sabato 16 settembre 2023
Cronache dell’altro mondo – sindacali (247)
Tre americani su quattro sostengono lo scipero proclamato dal sindacato Uaw, United
New York in broccolinese
Un racconto curioso del 1935, pubblicato
dalla rivista il 15 giugno 1935, riproposto per la ricorrenza della morte di
Wolfe, il 15 settembre 1938. Curioso perché è uno scherzo, linguistico: scritto
come era il parlato di Brooklyn novant’anni fa, italo-americano, in “broccolinese”.
Tre persone si ritrovano in attesa
del treno a scambiarsi informazioni su indirizzi e destinazioni in Brooklyn, e
ne nasce una babele. Da cui la considerazione finale, che Brooklyn è troppo
grande o profonda perché uno possa conoscerla. Il racconto è nel linguaggio,
scritto come è parlato, e cioè nell’inglese parlato dagli italo- americani.
Il linguaggio parlato nella
narrativa non era una novità, la lezione di Verga era già in uso per gli
afroamericani, o per gli americani del Sud – in Faulkner per ambedue le
categorie. È un unicum questo dell’italo-americano.
Non detto, i tre non si qualificano, ma i riferimenti topografici che li
angustiano sono ai qaurteri che gli italo-americani abitavano a Brooklyn, e che
ancora oggi abitano.
All’epoca Little Italy era
dominante a Brooklyn. Da qualche decennio la città è “gentrificata”, ristrutturata
per intellettuali e ricchi, con quartieri trendy,
di locali alla moda, negozi e ristoranti di lusso, ma è stata a lungo la città
satellite popolare di New York. Gli italo-americani mantengono una presenza
ancora larga, come residenti, non più animatori, nel quartiere di Bensonhurst,
e nella prospiciente Staten Island.
Tom Wolfe, Only the Dead know Brooklyn, “The New Yorker”, free
online
venerdì 15 settembre 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto
Giuseppe Leuzzi
Nicola Gratteri, nove anni fa ministro in petto del governo Renzi, segretario
del Pd, viene portato alla Procura di Napoli dal centro-destra unito, contro il
Pd. Destra e sinistra al Sud sono solo indicazioni.
Frequenti i nomi di origine,
che si conservano, anche se, probabilmente, solo per inerzia anagrafica, burocratica,
un nome è per sempre: i Lombardo, i Piemontese, i Napolitano, I Pugliese e i Calabrese
in Calabria e in Sicilia, i Palmisano, Stillitano, Gallico, Siciliano in
Calabria.
Insieme con la Versilia e la Romagna
il Sud ebbe nel dopoguerra un boom
turistico. D’avanguardia: Club Mediterranée a Cefalù, club Valtur a Nicotera,
in Calabria, a Taormina il treno delle svedesi. Un turismo promozionato bene,
con motivi d’attrazione, preso sovrastato dalla burocrazia, dal disordine,
dalla sporcizia, dalle fogne, dalle selve di non-finiti. I club hanno chiuso,
Taormina vive di turismo mordi e fuggi – con un po’ di zibibbo, in bottigliette
falliche. Si discuteva in quegli anni dello sviluppo del Terzo mondo, di
tecniche di accelerazione dello sviluppo. Al Sud certamente non è possibile: si
può violentare, forse, una società composita, recente, non una tradizione.
Come si distrusse il risparmio
Non manca Corrado Alvaro di
rivendicare , da buon “intellettuale della Magna Grecia”, il passato glorioso.
Ma senza arabeschi, come “la più realistica tradizione del mondo”. E arpionato
a una solida, ancorché breve, fulminante, sintesi storica dell’unità. Lo fa in
“Memoria e vita”, lo scritto redatto nel 1942, in ricordo del padre,
all’interno di una pubblicazione commemorativa che intitolò “Il viaggio”,
titolo di un poemetto d’occasione, con la raccolta “Poesie in grigioverde” e
altre liriche – il padre lo avrebbe voluto “poeta”, come scrittore non lo
considerava.
