
ignorarla, metterla da parte e fissare l’attenzione sulle cose esterne”. Sartre
si riferisce a periodi in cui la noia lo dominava, lo scarso o nessun
interesse.
Italiano
–
Ritorna in musica, in ambiti e aree quanto di più lontano dall’Italia, storia e
cultura - mentre i musicisti italiani prendono
nomi quanto di più remoto dall’italiano, dalla declinazione e dal senso. Sul
solco degli Abba, il gruppo svedese, il cui maggior successo è “Mamma mia”, da
un paio d’anni cresce “Amapiano”, la house
music, o musica dance, sudafricana
– la “danza del futuro”. Che si fa strada da un paio d’anni, lieve e sensibile
come il nome: un mix tra l’house
sudafricana e il rhytm and blues
– “il battito del cuore dei giovani”.
Paul
Nizan –
È mefistofelico, per il suo grande amico Sartre. Infine a scuola, passati i
dieci anni, alla media del liceo Heny IV di Parigi come esterno, Sartre, figlio
e nipote fino ad allora solitario,
scopre la vita in comune dei ragazzi, con grandi spassi e grandi
amicizie. In particolare con il bello e buono e bravo della classe, di nome
Bénard. Che però, come nei migliori romanzi con i quali Sartre aveva convissuto,
“alla fine dell’inverno morì”. Il cordoglio non fu di facciata. Fino al giorno
in cui in classe, durante la lezione di latino, “la porta si aprì, Bénard
entrò, scortato dal bidello, salutò Durry, il professore, e si sedette. Riconoscemmo
tutti i suoi occhiali di ferro, la sciarpa, il naso un po’ adunco, l’aria di
pulcino freddoloso”. Il professore chiede al nuovo venuto di presentarsi.
“Bénard rispose che era semi-convittore, figlio di ingegnere, e che si chiamava
Paul-Yves Nizan”. Sartre non demorde, e alla prima ricreazione ci fa amicizia. Senonché
“un dettaglio minimo fece presentire che
non avevo da fare con Bénard ma con col suo simulacro satanico: Nizan era
strabico” - ma non lo era anche Sartre?
I due diventeranno veramente amici, spiega
subito Sartre, molti anni dopo, all’Ècole Normale, “dopo una lunga
separazione”, ma anticipa i problemi di questa amicizia, in una lunga pagina: “Era
troppo tardi per tenerne conto”, del diavolo nello sguardo, “avevo amato in
questo viso l’incarnazione del Bene, finii per amarlo per se stesso. Ero preso
in trappola, la mia propensione per la virtù mi aveva condotto ad amare il Diavolo”.
Un diavolo particolare: “A dire la verità, lo pseudo Bénard non era molto
cattivo: viveva, ecco; aveva tutta le qualità del suo sosia, ma appannate. In
lui, il riserbo di Bénard virava alla dissimulazione: sconvolto da emozioni
violente e passive,non gridava ma l’abbiamo visto sbiancare di colera,
balbettare.; quello che prendevamo per dolcezza non era che paralisi momentanea;
non era la verità che si esprimeva dalla sua bocca ma una specie di oggettività
cinica e leggera che ci metteva a disagio, perché non ne avevamo l’abitudine e,
benché adorasse beninteso i genitori, era l’unico a parlarne con ironia”.
Pasolini
–
Rimandato in quinta, benché fosse alunno diligente e bravo (“lodevole” in tutte
le materie). Perché in casa parlavano in dialetto? Si spiega anche la prima poesia
in friulano.
Paternità
–
Nel memoir “Le parole” Sartre, inizialmente
sicuro che il padre assente, all’interno della sua “famiglia” allargata che era
materna, essendo morto subito dopo averlo generato, fosse la causa del suo Superìo
di fanciullo solitario e isolato – uno che ha vissuto di libri, alla maniera di
don Chisciotte. Poi ci ripensa, è la sua mancanza che lo isola: “Un padre mi avrebbe
liberato di alcune ostinazioni durevoli: facendo dei suoi umori miei principi,
della sua ignoranza il mio sapere, dei suoi rancori il mio orgoglio, delle sue
manie la mia legge, mi avrebbe abitato; questo rispettabile locatario mi
avrebbe dato del rispetto per me stesso”.
