sabato 5 agosto 2023

Problemi di base - 761

spock


La follia è pura?
 
La storia è prevedibile?
 
I genitori di figlie hanno più probabilità di divorziare di quelli con fili maschi?
 
Solo quando le figlie raggiungono la pubertà?
 
“Meno ti conosci, meglio stai”, Emanuele Trevi?
 
E la psicoanalisi?
 
Perché ci dovrebbe essere nell’universo, per quanto infinito, qualcosa di simile all’umanità, o anche soltanto alla terra, a ventimila anni luce?

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – processuali (243)

I processi a Trump, sei finora, sono scaglionati lungo la campagna elettorale.
Il processo civile contro la Trump Organization comincia il 2 ottobre.
Il processo penale per diffamazione avviato da Jean Carroll comincia il 15 gennaio.
La class action per un “pyramid scheme”, o metodo Ponzi, o Madoff, il 29 gennaio.
Il processo hush money (“acquisto” di testimoni) il 25 marzo.
La denncia per i documenti segreti tenuti in casa il 20 maggio.
Resta da calendarizzare il processo per i fatti del 6 genaio 2020.
I processi avrebbero prosciugato la liquidità di cui Trump dispone, compresi i fondi elettorali per le primarie repubblicane.

Il miglior filosofo – se è esistito

Giurista, astronomo, filosofo, interlocutore e ispiratore di Platone, che a lui intitolò un dialogo celebre, per di più pitagorico, dunque un discepolo di Pitagora che ha scritto, ha scritto un trattato, ma poi, Timeo di Locri è mai esistito? La parte migliore del volumetto è il lavoro della curatrice, Cinzia Campus: la sua introduzine e le lunghe note di traduzione - il trattato è poca cosa nel libro, una ventina di pagine (con al centro una lunga serie di numeri armonici), e poca cosa in sé.
Che non sia esistito è ipotesi inesatta. C’è nel “Timeo” di Platone: “Timeo di Locri, in Italia, città dalle ottime leggi,  ove non è secondo a nessuno né per sostanze, né per nascita, ha rivestito le più alte cariche e le magistrature nella città, ed ha toccato, a parer mio, la vetta di tutta la filosofia”, degno interlocutore di Socrate. Quale filosofia, questa? Platone insiste: “Il più valente tra noi nell’astronomia, e quello che maggiore impegno ha profuso nella conoscenza della natura del tutto”. Anzi, addirittura, sarebbe Timeo e non Platone l’autore del “Timeo”, secondo una malignità di Diogene Laerzio: Platone avrebbe derivato il suo “Timeo” da alcuni “libercoli” comprati a caro prezzo, di Filolao e di tre autori pitagorici (che Diogene Laerzio non menziona, ma uno di questi si supporrebbe Timeo di Locri). Malignità ripresa da Proclo due secoli dopo.
Altre notizie non abbondano. Platone lo nomina qualificandolo sempre di “pitagorico”. L’incontro di Socrate con Timeo, che occasiona il dialogo di Platone, sarebbe avvenuto intorno al 421 - “Timeo apparterrebbe quindi alla generazione di Filolao, contemporaneo più vecchio di Socrate”. Cicerone accenna in un paio di passi a un incontro fra Timeo e Platone in uno dei viaggi di Platone in Italia – ma anche lui credeva che Platone si fosse ispirato a Pitagora.
Timeo di Locri, Sulla natura del mondo e dell’anima, Ets, pp. 97 € 6,71

venerdì 4 agosto 2023

Letture - 528

letterautore


Amore
- Il destino si può piegare in mille modi,  “ma non c’è assolutamente un modo per ognuno di innamorarsi”, Robert L. Stevenson, “On falling in Love” (in “Virginibus puerisque”).Soprattutto non c’è per gli scrittori, sembra dire, dall’esemplificazione che fa seguire alla massima: “Si sa di Shakespeare, del problema che gli si è creato quando la regina  Elisabetta gli chiese di inscenare Falstaff innamorato. Non credo che Henry Fielding sia mai stato innamorato. Scott, se non fosse per un passaggio o due in ‘Rob Roy’, mi darebbe la stessa impressione”.
Lo stesso Stevenson pensa della “innumerevole armata di persone anemiche fatte con lo stampino che occupano ordinatamente la faccia di questo pianeta” che la cosa è rara, per un motivo: “Il semplice incidente di innamorarsi è altrettanto benefico quanto è stupefacente”.
È anche inclassificabile. Fra tutti i sentimenti, “l’amore, in particolare, non supera un riesame storico; per tutti quelli che lo hanno sperimentato, è uno dei fatti più incontestabili al mondo; ma se si comincia a chiedere che cosa era in altri periodi e paesi, in Grecia per esempio, i più diversi dubbi cominciano a insorgere”.
 
Analfabetismo di ritorno
–“L’ondata di immagini favorisce un nuovo analfabetismo”, poteva rilevare E. Jünger a fine anni 1980 in una serie di annotazioni occasionali poi pubblicate col titolo “La forbice”, §164: “La scrittura è sostituita dai segni, si può osservare il peggioramento dell’ortografia. Ne consegue l’involgarirsi della grammatica”.
E non aveva ancora gli emoticon, gli idiotismi, stretti, obbligati e decidui, le abbreviazioni da iniziati, le sigle variabili quasi quotidianamente – sempre da iniziati.
 
Braccio teso
– Il saluto romano, poi fascista e nazista, era un segno di difesa e non di affermazione? Così lo dice E. Jünger, “La forbice”, § 102, con “un significato magico”: “Il braccio teso in avanti orizzontalmente, esibito a difesa dallo sguardo del male, con un significato magico”.
 
Buon costume
– Era “teoria dei moralisti dell’Ottocento che il buon costume varia a seconda dei paralleli”” – E. Jünger, “Un incontro pericoloso”, p. 37.
 
Dante
– Leopardi non lo sentiva “suo”, a fronte del Tasso. In un esteso passo dello “Zibaldone”, 4255, a proposito delle sfortune dei due poeti, “sfortunatissimi”. Entrambi onorati, di cui visitiamo riverenti i sepolcri. Ma, continua Leopardi, “io, che ho pianto sopra quello del Tasso, non ho sentito alcun moto di tenerezza a quello di Dante”. Se lo rimprovera, avendo “un altissima stima, anzi ammirazione, verso Dante”. Tanto più che “le sventure di quello (Dante, n.d.r.) furono senza dubbi reali e grandi”, mentre “di questo (Tasso, n..d.r.) appena siamo certi che non fossero, almeno in gran parte, immaginarie”. E ne cerca il perché. Se lo dà in quanto “veggiamo in Dante un uomo d’animo forte, d‘animo bastante a reggere e sostenere la mala fortuna. Oltracciò un uomo che contrasta, e combatte con essa, colla necessità, col fato”. Un ritratto in qualche modo originale. Mentre “nel Tasso veggiamo uno  che è vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato”, etc.
 
Dante islamico
– Tante avventure nell’aldilà sono delle “Mille e una notte”.
 