La madre dello scrittore era
di una famiglia di pastori, che erano i ricchi del paese. “Il nostro era un
paese di pastori, più che di contadini, e aveva tutto l’Aspromonte pei suoi
armenti, ricco, prospero”. La famiglia
della madre non voleva accettare il pretendente: “Quando si presentò mio padre,
fu combattuto da tutto il parentado. Era un uomo a stipendio (era maestro,
n.d.r.), e perciò considerato un cattivo partito”.
Su questa notizia Alvaro fa
una digressione: “Coloro i quali pensano all’Italia meridionale come a una
contrada che ha per ideale di vivere a spese dello Stato, riflettano a come è
nata tale disposizione. Non è qui il luogo per tracciare quella storia
dolorosa, né per dire come la nostra parte di meridionali nel miliardo annuo
che fruttava l’emigrazione, assorbita dalle grandi banche attraverso il sistema
delle piccole banche locali, adoperato per fondare la grande industria, e non
precisamente da noi, fu alla fine distrutto attraverso le piccole banche che
fallirono puntualmente travolgendo tanta economia meridionale faticosamente
conquistata. Priva d’industrie, rovinata, divenuta un terreno di sfruttamento
dell’industria non locale, al livello di poco più che una colonia, si capisce
che la sola speranza fu il pane dello Stato. Dico queste cose brevemente per i
signorini che reputano l’Italia meridionale economicamente e intellettualmente
una contrada di moretti convertiti, dimenticando quanto sudore di sangue essa
diede, e quando al pensiero italiano di veramente sostanziale, nell’orbita
universale, da Vico a questa parte, fuori della retorica provinciale che
tuttavia ebbe il tempo di guastare la più realistica tradizione del mondo”.
Le piccole banche “fallirono
puntualmente", per non onorare i depositi.
Il matrimonio dei genitori
di Alvaro si faceva nel 1894: ancora trent’anni buoni dopo l’unità il “posto”
non era a premio. Il “posto” di Checco Zalone (“Quo vado?”) è un esito
dell’unità, dell’impoverimento dopo l’unificazione.
La questione pastorale – 2
Nel 1895, quando i genitori
di Corrado Alvaro si sposarono, i pastori erano i signori del paese, San Luca: “I pastori
e i loro anziani e capi abitavano una contrada alta detta il Petto. Erano
ricchi, avendo “tutto l’Aspromonte” per i loro armenti – “le sorelle di mia
madre furono date per l’appunto a pastori ricchi” (la famiglia della madre era
di pastori).
Corrado Avaro lo ricorda nel
1942, nel memoriale in morte del padre, “Memoria e vita”. Ma già qualche anno prima, nel
racconto “La cavalla nera” (apre la raccolta “Settantacinque racconti”, la
sezione “Incontri d’amore”…), scherzosamente ma con severità, registrava un
cambio radicale d’identità dei suoi concittadini, ora reputati emeriti ladroni.
Quando i potamesi sbarcano in città (Potamia era il nome del paese fino al
terremoto del 1592 che lo distrusse: fu ricostruito a valle, verso la costa,
e chiamato col nome del santo protettore, la cui statua era rimata illesa nel
sisma, ed era stata trasportata via dai paesani), “strilli, grida, richiami; si
chiudono le porte e i cancelli di legno, si ritira la biancheria” messa ad
asciugare, “si ritirano i sacchi dalle soglie delle botteghe…”. Con la sottolineatura:
“Perché chiamarli ladri? Non hanno il senso della proprietà”. Sono pastori,
abituati a prendersi ciò che vedono: “Non sono gente cattiva, i potamesi sono
religiosi e fedeli, ma soltanto non distinguono tra la roba loro e quella degli
altri…. Un potamese che andò a Napoli , credeva che le fioraie per la strada
regalassero i fiori ai passanti”.
In pochi anni, chiusi i boschi e gli alpeggi dal demanio e dai latifondisti, i
pastori che facevano la nobiltà del paese sono diventati abigeatari e violenti.
I potamesi, spiega il protagonista del racconto a un suo compare, che come lui
ha lasciato il paese molti anni prima, non pensano a quello che sarà – non hanno
il futuro, i potamesi come tutti i pastori: rubano gli armenti e “non ci
pensano, né ai carabinieri né all’arresto. Sono potamesi e i potamesi non
pensano mai a quello che verrà”. Con l’omertà: “Sono bravi, troveremo la
montagna deserta”, si dice il narratore, ”e siccome sono tutti d’accordo i
potamesi, nessuno ci dirà di aver veduto un armento. O ci dirà di averlo
veduto da tutt’altra parte. E poi si avvertono tra di loro, e l’armento si
sposta di qua e di là”.