Roma
–
Ogni quartiere è un altro, ogni pochi anni: la geografia urbana muta
costantemente, rapidamente – a differenza dei paesi, che invece perpetuano i
caratteri. I Parioli fascisti sono da una generazione ormai saldamente Pd.
Trastevere dei ladroni ancora trent’anni fa è un quartiere ora intellettuale e
quasi culturale – non fosse che di notte diventa una mangiatoia. San Lorenzo, a
lungo ribollente di ogni “alternativa”, di teatro off, di musica pop e di
sballo, strapieno di giovani (studenti fuori sede), è ora smorto, sembra vuoto –
orfano e muto. Il Pigneto, modesta
immigrazione calabrese, di artigiani, è da trent’anni il quartiere off-off, il più in. Garbatella, tranquillo quartiere (“mussoliniano”) di piccola borghesia,
scoperto dai “Cesaroni” in tv, cresce esponenzialmente, nell’immobiliare e nella
gastronomia - già da anni, ben prima di Meloni.
letterautore@antiit.eu
Troisi ricomincia da sé
Due
ore di cinema documentario ma vispe come un film a soggetto. Grazie alle scene
dei film di Troisi che lo animano, e alle testimonianze. Specie quella, poco o
nient’affatto abituale, di Anna Pavignano, la scrittrice torinese che fu per un
tempo la compagna di Troisi, e la coautrice dei suoi fim migliori, “Ricomincio
da tre” (1981), “Scusate il ritardo” (1983), “Le vie del Signore sono finite”
(1987), “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” (1991), “Il Postino”
(1994). Che dà ragione dei personaggi femminili fuori cliché dei film di Troisi. E poi c’è Troisi, la sua faccia e le sue
battute.
Per
questo aspetto, del Troisi-che-non-vuole “fare il napoletano”, particolarmente
rinfrescante in questo momennto di napoletanitudine
invadente, tra scudetto, il ministro Sangiuliano, e il ritono dei turisti. Di
Troisi che a Firenze vuole essere in vacanza, “partenopeo e… parte fiorentino”.
Curiosamente, Troisi riesce ancora a bilanciare Martone, anche lui in vena di
napoletanitudine – con l’insistito incongruo assunto che nel Golfo nacque in
quegli anni una nouvelle vague
cinematografica italiana, e da Napoli si espanse nel vasto mondo.
Non
è la sola incongruenza. Martone, che pure è uomo di teatro, sa cioè che
l’improvvisazione non paga, insiste sulla semplicità e naturalezza della
comicità di Troisi. Come se fosse un attore di strada fortunato. Mentre ogni
mimica, ogni pausa, ogni parola della “semplicità” e “naturalezza” è opera
d’arte, va coltivata, costruita, provagta, azzardata.
Funziona
invece l’altra idea di Martone: legare la filmografia di Troisi, benché
limitata, all’opera di di Truffaut. Come
un lungo racconto, a episodi, di se stesso e del mondo verso se stesso. Che è
comunque ipotesi vera, e àncora Troisi saldamente, fuori dal cabaret, dalle
battute, nella comicità classica. La
vera Napoli si penserebbe questa, troppo scafata per non essere misurata.
Mario
Martone, Laggiù qualcuno mi ama, Sky Cinema Due, Sky Documentaries, Now
mercoledì 19 luglio 2023
Problemi di base amorosi bis - 757
spock
“L’amore può rovinare un uomo,
risollevarlo, e marchiarlo a fuoco di nuovo”, K. Hamsun, “Victoria”?
“Può amare oggi me, domani te, e un altro
la notte dopo, tanto è incostante”, id.?
“Ma può anche resistere come un sigillo
indistruttibile e fiammeggiare inestinguibile fino all’ora della morte, tanto è
eterno”, id.?
“Quindi, com’è l’amore?”, id.?
“Ahimè, l’amore rende il cuore dell’uomo
una fungaia, un giardino lussureggiante e insolente, dove crescono impudenti funghi
misteriosi”, id.?