Don Giovanni
– È coetaneo della Costituzione americana. “Il più famoso libertino all’opera, che impersona la libertà non solo dai vincoli sociali e politici ma dalla sessualità, la religione, e la stessa morale, è sempre stato una figura inquietante” - Larry Wolf, il cultore di Verdi, sulla “New York Review of Books”: “«Viva la libertà!» canta Don Giovanni come i suoi ospiti arrivano per una festa serale, e poiché l’opera fu composta nel 1787, nell’età dell’Illuminismo e alla vigilia della Rivoluzione Francese, non è irragionevole chiedersi che specie di libertà ha in mente. È la specie di libertà politica che fu stabilita nella Costituzione americana, anch’essa scritta nel 1787….”.
Wolf continua riferendo il messaggio a Da Ponte, il librettista, più che a Mozart. Ma evita di dire che Da Ponte era lui stesso don Giovanni – tanto da essere bandito, prete scomunicato, da Venezia. E che, dopo vari matrimoni, imprese fallimentari, peregrinazioni fra Praga, Dresda, Londra, si stabilì in America – vi si stabilì con l’ultima famiglia, e vi divenne insegnante, libraio e infine professore, alla Columbia.
 
U. Eco
– “Umberto Eco, in un saggio di cui mi sto occupando giusto stamattina, il 4 giugno 1988, dice che ogni tentativo di fondare un senso ultimo conduce nell’insensato e sottrae al mondo il suo mistero”– Ernst Jünger, “La forbice”, § 173. Tomista di formazione, Eco ha presto abbandonato la filosofia (la metafisica) per le applicazioni pratiche del pensiero, la sociologia della letteratura, la semiotica, il costume, il giornalismo.
 
Figure
– “La fiaba fa riferimento di preferenza al regno animale, la parabola a quello delle piante – il granello di senape, il loto, il fico, il giglio. Tutte queste figure sono imparentate: sono simboli dell’uomo entro il regno vivente. Ritroviamo invece esempi tratti dal mondo inanimato nei proverbi” – E. Jünger, “La forbice”, §17.
 
Madre-figlia
– Il rapporto conflittuale è uno dei primi temi dei primi romanzi. Miss Howe scrive a Miss Harlowe in “Clarissa”, vol. II, lettera XIII: “Sai, mia madre ogni tanto litiga con molta forza; sempre almeno molto caldamente. Mi capita spesso di pensarla diversamente da lei, e entrambi pensiamo così bene delle nostre ragioni che raramente siamo felici di aver convinto l’una l’altra. Un aso molto comune, penso, in tutti i dibattiti veementi. Lei dice che sono troppo intelligente. Anglicizzato, troppo impertinente. Io, che lei è troppo saggia. Cioè, per metterla in altro modo in inglese, non più così giovane come pure è stata”.

Mosè È citato per la prima volta da Longino? Fra le tante perplessità su chi era Mosè non poteva mancare Voltaire. Nel breve scritto “Auteurs”, 1770 circa, rifacendosi alla “Histoire de la philosophie” del “buon abate Bazin”, fa valere che “mai nessun autore ha citato un passaggio di Mosè prima di Longino, che visse e morì al tempo dell’imperatore Aureliano”. Il nome era noto, Giuseppe ne parla più volte, ma nessuno cita un detto o uno scritto, nessuno dei profeti autori dei libri biblici. “Benché egli sia un autore divino”, aggiungeva Voltaire. Che però non notava che i libri della Bibbia non si citano fra di loro. 
Prima del “romanzo” (poi non pubblicato) e dei tre saggi di Freud su Mosè, “un generale egiziano”, la sua figura era stata al centro di un Antisemitismusdiskurs a fine Settecento, un dibattito sull’antisemitismo. Nel 1790 Schiller pubblicava sulla rivista “Thalia” “La missione di Mosè” – Schiller è stato storico valente, prima che drammaturgo. C’era in corso la rivoluzione francese, ma Schiller si impegnava a rielaborare, in parte confutandola, la prolusione tenuta un anno prima a Jena dall’illuminista framassone Carl Leonhard Reinhold. Con un testo fitto, di una quindicina di pagine, come la prolusione. Schiller fa nascere la parola “ebrei” con la fuga dall’Egitto, un nome spregiativo dato ai riottosi israeliti dal faraone, che li aveva confinati in aree separate. Ma non fa di Mosè un egiziano, bensì il figlio di un’ebrea fatto crescere con un trucco dalla figlia del faraone, e quindi a scuola dai sacerdoti, dai quali apprende i Misteri di Iside. E lo dice per questo un capo opportuno ma anomalo per gli ebrei.
 
Nazionalità - “Sarebbe belllo se nazioni e razze potessero comunicarsi le loro qualità; ma in pratica, quando si guardano l’una con l’altra, hanno l’occhio solo ai difetti” - R.L.Stevenson, “Village Communities of Painters”.
 
Psicologia – “Fabbrica i sogni che studia”, E. Jünger, “La forbice”, §75: “A volte pare che i vecchi libri di sogni possano darci informazioni migliori di quelle che  della moderna psicologia, che fabbrica i sogni che studia”.
 
Santippe – Personaggio ricorrente delle narrazioni (p.es. l’ultimo racconto delle “Mille e una notte”), la donna autoritaria, scomparsa dal secondo Novecento in qua – scomparsa col femminismo che  invece ne sarebbe l’applicazione pratica?
 
Viaggio –Non si viaggia per viaggiare ma per aver viaggiato”, Alphonse Kerr, 1847.


letterautore@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – armate (242)

Fino al 60 per cento delle famiglie americane potrebbe possedere armi.
La percentuale dichiarata dei detentori di armi in casa è molto inferiore, poco più della metà, il 33 per cento del totale della popolazione. Ma il Centro di Ricerca sulle Armi dell’università Rutgers nel New Jersey dubita della veridicità delle dichiarazioni (le ricerche si fanno a campione, il dato non è statistico), e prospetta che una metà di chi dichiara di non possedere armi di fatto le detiene.
Una statistica di fine 2020 dà in 434 milioni di armi da braccio la produzione per il mercato privato nei precedenti venticinque anni.
Nel 2002 sono stati venduti 17 milioni di armi per possesso privato.

Il giallo innocente

Jünger nel 1985, a 90 anni, debutta nel thriller. Nella Parigi di Fine Secolo (Ottocento) centro del mondo: Belle Époque, champagne, fortune accidentate, amori à gogo. E una casa d’appuntamenti elegate e discreta. Vittima, sarebe il caso di dire, un giovane – tedesco – tanto bello quanto innocente. Mentre lei, la femme fatale, di un solo sguardo, è un caso borderline, si direbbe oggi. Il tutto agito, per caso, da un Mercurio, un deus ex machina, dispetico. E agitato (shakerato), in un mondo altolocato, di ammiragli e brasseurs d’affaires, all’ombra del Jockey Club. C’è anche un detective, anzi ce ne sono due – e uno viene dal Deuxième Bureau, il controspionaggio, poi famigerato al tempo delle indipendenze africane.
Un racconto di suspense più  che d’azione – c’è quasi l’unità di tempo, luogo e azione. Con lunghe escursioni attorno ai luoghi e ai personaggi: Jünger si cimenta col feuilleton, col romanzo popolare, che vuole personaggi “distinti”, attorno naturalmente a una seduzione.
Non propriamente un giallo. Un omaggio a Parigi, passeggiata e commentata in dettaglio. Centro più che altro del demi-monde. Delle avventure facili, in affari e a letto, di licenza misurata e obbligata. Un romanzo di costumi. E di formazione, di giovane vergine a opera di un mefistofele di passaggio. Del thriller ha il ritmo - anche se non veloce. Nella traduzione di Anna Bianco, Bompiani, a ruota sulla prima edizione tedesca.
Ernst Jünger, Un incontro pericoloso, Adelphi, pp. 193 € 14

giovedì 3 agosto 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (533)