(fine)
La quarta mafia
Una quarta mafia si è provato
qualche decennio fa a impiantarla in Puglia, chiamandola Sacra Corona Unita o
qualcosa del genere. Non ha funzionato – si basava sul contrabbando, da ultimo
di albanesi, che però se la cavano da soli. Ora è a Foggia.
Questo sito ha rilevato un
mese fa una serie di iniziative di Foggia, delle istituzioni e dell’ambiente, per
schivare la maschera del malaffare. Coprendosi col Kilometro Zero, polo tecnologico leader nazionale nel campo delle fonti di energia rinnovabili, e col Gargano, la Foresta Umbra, i
pomodori, il grano, la bellezza e la produzione. Ma niente. “La Lettura” del
“Corriere della sera” la incorona “capitale della mafia”. A Foggia, spiega, “si respira
lo stesso clima della Sicilia di tanti anni fa” - che era invece di guerra,
terroristica, e comunque senza paragoni: “Il 6 agosto 2018 «La Lettura» andò in
Puglia per raccontare l’emersione furiosa di una nuova delinquenza in un diffuso
disinteresse generale. Siamo tornati per vedere come stanno le cose. Male. Al
punto che si respira lo stesso clima della Sicilia di tanti ani fa. «La mafia
non esiste». Foggia 2023 come Palermo 1960”. Nel 2018 con tre articoli di
Gianni Santucci, “La guerra di Foggia”, “La Gomorra del Gargano”, “Pioggia di bombe”,
oggi con uno ampio di Alessandra Coppola, con il colonnello dei Carabinieri Miulli e il capo della Dda Roberto
Rossi, e un’intervista di Santucci con lo scrittore Piernicola Silvis, ex
questore di Foggia, foggiano.
È così che nasce una mafia,
basta chiamarla. La società può fare tutto quello che vuole per sfuggire alla
condanna, non c’è scampo. Manca solo il nome. Anche la cupola.
Cronache della differenza: Puglia
Raffaele De Giorgi, sessantenne di Squinzano,
commissario tecnico della nazionale di pallavolo ora in finale al Mondiale, già
parte della “generazione dei fenomeni” della pallavolo nazionale, tre volte
campione mondiale, una volta campione europeo, é per tutti Fefé. Oggi non
sarebbe più possibile, il diminutivo per raddoppio, come Fofò per Alfonso, Mimì
per Domenico o Domenica, Cecé per Vincenzo, Pepé per Giuseppe, Sasà per
Saverio, Totò per Antonio. Ninì per Antonino… - resistono Ciccio per Francesco e Gigi per Luigi ma sono italiano. Il Sud non
esiste nemmeno più nell’onomastica.
Uno non fa in tempo a nominare Foggia, la sua campagna per
l’onorabilità, che “la Repubblica” c’inzuppa il pane. Foggia dà un premio ad Alain Elkann - un
premio letterario. Che però non ha pubblicato nulla di recente, il premio è al
nome, sperando che i giornali del figlio diano una mano al rilancio? È probabile
- le strategie di marketing devono anzitutto sorprendere il committente. Ma lo
scrittore in viaggio verso Foggia s’è messo di malumore. Il grande nodo
ferroviario della Puglia, verso Napoli e verso Bologna-Milano ha ridotto a
bivio provinciale (via Casera, Benevento). E i suoi giovani compagni di viaggio
a trogloditi. Su “la Repubblica”.
Il “treno per Foggia” di Alain Elkann ha avuto il
merito per Paola Sacchi, su “Start Magazine”, di riportare alla memoria lontane
vacanze, da ragazza, partendo da Orvieto, con “maman”, col padre in attesa. Foggia
non è Orvieto, ma “è stata bombardata”. Ma l’hotel Vicolella, ai bordi del Gargano
che cominciava a spuntare nel turismo internazionale, è ancora un ricordo
lieto. E poi, nota, i ragazzi ciarlanti che distraevano Elkann dalla lettura viaggiavano
in prima classe.