“No, non è neppure questo, è tutt’altro,
nulla al mondo gli somiglia”, id.?
spock@antiit.eu
Diavoli, o angeli
Il racconto di un sogno. Di una visita o smarrimento
nella cattedrale di Autun, “la nostra cattedrale”. O più facilmente la lettura
in sogno di un “testo-guida” alla cattedrale e al suo celeberrimo portate, “la
ricca opera dell’abate Denis Grivot, Maestro di Cappella della Cattedrale di Autun”
- da cui i riferimenti alla “nostra
cattedrale”. Di una poetessa, narratrice e critica letteraria italiana attiva
in Francia, collaboratrice di “Critique”, la rivista di Bataille poi diretta da
Jean Piel, dei “Temps Modernes” di Sartre e De Beauvoir, e infine di Deleuze e
Guattari, della loro rivista “Chimères” (“rivista delle schizoanalisi”). Un
racconto scrtto in italiano, unico libro mai pubblicato dalla scrittrice – a
opera di Jacqueline Risset, la poetessa traduttrice della “Divina Commedia” in francese, francesista allora,
vent’anni fa, influente alla Sapienza.
Una forma di scrittura in automatico, quale si è
tentata in Francia per mezzo secolo, dai surrealisti a Sollers e Guattari. Per associazioni
di immagini. Per immagini insorgenti, accostate anche se non correlate - non necessariamente in sogno: accostate anche a occhi aperti, in forma di sogno. Di cui
è paradigma, fra le tante immagini-storie insorgenti, la morte casuale di
Caino, personaggio pure tanto conseguente, dopo essere stato dimenticato dalla
Bibbia. Caino muore vecchissimo “di centinaia e centinaia di anni”, quando un
giovane Tubalcaino, figlio di “uno dei suoi innumerevoli discendenti di nome
Lameche”, che, “vecchio e cieco continuava ad andare a caccia”, indirizza
l’arco del padre verso qualcosa che si muove tra le foglie fitte, e la freccia
trapassa il collo di Caino.
La visione-racconto di un sacro molto profano. Nell’“opera-guida”
e nel portale di Gislebertus – 29
blocchi di pietra calcarea, scolpiti indipendentemente, prima di essere
giustapposti. Forse i diavoli sono il male, come vuole l’“opera-guida”. O forse
no, come dicono le fiabe, quelle di Esopo, tradotte da Fedro, “due schiavi”,
che Agostino vorrà materia cristiana. O forse è un “intatto, disperato,
fatale dismemorarsi davanti ai prati in fiore
e agli ori del Paradiso del Beato Angelico”,
nel pur “gelido convento di San Marco a Firenze”. Un altro mondo, anch’esso
cristiano.
Antonella Santacroce, Diavoli e dannati, Sellerio, pp.77 €
martedì 18 luglio 2023
A Sud del Sud -. il Sud visto da sotto (531)
Giuseppe Leuzzi
La scoperta del Sud
Emanuele Farneti, già “Vogue
Italia”, direttore di “d”, il femminile di “Repubblica”, può dedicare l’ultimo
numero al Sud. Partendo da una lunga serie di constatazioni. Lo scudetto del
Napoli, il traffico aeroportuale che “cresce a doppia cifra”, “i neologismi (Salentoshire, Notoshire), e il lungo
boom immobiliare. Le sfilate di moda. Le popstar internazionali che cantano
canzoni di idoli locali. Ci son i set
in cui si girano i prossimoì blockbuster.
Le startup. Le basi spaziali. I matrimoni dei vip. Le masserie che aspettano il
G7. Gli innumrevoli nuovi luoghi dove dormire, mangiare, ballare”. Insomma, non
è detto.
In più ci sono i festival,
gli eventi letterari, i teatri, greci e di strada, i buen retiro di stelle e vip, anche simpatici. Quindi, anzi, non si
vede perché il Sud sia sempre sud. Nomi e eventi si moltiplicano, Dior, Gucci, Dolce
& Gabbana, Madonna, Mick Jagger. E i luoghi sono indubbiamente del Sud, anche
se qualche manager e imprenditore viene da Milano.