Giuseppe Leuzzi


Si scopre per la curiosità di un senatore americano che i colori della bandiera, bianco, rosso e verde, erano i colori della Repubblica Cispadana al tempo di Napoleone. Cosa che si sapeva. Ma che la Cispadana li aveva adottati in quanto colori della Lombardia (la cosa, perlomeno, è spiegata così dal sito del Quirinale, chissà): il verde della guardia civica milanese, dal 1782, il bianco e rosso dell’“antichissimo stemma comunale di Milano” (croce rossa su campo bianco). La Lega non lo sapeva, oppure vanno bene una cosa e l’altra, il leghismo e la bandiera?
 
“Un ponte fra due cosche” è una battuta per il ponte sullo Stretto di don Ciotti, il fondatore e animatore di Libera, l’organizzazione che gestisce i beni sottratti ai condannati per mafia. Un patrimonio enorme, di cui non si conosce la qualità della gestione, né la destinazione dei risultati di gestione. Una gestione peraltro assortita di cospicui aiuti pubblici. Il sacerdote conferma che il Sud è vittima (anche) dell’antimafia. Una camicia di forza.
 
Nella Parigi a cavaliere dell’Otto-Novecento, che molto s’immaginava mondi futuri, un Henry Le Bon (pseudonimo per il re omonimo, Henry VI “Le Bon”) pubblicava nel 1890 un “L’an 7860 de l’ère chrétienne”, in cui s’immaginava gli alimenti sintetici e conflitti giganteschi, tra la Francia e l’Inghilterra, e tra la Sicilia e l’Italia.
 
Il linguaggio dei gesti
“È dimostrato che, da sempre, si è attribuita al movimento una forza immediata: la capacità di intendersi attraverso i movimenti, infatti, venne prima del linguaggio. Un’intesa più che sufficiente per un contatto, spesso più comprensibile della stessa parola esplicita. Il fim muto e il teatro Kabuki ne sono una prova” – Ernst Jünger, “La forbice”, § 99.
È il linguaggio del Sud, che si vuole più economico. Quindi espressione del fanientismo meridionale - è topos anche del western, per semplificare l’indolenza chicana. Ma più articolato e  significativo di quello parlato, che si disperde tra dialetto e lingua, nelle forme dialettali e nel dialetto italianizzato. Più comprensibile o più carico di senso, un gesto, un messaggio forse indolente o forse in vece di una parola che non si trova, forse di un giro di parole.
Ma era arte discorsiva, ora non più, sacrificata alla modernità – alla forma compiuta, anche se inespressiva o poco espressiva, di valore legale. Oggi, per via social, in forma prevalentemente di eufemismi, inversioni, paradossi, interrogative, interrogative negative. Cioè parole non solo insignificanti (non o poco significanti), ma incerte, e come un rifiuto del linguaggio, della comunicazione. Una non assunzione di responsabilità di quello che si intende dire, che viene lasciata all’interlocutore – che è una funzione del linguaggio, ma ancillare, non se ne è la parte costituente. Ed è il rifiuto di responsabilità che invece si imputa – si imputava - al “linguaggio del Sud”.
C’è anche una “linea della palma” linguistica, che è montata al Nord, che ha soggiogato il Nord? La “linea della palma” che monta era già troppo pretendere in termini di codici mafiosi – il Sud non dovrebbe pretendere troppo di sé, non conta nulla.
 
Il tempo del Settentrione
Leopardi aveva antevisto anche questo. In più passi dello “Zibaldone”, 867, 2333. Il primo riferimento, 867, è molto chiaro, 
dopo un’estesa disamina del perché le civiltà, gli imperi, fioriscono e poi decadono, a opera dei barbari – nel quadro del pessimismo della storia: “Che vuol dire che i cosiddetti barbari… hanno sempre trionfato de’ popoli civili, e del mondo?... Vuol dire che tutte le forze dell’uomo sono nella natura e illusioni; che la civiltà, la scienza ec. e l’impotenza sono compagne inseparabili…”:“L’Europa tutta civilizzata sarà preda di quei mezzi barbari che la minacciano dai fondi del Settentrione”.  Conclusione ribadita nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani”: “Sembra che il tempo del settentrione sia venuto. Finora ha sempre brillato e potuto nel mondo il mezzogiorno. Ed esso era veramente fatto per brillare e prepotere in tempi quali furono gli antichi. E il settentrione viceversa è propriamente fatto per tenere al di sopra ne’ tempi della natura de’ moderni”.

Un pensiero che Leopardi potrebbe avere mediato da Herder, dalle “Idee per la Filosofia della storia dell’umanità”, del 1784-1791. Che trovava disponibile alla lettura in francese nel 1828, nella traduzione di Edgar Quinet.
 
La mafia onnipotente è dell’antimafia
Salvatore Lupo non lo dice più, si è forse stancato, ma ne dà i dati di fatto in breve, presentando la sua ricerca sul “Mito del Grande Complotto”, dello sbarco Alleato in Sicilia in combutta con la mafia, e la liberazione dell’Europa dal nazifascismo come opera sicula, cioè della mafia – d’intesa e in alleanza con la mafia. Mito che, Lupo non lo dice ma serve ricordarlo, è stato a lungo, e perdura, nella sinistra politica in Italia, nel Pci e negli scrittori che si legano al Pci, come Camilleri. Ma anche in chi, come Sciascia, può essere stato tutto ma sicuramente non sovietista, non uno che credeva tutto in chiave di “guerra fredda”.
Il “complotto” nasce con Michele Pantaleone, persona peraltro stimabile, un politico siciliano e gionalista, interlocutore di Carlo Levi, combattente anti-separatista e antimafia, nel 1968 sul quotidiano di Palermo “L’Ora”, in una sua inchiesta di quattro puntate (a quattro mani con “Castrense Dadò”, pseudonimo dell’avvocato Nino Sergi), e poi, quattro anni dopo, nel primo libro della storia su “Mafia e politica”, pubblicato via Levi da Einaudi.
Non se ne parla successivamente molto, se non in chiave “guerra fredda”, nel Pci e dintorni. Fino alla Commissione Parlamentare Antimafia. Sarà la prima Commissione Antimafia, presieduta dal senatore democristiano Luigi Carraro di Padova, a fare nel 1976 della mafia la mallevadrice, se non l’organizzatrice, dello sbarco Alleato. E poi ancora l’Antimafia di Violante, che pure sapeva di cosa si parlava, interlocutore di Falcone e di Caponnetto, il cui rapporto finale, nel 1993 (“nel momento della massima minaccia portata da Cosa Nostra alla Repubblica”) ripeteva la conclusione di Carraro. Malgrado ci fosse già una documentazione storica, pubblica, che la smentiva.   
 