Cicerone parla del Salento,
ora opimo, come di un paese perso, al di fuori di ogni commercio con il resto
del mondo, e lo apparenta al montuoso, impraticabile, Bruzio. Nell’orazione
“Pro Roscio Amerino” compiange “coloro che abitano fra i salentini o i bruzi,
da dove posso ricevere notizie appena tre volte l’anno”.
Già in questo, e negli anni
di Cicerone, Salento e Calabria erano appaiati: per la mancanza di vie di comunicazione,
o perché recalcitranti alla latinizzazione? O fuori dal perimetro commerciale
gli interessi con la Grecia fermandosi a Brindisi, e con la Sicilia intrattenuti
via mare? La grecità perdurante nelle due regioni potrebbe essere stata
trascurata per la sua scarsa incidenza nell’economia dell’impero – la Sicilia,
granaio di Roma, fu latinizzata subito.
leuzzi@antiit.eu
Lo stupro avvelena gli affetti
Il racconto del titolo, che
chiude la raccolta, è una variazione sul tema dell’amore nel matrimonio, tra la
moglie sola in città, insidiata dal Direttore Generale, e il marito che la
città non ama (la città è Roma) e vive in provincia - l’inizio di un romanzo che
poi non fu scritto? L’amore nel matrimonio è il tema anche del romanzo breve
che apre la raccolta, “I nemici” - subito dopo un flash d’avvio, “Frontiera”,
una variazione sul mondo alpino subito dopo la guerra, dove il confine si sposta
con gli eventi. La vita immaginata dalla sposa giovane come al cinema. Compreso
il desiderio di avventura, che una notte le costa lo stupro. La stuprata si deve
uccidere, secondo il vecchio “codice di onore”?, dopodiché il marito si vendicherà
e la vendicherà sull’aggressore. Ma niente avviene: il marito salva disperatamente
la moglie che si è buttata dalla finestra, e all’aggressore riserva solo
disprezzo, un fallito, un miserabile. Nemici diventano i coniugi, indissolubilmente
legati, e non dalla lege, l’uno immaginandosi dell’altro una parola o un gesto
che potrebbe ma non verrà: “Così Teresa e Leoni impararono ad essere nemici, d’una
inimicizia tranquilla e sicura come un amore, piena di abnegazione, di slanci
improvvisi, di lacrime solitarie. Era un legame indissolubile come l’amore”.
Nel mezzo il rimpianto: “Come compagni di viaggio li legava il fatto di essersi veduti
logorare lentamente, un lieve logorio che avvertivano soltanto loro, come ognuno
lo avverte su un oggetto prezioso che egli possiede. Amavano qualcuno scomparso
nei loro anni…”.
Un
altro piccolo tesoro dello scrittore dimenticato. Aneddoti semplici, ma sempre
sapidi. Bizzarri anche, strani, ma sempre realisti. Di una scrittura gradevole,
piena di colori e odori, ogni immagine un quadro composito. Semplice, senza
preziosismi: di linguaggio ricco ma di costrutti semplici. Racconti ordinari e scintillanti.
Di prima del diluvio, quando uno scrittore, uno maschio, poteva e sapeva entrare
nel mondo femminile, specie quello complesso della prima giovinezza. Temi anche
di mondi desueti. Il ragazzo che fa la realtà. Il ragazzo povero che non sa di
esserlo e illumina il vicolo. La pietà religiosa. La fantasia infantile. I
turbamenti adolescenziali. Il ricco sempre bislacco.
Corrado
Alvaro, La moglie e i quaranta racconti,
Bompiani, pp. 499 pp.vv.
giovedì 14 settembre 2023
L’immigrazione non è questione di polizia
“L’immigrazione
al centro del dibattito politico”, apriva ieri “Le Monde”, un titolo a tutta
pagina, a caratteri di scatola. Il presidente della Repubblica Macron ha annunciato
una revisione delle leggi in materia. L’immigrazione in Francia, che da più
tempo, sono quasi due secoli, e su scala incomparabilmente maggiore degli altri
paesi europei ha sperimentato l’immigrazione di massa, l’esodo dall’Africa è
un fatto che va studiato e risolto. Lo stesso giorno, o il giorno dopo, che la
Germania, altro paese a forte e sperimentata immigrazione, notifica all’Italia,
in tutta amicizia, che non riceverà più immigrati cui la burocrazia italiana
abbia riconosciuto l’asilo politico o per motivi umanitari.