Resta da dire che la “scoperta del Sud” è opera,
episodica, di giornali inglesi, e americani. Il “Guardian”, il “Wall Street
Journal”, il “New York Times”. Che hanno bisogno di diversificare le mete
turistiche – i lettori vogliono novità. Uno ha consigliato un anno la cucina calabrese
(sic!), un altro la Sicilia, un altro il Cilento. Il Salento lo hanno scoperto
gli inglesi, come residenza alternativa alla costosa (burocratica, censoria)
Toscana. La Sicilia i produttori di “White Lotus”, la serie che ci ha portato
Mick Jagger e tutti quanti – un’idea di Barbara Salabé
quando gestiva Hbo-Warner Bros Europa.
E
che la scoperta non è nuova, veramente. La scoperta del Sud era uno dei pezzi
forti del “Grand Tour”, dei viaggi inglesi, tedeschi
e francesi avventurosi, nel Sette-Ottocento. Di avventure per lo più
immaginarie. Più spesso delle signore, giovani o in età, per la penna delle quali
il Sud diventava luogo obbligato di azzardo, con i briganti e senza – “ci
volevano rapire i briganti, però…”. Forse il problema del Sud è proprio la scoperta,
essere stato scoperto - essersi lasciato scoprire. Nel Sei-Settecento, anche
nel primo Ottocento, a Napoli e Palermo
si facevano incontri e si tenevano conversazioni come a Parigi o a Vienna –
Berlino ancora “non c’era”, Londra aspettava Dickens, pagandosi qualche musico
tedesco bisognoso. Le scoperte si fanno a danno degli indigeni, li cancellano.
Restanza
e abbandonologia
Restanza (Vito Teti) e
abbandonologia (Carmen Pellegrino), il “Sud floreale” di “d” non manca di agudezas, anzi ne abbonda.
L’abbandonologia è una
scoperta. Doppia: si scopre che esiste da tempo, è scienza canonica. E già un
mestiere, “abbandologo”, registrato dalla Treccani tra i neologismi. Conio di Carmen
Pellegrino, sia la parola che il mestiere. Di cui Treccani dà questo ritratto, tra i riferimenti del termine: “Giovane, molto bella, vive a Napoli. Scrive i suoi
post su facebook, sono drammatici oppure evocativi. Racconta di luoghi mai
visti, galleggiano nella sua stranissima percezione del mondo…”.
Teti, antropologo, con ottime
ragioni. Che ha esposto nel lungo saggio dal titolo “La restanza”, qui censito.
Sullo speciale “d” le sintetizza così, in polemica con i piani di
ripopolamento, di Badolato, o Riace: “Vendere le case dei borghi a un euro
significa non capire che, per la gente che le abitava, erano axis mundi, luogo degli affetti
familiari e del succedersi delle generazioni, rifugio e sicurezza… Anche a voler
sovolare sul concetto di casa-mondo, la casa a un euro è un espediente che
nasconde il desiderio di cancellare il paese come comunità e di fondare un
non-luogo senza relazioni… Restare è una scelta, e deve avere delle forti
motivazioni sociali e antropologiche”.
E se le motivazioni non ci
sono? Non molte? O la demografia, soprattutto, fa difetto? Restare così, in astratto,
senza abitanti, senza vicini di casa, qualcuno con cui scambiare qualche parola?
Fare la guardia al bidone? Anche solo a voler salvare la memoria – che di per
sé non è sensato: per chi, per che? Incrostare la memoria non ha senso, se non
c’è chi memorizzi compartecipando, combinando. Anche col silenzio, il
“traudire” di Praz, la “stanza accanto” di Vernon Lee.
Le case dei borghi a un
euro in Abruzzo o in Sabina hanno salvato molti paesi. Nel senso che permettono
loro di sopravvivere, con poche differenza peraltro – il “carattere” rimane, e
i servizi, dalla spazzatura alla rìstorazione e alla sanità e socialità. Li
hanno ripopolati, quindi hanno riattivato strade, servizi, ambulatori, perfino
ospedali. Il territorio è
rifiorito, più verde, meglio servito, più contento di se stesso. I luoghi si
rigenerano, sennò che storia sarebbe
Ma la mafia non si spia
“Le
intercettazioni con i trojan sono poche e indirizzate contro le mafie”, titola “Il
Sole 24 Ore”. Dando i numeri sugli ascolti forniti dal governo. Che, attesta il
giornale, “sono solo il 3 per cento del totale”, del totale degli ascolti, delle intercettazioni.