Cronache della differenza: Napoli
“Napoli è certamente la città i cui abitanti parlano più ossessivamente di sé, e della collettività, dell’ambiente, della cultura e della storia di cui fanno parte”, comincia cosi Fofi, napoletano eccellente, la recensione-stroncatura sul “Sole 24 Ore Domenica” di “Napoli stanca. 17 scrittori raccontano la città nascosta”, l’antologia curata da Mirella Armiero. Cui il gironale dà il titolo: “Scrivi Napoli, dici Napoli, ma come stanca Napoli!”. Fofi è arrabbiato, si sente. “In questo senso sì, Napoli stanca, come dice il titolo”.
 
Un solo atout Fofi riconosce alla sua città, che Napoli è un po’ Milano per “una comune massiccia «gentrificazione»”. Che si pensa sia un complimento: il risanamento dei quartieri degradati. O è un’altra polpetta avvelenata? Il risanamento dei Quartieri Spagnoli, via dei Tribunali, Spaccanapoli si è fatto come a Roma Panico e dintorni, o Trastevere, o il Pigneto: sloggiando i residenti – magari alloggiandoli in abitazioni più morderne e confortevoli, ma in ambiente estraneo, ovviamente periferico.
 
In contemporanea con Fofi sul “Sole 24 Ore”, “Le Monde” fa anch’esso colpa alla città di essersi “gentrificata”, di non essere più sporca e cattiva ma tutta bed and breakfast, sulla via di diventare un’altra Barcellona, un hot spot per turisti. Si stava meglio quando si stava peggio?
O, con un detto calabrese: falla come vuoi, sempre è cocuzza – non si sfugge al “destino”?

Voltaire non dà molto tempo a san Gennaro: “Quando la ragione arriva, i miracoli se ne vanno”. Tanto più che non porta prosperità - nessuno, né nobili né borghesi né popolani, ci guadagna niente. Mentre si sa che “Dio non fa miracoli a data fissa, e che non cambia le leggi che ha imposto alla natura”. Ma lo diceva, “Conformez-vous au temps”, verso il 1765, duecentocinquant’anni fa. Poi si dice che Napoli manca di resilience.

Ha l’onore di essere elevata tra le capitali mondiali dei ladri (vory in russo) da Le Carré nelle memorie, “Tiro al piccione”, §18 – insieme con Varsavia, Madrid, Berlino, Roma, Londra e New York.

  
“Città andalusa sperduta in Italia” la definisce Elisa Chimenti, la scrittrice-imprenditrice scolastica a Tangeri in Marocco, napoletana di origine, emigrata in Marocco col padre medico all’inizio del Novecento, nell’opera inedita “Miettes”, briciole (Chimenti, che si sentiva molto napoletana, scriveva in francese, lingua franca di Tangeri), assicura la sua biografa per l’“Enciclopedia delle donne”, Maria Pia Tolentino, che ne cura le carte.
 
Avellino ha una novità, un assessore al brand. È Barbara Politi, giornalista e conduttrice tv in Puglia, dove vive, premio Ischia per il giornalismo enogastronomico: assessore alla Promozione del brand Avellino. Un Sud 5.0, avendo saltato le precedenti tappe? La fantasia non difetta.
 
“Nella sola provincia partenopea ci sono più beneficiari di Lomardia Piemonte e Veneto, messe assieme”. Nella Campania più beneficiari di Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna Liguria. Battere il Nord non è difficile se ci riesce Napoli da sola - la “città metropolitana” certo. Il beneficio è del reddito di cittadinanza. Poi si dice che a Napoli non sono bravi cittadini.
 
La ministra Calderone può dire: “In Campania, regione col più alto numero di percettori del Reddito di Cittadinanza, sono stati censiti 108 mila posti di lavoro disponibili”. Il redattore che ne raccoglie le dichiarazioni specifica tra parentesi: “circa 25 mila percettori”. Ma è saltato un 5: sono, erano, 255 mila.
 
Il paradosso, per così dire, era materia di più inchieste del “Sole 24 Ore” trent’anni fa, e forse anche quaranta: che a Napoli capeggiavano la classifica dei disoccupati (allora c’era un punteggio, una graduatoria per anzianità, e ai primi veniva segnalato il maggior numero di offerte) sempre gli stessi nomi. Disoccupati di mestiere - i “disoccupati organizzati” di cui non si rise, anzi il Pci se ne fece una forza.
 
Fa sempre senso, ancora a quarant’anni di distanza, ripubblicandosi le lettere di Tortora dal carcere, leggere che tutti i giudici che lo perseguitarono, in Procura e nei Tribunali, fecero carriera. Il presidente del Tribunale di primo giudizio, di cui si tace il nome tale è l’infamia, si produsse in uno sfottente: “Tanto perché non dicano che non do spazio alla difesa”. Questa strafottenza è “molto napoletana”.
 
Fecero tutti carriera, i perscutori di Tortora. Uno dei procuratori fu pure eletto al Csm, senza vergogna. Lo stesso avverrà nel 2006 con Calciopoli, il processo  alla Juventus, tutto napoletano, inquirenti, Carabinieri compresi, giudicanti, e giornalisti accusayori. Invece il giudice che in Appello assolse Tortora, Michele Morello, venne isolato nel palazzo di Giustiza napoletano.
 
Anche questo è “molto napoletano”, il giudice onesto, e il boicottaggio. Qualche anno dopo ci sarà la serrata dei Procuratori contro un capo della Procura, Cordova, un calabrese, che pretendeva che lavorassero, ogni giorno – che aprissero qualcuna dei due milioni di pratiche arretrate.

leuzzi@antiit.eu

Leonardo, Raffaello e Dante brand Italia a Pechino

La mostra che i Lincei hanno organizzato alla Villa Farnesina a Roma nella seconda parte del 2021 è ripresa dall’Istituto Italiano di Cultura a Pechino da fine luglio. Riorganizzata per il pubblico cinese, propone per due mesi 120 manufatti: opere d’arte, manifesti e riviste a parete, e oltre 150 fra libri, cataloghi, pubblicità, cartoline, francobolli d’epoca. Una mostra che collega le prime manifestazioni dell’uso del made in Italy a fini commerciali alle passate celebrazioni dei centenari dei tre artisti: Leonardo, Raffaello e Dante celebrati non per sé ma per l’effetto immagine, per quanto sono stati spesi come nome per consentire al nuovo brand di affermarsi come sinonimo di qualità.