Il
sottinteso del no tedesco, e della stretta che si annuncia in Francia, è che l’Italia,
come paese di primo approdo, non è affidabile. Non solo nella concessione dell’asilo.
I migranti economici, che sono la stragrande maggioranza, non vengono espulsi, per
le lungaggini giudiziarie (i giudici dell’immigrazione sono come quelli degli affitti
bloccati, che per venticinque o trent’anni non hanno mai aperto un dossier). E
la vigilanza sugli indesiderati è lasca, cioè assente: una volta sbarcati in
Italia, c’è libertà di movimento per tutta l’Europa oltralpe.
L’immigrazione
è un problema serio. In Italia sotterrato sotto le cronache isteriche da
Lampedusa, dell’hotspot, che non si sa cosa sia, che passa da 10 a 10 mila immigrati
in un giorno – e degli inevitabili naufragi, veri o presunti. O sotto i blocchi alle
navi di soccorso ong – divieto che i trafficanti pronti bypassano mandando
direttamente a Lampedusa flotte di barchini, invece dei comodi trasbordi sulle
navi ong al limite delle acque territoriali libiche o tunisine.
Non si conosce l’Africa,
che sta a un passo, e che pure molti europei frequentano. La politica è
ignorante. La diplomazia inerte. La stampa d’informazione non si fa più. E gli
studiosi si danno a occupazioni comode, repertoriare le specie floreali o animali, le tribù e le "lingue", anche i tesori scomparsi dell’Ashanti – l’Africa non rifiuta mai una storia che
vi piaccia. Un mondo dove non ci sono, o sono rari, i regimi politici elettivi,
e dove sono elettivi sono a partito più o meno unico, senza libertà di espressione. Dove la corruzione e, tra virgolette, normale. Tutta l’Africa, più o meno, è eleggibile per l’asilo, ma allora questo non è più
un criterio.
Non ci dice nulla
dell’Africa nemmeno la chiesa, e questo è assurdo. Perché la chiesa sa tutto dai
vescovi, che in Africa ha numerosi, e dalle sue organizzazioni umanitarie, ex missionarie.
Fare le anime belle e proclamare l’obbligo di accoglienza certamente non basta
più a salvare l’anima - l’accoglienza è un business, per quanto miserevole. E non fa più buona impressione.
Non si conosce
nulla, dopo un quarto di secolo, del traffico, che è organizzato. Sia in Africa,
nell’arruolamento e nelle lunghe traversate fino al Mediterraneo, e poi negli
imbarchi, sia in Italia. Dove molti sbarcati possono dileguarsi. Né i servizi
italiani né quelli di altri paesi dopo un quarto di secolo di tratta dei
migranti hanno provato a fare luce.
Dopo
l’hotspot di Lampedusa la frase fatta è il deficit demografico. Che c’è, ma non
si colma a caso. I flussi si programmano, impossibile non è: lo ha fatto la
Germania, con i turchi e gli ex jugoslavi prima, poi con i siriani, gli
iracheni e gli iraniani. L’Italia ha avuto i filippini, i rumeni, gli albanesi,
i marocchini, le ucraine. Ma forse non lo sa nemmeno, non ci fa caso. Si è
fatta una legge striminzita, vent'anni fa, la Bossi Fini, una legge di polizia,
che non le garantisce nessun apporto utile, e quello utile, per esempio i nati
in Italia e scolarizzati, li rifiuta – con la polizia non si governa l’immigrazione,
come si fa a pensarlo?