Anche se “il confronto con gli altri paesi
attesta la centralità dello strumento investigativo”. Trojan è il virus
informatico che opera come il cavallo di Troia, senza che la persona spiata se
ne possa accorgere.
“Se
il totale delle intercettazioni nel 2021 totalizza 94.886 «bersagli (il che non
equivale ad altrettanti indagati, visto il più che probabile possesso di più di
un’utenza da parte della medesima persona), quelle effettuate col virus
informatico sono 2.896”.
Le
intercettazioni, con trojan o senza, sono poche, sono molte? Sono molte. In Gran Bretagna
sono nell’ordine delle migliaia, e la diffusione di materiale intercettato non
autorizzata è punita con un anno di carcere e una multa illimitata. In Francia
le intercettazioni sono disposte da un giudice e non dal pm. In Germania
l’intercettazione è ammessa per “sospetto di reati gravi” all’esterno
dell’abittazione\ufficio, all’interno per reati “gravissimi” – può essere presa
dalla Procura ma un giudice deve confermarla entro tre giorni. Negli Stati
Uniti si fanno duemila intercettazioni l’anno, poco più. Ma soprattutto è
curiosa in Italia la distribuzione dei trojan, quelli del 2021, come
documentata dal “Sole”.
Il “numero dei bersagli per distretto”
nel 2021 è stato di 40 a Palermo, e di 220 a Brescia. Numeri come uno se li
aspetta, riferendosi alle mafie, sono quelli di Napoli, che capeggia
incontestata anche questa classifica, con ben 563 “bersagli” nel 2021. Seguita
da Reggio Calabria con 264, e da Catania con 209. Ma Reggio Calabria va di pari passo con Roma, 263 “bersagli”, che ha una popolazione di oltre dieci volte quella
del distretto giudiziario reggino. Mentre Catanzaro, dove la Dda, la procura
antimafia, è diretta del terribile Gratteri, con migliaia di carcerazioni l’anno,
è la meno “bersagliata”, 12 trojan in tutto – veramente all’ultimo posto viene
Trento, con zero “bersagli”, ma Catanzaro è subito sopra. Cosenza dev’essere
immune dalle mafie, non figura nella distribuzione dei “bersagli”. Come la pur
disastrata, nelle cronache, Foggia. Torino invece e Bologna sono tra le città
più pericolose, con 139 e 134 trojan.
Il Brancati cancellato
Si parla di Brancati solo
nelle lettere al direttore. Lorenzo Catania, che evidenzia il contrasto tra la
professione di fascismo dello scrittore, in udienza nel 1931 da Mussolini, e i romanzi
che in quegli anni veniva pubblicando e lo avevano reso celebre, “per ridicolizzare
il mito della virilità propugnato con enfasi dal regime e la stupidità del suo
attivismo”, trova spazio solo nelle lettere al direttore, un po’ compresso
(tagliato), del “Corriere della sera”.
Lorenzo Catania vorrebbe anche
correggere una svista nelle crono-biografie redatte per le “opere complete”,
Bompiani dapprima e poi Mondadori, che danno Brancati in visita da Croce nel
1947, con Sandro De Feo, “per
«riparazione» della visita effettuata nel 1931 a Mussolini”. Mentre Croce, nei
“Taccuini di guerra” riediti vent’anni fa annota semplicemente, 29 novembre 1945:
“Visita del De Feo e di V. Brancati e conversazione”.
Di più Brancati non merita.
Puglia
“Bruciare ulivi e idee
scientifiche”, Paolo Bricco può intitolare sul “Sole 24 Ore Domenica” lo
sterminio degli ulivi secolari in Puglia
a causa del virus xylella. Per lo più nel civilissimo Salento. Per ignoranza –
basandosi sulla ricerca di Daniele Rielli, “Il fuoco in visibile. Storia umana
di un disastro naturale”: 21 milioni di ulivi sacrificati secondo il Cnr, 22
milioni secondo la Coldiretti.
A causa di sciocche “narrazioni”
complottiste e negazioniste. Non si crederebbe, poiché per moltissimi è stato
un danno grave e gravissimo, ma è quello che è avvenuto. Del tipo: è l’Europa
che vulole tagliarli, “probabilmente per sostituirli con ulivi transgenici della
multinazionale Monsanto”. Per cui non si è fatto quello che si doveva fare, o
altrimenti in ritardo.