La Raffles City di Pechino è lo spazio più in voga della capitale della Cina. Un complesso di torri, appena  inaugurato, a uso promiscuo, abitazione, lavoro, svago, sport, commercio. A somiglianza della più celebre Raffles’ City di Singapore, già ripresa a Shangai. Intitolata al personaggio dei thriller un secolo fa di Hornung, il “ladro gentiluomo”. Che aveva derivato il nome dall’albergo allora di lusso di Singapore, il Raffles Hotel, luogo di molte avventure del personaggio: una costruzione neoclassica fronte mare, tuttora in attività, realizzata da una società, i Sarkies Brothers, e intitolata a sir Stamford Raffles, il fondatore di Singapore.
Accademia dei Lincei, Il trittico del Centenario, Leonardo 2019, Raffaello 2020, Dante 2021, e l’Ingegno Italiano alle origini del Made in Italy, Raffles City, Pechino
 

mercoledì 2 agosto 2023

Cronache dell’altro mondo – demografiche (241)

Circa 400 mila bambini nati ogni anno da genitori non residenti hanno la cittadinanza americana per nascita. Sono gli “anchor babies”.
Sono più delle nascite ogni anno in ognuno dei cinquanta Stati dell’Unione. Eccetto la California, che mediamente registra oltre 400 mila nascite (420 mila nel 2020) – il Texas, invece, è lo Stato con meno nascite, 366 mila nel 2020.
Si considerano “anchor babies” i figli di immigrati irregolari, o di genitori non cittadini degli Stati Uniti che vi risiedono per lavoro, studio, turismo. Mediamente, sui 300 mila “anchor babies” sono figli d’immigrati irregolari, 70-80 mila di dipendenti stranieri in America col visto di lavoro, di studenti stranieri, di turisti.
L’America si considera tuttora un paese d’immigrazione, che favorisce con la cittadinanza alla nascita (lo ius soli). Uno status guridico largamente maggioritario anche nell’opinione. Ora contestato dai teorici della Grande Sostituzione del ministro Lollobrigida, con due argomenti. Ai 18 anni gli “anchor babies” possono “nazionalizzare” i genitori e altri familiari attraverso la green card, anche se immigrati illegali. O residenti in altri paesi in età avanzata, genitori, nonni. I 4,5 milioni di “anchor babies” in America oggi sotto i 18 anni aumentano la spesa sanitaria pubblica di 2,4 miliardi di dollari ogni anno, “pagati dal contribuente americano”.
“Anchor baby” è termine spregiativo, come di chi avesse fatto un bambino per ottenere poi la cittadinanza, o comunque la non espulsione.  

Come ridono le donne, anche di se stesse

Quattro trentenni disinvolte, trendy, scafate, iperaggiornate. Ma inguaribilmente romantiche. La scrittrice palermitana di belle speranze a Roma, naturalmente al Pigneto, dove sennò, che finisce nella palude del business sceneggiatura. La negoziante di Guidonia in calzature sposina del carabiniere che il ritorno del ragazzino dell’infanzia turba. La figlia aristocratica che vuole andare verso il popolo, e sposta sacchi in panetteria. Una santanché dei Parioli, che non perdona uno sguardo. Quattro storie divertenti. Non esilaranti, non ci sono battute fulminanti, la sceneggiatura è  distesa, discorsiva, ma di personaggi e immagini notevoli. Soprattutto, curioso, quelli maschili, anche se marginali nell’economia del film.
Pilar Fogliati ha aspettato invano la chiamata, dopo l’apparizione in “Forever Young” sette o otto anni fa, poi ha sparato la sua salve. Non ancora il suo “Sacco bello”, ma qualcosa che comunque lascia la traccia. La scena iniziale, delle amiche che si raccontano e mimano gli atti sessuali degli uomini. Il mondo ambiguo dello spettacolo, cinico per bisogno. O in filigrana la pratica inutile del sostegno psicologico – una Bobulova sorridente, che pone problemi invece di risolverli, senza crederci.
Un film anche, senza dirlo e forse senza volerlo, tutto al femminile. Con un taglio e un colpo d’occhio femminile-femminile. Come un dato di fatto, cioè, senza rivalse, polemiche, rivendicazioni.
Pilar Fogliati,
Romantiche, Sky Cinema

martedì 1 agosto 2023

Secondi pensieri - 520

 zeulig


Ateismo – “Il gatto non ha alcuna religione”, E. Jünger, “La forbice, § 51. E tuttavia, se “il gatto non è in grado di porre domande sull’esistenza, possiede  certamente un’esistenza, dunque qualcosa di più di una religione. Gli antichi erano ben consapevoli di questa differenza; potevano perciò adorare gli animali come dei, mentre noi non attribuiamo, persino un Eracle, che il rango di semidio”.

 
Coerenza
– È una virtù perduta, come tale, come intesa comunemente, di fedeltà a un credo o insieme di credenze e di fedi, calcistiche come politiche. Forse perché malintesa. “Esporre le proprie opinioni non è necessariamente essere sordi a tutti gli altri”, come argomenta Stevenson, il romanziere, in “An Apology for Idlers”, l’elogio dell’ozio - p. es., “che uno abbia scritto un libro di viaggi in Montenegro non è una ragione per cui non dovrebbe essere mai stato a Richmond”: “La più grande difficoltà di alcun argomenti è di esporli bene”.
 
Coscienza
– È senziente, la linea cognitiva è in qualche modo collegata a quella affettiva? Almeno fino a un certo punto – sta pure nell’evoluzione, o nella graduatoria creaturale, se ce n’è una (a un certo punto, a certi punti, si  possono dare salti). Se così è, se ne estende l’ambito al di fuori e al di là dell’umanità.
È il termometro allora e il metro più evidente dell’evoluzione – la più inafferrabile delle concezioni umane, creatura della metafisica, prima  che della logica.  Dovendo(si) anche scontare che – nel segmento umano della storia - non tutti gli umani sono coscienti, alcuni sono solo bestie, malgrado la pedagogia, la formazione, l’istruzione, anche forzata: reagiscono cioè sensorialmente, per istinto. In fondo, una coscienza non può che essere socievole – una constatazione di socievolezza se non di disponibilità. Al modo di quel personaggio di Pirandello in “A ciascuno il suo” che dice: “La tua coscienza significa «gli altri dentro di te».
Ci si chiede, ora anche in biologia, se c’è una coscienza in natura – per “natura” intendendosi il creato fuori dalla sfera umana. Ed è evidente che c’è, degli animali e anche dei vegetali. Ma come si forma? Questo è un problema, perché il corpo è un problema, non solo quello umano, ma di tutte le specie, animali e vegetali (e minerali, perché no, anche la pietra è un corpo) – l’evoluzione dice come si è proceduto e si può procedere, ma su sentieri statistici e non creaturali (fondanti). E non perché. Così diffusa e così inspiegabile, la coscienza è quel che rimanda alla creazione – alla favola del paradiso terrestre, che era in potenza tutta la storia successiva, Darwin compreso.
 
È,  si dice, “la radice di ogni conoscenza”. La quale è ricezione ma è anche “creazione”: assetto, o riassetto (identificazione), sistemazione (catalogazione), disposizione  anche. È alla radice, anche, di ogni volontà – seppure irriflessa.
 
È curioso che il suo massimo denegatore, William James, “empirista radicale”, da sempre scettico, non molti anni prima della Grande Guerra sancisse: “Ora mi sembra che i tempi siano maturi per disfarsene apertamente e senza sconti”. Scettico ma ottimista (razionalista).
 