A Bruxelles e
Strasburgo è perfino peggio. Una settimana fa il “ministro degli Esteri” Josep
Borrell ha scritto al suo collega per l’Allargamento e la Politica di Vicinato
Vàrhelyi contro i “documenti d’intesa” singoli a protezione dall’immigrazione selvaggia con
i Paesi nordafricani, perché il regolamento dice che vanno ratificati dalla
Commissione Ue in seduta plenaria e all’unanimità. In chiaro: non dare i 100
milioni promessi al “dittatore della Tunisia” con il memorandum sottoscritto a
Tunisi da Meloni, von der Leyen e il premier olandese Mark Rutte. Borrell è un
catalano di nazionalità argentina, quindi può non sapere: ma qualcuno gli avrà
detto che in Africa è impossibile non trovare “dittatori”.
Borrell pretende di
parlare da socialista, e in questo senso ha ragione – spiega perché i socialisti,
che un tempo sapevano come va il mondo, gestiscono ora in Europa la scomparsa,
la propria. Martedì Iratxe Garcia, capogruppo dei Socialisti e Democratici al
Parlamento europeo, ha chiesto la sospensione immediata dell’accordo – “esternalizzare
la gestione della migrazione è un errore politico”. Come se si potesse “internalizzarla”.
Il giorno dopo centinaia di “barchini” dalla Tunisia hanno depositato a
Lampedusa diecimila migranti. Così Elly Schlein ha potuto commentare: “Pagare i
dittatori per tentare di bloccare i flussi non blocca i flussi” - la solita battuta da social. I socialisti governano a Bruxelles e a Strasburgo con i Popolari, si capisce che i popolari cerchino un accordo con i conservatori - con Meloni (Orban è un popolare).
Problemi di base cazzulliani - 768
spock
“La sinistra italiana è l’unica forza politica al mondo che
vuole tassare di più i suoi elettori”, Aldo Cazzullo?
“Nel nostro paese ci sono ancora molti fascisti e moltissimi
che del fascismo non hanno un’opinione negativa”, id.?
“Che Marine Le Pen diventi presidente di Francia resta improbabile.
Anche se non più impossibile”, id.?
“Che Alternative für Deutschland vada al governo in
Germania è assolutamente da escludere”, id.?
“I governi perdono sempre
i referendum, è accaduto pure a De Gaulle e a Pinochet”, id.?
spock@antiit.eu
Destra e sinistra stile Ottocento
Un dibattito che si apre con una
curiosa notazione di De Masi, il curatore del volume: “Per la prima volta nell’Italia repubblicana,
tre partiti di destra hanno vinto le elezioni, stanno testando le loro
strategie e governando”. E Berlusconi? Trascurato è pure il mondo - non una
novità nella cultura italiana, ma qui è dirimente. In teoria non manca: alla
prima riga della presentazione, prima di cancellare Berlusconi, De Masi guarda al mondo, ma in
questi termini: “A livello internazionale, dopo più di trent’anni, una nuova
guerra fredda distanzia nuovamente l’Occidente dall’Oriente e rende
conflittuali i reciproci rapporti”. L’Occidente? Una riflessione sul concetto
sarebbe stata necessaria, parlando di destra e sinistra. Non c’è altro Occidente
che quello americano. E qui manca: manca l’imperialismo americano, che pure è manifesto. Da
ultimo con le propaggini islamiche, che poi si sono ribellate (Khomeini, Al
Qaeda, il Gis, e le “primavere arabe” o della Fratellanza Mussulmana) – nonché delle
“rivoluzioni colorate”, in Ucraina (arancione), Georgia (delle rose), Kirghizistan (dei tulipani). O la nuova guerra fredda in Ucraina, dopo quella contro il sovietismo, che
fu l’ultimo respiro dell’Europa. Mentre la riedizione nel
conflitto ucraino sanziona l’eclisse “storica” successiva dell’Europa, tecnologica, commerciale , militare
e, con la fine del socialismo, anche politica.