Convinti che “esperti contadini”,
direbbe Bricco, “erano in grado di curare gli ulivi secolari con metodi naturali
e antichi e ciononostante l’Europa voleva tagliarli” (Monsanto) erano i
magistrati. Bricco e “Il Sole” non osano colpevolizzarli, ma registrano che “il
pattern degli interrogatori” degli esperti
non cambia mai, è costruito attorno all’ipotesi che la xylella è endemica, e
quindi non c’è da preoccuparsi. Scrive Rielli: “I magistrati ricordano che lo
Stato li paga per fare le domande, ma leggendo la trascrizione mi chiedo quanto
stiano poi anche ad ascoltare le risposte”. Bell’affare.
Gli stessi giudici che
volevano la chiusura del siderurgico di Taranto ora sono in pensiero che non
arrivino all’impianto i soldi previsti dal Pnrr. Che l’impianto debba chiudere.
Gli stessi giudici, non sono cambiati. In
questo senso sì, la Puglia può ambire a essere Milano.
Mostre e festival a Vieste. La
cucina a Rodi. Monte Sant’Angelo e la Foresta Umbra, primissima riserva naturale.
Rilanciare il mare del Gargano, che era stato scoperto dall’Eni sessanta o
settant’anni fa - sulla traccia Aga Khan-Porto Cervo. Fare molto terzo settore, delle anime pie, coi soldi del Comune,
della Provicia. Creare una o due “buone notizie”, al mese se non a settimana.
Aprire il palazzo o museo Arbore. Si agita Foggia, l’ex Tavoliere d’Italia, per
non annegare quale “grande Rosarno”, sfruttatrice degli immigrati e mafiosa.
Con molte speranze appese al film che vi ha girato Omar Sy, l’attore francese,
“Pins and Needles”, con 500 comparse locali, dei Fossi d’Arcadia, sui monti
Dauni. Cosa (non) bisogna fare per sopravvivere. E sempre la Federazione
Calcio trova un motivo per non ammettere il Foggia in serie B, in corsa per la
A, che pure ha avuto un passato
illustre, del miglior Zeman.
Presiede la Federazione
Calcio, in questi anni di purgatorio del Calcio Foggia 1920, Gabriele Gravina,
che è pugliese. Ma è di Castellaneta, Taranto. Che è dire un altro mondo da
Foggia. Il tribalismo esiste per escludere, oltre che per includere.
Sempre parlando di Foggia in
cerca di rispettabilità, si dà per scontato che la Puglia è la capitale del
caporalato. Mentre non lo è – non più che altre regioni, anche la Liguria e il
Veneto o il piacentino, fiori, pesche e pomodori. È però certamente il luogo
dove il caporalato viene denunciato.
Il Salento, viceversa, ha
fatto un balzo al vertice, economico e di stima, ricercato. Malcom Pagani, che
pure non deve avere molti anni, se lo ricorda polveroso e remoto, “un avamposto
estremo, una Gibiltera italiana, un confine quasi metafisico”. Fino a Bari ok,
poi la “lunga Marcia”: “A Bari si scendeva e iniziava un altro viaggio. Una
volta a Lecce, poi, le Ferrovie dello Stato, oggi come allora, cedevano lo
scettro alle Ferrovie Sud Est”, che arrivavano quando potevano – immortalate vent’anni
fa nel film di culto ”Italian Sud-Est”. La storia si fa.
“L’immagine internazionale
della regione è profondamente cambiata”, può sintetizzare i suoi reportage la rivista “d”: “A partire dai
nomi con cui è conosciuta: Pugliawood, Murgia Valley, Silicon d’Itria, Grottangeles”. Con commento: “Nell’eterno
derby tra il barese e il leccese, da tempo ha vinto un terzo incomodo,
l’inglese”. Casa di Helen Mirren, Francis Ford Coppola, Dépardieu, Meryl
Streep, Malkovich, forse Clooney. Le sfilate “storiche”, scenografiche, di Dior,
Gucci, Dolce & Gabbana. E le faraonate dell’“Apulian
Wedding”, per miliardari.
leuzzi@antiit.eu