Islam
– “È stupefacente la rinascita dell’islam ai giorni nostri”, nota E. Jünger in una delle sue ultime opere. Notava, novantacinquenne, nel 1990. Non aveva visto il Mia (Mouvement Islamique Armé), il Gia (Groupe Islamique Armé) e l’Isa (Islamic Salvation Army) del terribile decennio di fine secolo in Algeria, con stragi giornaliere e almeno mezzo milione di morti. Né i Talebani, né l’Is – o le formazione terroristiche tuttora attiva nell’Africa sub-sahariana, dalla Somalia alla Nigeria. Né l’abbattimento di Gheddafi, a opera dei tradizionalisti.
A opera, si direbbe, soprattutto delle donne. Che si reputerebbe danneggiate dall’islam, di fatto e di diritto, e invece ne sono la difesa e l’avamposto militante – nel khomeinismo, che è il germe della militanza islamica, e poi nell’Is. Specie in terra infidelium, nei paesi di emigrazione, in Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, più degli uomini, per quanto pii – con hijab completi, dalla cima dei capelli ai talloni voluttuosamente passeggiati per le città roventi di questo luglio, magari aggraziati con cat-eye Chanel da mille euro.
Stupefacente la rinascita è senz’altro. L’Iran, laico e modernista nel 1978, integralista islamico due anni dopo, severissimo: un mondo grande, di storia, formazione, demografia, che si consegna legato agli ayatollah. O la Turchia: si faticava vent’anni fa a trovare una donna velata nella parte occidentale, la più densamente popolata – una sola di fatto in migliaia di chilometri, una sposina, con marito e padre. Un paese candidato dieci anni fa all’Unione Europea. E subito dopo islamico, , anche se la sharia non è la legge – lo è però di fatto. O la Tunisia di Burghiba, altro modello di stato islamico e democratico improvvisamente convertito all’islam politico – da cui non riesce ora a liberarsi. O l’Algeria, che ancora non ha ricucito le ferite del jihad. E i Fratelli Mussulmani nelle altre roccaforti del laicismo arabe o indo-pakistane.
Jünger ha introdotto il tema “rinascita” legandolo alla durata dell’istituzione clericale: “Il clero ha il vantaggio di disporre di un tempo suo proprio. Ancora più importante che uno spazio proprio”. Ma poi ha uno scatto, dopo aver notato la sorprendente rinascita: “Occorre a questo proposito rilevare che essa rimane disposta nell’ordine della tecnica in quanto uniforme dell’operaio”, della massa, come mobilitazione. L’islam odierno questo è, un piano di mobilitazione. Culturale, di genere, sociale, di proiezione internazionale, in chiave rivendicazionista (nazionalista). In epoca di diritti, incondizionali, rovesciandone l’ottica: non per un’estensione dei diritti individuali, ma culturali (nazionali, popolari, storici, eccetera). Con tutte le esche della rivalsa, del nazionalismo.
La mobilitazione fa aggio naturalmente sui diritti individuali – che possono venire calpestati o rovesciati impunemente, e anzi con merito – “Per i combattenti di ogni tipo, il consenso è stato da sempre un’immediata necessità”, deve notare Jünger: “Il che significa: attacca o muori”. La mobilitazione come militanza.
 
Una tesi lega l’espansione dell’islam, in Africa e in Asia (Malesia, Filippine e altrove), ai soldi del petrolio, dopo il 1973 – una pioggia d’oro per le petromonarchie della penisola arabica e per l’Iran (in questo sito è stata materia di riflessione:
http://www.antiit.com/2023/07/condo-il-genocide-watch-nei-diciotto.htm
In questa ipotesi, la caduta del saggio di profitto delle petroeconomie per effetto della transizione alle fonti di energia rinnovabili, invece che fossili, prima che esse stesse abbiano completato la transizione ecologica (i profitti sono oggi inalterati, elevati, ma gli investimenti sono prossimi a zero), indebolirà lo slancio dell’islam – la proiezione politica dell’islam, e quindi il suo appeal?
 
Millennio
– Nel segno di Nietzsche, avvertiva E. Jünger in una delle ultime  riflessioni, raccolte sotto il titolo “La forbice”, nel 1990: “Nuove sorprese si annunciano per il XXmo secolo, che già Nietzsche aveva considerato la sua patria spirituale. Secondo la visione nietzscheana, già a partire dal Rinascimento, la morale era rimasta indietro rispetto allo sviluppo del progresso. Era necessaria una rivoluzione dei valori”. Con riserve, come per ogni innovazione: “Alla ricerca viene comunque sempre attribuita una serie di tabù. E non solo da parte della Chiesa, che nel frattempo è divenuta più docile, ma anche da parte della coscienza collettiva e della giustizia”. E oggi: “Oggi sembra piuttosto che il progresso debba essere frenato. Resta solo da chiedersi se, ora che le ruote si fanno incandescenti, questo arresto sia ancora possibile”. Jünger era pessimista: “Come conseguenza ne è derivata la ramificazione di un nuovo alchimismo”.  
 
Postmoderno
– “La parola allude a una condizione che si è data da sempre. La si è già raggiunta anche solo quando una donna indossa  un cappellino nuovo” – Ernst Jünger, “La forbice”, § 177.
 
Speranza – “La speranza imperitura-immortale è cogestora nell’intimo dell’uomo con la credulità infallibile”, Robert Louis Stevenson, “Crabbed Age and Youth”: “Un uomo scopra di avere sbagliato a ogni passaggio della sua carriera, solo per dedurre la stupefacente conclusione che ora è finalmente nel giusto. L’umanità, dopo secoli di fallimento, è sempre alla vigilia di un millennio rettamente decisivo”.
 
Storia – È prevedibile – la storia è già oggi. Sorprese comprese.


zeulig@antiit.eu

La consegna contro la morte

La mattinata è calda, come ormai da un mese o due a Roma. Nella basilica di San Pancrazio al Gianicolo, fuori Villa Pamphili, si è tenuto il funerale di una gentile signora, in età molto avanzata ma persona dai mille spiriti e dalla grande amicizia. I convenuti s’intrattengono dopo la funzione sul sagrato per scambiarsi saluti, ricordi, apprezzamenti. Qualcuno accenna a una delle canzoni che la defunta amava cantare, accompagnandosi al pianoforte, “Au temps des cerises”, una hit di Yves Montand. Dalla parte in ombra del sagrato, come usa da persone bennate del Mediterraneo, che sanno il valore di un velo al sole, meglio se sotto le fronde che alitano l’aria. Finché un furgone Ups non ha bisogno di passare, per una consegna. Non guarda nemmeno, ha solo fretta. E poi di ripassare, effettuata alla Jacques Tati la consegna veloce – avrebbe divertito la defunta, la consegna alla “Jour de fête”.  
Un tempo le macchine si fermavano, se passava un funerale. Una forma di omaggio, e un momento di pausa. Ma non c’è pausa per le consegne: ora che si compra tutto online, costa la metà, la consegna a domicilio deve andare veloce, la logistica ha tempi e metodi ferrei, non si prende pause e non guarda in faccia nessuno, neanche la morte – o la vita.