Manca pure l’economia. Cose anche semplici. È di destra il referendum sulla scala
mobile, che abbatté l’inflazione dal 23 al 3 per cento e difese i salari e i
vitalizi? È di sinistra la politica economica produttivistica di Biden? O la tassazione del risparmio, come è d’uso in
Italia? O, a proposito dell’assente Berlusconi, la riforma delle pensioni del
1994, il famoso “scalone”, che il presidente Scalfaro sabotò con tutto il governo,
che avrebbe allentato considerevolmente il nodo scorsoio del debito pubblico
(la riforma che ora tanta Macron) era di destra o di sinistra? È di sinistra il
rigore fiscale su retribuzioni e vitalizi, specie in tempi d’inflazione, e lo stillicidio
di “patrimonialine” sulla casa e sul risparmio? È di destra o di sinistra una
politica che riduce le risorse per le rendite e le amplia per la produzione? Ma
anche teoricamente: Marx sopravvive, fallito il combattentismo della “classe”,
dello Stato dei lavoratori, per il residuo hegelismo, cioè per il liberalismo
, che bene o male lo animava nel profondo, un’idea di liberazione e di libertà.
Il
libro nasce alla Scuola di cittadinanza del “Fatto Quotidiano”. La quale ha
promosso in tema un ciclo d’incontri settimanali, dal 29 gennaio al 2 aprile, in
un cinema centrale di Roma, il Farnese, ad accesso libero, ognuno articolato su
due “relatori di alto profilo”, che presentavano una relazione di trenta
minuti, e poi la discutevano con il pubblico per altrettanti minuti. E come è inevitabile
in questi forum, la materia finisce per trovare tutti d’accordo. De Masi, che
chiude la pubblicazione in parallelo con Veneziani, fa la storia della
felicità, da Eraclito a Valéry, Koyré, George Braque e Juan Gris, gli scontenti
del mondo qual è. Per poi trovarsi d’accordo col correlatore, corifero degli intellettuali
di destra – l’unica differenza è che De Masi è ottimista e Veneziani pessimista.
Sono più i punti interrogativi trascurati
che quelli a cui gli interventi rispondono. Che poi sono tre e tre: Dio,
Patria, Famiglia, e Libertà, Uguaglianza, Felicità. Che peraltro suonano, e
sono, categorie obsolete - ottocentesche.
Domenico De Masi (a cura di), Destra e sinistra, PaperFIRST-Il Fatto
Quotidiano, pp. 206 € 14
mercoledì 13 settembre 2023
Problemi di base di sostanza - 767
spock
Ai tempi di Maradona il
doping non esisteva – “Faceva uso di sostanze e io lo sapevo. Sono andato tante
volte a casa sua perché non si presentava al campo. Dormiva e stava ridotto
male, ma poi gli bastava un po’ di recupero e ci faceva vincere le partite
anche se non si era allenato”, Corrado Ferlaino?
E l’antidoping?
E ai tempi di Lance Armstrong?
Perché si è voluto colpire Schwazer quando si fece seguire
da Sandro Donati, artefice dell’antidoping, in Italia e nell’atletica mondiale?
Il Napoli di Maradona aveva una licenza speciale?
E la nazionale argentina, quella della mano de Dios?
spock@antiit.eu
La scoperta dell’Aspromonte
Un
cumenda brianzolo si avventura in Calabria perché deve consultare per una decisione
importante il fratello musicista, sperso nell’Aspromonte con la sua band. Il fratello
si nega, e il cumenda si convince che è stato rapito, che presto gli arriverà
la richiesta di riscatto. Partono le ricerche
– con i Forestali, altra specialità calabrese.
Un’idea
di Tonino Perna, il primo presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, 2000-2005.
Che dà l’occasione dieci anni fa a Hedi Krissane, già attore e documentarista
di nome, di cimentarsi nel film a soggetto. Per un racconto soprattutto naturalistico
e vedutistico: una sorta di scandaglio o anagrafe dell’Aspromonte, che cominciava
a uscire allora dalle tenebre del terribilismo.
Hedi Krissane, Aspromonte,
youtube, dvd, PrimeVideo
martedì 12 settembre 2023
Le cento scemenze della burocrazia Ue
Dunque,
cento e più richieste d’informazioni al governo italiano da Bruxelles sulla
vendita di Ita a Lufthansa. Richieste preliminari, prima ancora di avviare l’indagine
antitrust. Richieste tutte sciocche, E qualcuna assurda. Tanto da far pensare a
un boicottaggio della odiata Vestager e della sua direzione Concorrenza.
Può
darsi. Tutto a Bruxelles può darsi, la logica è poca – ma, quando mai Bruxelles
ha contestato o contrastato la Germania?
Si
mette anche la questione Ita-Lufthansa sul piano politico, uno scontro o una
vendetta contro il governo romano di centro-destra. O viceversa, del governo romano
di centrodestra che sfiducia Gentiloni, il commissario italiano a Bruxelles che
“non difende l’Italia”. Può darsi anche questo. Anzi, questo sicuramente avviene
– questo, cioè che il governo di Roma critica il commissario italiano: Gentiloni
è esponente di primissimo piano del Pd.
Ma
di fatto i “cento e più” quesiti sciocchi e preliminari sono la rappresentazione
finalmente in chiaro della commedia di Bruxelles. Che è una burocrazia. Cioè un
potere pavido, che si difende – non sapendo e non potendo decidere – con la
moltiplicazione dell’arcano.
Sono
stai scritti repertori gustosi, in Inghilterra, in Germania, in Francia, sulle
scemenze di Bruxelles. Solo in Italia la maestra di scuola, è qui lo scandalo.
Ecobusiness
Sul “Corriere della sera” Paolo Artemi può proporre una Bmw I 7, “Berlina completamente elettrica”, del peso di tre tonnellate, e costo da 150 mila euro – “a partire da”.
Si moltiplicano i volumi
delle automobili, anche di piccola e piccolissima cilindrata, e il peso. Per
consumare più combustile e creare più inquinamento? Su dice per la sicurezza.
Forse per la propria, ma il peso e l’ingombro sono una minaccia per tutti gli
altri. Bisognerebbe allora avere la patente di camionista, e gli stessi limiti
di velocità - pick-up e suv per uso urbano sembrano una follia, e lo sono.
Si punta a una
macchina nuova per tutti: elettrica. Un’idea geniale - o demoniaca se
l’automobile è l’inquinatore massimo: obbligare il mondo, un miliardo, due
miliardi di individui, a comprare una macchina nuova. Il “tutto elettrico” è solo una sostituzione del parco
automobili. Sarà sempre auto, con polveri e particolato, e il consumo del
territorio, per strade e parcheggi – e di energie, alla guida veloce, alla ricerca
del parcheggio, un esercizio di usura. Un business santificato, pagato, perfino,
dallo Stato.
La donna al potere, tirannica
Un film forte, si va di corsa. Ma Cate Blanchett, già antipatica
di suo, fa un’antipaticissima maestra – o si dice ancora maestro? –
d’orchestra, la prossima prima donna (ma si vuole donna?) sul podio dei Berliner
Philarmoniker, Lydia Tàr. Donna in carriera e quindi tirannica come tutti. Per
di più essendo una donna americana, quella che un tempo si poteva dire virago. Anche
se il personaggio dovrebbe essere europeo, germanico. Egoista con tutti, anche
con le compagne e amanti.
La trama è troppo complicata,
non si può semplificare. Basti dire che è una successione di atti d’imperio, in
amore e nel lavoro. Blanchett, femminista capofila, già coppa Volpi e Golden
Globe per questo film, è probabile prosimo Oscar. Ma fa di tutto, col regista,
per dire - è la prima volta che Hollywood osa, sempre canonica, conformista -
che le donne in carriera non sono diverse. Cioè non sono donne? Cioè, il
femminismo non le vuole donne?
Le sue vittime e antagoniste
sono donne per lo più, pure loro. Una prefigurazione sinistra. Anche le
famiglie al femminile non sono diverse – non c’è il femminicidio ma perché non
si sa come chiamarlo.
Todd Field, Tàr, Sky Cinema
lunedì 11 settembre 2023
Problemi di base - 766
spock
“Se uno si ricorda tutto, non perdona mai”, Michela Murgia?
“La buona memoria è nemica della serenità, così come a
volte lo è la verità”, id?
“Se sai sei, se non sai sarai di qualcun altro”, don
Lorenzo Milani?
“Non è perché muore che l’uomo è finito”, Simone
de Beauvoir?
“Nessun genitore sano di mente opera per far crescere un
figlio inquieto e teso”, Maria Pia Veladiano?
“Se un ragazzo non impara dalla strada è
perché non ha la facoltà di imparare”, R- L. Stevenson.?
spock@antiit.eu