Di Meo-Blissett, tra remake e beffe – meglio di Eco

La morte di Luca Di Meo (l’unico dei quattro scrittori del collettivo Luther Blissett-Wu Ming di cui non ci sia in rete una biografia…) porta a risprire questo romanzone che fu il loro esordio, nel 1999. Luther Blissett è nome proprio, del centravanti del Milan del campionato 1983-84, il primo o secondo calciatore nero del campionato italiano, con una fama di goleader in Inghilterra, in campionato e nella nazionale, a cui nessun calciatore del Milan passò mai la palla.
Uno pseudonimo ironico, quale già l’altro collettivo, Wu Ming (“senza nome”), di quatro artisti dada, autori di leggende metropolitane, fake news, scherzi, beffe, quindi scaduto nella goliardia. Ma, goliardicamente è vero, senza crederci troppo, non seriamente, autori anche di veri romanzi d’avventure alla Dumas, alla Walter Scott. Sbrigativi, poco autoriali. Maestri però del canone del genere come decretato da un altro bolognese, seppure d’adozione, a sua volta loro maestro: Umberto Eco. Nel “Superuomo di massa “ e nell’introduzione alla nuova traduzione americana del “Conte di Montecristo”. E, soprattutto, più capaci della esemplificazione che lo stesso Eco aveva dato della teoria con i suoi romanzi storici, l’arcinoto “Il nome dela rosa”, “Il pendolo di Foucault”, “L’isola del giorno prima”. Questa la prima impressione che danno, quasi una delle loro beffe. Perché, al paragone, i romanzi storici per i quali Eco era anche autore famoso e famosissimo sono dispersivi e noiosi, buona parte. Mentre questo, come poi i successivi, scorre veloce – e anche attendibile, volendone fare l’anamnesi sulle fonti (più certamente delle variazioni “d’autore” di Eco).
Il plot è semplice. Cioè complicatissimo. È la storia della Riforma, di Lutero e dopo. Pieno di personaggi e liti, più o meno teologiche, tutte ultimative: Thomas Müntzer, Melantone, Carlostadio, Lutero naturalmente, il cardinale Gianpietro Carafa, la Dieta di Worms, i Profeti di Zwichau, Jan di Leida, i contadini, con le terribili guerre dei contadini, i tessitori, protomarxiani, la riforma sociale. Una storia piena di nomi e di fatti. Che però, ecco il miracolo, il collettivo riesce a far metabolizzare: il romanzone si legge in fretta, con curiosità, l’avventura è sempre dietro l’angolo - e lo spirito del tempo che ne esce regge anche al contrappunto storico, lo spirito e gli eventi stessi.
Con una seconda beffa, o “pasticcio”. C’è anche un dopo in “Q”, che vede protagonisti a qualche distanza di tempo Anton Fugger, il banchiere, Gian Pietro Carafa eletto papa (il terribile Paolo IV), il cardinale Reginald Pole, gli ebrei. Qui siamo nel 1555. È da qui, ex post, che un eretico senza nome (dai mille nomi) racconta i quarant’anni di lotte di religione che hanno sconvolto l’Europa dopo lo scisma di Lutero.
Sono tutti personaggi, quelli della seconda parte, di un romanzo anteriore di qualche anno a questo “Q”, “In virtù della follia”, autore G. Leuzzi, l’amministratore di questo sito, che aveva avuto qualche eco, di lettori e di critica. Ma svolta con ritmo indiavolato e senza alcun peso alla Storia - anche se Gian Pietro Carafa Paolo IV sarà il creatore dei ghetti e della “questione ebraica” in Italia. 
Luther Blissett (Wu Ming), Q, Einaudi, pp. XV + 677, ill. € 15

lunedì 31 luglio 2023

Problemi di base - 754

spock


Molto presto è troppo tardi?
 
Il mondo si consuma, o si immortala?
 
Il mondo elettrificato è lo stesso di prima?
 
Il mondo interconnesso è lo stesso di prima?
 
Il mondo per immagini è lo stesso di quello di parole?
 
O non sarà un ritorno a Sulawesi, al graffito?

spock@antiit.eu

Né italiano né francese, l’immigrato è niente

Un romanzo di debutto, a 36 anni, docente apprezzata di Letteratura al liceo Carnot a Parigi, di estraneità. Alla Francia, che l’ha adottata, bene o male – e la mantiene al liceo. E alla famiglia. Immigrati poveri, con molte figlie e molte sorelle, cattive, due braccianti, lui, Ruggero, di Refrontolo (Treviso), e lei, Teresina, di Vicenza. Due degli ottocentomila “ritals” che dopo la Grande Guerra invasero la Francia per occupare le campagne svuotate dalle trincee. Confinati in una landa abbandonata e da bonificare, di sassi e acquitrini, in Aquitania, Sud-Ovest della Francia – il posto più lontano dal Veneto. Nell’isolamento, ricercato dopo essere stato imposto, nell’ostilità praticamente universale, della gente, dell’amministrazione. e della politica.
Questo primo romanzo è il racconto, duro, durissimo, di questa povertà. “In un paese di paludi, piovischio e foschia”. Inès, terza di cinque sorelle, Elsa, Gilda, Annie, Anabel, ha scoperto il mondo alle elementari. Un mondo ostile. “A scuola”, spiegherà così in sintesi la materia del racconto, vissuto dall’alter ego quattordicenne, Galla, “maestri e allievi mi picchiavano perché ero diversa. Soffrivo e mi vergognavo. Colpevole di essere povera. Colpevole di essere altro”.
Colpevole di non essere francese. Il romanzo è anche di un’estraneità. Voluta, dichiarata, anche se non vissuta. Alla Francia, da insegnante di francese, e scrittrice francese. Dovette imparare il francese a scuola, a casa parlavano la lingua della madre, il vicentino. Isolata e osteggiata per questo, e per essere povera, poverissima. Poiché era nata in Francia, è stata naturalizzata di diritto francese, e questo la spoglia ancora di più: “Non ero francese e non ero più italiana, non ero niente”. Fino all’ultimo, è morta nel 2007, di settant’anni. A 67 anni avendo ribadito: “Non mi sono mai sentita francese”.
Questo e i successivi romanzi di Cagnati sono di una sorta di rancore – la scrittrice, che ora si riscopre in Italia e in America, è rimasta per questo parecchio isolata in Francia. Di non essere italiana, come era cresciuta, e di non sentirsi francese. Il suo libro di maggior successo, “Génie la matta”, dedicò alla madre compitandone il nome in italiano, Térésina Stédile (qui purtroppo ricorre un Antonnella, per una delle sorelle, perdonabile poiché è un sorellina nata cieca). Ma un rancore non sterile: “Con la mia testimonianza ho voluto rendere meno assurde certe vite fatte solo di miseria”, ha spiegato in una rara intervista.
Un racconto di amarezze, e cattiverie. Soprattutto a opera delle zie, cattivissime. Ma è di una zia che è venuta a stare con la nonna il solo regalo di Natale mai ricevuto, “La piccola fiammiferaia”, dove la bambina alla fine muore ma muore contenta. Mai una carezza, i genitori si occupano delle bestie, dei figli no. Una sorellina vola incornata da una vacca, e poi cade stecchita. A scuola “oggetti che spariscono ce ne sono molti, sono io che li prendo”, il racconto è in prima persona: “È divertente. Spariscono così tante cose che ciascuno crede gli altri ladri o futuri ladri. E io so che nessuno ruba” – lei ruba il denaro, solo gli spiccioli, alle convittrici esterne – quelle che non ci dormono. E “i professori”, che sono professoresse, che si fanno dire dalle allieve quello che loro, professori, pensano.
La madre è anche qui la chiave del racconto, si saprà alla fine. Il giorno di vacanza è il giorno in cui tutte le disgrazie culminano - il sabato che Galla, convittrice interna a 35 km da casa, decide di tornare dalla madre con la vecchia bicicletta. E il padre manesco la lascia fuori casa la notte.
Un racconto serrato di poche ore. Di solitudini e emarginazione, alla Olmi. E un raro caso di scrittura. Dal metodo semplice: si procede per paginette, una immagine, un soggetto, persona, animale, cosa, un evento. Ma esercizio già all’uscita raro di creazione letteraria, di scrittura d’autore, anche se legato in qualche modo, s’intuisce, alla rappresentazione di sé.
Inès Cagnati, Giorno di vacanza, Adelphi, pp. 151 € 18


domenica 30 luglio 2023

Ombre - 678

“Tutti i magistrati del caso Tortora fecero carriera. Tranne il giudice che lo assolse”. Può annunciare “Il Dubbio” con questo catenaccio la ripubblicazione estiva della raccolta di “Lettere a Francesca” (Scopelliti), la sua compagna, da parte di Tortora, carcerato e condannato benché innocente. Non innocente fino a prova contraria, innocente a conoscenza dei giudici che lo incolparono e lo condannarono – quello di Tortora non fu un errore giudiziario.
Si dovrebbe aggiungere che nessuno chiese scusa, nessuno dei giudici della Procura e del Tribunale – Tortora fu assolto solo in Appello, dopo alcuni anni.
 
“Resistere, resistere,. resistere”, c’è anche il combattente Larussa nelle foto della passerella in Galleria che che Borrelli regale si concesse con i damigelli Di Pietro e Colombo all’uscita dal funerale in Duomo per la strage di via Palestro ttrent’anni fa. Certo, Di Pietro non c’è più, e Larussa presiede il Senato – dopo Mattarella viene lui. Più onesto o più abile?
 
L’Italia femminile del calcio debutta con una vittoria, ed è tutti noi. Girelli, che ha fatto il gol vincente, un’eroina. L’allenatrice pure. Boattin fa le prime pagine perché convive con una svedese sua compagna di squadra nella Juventus. Poi l’Italia becca proprio dalla Svezia cinque gol, con l’eroina Girelli in panchina, e scompare: niente più tg, neanche alla Rai, che ha (paga) l’esclusiva del Mondale femninile, e pure i giornali hanno il broncio. Se non vince, l’Italia non c’è.
 
L’Italia non va più al Mondiale di calcio da una dozzina d’anni, poiché non ha calciatori bravi, non li forma, e ora ammette come “comunitari” anche i calciatori britannici e svizzeri. Cosmopolitismo? No, Gravina, il capo del calcio, è stato messo lì da Galliani-(ex) Milan e da Lotito, e fa quello che gli dicono di fare, il calcio come commercio. 
 
“Il Fondo Monetario Internazionale promuove l’Italia meglio di Francia e Germania”. Il giornalismo della gloriola. La gloriola è l’unica politica estera di cui si trova ancora traccia nei media, dell’economia come del calcio. Senza sapere che se Germania e Francia non vanno bene, l’Italia andrà male.
 
Non c’è danno che da qualche tempo la Ferrari non si infligga. È curioso, ma da quando c’è Elkann a capo della Famiglia Agnelli, la Fiat non c’è più, la Ferrari va male, la Juventus peggio (un miliardo e mezzo di capitale bruciato in due anni, e una miriade di processi, penali e sportivi, sul capo). I dividendi,invece, questo il curioso, aumentano per la Famiglia (Exor). Da Stellantis, da Ferrari, perfino da Juventus.
 
Lukaku, Cuadrado, il colore della maglia non è più un totem. Non è una novità: molti calciatori si sono accasati di fronte, sopratutto a carriera inoltrata, tra le rivali milanesi, romane e torinesi, e tra nemici storici. Ma è anche vero che i miti rimangono quelli che non hanno “tradito”, Maradona, John Charles, Jeppson, Gre-No-Li, anche se Liedhom, da allenatore, qualche capriccio se lo è preso (a Roma di lusso), Platini – gli stessi Sivori, Suarez, anche se prolungarono la carriera di qualche anno altrove.
 
A proposito di tradimenti, il filone di trasferimenti più grosso è probabilmente quello che intercorre  tra due delle più irriducibili nemiche del campionato, Fiorentina e Juventus. Il più sostanzioso, da Firenze a Torino: Vlahovic, Chiesa, Bernardeschi (a Firenze sbocciano, a Torino si perdono), Baggio, cinque anni di Juventus dopo cinque di Fiorentina, Felipe Melo, Cervato. Il più numeroso da Torino a Firenze, Arthur oggi, Pjaca, Maresca, Blasi, Amauri, Di Livio,Torricelli, Gentile, Cuccureddu, e soprattutto Mutu, arrivato quasi gratis, ma la Fiorentina ci fece cinque campionati.
 
Sulla morte di Purgatori, per più aspetti inevitabile, s’innesta una causa per danni, per malasanità: diagnosi errate e\o terapie sbagliate. Avvocati erano già al lavoro, con testimonianze, diagnosi accusatorie, intercettazioni. È pratica ormai anche italiana quella dei contingency lawyers  della tradizione americana: avvocati a percentuale, che si rivalgono sui danni eventualmente liquidati. Che sembra una pratica giusta, ma somiglia a un ricatto. Ed è il fattore maggiore del caro sanità, in studio, in clinica, in ospedale. Che si devono assicurare anche contro i processi. I contingency lawyers lavorano contro le assicurazioni e contro le grandi aziende.

La salute mentale si (ri)acquista con la libertà

Un grande edificio carcerario alle porte di Romna. Dove la quindicenne rifiuta ogni contatto e anche ogni pasticcca. Sarà per questo legata, isolata, controllata, picchiata, in questa e in altre cliniche per la salute mentale dove la sollecitudine familiare la rinchiudeva, “costruzioni eleganti, chiamate «ville», cliniche rivate intese a «curare» il pazzo”. Ma non ci sarà niente da fare, lei non si farà togliere la sua ragione, o meglio le sue ragioni.
Questo succedeva in Italia prima della rivoluzione psichiatrica di Basaglia. Ma inanto c’era stata la scoperta di un asilo diverso, in Francia, dove la ragazza arivava da sola, e non c’era un apparato di accoglienza carceraria ad aspettarla. Tutto aperto, tutto semplice, tutto compagnoneria e ascolto. Dove si entrava solo col consenso del “pazzo”. La clinca de La Borde, in Sologne, un castello, in “un luogo pieno di alberi”, e di “porte aperte”. Dove “la nonna (di madre francese)” le aveva  raccontato di “cliniche per le bambole rotte dalle bambine”. E dove fu accolta in una stanza tutta per sé. Bastò per risolvere i  suoi problemi. E fu la pace.
Un r acconto senza illusioni. “Conobbi altre ospedalizzazioni, nel corso della mia vita, in altri luoghi, di nuovo a La Borde. Più crudeli, queste ospedalizzazioni. Proprio come più crudeli furono i deliri che li accompagnarono, passando il tempo, avanazndo l’età. Perché quando si è scoperta la porticina che conduce dall’altro lato dello specchio, la si usa (si impara a usarla?) quando una difficoltà troppo dolorosa, troppo feroce da sopportare si profila all’orizzonte”.
Antonella Santacroce,
L’amour (ardente) de la liberté, “Chimères” 2009\2, n. 720, pp. 209-218, free online